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Autore: WhileMyGuitarGentlyWeeps    06/08/2016    1 recensioni
Joan Cameron si trasferisce a New York dopo aver capito che la vita che credeva perfetta era in realtà una gabbia dorata. Arriva al 4D in una fredda mattina di febbraio e la sua porta non si apre.
Accorre in suo aiuto, come un principe su un cavallo bianco, quello che sarà poi il suo vicino, aprendo la porta di casa sua. Lui di fiabesco non ha nulla. E’ un’anima tormentata, svuotata.
Da quel freddo giorno di febbraio le loro vite si incrociano e si scontrano in una danza in cui non ci sono né vincitori né vinti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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20.

 
"Ah, per me, dico, datemi la guerra!

È meglio cento volte della pace, come il giorno è migliore della notte;

la guerra è cosa viva, movimento, è vispa, ha voce, è piena di sorprese".


 
 
“Ti accompagno a casa”. Disse Cult deciso, staccandosi dall’abbraccio.

Joan scosse la testa. “Non serve, ho chiamato un taxi, arriverà tra poco…”

Proprio in quel momento il taxi entrò nel suo campo visivo. “Ecco, dev’essere quello!” Alzò un braccio, facendo un cenno all’autista per fargli capire che era stato lei a chiamarlo.

“Salutami Duck e vai a riposarti appena Steve viene a darti il cambio”. Disse poi premurosa, allungandosi per dargli un bacio sulla guancia resa ruvida dalla barba.

Lui sorrise annuendo e la guardò andar via per poi tornare da Duck.

Joan, una volta in taxi, si rese conto di quanto era stanca. Guardò  l’orologio, erano le quattro e mezza di mattina. Il cielo iniziava a rischiararsi e le stelle erano meno brillanti.

Appoggiò la testa al finestrino, non accorgendosi del telefono che vibrava nelle sue mani. Si accorse della chiamata solo quando ormai aveva smesso i suonare.

Una chiamata persa. Era Huck.

Compose subito il suo numero. Lui rispose al secondo squillo. “Ehi, finalmente, ero preoccupato!”

“Ciao, sì, scusa non sentivo il telefono… E’ stata una nottataccia”.

“Lo so, Steve mi ha detto quello che è successo a Duck, come sta?”

“Meglio, lo hanno operato e ora si sta riprendendo”.

“E tu come stai?”

La ragazza sospirò. “Stanca”.

“Dove sei adesso?”

“In taxi, tra poco sarò a casa. Anzi, senti, possiamo sentirci più tardi? Sono veramente distrutta”.

“Certo. A dopo”.

Joan sorrise riattaccando e tornando alla posizione di prima, lasciando che la città scorresse sotto i suoi occhi.

“Eccoci signorina”.

Porse i soldi al tassista e si trascinò giù dall’auto, raggiungendo il portone. Fece i quattro piani di scale lentamente, trascinando i piedi come se fossero stati mattoni.

Rimase piacevolmente sorpresa quando, arrivata all’ultima rampa, scorse Huck, seduto sull’ultimo scalino, che la guardava sorridente.

“E tu che ci fai qui?”

“Beh… Mi sono reso conto di non averti dato i soldi della vendita dell’auto”. Disse alzandosi. “Ero venuto al locale, ma Steve mi ha raccontato quello che è successo e prima mi sembravi un po’ giù, quindi ho pensato che non era il caso di lasciarti sola”.

Joan sorrise, intenerita da quel comportamento. Non disse nulla, ma aprì la porta e gli lasciò libero accesso.

Huck le prese la borsa dalla spalla, appoggiandola sul divano e la abbracciò da dietro, baciandole il collo delicatamente. Camminarono insieme verso la camera. Joan sgattaiolò in bagno per lavarsi il viso e cambiarsi, mentre Huck la aspettò in camera.

Lo raggiunse velocemente, era talmente stanca che l’unica cosa che voleva era dormire. Si stese sul letto, mentre Huck la guardava, ancora in piedi.

“Che fai lì impalato, dormi che è tardi”. Gli disse indicandogli il letto.

Si mise accanto a lei, vicinissimo, ma lasciando ancora un po’ di spazio per non invadere il suo di spazio. Fu Joan ad avvicinarsi, accoccolandosi sul suo fianco, e poggiando la testa sul suo petto.

“Buonanotte”.

“Buonanotte, Joan”.

 
Qualche giorno dopo Duck venne finalmente dimesso dall’ospedale. A dire il vero già il giorno dopo il suo ricovero insisteva per uscire, dicendo che stava benissimo, ma poi aveva incontrato un’infermiera che “era uno schianto”, quindi si sarebbe volentieri fatto pugnalare a giorni alterni pur di vederla.

“Sì, ma Joan, per te avrò sempre tempo!”

“Non avevo dubbi Duck, ma non preoccuparti, capisco di doverti lasciar andare… Sii felice…”

Duck rise. “Non sono io ad aver detto all’infermiera di essere il tuo fidanzato”.

“Dovevate proprio raccontarglielo, vero?!” Disse sarcastica rivolta a Cult e Steve, che alzarono le spalle.

“Tesoro, lo capisco, sono un tipo niente male!” Le passò un braccio intorno alla vita, facilitato dal fatto che fosse seduto sulla sedia a rotelle e Joan gli fosse
esattamente accanto.

Joan gli spostò il braccio. “Duck ti conviene smetterla, a meno che tu non voglia rimanere qui con la tua infermiera preferita qualche altro giorno”.

“Non devi essere gelosa, Joan… Ce n’è per tutti”.

“Basta, ci perdo le speranze!”

Si allontanò, agitando le braccia sconsolata, ma ridendo.

“Forza, in piedi grande uomo, ti porto a casa”.

Steve aiutò Duck ad alzarsi, mentre il ragazzo continuava a confabulare cose su Joan e sull’infermiera.

“Joan, tu vai con Cult?”

La ragazza annuì, leggermente imbarazzata. Non erano più stati da soli dalla sera del ricovero di Duck.

Seguì Cult nel parcheggio, senza proferire parola, pensando ad argomenti neutri di cui parlare lungo il tragitto.

Il caldo, magari, o le vacanze! Chissà se Cult ci andava in vacanza… Chissà se preferiva il mare o la montagna…

Lo conosceva da diversi mesi, sapeva cose profonde di lui, del suo passato, lo aveva aiutato, lui le aveva salvato la vita, eppure sapeva così poco di lui…

“Ragazzina siamo arrivati”. Disse ad un tratto fermando Joan, che stava proseguendo, persa nei suoi pensieri.

“Ah…Sì…”

La guardò dubbioso. “Ma dove hai la testa?”

Lei però non rispose, non lo aveva sentito perché era già entrata nell’auto.

Quando ci entrò anche lui Joan non gli diede neanche il tempo di mettere in moto. “Preferisci il mare o la montagna?”

Lui, stranito, la guardò perplesso. “Come?”

“Preferisci il mare o la montagna?” Ripetè lei come se fosse una cosa normale.

“Ma che ti prende?!”

“Niente, rispondi e basta!” Disse decisa, mentre Cult continuava ad essere perplesso.

“Il mare.. Ora mi dici perché fai domande a caso su cose a caso?”

“Così…”

“No ma dico, sei impazzita?”

“Volevo saperlo, tutto qui!”

“Sì ma perché?!”

Lei si chiuse nelle spalle. “Ti conosco da un po’ e nonostante abbiamo condiviso dei momenti difficili non so nulla di te…” Si voltò dall’altra parte, imbarazzata. “Tutto qui…”

Lui sorrise e mise in moto.

“Mi piace il mare, però mi piace anche la montagna, in inverno, quando sei in mezzo al nulla e c’è talmente tanto silenzio che ti sembra di essere l’unico sopravvissuto all’apocalisse”. Sorrise sospirando, come se quelle parole fossero legate a qualche bel ricordo.

Joan, che si era girata verso di lui, lo fissava interessata, curiosa di sapere di più. “E poi…?”

Lui sogghignò, continuando a guardare la strada. “Poi cosa?”

“Cos’altro di piace?”

“Oh… Beh…Un sacco di cose…”

“Tipo?!”

“Non so… Tipo il basket, anche se non ci so giocare… Ci ho provato quando era piccolo, ma nessuno mi voleva mai nella sua squadra, ero negato. L’unico che mi sceglieva sempre era Steve, ma nemmeno lui era un granchè”. Concluse ridendo.

Anche Joan sorrideva, immaginandosi un piccolo Cult che correva dietro ad una palla che aveva perso pochi secondi prima.

“A volte ti invidio… Tu e Steve siete così legati, sareste disposti a fare qualsiasi cosa l’uno per l’altro…” Sospirò. “Io un amico così non ce l’ho mai avuto… Ogni tanto lo avrei voluto…”

“Non è mai troppo tardi…” Cult si voltò verso di lei, un sorriso genuino sulle labbra e le braccia tese sul voltante.

“Sì, ma non è la stessa cosa. Crescere insieme è un’altra cosa… Si fanno le stesse esperienze, si litiga e poi ci si riappacifica perché nonostante tutto quella persona è quella su cui punteresti tutto, quella che vorresti al tuo fianco se ci fosse l’apocalisse, o un’invasione di zombie…”

Cult sogghignò, sollevato che Joan non si fosse rattristata troppo.

“Beh, comunque, il mio gusto di gelato preferito è il caffè e la mia pizza preferita è quella col salame piccante”.

“Come sei scontato! E’ ovvio che la tua pizza preferita è quella col salame piccante, sei il prototipo di mangiatore di salame piccante!”

“Ah, davvero?! E sentiamo, ragazzina, qual è la tua preferita?” Chiese sarcastico.

“Quella classica, pomodoro e mozzarella, ma con vero pomodoro e vera mozzarella, all’italiana, con basilico fresco, magari, e non origano!”

“Ci avrei scommesso… Scegli il tipo classico, ma poi vuoi cose super sofisticate…”

“Ma smettila, mangiatore di salame piccante!” Gli tirò un buffetto sul braccio e finirono occhi negli occhi, finalmente, dopo tanto tempo.

Quant’era che non parlavano così spensieratamente? Forse non l’avevano neanche mai fatto. Era bello. Era bello scherzare con lui, conoscere nuove e scherzare come se si conoscessero da una vita.

L’atmosfera si raffreddò quando arrivarono davanti al loro palazzo e videro Huck, che aspettava appoggiato al muro.

“Beh, il tuo cavaliere è già qui…”

Joan aprì la bocca, ma poi si rese conto di non aver nulla da dire e la richiuse, abbassando lo sguardo.

Aspettò che Cult parcheggiasse ed uscì dalla macchina velocemente, andando incontro a Huck, che la aspettava sorridente.

“Ciao, come stai?” Le chiese schioccandole un bacio sulle labbra.

“Bene…” Disse lei imbarazzata per la presenza di Cult a pochi passi da loro.

“Ciao Cult, come va?”

“Alla grande”. Beh, se non altro, adesso rispondeva alle domande di Huck con delle vere e proprie frasi e non con cenni e mugolii.

“E Duck? Joan mi ha detto che è stato dimesso oggi”.

“Sta benone anche lui… Beh ora devo andare!”

Passò accanto a Joan e si fermò ad un palmo dal suo naso. “E comunque, tu sei il genere di persona su cui io punterei tutto!”

Sparì talmente in fretta che Joan non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di quello che Cult le aveva detto.

Fu la voce di Huck a farla riprendere. “Cos’era quello?”

“Quello cosa?”

Huck la guardò alzando un sopracciglio. “Quella frase, e soprattutto perché te l’ha detta a un centimetro dalla faccia?!”

Era geloso? “Ma non era nulla… Dai, è Cult, lo sai che è strano...”

Huck, però, non sembrava per niente convinto e Joan lo notò.

“Dai, non sarai mica geloso… Di Cult, poi?!” Si sforzò di ridere e sorridere  mentre lo abbracciava, forse cercando di convincere più sé stessa che Huck con quelle parole.

 
“Cosa ci fai ancora così?” Alison era decisamente spazientita, ma Joan non ne capiva il motivo.

Si guardò. Effettivamente la sua tuta non era esattamente elegante…

“Beh non pensavo che per guardare la tv servisse l’abito lungo!”

Alison spalancò gli occhi. “No, ma dico, ti sei dimenticata che oggi c’è la festa per il compleanno di  Cult?”

Joan, stupita, sgranò gli occhi a sua volta. “E io come avrei fatto a saperlo, scusa?!”

“Ma smettila, te l’ho detto sicuramente…” Fece una finta faccia convinta non essendo, effettivamente, convinta di aver detto a Joan di quell’avvenimento.

“Guarda che ti sbagli!”

Alison agitò una mano davanti agli occhi di Joan. “Oh, beh, pazienza. Ora lo sai!”

“Sì…ma non credo sia una buona idea, dai Ali, non mi va!”

“Stammi a sentire Joan”. Disse facendosi seria e minacciosa. “Ora ti metterai qualcosa di decente e verrai di la, ci siamo capite?!”

Joan, vagamente spaventata dal suo tono, indietreggiò annuendo, mentre Alison, soddisfatta e con un gran sorriso sulle labbra, si voltava per andare nell’appartamento di Cult.

Joan si presentò dall’altra parte del pianerottolo una decina di minuti dopo, con una bottiglia di vino in mano. Bussò, incerta, un paio di volte e ad aprirle fu Austin, le cui labbra si aprirono in un grande sorriso.

“Joan!” I suoi occhi luccicavano dalla gioia.

“Ciao, gnomo, come stai?!”

Lui nemmeno rispose, la trascinò in casa per farle vedere i suoi disegni.

“Steve dove ha messo quelle birre…” Cult entrò nel salottino guardandosi in giro, fino a quando non vide Joan.

Sembrava stupito.

Joan si alzò da terra, con grande disappunto di Austin, e allungò a Cult la bottiglia. “Auguri!”  Disse sorridendo forzatamente, sentendo gli sguardi di Steve e Alison addosso.

“Grazie”. Lui prese la bottiglia, guardandola. “Però, roba di classe!”

“Sì, beh… Se avessi saputo che era il tuo compleanno ti avrei comprato qualcosa, ma quella era l’unica cosa che avevo in casa…”

Cult rise, appoggiando la bottiglia sul tavolo.

Proprio in quel momento qualcuno bussò nuovamente. Si sentivano delle risate provenire da dietro la porta.

Era Duck, che ormai camminava agilmente con le stampelle. Purtroppo, però, non era solo: con lui c’era Melody, l’adorabile Melody, accompagnata da un’altra ragazza, una morettina non molto alta che cercava di stare in bilico su dei tacchi troppo sottili e troppo alti per lei.

“Oh, ci sei anche tu…” Disse con aria di sufficienza Melody non appena scorse Joan.

“Melody, è un piacere rivederti”. Sì, certo, come no!

“Angie, lei è la strizzacervelli di cui ti parlavo…O forse non è più il caso che ti chiami così… Ora non fai mica la cameriera?”

Joan si sforzò di sorridere, senza dar peso alle sue parole. “Ciao, sono Joan”.

Angie, però, aveva la stessa vena simpatica di Melody, infatti guardò strafottente la mano di Joan, senza stringerla, e si diresse al divano, dove si sedette quasi in braccio a Duck.

Joan tornò a sedersi per terra con Austin, che era più che felice, mentre Alison la guardò dispiaciuta mimando un ‘mi dispiace’.

Dalla sua posizione poteva vedere benissimo Cult, che si era seduto in poltrona e chiacchierava con Steve e Duck, il quale si destreggiava tra lui e Angie.

Era rilassato. Stringeva una birra in una mano e una sigaretta tra le dita dell’altra. Indossava una maglia grigia, che faceva risaltare i muscoli eleganti delle braccia. La barba era di media lunghezza, proprio come piaceva a Joan e gli occhi sembravano più chiari del solito.

Era bello, lo era sempre stato e lei non lo poteva negare, così come non poteva negare la sottile vena di gelosia che l’attraversò quando Melody andò a sedersi sul bracciolo della sua poltrona. Gli accarezzava i capelli e sogghignava a qualsiasi cosa lui dicesse, gettando la testa indietro così violentemente che Joan temeva le si sarebbe spezzato il collo.

Cercava di concentrarsi su Austin che le mostrava tutti i disegni e la invitava a disegnare dinosauri con li, ma con la coda dell’occhio continuava a guardare loro due. 
E la cosa che più le dava fastidio non erano le carezze di Melody o il fatto che Cult la lasciasse fare, ma il fatto stesso che quella situazione le desse fastidio. Non era mai stata particolarmente gelosa di nessuno e il fatto che lo fosse di un uomo che non era nemmeno il suo fidanzato la infastidiva terribilmente.

“Beh, siccome Joan ha deciso di alzare il livello dei festeggiamenti con quest’ottima bottiglia di vino, direi di fare un brindisi al festeggiato”. Disse Steve ad un certo punto e facendo per alzarsi per andare ad aprire la bottiglia.

Joan, però, lo fermò. “Aspetta, ci penso io se mi dici dov’è il cavatappi”. Voleva uscire da quella stanza, almeno per qualche minuto; doveva riprendere fiato.

Cult lo precedette nella risposta. “Secondo cassetto vicino al frigorifero”.

Joan lasciò la stanza frugò nel secondo cassetto, non individuando però il cavatappi. Passò allora ad ispezionare il primo cassetto, non trovando ciò che cercava, ma trovando qualcosa di più interessante.

In fondo al cassetto, in un angolo, c’era una catenina d’oro visibilmente rotta con un ciondolo appeso. Lo avvicinò al viso per esaminarlo meglio.

Proprio in quel momento entrò Cult nella cucina. “Ecco perché ci stavi mettendo così tanto!”

Joan sussultò, abbassando il braccio e stringendo la catenina. “No, scusa, non stavo ficcanasando! E’ che nel secondo cassetto il cavatappi non c’era e quindi l’ho cercato nel primo, ma non c’era nemmeno lì, però ho trovato questa,” alzò la mano, mostrando la catenina, “e la stavo solo guardando per capire cosa raffigurasse…” Abbassò lo sguardo, imbarazzata. “Scusa…”

Cult si avvicinò, frugando nel terzo cassetto e trovando il cavatappi. “E’ Sant’Anna, la protettrice delle madri…” Spiegò mentre apriva la bottiglia. “Anna era la madre di Maria, lo sapevi?”

Joan scosse la testa, senza guardarlo, ma osservando la medaglietta dorata.

“Era di mia madre”.

“Oh…” Joan si sentì incredibilmente stupida. Disse quell’ ‘oh’, come se solo in quel momento si fosse resa conto che anche Cult, come tutti, aveva dei genitori. “E lei dov’è?”

“E’ morta”. Rispose lui asciutto, senza togliere gli occhi dalla bottiglia.

Fu lei ad alzarli per prima.

‘Brava Joan, di bene in meglio’, pensò.

La ragazza si schiarì la voce. “Scusa…” Sussurrò mortificata.

Cult, intuendo il suo imbarazzo, le sorrise. “Tranquilla, è successo una vita fa…”

“Quella è l’unico regalo che quello stronzo di mio padre le abbia mai fatto…” Continuò amaramente, sputando quelle parole.

Joan si appoggiò al mobile, continuando a guardarlo negli occhi. “Non avete un buon rapporto?”

Lui scosse la testa. “Abbiamo smesso di avere un buon rapporto quando ha iniziato a mettere le mani addosso a mia madre…”

Joan, sconvolta e dispiaciuta, gli mise una mano sulla spalla. “Mi dispiace tanto, Cult, io non volevo essere invadente…”

Lui le sorrise amaramente, sfiorandole appena il viso col dorso delle dita. “Tranquilla, va tutto bene!” Sospirò. “Ora però torniamo di là…”

Uscì dalla stanza e Joan lo seguì subito dopo aver rimesso al suo posto la catenina.

Dopo qualche ora la situazione sembrava tornata quella dell’inizio del pomeriggio: Joan che dava retta ad Austin e chiacchierava con Alison e Steve, Duck e Angie che sembravano incapaci di staccarsi per prendere fiato e Melody che si strusciava su Cult.

Joan continuava a buttare l’occhio su di loro di tanto in tanto e ad un certo punto Melody se ne accorse.

“C’è qualche problema?” Chiese rivolta a Joan, la quale la guardò come se non sapesse di cosa stava parlando. “Sì sto parlando con te, non fare la santarellina come tuo solito!”

Joan sospirò sonoramente. “Guarda che non so a cosa tu ti riferisca…”

“Oh, ma davvero?! Non fare la finta tonta, è da quando sono arrivata che mi guardi male!”

“Ti sbagli, non vedo perché dovrei guardarti male…”

Melody si era alzata e la sua faccia non preannunciava niente di buono. Duck, aiutato da Angie, era uscito di casa, fingendo di aver male al fianco. Alison era preoccupata. Aveva visto Melody brilla e arrabbiata prima di quel giorno e la situazione non era finita bene.

Austin, addormentato sul divano, si era svegliato e Steve insistette per accompagnare lui e Alison a casa. Quest’ultima, però, non era d’accordo, perché era preoccupata per Joan e non voleva lasciarla da sola. Steve, però, la rassicurò ricordandole la presenza di Cult.

Lui non avrebbe mai permesso che Melody facesse qualcosa a Joan. Alison, alla fine, si lasciò convincere e salutò Joan con un abbraccio, sussurrandole di andarsene al più presto.

Non appena la porta si chiuse, Joan si alzò. “Beh, meglio che vada anche io, sono sicura che preferite restare soli”.

Fece per andarsene ma Melody glielo impedì, avvicinandosi pericolosamente, ridendo. “Allora è questo il tuo problema…” Si voltò verso Cult, indicando Joan. “La figa di legno è gelosa”.

Joan alzò un sopracciglio. Non sopportava quella situazione, voleva fare la diplomatica, come era solita fare, ed evitare discussioni, ma Melody era alla ricerca dello scontro e per quando Joan lo volesse evitare, ormai era piuttosto difficile resistere alla suo provocazioni.

“Sei ubriaca. Siediti, calmati e poi ti porto a casa”. Fu Cult ad intervenire, proprio mentre Joan stava per risponderle a tono.

Melody, però, non lo ascoltò. “Tanto lui non ci starà mai, a lui le fighe di legno non piacciono!”

Joan, nuovamente, non rispose a questa provocazione.

“Ma come, solo qualche mese fa rispondevi a tono e ora te ne stai zitta… Sei passata dalle stelle alle stalle e non fai più la saputella sul piedistallo, eh? Non ti credi più migliore di me!”

Joan non riuscì più a trattenersi. “Sai qual è la differenza tra me e te, Melody?! Io sono consapevole di chi sono. Che faccia la psicologa o la cameriera, io so quanto valgo. Tu, invece, rimani un’ignorante ragazzina capricciosa e insicura che sa solo usare il proprio corpo per attirare l’attenzione e questo magari ti spinge anche a credere che gli altri ti apprezzino realmente, ma la verità è che sei solo ridicola!”

Melody, infuriata, fu davanti a Joan in un paio di lunghe falcate, nonostante i tacchi alti. Sovrastava la ragazza di diversi centimetri, ma questo non intimorì Joan, la quale continuò a guardarla negli occhi, ma si rese conto che Melody era terribilmente ubriaca e , probabilmente, non rispondeva delle sue azioni. O meglio, era sicura che quelle cose le pensasse veramente, ma era altrettanto certa che, se fosse stata sobria, sarebbe stata in grado di darsi un contegno.

Cult osservava la scena, pronto a intervenire in caso di bisogno, ma sapeva benissimo che Joan si sapeva difendere e una parte di lui voleva vedere fino a dove si sarebbe spinta quella ragazzina.

“Ma come ti permetti? Chi cazzo pensi di essere?!” Melody urlava a pochi centimetri dalla faccia di Joan che fece un passo indietro.

Guardò Cult. “Credo sia meglio che tu riaccompagni a casa Melody”

La ragazza, infastidita dall’atteggiamento di Melody, tentò di ribellarsi, ma trovò Cult alla sua destra che cercava di condurla verso la porta. Anche Joan uscì, senza salutare Cult.
 

Il giorno dopo Cult rientrò solo nel pomeriggio. Joan aveva aspettato tutto il giorno che rientrasse. Era corsa alla porta ogni volta che sentiva un rumore, sperando che fosse il ragazzo e si era quasi rassegnata.

Uscì proprio mentre Cult stava aprendo la porta di casa sua.

“Ciao!”

Il ragazzo si voltò facendole un cenno ed entrando in casa. Non la invitò ad entrare, non la salutò nemmeno, semplicemente lasciò la porta aperta e si accese una sigaretta.

“Ehm… Posso entrare?”

Di nuovo lui si limitò ad un cenno, senza proferire parola, aspirando e soffiando fuori fumo.

“Sei tornato tardi…” Disse, cercando di smorzare l’imbarazzo che provava. Aveva notato che indossava la stessa maglia grigia del giorno precedente. Nella sua mente si fece spazio l’immagine di lui e Melody, avvinghiati. La scacciò, concentrandosi sui lenti movimenti del suo interlocutore.

‘Magari ora ti dice che è stato da Steve, o da Duck, o semplicemente in giro’ Pensò.

“Sì, ero da Melody”.

“Oh…” Di nuovo quella vena di gelosia la colse impreparata. Si sentì stupida e fuori posto. Voleva scappare e nascondersi.

“Sì, beh, lei era abbastanza agitata”. Si sedette in poltrona, senza smettere di guardare Joan che, invece, aveva abbassato lo sguardo. “Non credi di avere un po’ esagerato?”

A quelle parole Joan sembrò svegliarsi. Col cavolo che se ne sarebbe andata, lo avrebbe insultato pesantemente!

“Coma, scusa?!” Disse stizzita, mentre Cult rimaneva calmo con la sigaretta stretta fra indice e medio. “Dimmi che ho sentito male!”

Lui scosse la testa, aspettando una sua reazione. Sembrava estremamente prevedibile, eppure era così imprevedibile da lasciarlo ogni volta senza fiato.

“E’ stata lei ad iniziare. Lei mi ha insultato non appena ha messo piede in questa stanza!” Gesticolava, come sempre quand’era nervosa. “Io ho cercato di trattenermi, di non rispondere alla sue provocazioni e lei…”

Cult la fermò, non dandole tempo di terminare la frase. “Lei è un’impulsiva che fa andare la bocca senza pensare, da te… Sì, da te mi aspettavo qualcosa di più che una pessima analisi psicologica usata per insultare”.

Joan si sentì ferita. Arrabbiata e ferita. Sapeva che lui e Melody si conoscevano da anni e non pretendeva che la difendesse, sapeva cavarsela da sola, ma sperava che almeno fosse obiettivo nel giudicare la situazione. E invece no.

Da qualunque parte la si guardasse lei era la cattiva della situazione.

“E certo, perché io sono quella buona, quella che fa favori, che è sempre disponibile, che fa la babysitter, l’infermiera, l’amicona…” Gli sputò quelle parole dritto in faccia. “Beh, sappi che mi sono stufata del tuo atteggiamento e anche di quella stronza della tua fidanzatina. Anzi, quando la vedi dille pure che la figa di legno preferisce non discutere, ma quando lo fa non va tanto per il sottile e quello di ieri non era niente!”

Si voltò per andarsene, ma poi l’oggetto nella sua mano destra le ricordò il motivo per cui era andata lì.

“Ah, questo è per te”. Disse lanciandogli la scatolina che lui prese al volo. “Tanti auguri!” Disse sarcasticamente uscendo da quella casa sbattendo la porta.

Sbattè anche quella di casa sua. Era talmente arrabbiata che ormai non sentiva neanche più la delusione, delusione che sarebbe riemersa più tardi, una volta svanita la rabbia, e che l’avrebbe fatta piangere dal nervoso.

Andò in cucina per versarsi un bicchiere d’acqua, ma proprio mentre stava per prendere il bicchiere, qualcuno bussò alla sua porta. C’era solo una persona che bussava in quel modo.

Decise di ignorarlo, versandosi l’acqua. La porta veniva, nel frattempo, massacrata e Joan temette per un attimo che potesse rompersi.

“Ragazzina apri o butto giù la porta”.

Il problema era semplice: loro erano rabbia e delusione, erano un vortice doloroso.

Erano guerra.

E non potevano essere niente di diverso. Ma, nonostante tutto, erano perfetti nel litigio, nella guerra, erano perfetti negli scambi di battute, quasi avessero un copione ed erano perfetti negli sguardi, che sembravano in grado di intercettarsi ed agganciarsi.

Erano guerra anche quando non litigavano.
 
Buongiorno!
Oddio, ma quante ne succedono in questo capitolo?! Beh, c'è tanta carne al fuoco...
Questo e il prossimo capitolo rappresentano un po' un punto di svolta, se sia positivo o negativo lo lascio decidere a voi!
A presto!


 
  
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