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Autore: IamJane    08/08/2016    5 recensioni
Chi non vorrebbe andare a vivere nella Grande Mela, praticamente il centro del mondo?
Io, Annabeth Chase.
New York distava da San Francisco ben quarantatré ore di macchina, poco più di sette ore d’aereo, circa duemila-novecento-sette miglia.
AU
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jason/Piper, Leo/Calipso, Nico/Will, Percy/Annabeth, Reyna
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

I taxi gialli erano ovunque, adesso capivo perché erano uno dei simboli di New York. I grattacieli alti avevano ai loro piedi il mondo: mille negozi, le strade affollate, i carrettini di hot dog sparsi sui marciapiedi, le persone che andavano sempre di corsa da qualche parte a fare qualcosa di assolutamente importante. La scuola si trovava a pochi isolati dalla nuova casa, il che era una fortuna per mio padre. Potevo benissimo prendere un autobus o andare a piedi, mentre lui correva al Museo, con la cravatta allacciata storta e i mille foglietti che facevano capolino dalla sua valigetta, quasi mai chiusa completamente. E mentre lui usciva di casa di corsa sembrando super indaffarato e con il diavolo alle calcagna come un vero newyorkese, io potevo avere il bagno tutto per me per prepararmi con calma.  Così dopo essermi lavata, mi fiondai in camera a cambiarmi, mettendo i miei vestiti preferiti: la mia fedele camicia grigio chiaro ed i jeans strappati, erano d’obbligo per sentirmi più sicura. Strinsi i capelli in una treccia, afferrai lo zaino vicino alla porta e uscii anche io tra le strade della Grande Mela.

Non fu difficile trovare la scuola. Il grande portone d’ingresso era in cima ad almeno dieci gradini e ai lati aveva due grosse colonne greche a cui erano appesi gli stendardi con il simbolo della CHB High School: un cavallo alato dentro un cerchio d’alloro, su sfondo viola e arancione. Adesso che ci pensavo, ferma lì davanti come un baccalà, non avevo mai cominciato un anno scolastico senza conoscere nessuno. Gli amici che avevo abitavano tutti nel mio quartiere e andavamo tutti nella stessa scuola. Questa volta ero sola, ma non potevo restare così, lì in piedi sembravo in attesa di un’illuminazione geniale. Salii di corsa saltando due gradini per volta e spinsi forte le grandi porte d’ingresso. In fondo, la miglior difesa è l’attacco, giusto?

Dentro era decisamente meglio. Fondamentalmente era tutto di marmo e legno pregiato. Di marmo erano il pavimento del grande atrio di fronte a me, con inciso su il simbolo della scuola, i corridoi che avevo a destra e a sinistra e la grande scalinata che portava al piano di sopra. Porte di legno spuntavano qua e là tra le file degli armadietti grigi, così come le statue scolpite nella pietra e gli alti vasi di fiori. Un’asta di legno, messa vicino alla scalinata, aveva sulla cima delle frecce: Direzione, Segreteria, Ufficio del Preside puntavano dritte verso il corridoio di sinistra, così lo imboccai, sperando di sbrigarmi. Non avevo mai perso più di qualche lezione nella mia carriera scolastica e la prima campanella si era fatta sentire mentre stavo salendo le scale, in giro non c’era nessuno. Questa scuola sembrava maestosa, imponente e allo stesso tempo quasi spettrale. Se qualcuno fosse uscito all’improvviso da una di quelle massicce porte avrei lanciato un urlo degno di una protagonista di un film horror.

Quando arrivai alla porta dell’ufficio del preside bussai forte.

“Avanti!” gridò una voce maschile dall’interno. Aveva il tono strascicato e scocciato, come se lo avessi appena interrotto mentre stava facendo la sua cosa preferita.

L’ufficio era grande almeno quanto l’atrio e anche qui, sul pavimento, c’era inciso il cavallo circondato dall’alloro. I muri laterali erano coperti da librerie piene di libri e di fronte c’era una larga scrivania di legno scuro, appena prima di una parete di finestre che rendeva la stanza molto luminosa. Lì seduto c’era un uomo, i capelli neri riccioluti, attraversati da pochi fili bianchi, una barba lunga e un naso rosso. Portava una camicia hawaiana tigrata. Esprimeva appieno la sua passione per il vino con numerose bottiglie messe in un fila meticolosamente ordinata ad un lato del tavolo, anche se in mano aveva una lattina di Diet Coke.

“Si?” mi chiese, con la stessa voce scocciata di prima, lanciandomi appena un’occhiata annoiata. Se ne stava seduto di traverso, con i piedi appoggiati sopra scrivania.

“Mi chiamo Annabeth Chase, sono nuova.” Breve e concisa, sperando di andare via subito così da non perdere anche la seconda ora, gli allungai gli ultimi documenti del trasferimento.

Lui tirò giù i piedi e li afferrò. “Il preside non c’è, lo sostituisco io. Per cui Annabelle Cosa, devo fare io gli onori di casa, quindi: spero ti troverai bene qui alla CHB… eccetera eccetera. Non romperti niente, non attaccar briga e non morire. In segreteria troverai l’orario delle tue lezioni.” Piazzò di nuovo i piedi sulla scrivania e scosse una mano, come a voler cacciare una mosca fastidiosa che in quel momento ero io.

“Benvenuta alla CHB High School!” mi gridò dietro mentre richiudevo la porta alle mie spalle.

Trovai la Segreteria un paio di porte più in là. C’era un bancone con sopra una grande lastra di vetro, come in una banca, solo che al posto dei soldi lì erano conservate tutte le informazioni che potevano servire agli studenti.

Dietro il vetro c’era una donna di mezza età, con lunghi capelli neri e la pelle olivastra. Portava una maglietta grigia con la scritta “I Love Bio”, con tanto di cuore rosso e allegre insalate e melanzane che si tenevano per mano.

“Cosa posso fare per te, cara?” mi chiese, avvicinandosi al vetro.

“Sono nuova, mi chiamo..”

“Annabeth Chase! Ti stavamo aspettando. Io sono Miss Iride.” Mi interruppe e mi sorrise. Non sapevo dire se era una cosa buona o cattiva. Ero forse in ritardo? “Ecco l’orario delle tue lezioni, qui ci sono segnate le aule dove devi andare, questo è il foglietto da consegnare all’insegnate e… oh si! Per un piccolo periodo sarai accompagnata da un tutor, un altro alunno che ti farà vedere la scuola e ti aiuterà ad ambientarti.”

Sorrisi anch’io. Non mi andava molto a genio l’idea di avere una persona con il fiato sul collo ad osservare ogni mia mossa, ma almeno così non mi sarei persa in quella labirintica struttura. “Come faccio a incontrare questo..”

Leo Valdez! In segreteria, subito!” strillò all’improvviso in un piccolo microfono, interrompendomi nuovamente. L’urlo si propagò da tutti gli altoparlanti della scuola, nei corridoi e nelle aule, con una tale potenza che Leo Valdez avrebbe di sicuro recepito il messaggio, anche se si fosse trovato a Timbuctu. “Arriva subito cara.” Mi assicurò, voltandosi per andare a frugare in una pila di fogli accatastati sopra un carrellino. In quella posizione, pomodorini e carotine sembravano fissarmi male mentre erano impegnate in una specie di tango. Decisi che era di gran lunga meglio concentrarmi sul foglietto delle lezioni che avevo in mano. La prima ora era praticamente andata. Appena la campanella sarebbe suonata c’era lezione di Storia avanzata con il professor Chirone, poi due ore di Matematica avanzata con la Dodds ed infine la pausa pranzo. Sbirciai anche l’orario del pomeriggio e di domani, prima che il suono di passi di chi andava piuttosto di fretta non mi fecero alzare lo sguardo.

Fermo ad un paio di metri da me c’era un ragazzino smilzo, probabilmente Leo Valdez. Era chinato leggermente in avanti, le mani sulle ginocchia e tentava di mandar via il fiatone per la corsa facendo grandi respiri. Lasciava scivolare lo sguardo da me a miss Iride, come per accertarsi che fossi io il motivo del suo richiamo e non altro. Gli occhi scuri brillavano di ingegno e divertimento, ed insieme al grande sorriso sembrava uno che, nonostante la mattinata fosse appena iniziata, era già nei guai fino al collo.

“Sei nuova?”

“Si, sono Annabeth Chase.” Allungai una mano ma lui esitò, mostrandomi entrambe le sue, tenendole in alto accanto al viso: erano macchiate di qualcosa di nero, come grasso per motori o preparato per dolci al cioccolato.

“Fa finta che te l’abbia data. Sono Leo.” Disse e si avviò da dove ero arrivata, fino all’atrio. “Per fortuna ero qui vicino, a nessuno di quelli della direzione piace avere studenti che gironzolano da quelle parti.”

Si fermò proprio sopra al simbolo della scuola, girandosi per avermi di fronte. Aveva sulla fronte occhialini da aviatore, quasi a tenere indietro i capelli ricci e scuri. I suoi lineamenti non erano marcati, bensì smussati, come un elfo piuttosto abbronzato, con le stesse orecchie leggermente a punta. Portava dei pantaloni larghi tenuti su con delle bretelle, una grossa cintura porta attrezzi gialla e una maglietta con la scritta: Passa al lato nerd, abbiamo il 3.14!

Quando si accorse che stavo guardando la sua maglietta ridacchiò, passando una mano sulla scritta, macchiandola tutta di nero. “Devo metterla per forza o il Club dei Nerd non mi fa usare il laboratorio, che era proprio il posto in cui mi trovavo quando Miss Iride mi ha chiamato. È alla fine del corridoio dal lato opposto alla segreteria, te lo mostro! Da questo lato ci sono le stanze destinate ai Club creativi, come quello di arte, di falegnameria o di chimica. Il teatro si trova oltre la porta accanto alle scale, sulla destra, nel caso ti venga voglia di morire dopo esserti affacciata al balcone!” sorrise ed io ricambiai, cogliendo la strana citazione di Romeo e Giulietta. Mentre parlava aveva tirato fuori dei fili di ferro e degli elastici, intrecciandoli tra loro, con dita agili e veloci. Il tempo di arrivare davanti la porta del laboratorio e aveva costruito una pinza per capelli. Me la porse, mentre cercava di pulirla dal grasso con un fazzoletto. “Ecco qui, pensalo come un souvenir del tuo primo giorno alla CHB.”

“Grazie.” Afferrai la pinza e avvolgendola in un fazzolettino di carta pulito la misi in una tasca dello zaino.

“Di niente, biondina. Questo è il laboratorio di chimica. Se mai volessi usarlo per i fatti tuoi, dì che ti manda Leo Valdez. Non so perché, nessuno vuole essere nei paraggi quando tento di superare le leggi della natura!”

Scoprii cosa intendeva con “superare le leggi della natura” un secondo dopo: da ogni fessura della porta uscì un leggero fumo viola, che odorava vagamente di cioccolato e zolfo.

“Accidenti, i miei brownies!” gridò, aprendo la porta e buttandosi a capofitto nel fumo.

Lo seguii senza esitare e per poco non svenni. Si era aggiunta la puzza di bruciato, che ti saliva su per il naso dritta al cervello, per poi ballare la samba tra i neuroni.

Leo tirò giù gli occhiali da aviatore che aveva sulla fronte e prendendo dei grossi guanti da forno tirò fuori una pirofila bruciacchiata. A dire la verità non era bruciata. Qualsiasi cosa avesse messo lì dentro era rimasta melmosa, con grosse bolle d’aria che scoppiettavano e ribolliva nella teglia come una pozione nel calderone di una strega.

“Stavi cucinando?” Aprii le due finestre, cercando di mandar via il fumo, sperando di non far suonare l’allarme antincendio. Non ero sicura di voler sapere la risposta, né tantomeno perché stava infornando dei brownies nel laboratorio di chimica e non nell’aula di economia domestica. La curiosità, però, era sempre stata il mio punto debole.

“Certo! Ricetta di tia Rosa. Più qualche ingrediente che non trovi facilmente nei supermercati.” Mi fece l’occhiolino e con un cenno della testa indicò alcune provette e ampolle semivuote su uno dei banchi.

La porta del laboratorio si aprì di nuovo all’improvviso, facendoci sobbalzare entrambi. Un ragazzo biondo entrò come un fulmine, con il camice bianco da medico che sventolava sopra una maglietta e dei bermuda, il ciabattare veloce delle sue infradito arancioni. Si guardava attorno e gridava come un pazzo “Feriti? Ci sono feriti? Valdez, questa volta ti ammazzo! Dove sono i feriti?”.

“Tranquillo Will, stavo solo cucinando!” urlò Leo, cercando di farsi sentire sopra le grida dell’altro ragazzo. “Come hai fatto a capire che ero qui?”

Il ragazzo biondo lo fissò male, incrociando le braccia al petto. “C’è un motivo per cui abbiamo messo l’infermeria proprio sopra queste aule. Per poco non mi è preso un colpo, quando ho visto il fumo alla finestra! Che diavolo stai facendo?”

“Allora siamo fortunati, visto che qui il medico sei tu!” e gli allungo una pacca sulla spalla, sporcandogli il camice di nero e viola. “Stavo preparando dei brownies, ne vuoi uno?” disse e piazzò la teglia fin quasi sotto il naso di Will.

La melma di cioccolato si era quasi stabilizzata, tranne per una grossa bolla d’aria che scoppiò bruscamente nel mezzo. “Grazie, ma non credo di voler morire proprio oggi.” Rispose, facendo un passo indietro.

Leo scrollò le spalle per poi indicarmi. “Lei è Annabeth, è nuova.”

“Piacere! Io sono Will.” Si presentò, lanciando un’occhiata all’orologio. “E sarà meglio sbrigarsi, prima di perdere la seconda ora.”

 

 

Le lezioni passarono in un lampo e senza che me ne rendessi conto era già ora di pranzo. I professori sembravano saggi e svitati allo stesso tempo, come il professor Chirone: era decisamente un uomo di infinita cultura e amore per l’insegnamento, peccato che se ne andasse sempre su e giù per la classe, su una sedia a rotelle, brandendo un arco e una faretra piena di frecce.

Trovai Leo ad aspettarmi fuori dall’aula ad entrambi i cambi dell’ora. Aveva sempre in mano qualcosa, dei pezzi di fil di ferro o una graffetta, senza mai stare fermo, con la stessa febbrilità di chi beveva una quantità di caffè pari a quella necessaria a stendere un elefante. Due volte.

“Eccoti qui biondina!” mi disse, passando un braccio intorno alle mie spalle “E’ ora della pappa!”.

Attraversammo un paio di corridoi e lui puntò dritto verso una ragazza. Stava rimettendo tranquilla dei libri nell’armadietto; indossava dei pantaloncini di jeans strappati e una maglietta colorata, i capelli erano scuri e sciolti, e aveva alcune piccole treccine alle quali aveva appeso piume bianche.

“Resta qui.” Mi sussurrò Leo ghignando; tolse il braccio dalle mie spalle, avvicinandosi silenziosamente a quelle di lei, facendo ampi e goffi passi, quasi come un leone che punta il suo prossimo spuntino. Peccato sembrasse più un allampanato elfo di Babbo Natale sudamericano, mentre cercava di spaventare una ragazza. Così, quando Leo fu abbastanza vicino e le gridò BU!, l’unico a spaventarsi fu un primino che se ne stava a qualche passo più in là, che per poco non si chiuse le dita nell’armadietto dalla sorpresa.

“Ciao Leo!” rise lei, girandosi verso di noi.

“Ehi Piper!” esclamò lui abbracciandola. Quando si staccarono Leo fece segno di avvicinarmi. “Pip, lei è Annabeth. Biondina, lei è Piper.”

“Piacere.”

“Ciao!” mi sorrise e i suoi occhi erano un caleidoscopio di colori brillanti: passavano dal verde all’azzurro, per poi cedere il posto ad un caldo marrone, a seconda della luce. Era una strana sensazione guardarla negli occhi, a metà strada dal cadere involontariamente ammaliata dal suo sguardo e il voler tuffarcisi spontaneamente. “E’ lei la biondina con cui tutta la scuola ti ha visto ai cambi dell’ora?” chiese, prima di voltarsi verso di me.   

“La stavo introducendo ai misteri della nostra magnifica scuola, vuoi venire?” propose Leo, cominciando a camminare all’indietro per averci sempre di fronte.

 

Il giro della scuola fu esilarante. Per ogni aula Leo e Piper avevano un ricordo divertente, come quando a metà di una lezione di geografia i gemelli Stoll uscirono dall’armadio in fondo alla classe sostenendo di essere appena tornati da Narnia; o di quando Leo cosparse di scolorina il proprio banco e ci gettò sopra un fiammifero, per vedere se davvero era una sostanza infiammabile. Il banco prese fuoco davvero e le fiamme si alzarono così tanto che scattò l’allarme antincendio, innaffiando studenti e professori d’acqua, con tanto di arrivo dei pompieri a sirene spiegate.

“E questa è la piscina.” Esclamò Leo, aprendo la doppia porta di un piccolo edificio sul retro del campo da baseball. L’odore di cloro era intenso, la luce brillava a pelo dell’acqua chiara proiettandosi sulle ampie pareti bianche.

“Metti questi.” disse Piper mentre mi passava delle piccole bustine azzurre da mettere alle scarpe. “Così possiamo avvicinarci al bordo vasca!”. Mi fermai per metterli e lei raggiunse Leo, che trafficava con una di quelle bustine e una graffetta.

La piscina aveva una grandezza standard, con quattro lunghe corsie separate da piccoli galleggianti rossi e bianchi. Avevo sempre avuto un grande spirito di osservazione, e anche in quel momento riuscii a trovare ciò che la differenziava da tutte le altre piscine che avessi mai visto: c’era il corpo di un ragazzo, steso sul fondo della vasca.

“Oh mio dio, c’è un cadavere.” Sussurrai, così piano che Leo e Piper continuarono a camminare, senza prestarmi attenzione. I suoi capelli erano nerissimi e ondeggiavano piano nell’acqua. “C’è un cadavere!” urlai, accovacciandomi sul bordo. Cosa si faceva in questi casi? Perché nei libri gialli e nelle serie tv manca sempre la parte subito dopo il ritrovamento del corpo? Dovrebbe essere quasi obbligatoria, visto il crescente numero di persone che trovano morti in giro. Visto che io ho trovato un morto in giro. Porca miseria.

Sarebbe stata una notizia da prima pagina: novellina al suo primo giorno di scuola trova un cadavere. E lo sarebbe stato davvero, se il suddetto cadavere non avesse deciso di aprire gli occhi; avevano un colore strano, sembravano chiari come l’acqua cristallina del mare e insieme verdi come il più profondo degli oceani.

“Non sei morto!” gridai, mentre Leo e Piper si rannicchiarono ai miei lati. Il morto-non-molto-morto si tirò su a sedere e piegando la testa sollevò solo un angolo delle labbra, come se non capisse perché stessi ancora gridando da lassù. In effetti, non lo sapevo neanche io.

“E’ Percy Jackson.” Mi spiegò Leo, tirando su una mano per salutarlo. Percy schiaccio pisolini in fondo alla piscina Jackson risalutò il ragazzo, come se fosse del tutto normale salutare le persone che passavano di lì dal fondo di una vasca piena d’acqua.

“E’ capitano della squadra di nuoto e campione di apnea.” Concluse Piper.

 

 

 

NDA

Ciaooo!!

Eccoci qui con un nuovo capitolo, scusate l’attesa!!

Grazie grazie grazie a chi ha commentato, a chi ha messo questa mia storia nelle preferite/da ricordare/ da seguire… grazie grazie grazie!!

Spero anche che i volti che io ho dato a questi personaggi vi piacciano… siete d’accordo? Quale cambiereste?? Fatemi sapere!!

Alla prossima!!

Xoxo

IamJane

 

   
 
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