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Autore: Lost In Donbass    08/08/2016    2 recensioni
Lei si chiama Jimmy Sasha, ha un senso dell'umorismo molto particolare, e solitamente è una che ci va giù duro quando picchia.
Lui si chiama Tom, non è particolarmente emotivo, combina un sacco di guai, e come se non bastasse non ha capito un cavolo della faccenda.
L'altro si chiama Bill, si sente colpevole per tutto quello che sta combinando, è pieno di sensi di colpa, e ha un feticismo speciale per gli stivali.
Sfortuna vuole che Tom si innamori di Jimmy. Ma a lei piace Bill. E Bill ama senza riserve Tom. Se poi ci aggiungiamo un Georg filosofo e un Gustav preveggente, il fantasma di una gemella defunta e tanta, tanta amara ironia, cosa potrà mai succedere?
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO VENTIDUE: A MAI PIU’ RIVEDERCI

Un mese. Cento chiamate a cui non ho risposto. Centinaia di messaggi che non ho nemmeno aperto. Tagli sulle braccia e sangue secco in tutto il bagno. Una lettera a cui ho dato fuoco senza nemmeno leggerla. Un mese di vomito, sigarette fumate a letto per ore e ore, giornate passate in officina senza distrazioni, JD da bere per colazione insieme a un uovo sbattuto e a una sigaretta tagliata con la cannabis, i dischi dei Tokio Hotel a tutto volume per farmi male al cuore. Un mese di serate passate seduta di fronte alla tomba di mia sorella a piangere sangue e alcool, in mezzo alle petunie nere che le piacevano tanto, i capelli troppo lunghi e appiccicosi, il trucco sciolto che non tolgo mai ma che ripasso in continuazione. Un mese di risse senza pietà, una notte in stato di fermo, e odio covato dentro il cuore. Sono tornata a essere l’essere rabbioso, violento, squilibrato che ero prima di finire in braccio ai gemelli, regredendo di nuovo nell’incubo da cui speravo di essere uscita una volta per tutte. Ma avevo ragione, io non potrò mai essere salvata dall’inferno urbano in cui sono nata e in cui morirò, nessuno sarà abbastanza forte per portarmi via. Se non lo è stata Christiane, come avrebbero potuto esserlo Bill e Tom? La mia era solo una vana speranza, quella di un angelo a cui sono state divorate le ali, che tenta di tornare a casa sua ma sarà per sempre costretto a una sopravvivenza di fortuna nel suo inferno personale di rabbia cieca, droga e sesso, soffocata dalla periferia che mi opprime nel suo sterile grembo demoniaco. Ero persa, non ci sarà via di redenzione, continuerò la mia esistenza in questo universo, cavandomela come ho sempre fatto, aspettando il momento giusto per unirmi di nuovo alla mia Gloria. Sono stata una perfetta idiota a credere che qualcuno avrebbe potuto tirarmi fuori da questo pantano: io non posso essere salvata perché in fondo non l’ho mai voluto. Non ho mai desiderato andarmene da qui, ci ho provato ma erano solo bugie dietro a cui mi nascondevo per fuggire dalla realtà che insieme mi nausea e mi eccita. Questa è la Wonderland da cui non potrò mai scappare, perché nemmeno Alice è mai davvero andata via. Sono legata a doppio filo in questo paradiso dei sensi meschini, nessuno potrà trascinarmi nel mondo normale perché so che se qualcuno ci riuscisse diverrei polvere di stelle che si scioglie nel vento delle fabbriche metallurgiche. Non sono fatta per sopravvivere alla normalità di una vita felice, sono fatta per distruggermi con le mie stesse mani nel cemento armato che mi ha dato alla luce, non sopporterei la borghesia se sono nata per essere una proletaria, sarebbe come portare un troll alla luce del sole. Diventerei di pietra o diventerei cenere che si deposita nelle vostre sigarette borghesi. Non riesco più a ridere, dopo che sono scappata come il demone che sono da quell’albergo di Amburgo. Ho sbagliato sin dall’inizio, non avrei dovuto baciare Bill, avrei dovuto chiedere scusa a Tom in ginocchio, avrei dovuto tornare da lui strisciando. Però non l’ho fatto, perché la piccola Sasha non si inchina, non si piega, non si spezza. Non chiede scusa, non scende a compromessi. No, la piccola Sasha si distrugge con le sue stesse manine ferite e porta solo cattiveria e depressione dovunque va. Anche loro sono stati vittime della terra bruciata che mi porto dietro, dell’aura oscura che mi segue come un’ombra, la sfortuna è calata come un corvo sui loro cuori. Speravo che Tom mi salvasse, ma non ho fatto altro che pugnalarlo al cuore fino a farlo morire. Speravo che Bill mi amasse, ma non ho fatto altro che avvelenarlo con i miei occhi. Sono un emerito disastro, non posso fare nulla senza distruggere qualche anima e portarla nel baratro insieme alla mia. Forse è colpa del mio senso dell’onore snaturato, l’onore periferico del ferire prima di essere feriti, del fuggire prima ancora di venire inseguiti. O forse sono semplicemente troppo andata per poter sperare di vivere uno straccio di vita quasi normale. Ho volutamente ignorato tutte le chiamate, i messaggi, addirittura la lettera che mi ha mandato Tom, cercando di dimenticarmi del vespaio che ho scatenato, senza però riuscire a smettere di sognarmeli ogni notte. Sogno i gemelli uccisi, sogno Georg e Gustav che mi incolpano, sogno la mia gemella che mi manda alla sedia elettrica. Sogno, e non dormo più da un mese. Vedo la disperazione conseguita alla mia codardia, al mio orgoglio sregolato che mi ha fatto dare fuoco a tutto ciò che avevo conquistato, alla fiducia e all’amore di quelli che mi avevano salvato dal suicidio. È un mese che sto male, e più ignoro i suoi tentativi di chiamarmi, più mi sento da cani. Forse aveva ragione Gloria quando mi diceva che ero masochista, in fondo, che mi piaceva soffrire, e aveva ragione Bill quando mi aveva detto che la fine della storia con Tom mi avrebbe distrutta in mille pezzi di cristallo insanguinato. Ma ho vinto io, caro Bill. Non sono venuta da te a piangere. Mi sto uccidendo, ma non sto piangendo.
Sospiro rumorosamente, affondata nel divano sfondato, ripensando a quando li avevo invitati a fare merenda da me, a quando Tom mi aveva chiesto di mettermi con lui, a quando pensavo di poter lasciarmi alle spalle il Paese delle Meraviglie. La televisione mezza rotta da un calcio che gli ho tirato la settimana scorsa sta trasmettendo un vecchio film in bianco e nero che non seguo nemmeno, ci siamo solo io, la mia depressione e la sigaretta quasi finita tra le dita. Chissà cosa staranno facendo ora i gemelli? Avranno un concerto, un’intervista o cos’altro? Si ricorderanno di me o mi avranno cancellato immediatamente dalla loro mente?
Il sordo trillare del campanello mi risveglia dal mio coma, facendomi quasi sobbalzare. E ora chi diavolo viene a scassare i coglioni? Ci mancava solo un idiota con Famiglia Cristiana da vendere … potrei dirgli che sono satanista. Sì, magari scappa subito e non tenta di rifilarmi i suoi stupidi giornaletti. Mi alzo a fatica dal divano, spegnendo la sigaretta sul divano già completamente bruciacchiato dai cerchietti delle sigarette spente, cercando di non perdere l’equilibrio e di non mettermi a vomitare sulle scarpe inamidate del Famiglio Cristiano che mi aspetta fuori dalla porta, premendomi una mano sulla pancia che mi fa un male boia.
Apro la porta con una smorfia, scostandomi la frangetta dalla fronte
-Senti, sono satanista, ti dico già che non mi convertirò mai a …
-Beh, io non sono qui per convertirti, Jimmy.
Alzo si scatto lo sguardo sul tizio piantato davanti al mio uscio, con un sorriso a trentadue denti, una maglietta da metallaro finto, un paio di bracciali borchiati e i capelli lisciati come quelli di una piattola. Sfarfallo le ciglia, prima di saltargli al collo
-Georg, fratello!
-Jimmy, vecchia mia!
Mi abbraccia e sento qualcosa che mi fa quasi sorridere. Allora i miei sogni non erano realtà: almeno forse Georg e Gustav non mi odiano. Sarebbe già un bel passo avanti, per me, sapere che due amici non mi hanno abbandonata. Lo faccio entrare nel salotto lurido e buio pesto, accendendo la vecchia luce poco stabile del lampadario di plastica rosa.
-Accomodati pure sul divano.- dico, spegnendo la televisione con un mezzo sorriso stampato sulle labbra, portandogli di corsa una birra. – Ti … ti ha mandato Tom?
Ci guardiamo per un minuto negli occhi, prima che lui distenda le gambe e io mi sieda sul puf di fronte e che commenti
-No, Jim. Sono venuto di mia spontanea volontà.- inconsciamente, tiro un sospiro di sollievo . – Piuttosto, tu come stai? Sei scappata da Amburgo, non hai risposto a nessuna chiamata, messaggio, lettera. Come mai non ti sei fatta viva? Guarda che per la prima volta in vita sua Tom era seriamente preoccupato, come lo eravamo anche io e Gustav. Sei anche nostra amica, noi ci siamo angustiati per la tua salute.
Non vorrei chiederglielo, no davvero, ma non posso a fare a meno di sussurrare, quasi più a me stessa che a lui
-E Bill? Bill non era preoccupato?
Georg mi lancia un’occhiata bonaria, che però nasconde qualcosa di strano, quasi fosse nascosto dal fumo blu del Brucaliffo che mi vuol tenere lontana da questo mondo esterno che mi farebbe troppo male.
-A modo suo, diciamo di sì.
Mi gratto distrattamente il collo, cercando una delle mie ennesime scuse dietro alla quale nascondermi e scomparire. Ma farei davvero bene a mentire? Non sarebbe forse giunto il momento di parlarsi chiaro una volta per tutte?
-Comunque, io sto bene, Georg. Sto perfettamente bene.- mento, facendo vagare lo sguardo dovunque meno che sul suo viso.
-Non stai bene, Jimmy Sasha.- mi guarda fisso, costringendomi a guardarlo negli occhi – Ti sei distrutta in questo mese lontano da noi. Ti sei anche gonfiata, se permetti. E tutte queste cicche … quando stavi con Tom non fumavi così tanto.
Soffoco una risata amara; toh, sta a vedere che si è accorto di tutto. Dio, speriamo di no … non oso immaginare cosa direbbe se se ne accorgesse.
-Georg, se sei venuto qui per farmi la ramanzina possiamo anche piantarla qui.- lo zittisco, chiudendo per un attimo gli occhi – Cosa volevi dirmi?
-Non sono venuto a farti la ramanzina su un bel niente, volevo solo sapere che fine avevi fatto e perché ci hai sistematicamente ignorato!- sbotta, ma non è arrabbiato.
-Vi ho ignorato perché avevo paura, ok?- sbuffo, concentrandomi a guardare la vecchia foto sul caminetto – Paura di quello che era successo.
-Intendi di quando tu e Tom avete litigato?- Georg beve un sorso di birra, prendendomi la mano. Sospiro, stringendogliela, sentendomi esattamente come doveva essersi sentita Alice quando era volata di nuovo al di qua dello specchio, le vertigini, la nausea, l’orrore di dover tornare in un mondo che corre e non aspetta nessuno. La disperazione di dover abbandonare un posto dove bere the e mangiare pasticcini è l’unica chance disponibile per sopravvivere.
-Senti Geo … tu non puoi capirmi. Nessuno di voi può capirmi.- dico tra i denti, resistendo stoicamente alla bottiglia di JD che attende sul tavolino e mi fissa con aria troppo tentatrice. – Io non sono fatta per restare, va bene? La mia natura è impostata per l’indipendenza, non potevo stare con lui.
-Sì che potevi stare con lui, a parte che è un demente, avrebbe potuto cambiarti, o se non lui forse addirittura Bill avrebbe potuto farlo.
Ci guardiamo un po’, nessuno davvero sicuro di quello che ha appena detto.
-No, per piacere, tu non sai nulla! I gemelli non mi avrebbero mai cambiato, perché io non cambierò mai. Sono troppo dentro a tutto questo schifo per poter sperare di venirne tirata fuori. Il tempo per me è scaduto.
Mi alzo di scatto, indecisa su cosa fare, per poi ricadere come un sacco di patate sul divano, gli occhi assottigliati e le mani strette a pugno, i graffi e le abrasioni sulla mascella che bruciano ancora. Georg sospira, e mi passa un braccio attorno alle spalle tristemente
-In qualità di amico, però, mi sento in dovere di dirti una cosa che potrà sembrare atroce, o perlomeno, è stato l’effetto su me e Gus, ma che è di fondamentale importanza.- mi guarda con un sorriso vagamente esasperato – Bill e Tom …
-Fammi indovinare.- interrompo – Si sono messi insieme, vero?
-Come fai a saperlo?!- Georg strabuzza gli occhi, dilatandoli comicamente.
Scoppio a ridere, scivolando sul puf, senza smettere di ridere di cuore. Charme è tornato in gran carriera a spalleggiare Violenza, che negli ultimi tempi stava prendendo troppo il sopravvento, e rido ancora. Forse perché sono pazza e sono felice che sia successo. Sono felice perché il mio Bill ora ha realizzato il suo sogno che lo dannava da una vita. Sono felice perché il mio Tom ha preso la strada giusta da percorrere. Sono felice perché ho avuto una parte rilevante nel far succedere l’impossibile. Georg mi guarda sconvolto, ma io non ho più paura di sghignazzare impunemente. Allora forse ci avevo visto giusto pure io, Tom non mi ha mai davvero amata come credeva. Lui amava Bill attraverso di me. Glielo avevo detto, che in fondo io e lui eravamo perfettamente uguali, e se non per il fatto che fisicamente ci assomigliamo, sicuramente perché siamo soli, siamo deboli e siamo arrabbiati. Avevo cominciato a rendermene conto, che in fondo io ero solamente uno specchio che Tom doveva imparare a varcare per cadere tra le braccia di suo fratello, l’unica vera persona in grado di amarlo come dovrebbe essere amato. Lo specchio di Alice, l’arcobaleno di Asgard, l’Olimpo, il binario 9 e 3/4 , tutto questo ero io per Tom, il sacro rito di passaggio che doveva prepararlo per suo fratello. Non mi dispiace per nulla che finalmente si siano messi insieme, non mi sconvolge, in qualche modo mi rende fiera di me stessa. Se loro sono quelli che mi hanno salvato dal suicidio, forse dovevo rendergli il favore. Se fossi rimasta avrei rovinato il precario equilibrio che coesisteva tra loro. Che dire, per la prima volta in vita mia sono riuscita a rendere felice qualcuno. A essere abbastanza trasparente, distruttiva, folle da unire due anime legate da secoli e secoli.
-Intuizione pura e semplice.- mi limito a rispondere, sorridendo amabilmente alla vista di un livido Georg che ingolla disperato un po’ di birra.
-Da quando te ne sei andata loro due hanno cominciato una specie di idilliaca storia d’amore. A volte sono imbarazzanti.- il mio amico alza gli occhi al cielo – Non so come sia andata, cosa abbiano fatto in quella camera da letto dopo la tua fuga, ma per qualche motivo il sogno di quel pervertito di Bill è andato a buon fine. E sono così felici che mettono nausea! Voglio dire, te e Tom non eravate melensi.
-Io e Tom litigavamo ventiquattrore su ventiquattro, poi facevamo sesso, poi litigavamo di nuovo, poi facevamo la coppia normale per massimo due ore e poi ricominciava la musica. Ci credo che non eravamo melensi.- commento – Comunque, dimmi la verità adesso. Perché sei venuto? Ti sei sincerato della mia salute, mi hai comunicato la relazione dei gemelli, ora che c’è?
Georg sospira rumorosamente, passandosi una mano sul viso
-Jimmy … io … vogliamo che torni.
-Non tornerò, Georg. Non adesso, non dopo tutto questo. Sono felici adesso, perché dovrei tornare io? Lo specchio si è chiuso.
Mi alzo di nuovo, girellando per la stanza, una mano premuta sulla pancia dolorante il più casualmente possibile. Odio quando mi dicono di tornare indietro. Per me, lo so, tornare indietro sarebbe il biglietto per l’Inferno e tutto ciò che ne consegue. Andare avanti senza guardarmi indietro potrebbe ritardare la mia prossima morte in un bugigattolo della periferia, l’avere il coraggio di rimangiarsi un passato costellato di errori senza soluzione di continuità.
-Non è per riaprire nessuno specchio, è solo che vogliono vederti. Guarda che ti vogliamo bene, eh. Anche Bill in fondo te ne vuole. Probabilmente preferirebbe venire squartato e dato in pasto alle iene invece che dirtelo, ma sono sicuro che nella sua testa contorta anche tu hai un certo peso.- dice Georg – O se proprio non vuoi più avere a che fare con noi, allora digli almeno addio di persona.
-Dirgli addio?- lo guardo, da sotto la frangetta e i capelli arruffati – Sì, forse sarebbe la cosa migliore. Non causerei altro che problemi a stare tra le scatole ai gemelli.
-Questo lo sapete voi, sinceramente me ne tiro fuori, non sono abbastanza edotto su questo argomento.- Georg sorride, alzandosi dal divano e abbracciandomi – Dai, Jim, sono venuto apposta qui da Berlino per chiedertelo. Siamo ancora in tour, abbiamo girato come trottole, ora siamo di nuovo in Germania e poi partiamo per il Portogallo. O ci segui a Lisbona, o vieni a Berlino con me in macchina.
Sorrido, scostandomi qualche ciocca dalla fronte malaticcia
-Ho capito. Vengo con te, sennò penso che mi ci caricheresti di peso in macchina.
-Beh, sei un fuscello, non penso sia troppo complicato.- ride a sua volta – E poi volevamo spedirti quella poca roba che ci hai lasciato ad Amburgo, ma siccome nessuno di noi si ricordava l’indirizzo ce la siamo scarrozzata avanti e indietro. Magari te la vieni a prendere.
-Oh, è vero, la roba … che idiota, me ne ero completamente scordata.- dio, devo essere davvero fusa di cervello, troppo fumo, alcol e disperazione – E come hai fatto a trovare casa mia se non sapevi l’indirizzo?- chiedo, mentre mi avvio insieme a lui fuori di casa, chiudendola col sistema delle cinquanta chiavi.
-Ho chiesto a mezza periferia e ho rischiato di venir linciato.- si frega le mani, e mi fa accomodare in macchina – Sinceramente, chiedere le informazioni qui è un’impresa da marines super addestrato.
-Geo, bastava dire “sono amico di JdoubleS, oppure sono amico delle gemelle” che non ti linciavano.- sbuffo una risata. È così borghese.
-E che ne sapevo io?- borbotta, mettendo in moto – Ho girato come una trottola inseguito da gentaglia di ogni tipo.- poi mi guarda e dice, improvvisamente serio – Allora avevo ragione a pensare che tu hai una gemella.
-Avevo, amico. Avevo una gemella.
Vorrei piangere, adesso, ma non lo faccio. D’altronde sono passati già quattro anni, sono venuta a patti con tutto quello che è successo. Lei vive, forse, dentro di me. Si è fatta spazio nella mia anima e nel mio corpo, occupando quello che le hanno strappato prematuramente, soffrendo quello che soffro io, gioendo di ciò che fa gioire me. Siamo la stessa persona, adesso, è parte di me, come lo è sempre stata in fondo. Chissà se fosse vissuta cosa sarebbe successo … forse non avrei conosciuto i Tokio, avremmo continuato a sognare di loro in pace. Magari Bill avrebbe trovato un altro modo per stare con Tom, magari alla fine io e lei saremmo finite come loro. Credo che in qualche modo anche noi potevamo essere più di due gemelle. Sì, sicuramente eravamo più di due sorelle ma meno di due amanti, eravamo esattamente la copia femminile di Bill e Tom, non c’erano differenze. Mi manca, mia sorella, mi manca sempre di più. Mi dispiace di aver fallito tutto quello che avevo costruito per tutte e due, ma tesoro mio lo dovresti sapere: io sono fatta per distruggere, non per costruire. Per uccidere, non per curare.
-Ehi, Jim, scusami, se non … - inizia Georg, ma io lo zittisco, lasciando il mio sguardo vagare sulla strada che scorre veloce sotto le ruote.
-Si chiamava Gloria Vanja. Eravamo uguali, esattamente identiche, ci completavamo come le parti di una stessa medaglia. Come Bill e Tom, insomma. Io ho sempre più assomigliato a Tom, ma Gloria, lei era identica a Bill. Il nostro sogno comune era quello di conoscervi, eravamo pazze di voi da tipo … sempre?- lancio un’occhiata a Georg che mi fissa affascinato – Però poi lei è morta. In un incidente. Eravamo in moto, io guidavo, pioveva a dirotto, ma avevamo solo sedici anni, dannazione, avevamo preso in prestito la moto da un nostro amico per tornare a casa più rapidamente, solo che … era passata una tipa di corsa, mi aveva tagliato la strada, la moto era scivolata sull’asfalto bagnato e siamo andate a sbattere a razzo contro un muro. Solo che io sono stata sbalzata giù e sono sopravvissuta, lei no. Così … da quando Gloria è morta è andato tutto a catafascio. La mia vita. La sanità mentale già precaria di nostra madre. Tutto a fanculo in due minuti. Bastava niente, qualche secondo, e io non sarei qui con te a commiserarmi. Ora, per favore, non dire nulla. Non voglio sentire che ti dispiace.
-Jimmy, mi dispiace.
Mi giro a guardarlo, e scoppio inaspettatamente a ridere. Sono pazza, no?
-Perché me lo hai detto?
-Perché è la verità!- Georg fa tanto d’occhi. – E’ una storia terribile, vecchia mia …
-Sono passati quattro anni, non ti preoccupare. È una delle tante storie della buonanotte che si raccontano in periferia. Oggi a me, domani a te. La morte di Gloria Vanja non è stata altro che una leggenda da raccontarsi la notte, brutta, ma sempre una storia. Siamo tutti sigarette, Geo. Quando le sigarette finiscono, si buttano via; si vede che la sigaretta della mia adorata sorellina si era consumata.
-Ciò non toglie nulla. Perché non ce l’hai mai detto?
-Non mi pareva una grande battuta d’inizio “Ciao, mi chiamo Jimmy Sasha, mia sorella gemella è morta in un incidente, mi taglio e sono da Alcolisti Anonimi”.
Georg annuisce, scuotendo i capelli e cala un silenzio inquietante tra di noi, fatto di due ragazzi seduti su una macchina che macina chilometri verso Berlino, la nuova canzone dell’estate alla radio, la nebbia della strada e due paia di occhi che ogni tanto si incontrano e si slegano alla velocità di un nanosecondo. Poi, a un certo punto, decido di dirglielo. Non so perché. Magari perché mi pesa addosso.
-Sono incinta.
Mi butto sul volante appena in tempo prima che quel pilota di Formula 1 di Georg ci faccia andare fuori strada, cercando di rimetterci in carreggiata e grazie al cielo che su queste stradine non c’è un cane sennò eravamo già all’altro mondo.
-Cazzo, Georg! Il volante!- abbaio, partendo a guidare io a zigzag.
-Oh porca puttana Jimmy Sasha, stai scherzando?!- ulula lui, senza prendere il dannato volante e cominciando a gesticolare come un ossesso.
-No, non sto scherzando, piuttosto pensa a guidare, porca troia, che qui schiattiamo!
Finalmente si decide a prenderlo e rientrare sgommando in carreggiata, facendo fuggire alcune pecore e spaventando a morte gli agnellini. Sembrava che dentro si stesse vivendo una lotta all’ultimo sangue.
-Fammi capire, ogni volta che uno ti dice qualcosa di un poco fuori dalla norma mentre guidi molli il volante?- ansimo, accasciandomi sul sedile.
-Senti, bellezza, mi hai appena detto che sei incinta e pretendi anche che io mantenga la calma?!- latra, scostandosi i capelli dal viso, sudato fradicio.
-Non mi pareva una cosa così atroce!- tento di giustificarmi. Avrei fatto meglio a tacere, e che diavolo.
-Oh no, figurati il tuo migliore amico rasta scemo che più scemo non si può diventa padre, non è assolutamente una notizia atroce.- si gira verso di me con gli occhi fuori dalla testa – Oppure è il figlio di Bill?
-Sì, di Gustav già che ci siamo … - commento ironica, alzando gli occhi al cielo.
-Sei andata a letto con Gustav?
-Georg! Ma sei scemo?! Certo che è il figlio di Tom, di chi sennò? Giuro sulla mia testa che non sono andata con nessun altro dopo di lui.
-Oh Signore Iddio Onnipotente Padre di tutti gli esseri viventi …
-Risparmiati il sermone domenicale, per piacere.
-Ma quella testa di tubi un cazzo di preservativo ogni tanto se lo poteva mettere!
-E io che ne so, non ci facevo mica caso!
Ci guardiamo un po’ in cagnesco, prima che lui dica, con più calma
-Era per questo che non volevi tornare?
-No.- scuoto la testa nascondendomi dietro ai capelli – A un certo punto volevo dirglielo. È un bambino, ma non è uno stronzo, penso che avrebbe capito.
Georg annuisce, accarezzandomi la testa.
-Poi però non mi è sembrato giusto.- continuo, accarezzandomi la pancia – Me n’ero resa conto, che cominciavo a essere di troppo pure per lui … che aveva bisogno di Bill più di quanto avesse bisogno di me. Quindi ho preferito non dirgli nulla e andarmene, lasciare che gli eventi prendessero un altro corso.
-Hai intenzione di tacergli il fatto che diventerà padre?- Georg mi guarda severamente.
-Sarebbe una bastardata da parte mia, Geo!- sbotto, dando un pugno al finestrino – Ora lui e Bill sono felici, ci manca giusto questo per farli collassare. Non dirgli nulla, nemmeno dopo il nostro addio. Mi verrebbe a cercare, e io non ho bisogno di altri uomini per i piedi.
-Ma che diavolo dirai al bambino quando crescerà?! Tom non deve necessariamente tornare con te, ma ti darebbe una mano Jim, una mano!
-E’ qui che non capisci, Georg. Non voglio sconvolgere gli equilibri. Lascia in pace i gemelli, che vivano nell’ignoranza. Al bambino dirò che non so chi sia suo padre, e poi lavoro da quattro anni nella stessa officina, non guadagno malaccio e la casa è di mia proprietà. Cosa vuoi che sia crescerlo quando io stessa sono cresciuta da sola? Non farne parola con loro, causeresti solo altri problemi. Mi sono rotta dei problemi.
Sospiriamo tutti e due, guardandoci storto. Avrei dovuto stare zitta, è vero, starmene sulle mie con il mio bambino e la mia vita di periferia.
-Ho capito, Jimmy, non approvo ma farò come dici. D’altronde, è la tua vita e te la gestisci tu. Comunque, continuo a pensare che sia ingiusto.
-Avresti preferito che mi fossi presentata con un  bamboccio appena nato e un “su, Tom, lui è tuo figlio, adesso devi pagarmi gli alimenti”? Mi sembra più carino scomparire per sempre e fargli vivere la sua vita in pace. Dove vivo siamo tutte ragazze madri; sarei solo una delle tante e nessuno se ne preoccuperebbe.- glielo sputo in faccia, raggomitolandomi sul sedile.
Georg sembra pensarci su, si gratta la testa e poi annuisce, con un sorrisetto
-Forse hai ragione tu, però. Meglio così.- poi si gira ed esclama – Ma guai a te se quando nasce non mi mandi una fotografia!
-Andata, fratello!- rido un po’, per la tensione, dandogli un pugnetto amichevole.
Mi accarezzo di nuovo la pancia, con un sorriso triste. Nessuno saprà nulla, e tu sarai un perfetto rigurgito di periferia. È sempre meglio far queste cose da sole, sì.
 
-Mi sei mancata, lo sai? Continuavo ad avere sensi di colpa.
Tom mi guarda con un felicità che nasconde un’ombra dio inquietudine, addentando un cheeseburger di dimensioni abnormi e sporcandosi irrimediabilmente di senape. No, più lo guardo, più mi convinco che ho fatto bene a tacergli la mia gravidanza.
-Scusa se sono scappata come una codarda.- mi gratto il naso, stringendomi le ginocchia al petto – Non volevo scatenare così tanti problemi.
-Non è che hai causato problemi, Jimmy, è solo che … boh, credevo che te ne fossi andata per colpa mia. Perché avevamo litigato e ti avevo dato della troia.- Tom si rifà la coda di dread e mi fa un sorriso dolce – In realtà l’ho pensato, inutile mentire su questo. Però mi dispiace comunque, sono stato un bastardo.
-Oh, beh, tanto mi hanno sempre dato tutti della troia, quindi non è un gran problema.- commento amabilmente, rubandogli un sorso di Coca Cola – Georg mi ha detto che tu e Bill … state insieme? Forse non è la definizione migliore in questo frangente.- tento per una risatina imbarazzata che riesce male. Cristo, non sono mai stata più imbarazzata di parlare con qualcuno che in questo momento, a tu per tu col mio vecchio ragazzo in un albergo a cinque stelle della capitale.
-Ci sei rimasta male a sapermi fidanzato con mio fratello? Non ti biasimo.- risponde, abbassando lo sguardo sulle scarpe fattisi improvvisamente interessanti.
-Nah, non ci sono rimasta male.- faccio un gesto evasivo con la mano – Se siete contenti, sono contenta anche io. L’avevo sempre sospettato che foste fatti uno per l’altro, da qualche parte nel mio cervello.
Tom ride, sbrodolandosi di pomodoro la felpa come al solito, e mi da una specie di scappellotto sulla nuca
-Smettila! Dai, non ti sei offesa a morte?
-No, Tom, giuro di no!- provo a ridere anche io, con risultati un po’ scarsi.
-Amo tanto Bill, lo sai?- cinguetta Tom, per poi girarsi verso di me con gli occhi sbarrati – Cioè, no! Voglio dire, amavo tanto anche te, però lui … è strano, ma ha qualcosa dentro che lo rende diverso da te. Un luccichio diverso, una passione diversa, qualcosa di speciale ma diametralmente opposto a te.
Ora, Violenza mi sta caldamente consigliando di sputargli velenosamente in faccia il fatto che sono incinta, per cominciare a demolire quest’adorabile scenetta familiare che a me non è stata concessa. Voglio vedere i loro visi distorti dalla sorpresa, dall’orrore, dalla tristezza, voglio assaporare di nuovo la demolizione di vite appese ai fili di un sadico burattinaio, vedere questi fili tranciati di netto e loro precipitare nell’incubo di un’ulteriore sconquassamento della loro vita perfetta. Richiama la vendetta della morte di Gloria, di una vita strappata a tutte e due, trascinandoci entrambe all’inferno dei non credenti, è una voce suadente come il serpente dell’Eden che vuole instillare di nuovo nel mio cuore sporco di cattiveria la stilla dell’odio inguaribile verso il mondo, la voglia di distruzione che mi anima ancora. Potrei dirlo, adesso. Sarebbe solo che mio diritto, potrei bearmi della loro felicità spezzata e incrinata come gli specchi che avevo rotto tanti anni fa, vedere il sangue dei loro litigi scivolare tra i cocci e scorrermi sulla pelle, ubriacarmi del veleno che scaturirebbe dallo specchio rotto e delle immagini distorte rimaste incastrate tra il vetro e la cornice, ridurlo in briciole da lanciare nel vento e farle piovere per tutta la città, pregando un’apocalisse di specchi su un mondo empio. Potrei farlo, e mi divertirei un mondo. Ma qualcosa mi ferma prima che possa aprire bocca e lasciare Violenza correre rapidamente fuori e cominciare a disseminare il caos folle che mi porto dietro da quando sono nata. Charme che si oppone fermamente e sbaraglia Violenza prima che prenda il sopravvento, facendomi solamente dire
-Sono felice per voi, tesoro, seriamente. In fondo, io sono un’isola, non sono fatta per fermarmi in nessun porto che non sia il mio. Possiamo rimanere amici, questo forse sì, ma nulla di più.
Mi stupisco quasi del sorriso perfettamente mieloso e sincero che mi stampo sulle labbra, e del bacino assolutamente dolce che gli stampo all’angolo del labbro. A questo punto, meglio così. Sono maturata abbastanza da sopravvivere da sola con l’inganno che Charme confeziona e l’odio che Violenza pian piano sta imparando a dosare. Tom mi accarezza i capelli e ricambia dolcemente il bacio, quando un urlo che ben ricordo rimbomba nella stanza
-Jimmy Sasha, ragazza mia, ma così non va assolutamente! Ti sembra questo il modo di venire vestita?
Bill arriva a passo di carica, sculettando abbondantemente e barcollando sui tacchi da paura che indossa, i capelli sparati e il trucco sempre impeccabile. Per la prima volta da quando lo conosco di persona sorride sinceramente, senza quell’ombra di antipatia e viscidità che lo caratterizzavano fino a un mese fa. L’aver raggiunto il suo scopo deve avergli tolto un peso dalla coscienza.
-Non riuscirai a inculcarmi qualcosa di moda, lo sai benissimo.- ribatto, ricambiando l’abbraccio e i due bacini a schiocco sulle guancie in perfetto stile da nemiche giurate che fanno finta di andare d’accordo. Li amo ancora, in fondo. Non potrò mai smettere di amarli.
-Vero, tesoro mio? In qualche modo, Jimmy ci è mancata.- Bill si sfrega le mani, accoccolandosi con aria sinceramente adorante tra le braccia di suo fratello e no, Tom non mi ha mai rivolto un’occhiata così dolce.
-Sì, Bibi, ci è mancata.- Tom mi sorride, intrecciandogli le dita tra i capelli.
Io e Bill ci lanciamo un’occhiata smielata e approfittatrice, più significativa di mille parole, e poi lui si gira verso suo fratello e gli stampa un bacio a schiocco sulle labbra mugolando
-Tomi, caro, saresti così carino da lasciarci un po’ da soli? Facciamo due chiacchiere tra donne, vero Jim?
-Sì, tesoro, grazie, due discorsetti tra ragazze.- cinguetto io per dargli manforte, sfarfallando gli occhi.
Tom ci guarda entrambi con affetto, poi si alza, ci scompiglia i capelli e esce da questa gigantesca camera d’albergo, lasciando me e Bill seduti su questo divanetto, a guardare fuori dalla finestra, i sorrisi finti ancora stampati sulle labbra. Poi, non appena sentiamo la porta chiudersi dietro alle nostre spalle, ci fissiamo nuovamente negli occhi con un nuovo astio dipinto nelle iridi viola e marroni.
-Allora, nanerottola, sei tornata a seminare zizzania?- ringhia Bill.
-No, checca isterica, sono tornata solo perché Georg me l’ha chiesto in ginocchio.- faccio io, mostrando i denti. – Mi ha anche detto che mancavo pure a te, sai?
Ci guardiamo storto, mentre lui prende una sigaretta dal pacchetto e me ne mette una in mano, accendendole entrambe con un gesto sbrigativo e violento.
-Balle, ovviamente. Il solo vederti mi fa venire mal di stomaco.- Bill accavalla le gambe fasciate in un paio di jeans neri aderentissimi.
-Potrei dire lo stesso, caro.- incrocio le gambe sul divano, nascondendomi dietro la cortina di capelli corvini. – Siete adorabili, te e Tom.
-Avevi dei dubbi?- lo sguardo vittorioso fa quasi male – Te l’avevo detto che non sarebbe durata a lungo. Ho vinto la guerra, tesoro.
-Perché te l’ho lasciato fare.- sbotto in risposta, fumandogli in faccia – Ho un asso nella manica per vincere una volta per tutte.
-Un asso nella manica contro di me?- Bill ride, stravaccandosi sul divano e mettendosi in bocca almeno dieci caramelle gommose – Sentiamo perché non l’hai messo in pratica.
-Perché vi amo tutti e due e mi sono rotta le palle di lottare. E il mio asso, se permetti, lo voglio tenere per me, potrò sempre riutilizzarlo in futuro.
Non ho intenzione di farlo, ovviamente, ma preferisco mettergli l’ansia addosso che potrò sempre rovinargli la vita. Sono gli amori a senso unico delle gemelle Spiegelmann, talmente distruttivi da fare male.
-Allora non era uno schizzo di Gustav.- Bill annuisce con aria persa fuori dalla finestra a specchio – Tu sei davvero una bipolare.
-Sì, Bill, se vuoi chiamarmi così. Ho fatto da tramite tra Tom e te, per farti prendere il tuo gemello. Te l’avevo detto chiaro: io e te siamo uguali.- gli stringo il mento tra le dita, guardandolo storto – Sono stata lo specchio che lo ha fatto innamorare. Dovresti solo che ringraziarmi!
Bill tace, aspirando il fumo della sigaretta, chiudendo gli occhi e assaporando il sapore del fumo dolciastro, scostando il viso dalla mia presa, mentre io mi raggomitolo di nuovo al mio posto. Mi fa male la pancia e ho una nausea terribile, ma non posso farglielo capire.
-Possiamo dirci addio, allora. A mai più rivederci.- Bill mi guarda da sotto le lunghe ciglia truccate e io sento qualcosa fare una capriola dentro il cuore.
-A mai più rivederci.- gli faccio eco, sentendo qualcosa di pesante dentro alla testa, qualcosa che mi offusca la vista.
Rimaniamo fermi così per un tempo interminabile, io, lui e le nostre sigarette, le espressioni congelate e fredde come quelle di un ghiacciolo, troppo vicini per non andare a fuoco ma comunque troppo lontani per non scioglierci del tutto uno addosso all’altra. Una ragazza incinta, un cantante vagamente transessuale, due sigarette consumate e un divanetto di pelle bianca. La furia cieca della periferia che non perdona, la copertina platinata di una vita fatta di sorrisi finti e musica pop, un legame instabile di fumo. Lei che non ha bisogno di essere salvata, lui che non ha bisogno di essere ascoltato. Lei che sta scappando da se stessa, lui che sta trovando la felicità. Lei che vorrebbe solamente poter dire addio, lui che vorrebbe poter dire sono vivo. Lei che ama con tutte le sue forze, e lui che odia con tutta la sua passione. Lei che sta per morire, lui che sta per nascere. Lei che si sente una fenice, lui che si sente una silfide.
 
-Allora, ci vediamo presto, sì?
Tom mi sorride, da sotto il berretto da skater e i dread arruffati, quel caldo sorriso che scalderebbe anche il più gelido dei cuori.
-Certo, T., fammi uno squillo quando tornate a Magdeburgo, magari possiamo vederci da qualche parte.- sorrido anche io, la borsa con la mia roba appesa a una spalla, il berretto col pon pon di Gloria in testa. Ci siamo io e i gemelli fermi impalati di fronte al binario con diretto per Magdeburgo che aspetta i suoi passeggeri.
Ci abbracciamo, e mi prende quasi di peso, scoccandomi un bacio sulla fronte
-Stammi bene, Jim. Non cacciarti nei casini.
Sto per dirgli che intanto nei casini ci sono già, ma mi limito a un sorriso e a una linguaccia.
-Ciao Jimmy, stella, riguardati.- Bill mi lancia uno sguardo perforante, stampandomi quei due finti baci sulle guance.
-Lo so che è tutta scena la tua.- gli sussurro in un orecchio – Lo so che ti mancherò esattamente come tu mancherai a me. Sei un fottuto ipocrita, continui a mentire a te stesso spudoratamente.
-Se questo è una sorta di amore perverso che ci lega, allora potremmo anche sposarci subito.- mi sussurra nell’altro orecchio lui – Noi siamo fatti per odiare, me lo hai detto tu.
-Odiare tutti, tranne Tom e noi stessi.- mormoriamo in coro, guardandoci negli occhi, quell’astio amico dipinto nelle pupille.
-Allora forse è meglio che vada.- dico, prendendo tempo – Salutatemi ancora i G&G, e tornate in albergo prima che vi squartino!
-E tu prendi il treno prima che ti lasci qui.- ridono in coro.
Faccio un ultimo sorriso, prima di salire sulla carrozza e acciambellarmi in un angolino accanto al finestrino, continuando a salutarli con la mano mentre il treno comincia ad avviarsi rombando lentamente verso la nostra città natale. Li seguo con lo sguardo, Bill e Tom, teneramente abbracciati, che sventolano le mani verso di me e che diventano sempre più piccoli a mano a mano che il treno prende velocità, fino a che la stazione non scompare dalla mia vista insieme ai due gemelli che ho amato con tutta la forza che possiedo. Sospiro, guardandomi la pancia e accarezzandola delicatamente. Dai, bambino mio che pian piano prendi forma dentro di me, sii felice. Vivrai una vita folle come la mia, e saprai che tuo padre è felice, in qualche modo. Spero tanto che non gli assomiglierai, però. Sarebbe meglio che fossi una iena come lo sono io, devi sopravvivere in un mondo crudele.
Chiudo gli occhi e mi appoggio al vetro, sentendo i ferri della mia vicina di scompartimento sferruzzare incessantemente. Penso ai miei adorati Tokio Hotel, a quello che ci ha legati, a quello che ci ha separati. Penso ai due ragazzi che mi hanno salvato la vita, che sono riusciti a farmi vedere il mondo da una prospettiva completamente diversa, che hanno saputo tirarmi fuori dal baratro, anche se ormai sono ricaduta indietro nel mio orrore. Penso a Bill e Tom. Penso a loro e finalmente, dopo tanto tempo, comincio a piangere.
 

***
Dio, raga, non ci credo. Sono riuscita a finire la storia, ve ne rendete conto?! Mi mancherà un sacco, ho patito per scriverla ma ho amato ogni capitolo. È finita, con i gemelli insieme come deve essere e Jimmy che scompare, visto che il personaggio che odiavate tanto poi alla fine non è così cattiva? Dai, povera Jim … comunque volevo ringraziarvi tutte un sacco. Le ragazze che l’hanno recensita tutta quanta (ce l’ho fatta grazie a voi e al vostro intramontabile sostegno), quelle che l’hanno messa nelle cartelle, quelle che l’hanno letta e basta, grazie mille a tutte voi <3<3 Non so se il finale vi soddisferà, se l’ho scritto bene o da cani come credo, penso però che oramai non c’era più bisogno di continuarla. La twinchest vince sempre fuck yeah! E ora che dirvi più? Nulla se non lasciatemi scritto se vi ha soddisfatto o no, e spero che vi siate divertite come mi sono divertita io a scriverla.
Grazie ancora, un bacione :-*
Charlie xx
  
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