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Autore: SherlokidAddicted    08/08/2016    2 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
- Voglio sapere chi è lei e che ci fa qui. –
- Sono il Dottore! – Dice porgendomi la mano ed aspettandosi che io la stringa, cosa che però non succede. Assottiglio lo sguardo e lo scruto con attenzione mentre, deluso dalla mia mancata stretta, abbassa il braccio e lo riporta lungo il fianco.
– Il suo vero nome. –
- Beh, è questo il mio nom… -
- Non il nome con cui si fa chiamare, ma il suo vero nome, quello che nasconde a tutti da sempre, forse perché ha fatto qualcosa. Oh, allora è così! Ha fatto qualcosa di brutto, qualcosa di inaccettabile di cui si pente, talmente tanto che si vergogna ad utilizzare il suo vero nome e si nasconde dietro un titolo che la fa sentire meno in colpa di quanto vorrebbe, non è così… Dottore? – Gli occhi del mio nuovo conoscente si strabuzzano non appena mi sente pronunciare quelle parole con quel tono indagatore che mette la maggior parte delle persone che mi stanno attorno in soggezione, lui compreso.
- Oh, è proprio bravo come dicono… –
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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Con amore, vostro padre



Non ho avuto il tempo di reagire a quella data surreale incisa sulla lapide, perché nello stesso momento, mi arriva la telefonata di Tracy. Lo lascio squillare per un po’, perché stavo cercando di immagazzinare quella nuova prova nel mio cervello, ma la cosa sembra davvero urgente, dato che la suoneria continua a riecheggiare nelle mie tasche. Con un sonoro sbuffo, prendo il cellulare e lo porto all’orecchio.

- Sherlock Holmes. –

- Signor Holmes, credevo non mi rispondesse più, stavo perdendo le speranze. – John mi si avvicina confuso, si posiziona proprio accanto al me, così da riuscire a sentire anche lui la conversazione. Tracy sembra spaventata, scossa, il suo tono di voce trema, sembra abbia appena pianto.

- Mi spieghi. –

- Mi è arrivata una lettera questa mattina e… oddio, è così difficile da spiegare tramite un telefono. La sto raggiungendo a Baker Street. –

- Signorina Jefferson, non sono nel mio appartamento in questo istante, se mi dà il tempo di raggiun… -

- No, resti dov’è, la raggiungo io. Dove si trova? –

- Sono al cimitero. –

- Sono subito da lei. – La sua voce tremante viene sostituita dal segnale della chiusura della telefonata. Ripongo subito il cellulare nella tasca dei pantaloni e poggio lo sguardo su John, che storce le labbra per ciò che ha appena sentito.

- Sembrava molto scossa. – Dico spostandomi verso la lapide col nome della nostra vittima inciso sopra.

- Non ti sembra un po’ azzardato farla venire qui dove c’è la tomba di suo padre? – Mi chiede John, passandosi una mano fra i capelli, ancora intontito dalla situazione.

- Oh, John, quanto sei ingenuo! – Il suo sopracciglio si solleva immediatamente, contrariato dalle mie parole. – Posso assicurarti che è praticamente impossibile che si tratti proprio di Luke Jefferson, il nostro Luke Jefferson. - Dico mentre noto che George si è ormai allontanato dopo avermi rivolto un cenno di saluto, così da poter tornare alle sue mansioni da svolgere. Era sempre così con lui: mi lasciava campo libero, fidandosi ciecamente di ogni mia mossa.

- Abbiamo appena constatato che non è così, Sherlock, che le cose impossibili possono capitare eccome! – Dice John. Probabilmente sta ancora pensando all’inusuale episodio di questa mattina a casa nostra. Il tocco sul petto di quell’uomo che lo aveva sconvolto a tal punto da credere nelle cose impossibili.

- Mettiamo che il Dottore non sia davvero umano... anche se devo ancora spiegarmi come, ma cosa c’entra con il fatto che Luke sia morto tre anni fa, quando invece la sua sparizione è recentissima? Dobbiamo accertarcene. E ciò che Tracy ha da mostrarci potrebbe essere d’aiuto. - Il mio amico annuisce. Ha capito che ho ragione.

Poco dopo, all’esterno della recinsione del cimitero, raggiungiamo Tracy che è appena scesa da un taxi insieme alla sorella. Il suo viso è sconvolto e distrutto, le lacrime le rigano le guance e noto i tremori costanti alle sue mani mentre stringe una grande busta ingiallita. Amber invece la segue a testa bassa, nessuna espressione dipinta in faccia.

Ciò che ha da farci vedere è proprio quella busta ingiallita. Dopo averci raggiunto, la apre e senza dire nulla porge delle foto in bianco e nero a John, ed una lettera a me.

- Stamattina è passata una donna alla villa, aveva circa sessant’anni. Mi ha dato questa dicendo che doveva essere consegnata proprio oggi a quell’ora. La legga e dopo le spiegherò il resto. - La apro velocemente, dato che è piegata in tre parti, e non appena il foglio è ben spiegato, noto una calligrafia veloce da una penna leggermente sbiadita. Inizio a leggere senza tante cerimonie.

 
Londra, 18 giugno 1946

Mia carissima Tracy,

Ti starai chiedendo cosa è accaduto, e spero che questa lettera ti venga consegnata nel momento giusto, così che io possa spiegarti tutto. Nel tuo punto di vista sarà successo da qualche giorno, qui succederà fra 70 anni.

Probabilmente non mi prenderai sul serio, anche io stentavo a crederci quando lui mi ha spiegato tutto. Ma di questo ti parlerò dopo. Vorrei quindi raccontarti dall’inizio:

Ti ricordi quel rumore che sentimmo in giardino? Io andai sul retro, mentre tu restasti sul porticato. Non immagini cosa abbia visto! Quel rumore strano si è ripetuto altre due volte, molto più flebile. Non capivo da dove provenisse e mi sono guardato intorno, ma ad un certo punto, senza sapere come e perché, mi hanno afferrato e mi hanno scaraventato qui, nel 1946.

Lui, il Dottore, così ha detto di chiamarsi, mi ha spiegato che una creatura aliena si è nutrita degli anni che avrei potuto vivere se tutto ciò non fosse successo, riportandomi quindi indietro nel tempo.

Purtroppo non posso tornare indietro, e ciò mi distrugge perché so che non potrò più vedere te ed Amber. Voglio che sappiate quanto vi voglio bene e che nella mia nuova vita in questa epoca sarete il mio unico pensiero fisso.

Il Dottore mi ha consigliato di cambiare identità, così che non avrei destato qualche sospetto nel tuo tempo, ma io ho deciso di non farlo, perché voglio che tu ed Amber mi crediate.

Quell’uomo è stato molto gentile, mi ha fornito tutto il necessario per potermi adattare a questo periodo, poi mi ha chiesto scusa di non poter fare nulla per aiutarmi.

Probabilmente nel tuo periodo sarò già morto da un pezzo, ma non voglio che tu ed Amber restiate fuori dalla mia vita, quindi ho deciso che da ora in poi immortalerò ogni cosa che mi succede qui e, in qualche modo, vi farò avere tutto.

Ciò che voglio dirvi è che non c’è nulla da cercare, smettete di farlo, perché è un caso chiuso e irrisolvibile.

Mie piccole bambine, non sapete quanto vi voglia bene… e quanto mi dispiaccia per tutto ciò.
 
Con amore, vostro padre.
 

A primo impatto, quella lettera poteva sembrare soltanto uno scherzo di pessimo gusto, soprattutto leggendo ogni singola riga. Sembrava un vero e proprio racconto di fantascienza, una cosa assurda inventata per far instupidire chiunque la leggesse, ma un’attenta analisi mi conferma che tutto ciò è vero e chiaro come il sole. Innanzitutto la lettera risale davvero al 1946. Non sembra essere stata modificata per farla sembrare più vecchia. Le sbavature della penna, la carta ingiallita con quel tipico odore di vecchio, la busta leggermente strappata lo dimostravano. Ma non solo quello…

Quando sollevo lo sguardo dalla lettera, vedo John intento a fissare una foto, pietrificato e con gli occhi strabuzzati. Mi avvicino per controllare le immagini, strappandogliele letteralmente dalle mani mentre gli suggerisco con lo sguardo di leggere ciò che su quel foglio ingiallito c’era scritto.

La prima foto che vedo è un primo piano in bianco e nero di Luke Jefferson, con lo stesso identico aspetto di quando è sparito, indossa soltanto dei vestiti più aderenti agli anni 40 in cui diceva di essere stato catapultato. Nella seconda foto è in compagnia di una donna, entrambi sorridono felici mentre lei sfoggia con vanità un abito bianco lungo fino alle ginocchia. Lui le cinge un fianco, lei tiene le mani incrociate sulla gonna, l’aria leggermente timida che le dà un tocco giovanile. Nella successiva i due indossano degli abiti da matrimonio, lei ha il velo che le ricado lungo la schiena fino a toccare il prato verde di fronte a quella che sembra proprio essere una chiesa. In mano tiene un bouquet, mentre tiene a braccetto Luke, anche lui tutto in tiro e sorridente. Continuo a studiarle, in un’altra foto Luke tiene in braccio una bambina appena nata… ma il resto delle foto racconta soltanto cose futili che le persone normali fanno durante il corso della vita, cose che io non voglio perdere tempo a fare o raccontare, ma semplicemente si nota quanto questa bambina stia crescendo.

- Capisce, signor Holmes? – Mi chiede la giovane Amber, che fino ad ora non aveva aperto bocca.

- Chi era la donna che è venuta a consegnarle questa lettera? – Chiedo, riuscendo a nascondere meravigliosamente il mio stupore. John sta ancora leggendo, fa scorrere gli occhi sulla pagina ingiallita come un forsennato, poi torna a leggere le righe precedenti, come se volesse accertarsi che ciò che sta leggendo è vero.

- Mi ha detto di chiamarsi Louise, e mi ha detto di essere la figlia di mio padre… la bambina nelle foto. – Mi risponde tremante Tracy.

- Le ha detto qualcos’altro? –

- Oh, è stato molto strano come incontro. – Mi risponde mentre si poggia alla recinsione per prendersi un momento di tregua da tutte quelle stupide emozioni da persone normali che sta provando. – Amber ha aperto la porta quando ha suonato il campanello… -

- Mi ha chiesto se fossi Amber o Tracy Jefferson, e io le ho detto che era proprio nella casa giusta. – Esordisce la sorella, stringendo la mano di Tracy come tentativo di calmarla. – Mia sorella è arrivata proprio in quel momento e la donna ci ha consegnato la busta, spiegandoci che suo padre l’aveva pregata di portarla al nostro indirizzo, proprio oggi, in questa data. Le chiedemmo perché, ma lei ci disse che non conosceva il vero motivo, diceva che suo padre glielo aveva chiesto quando si era ammalato, di non fare domande e di fare questa cosa per lui. Non conosceva il contenuto della lettera, ma diceva di aver messo lei stessa le foto all’interno della busta. – Nel frattempo John distoglie lo sguardo dal foglio e lo porta in un punto fisso davanti a sé, come a metabolizzare la cosa.

- Sapete niente di questa donna? A parte il nome ed il cognome… -

- Nulla, ha consegnato la lettera e se n’è andata. Ma era una donna di media altezza, capelli corti bianchi, sembrava una signora molto elegante, e somigliava terribilmente a mio padre.  – Dice Tracy mentre si mette in piedi, barcollante, con l’aiuto della sorella. – Questa cosa è vera, signor Holmes? Nostro padre è davvero finito nel 1946 come nei film sui viaggiatori del tempo o… o è tutto uno stupido scherzo? –

- Certo che è vero, Tracy! Insomma, non hai visto le foto? – Amber sembrava essersi irritata mentre rispondeva alla sorella che, nel frattempo, aveva spalancato la bocca con stupore. Ciò voleva dire che la ragazza non era solita a rispondere a tono, che di solito se ne stava per i fatti suoi.

- Ma come può essere lui? – Io roteo gli occhi, stufato dal loro litigio infantile e mi affretto a recuperare il telefono dalla mia tasca e comporre il numero di Lestrade.

- Lestrade? Ho bisogno che tu cerchi tutte le informazioni possibili riguardo ad una donna, Louise Jefferson. Ha settant’anni, sembra somigliare molto a Luke, la nostra vittima. È urgente, quindi datti una mossa, Scotland Yard! – Chiudo la telefonata non appena l’ispettore mi dà la sua parola per mettersi al lavoro, poi George ci interrompe. Ci guarda spaesato e poi se ne esce fuori con una frase che poteva benissimo evitare:

- Avete finito con la tomba di Luke Jefferson? – John si passa una mano sugli occhi con fare disperato, io lancio un’occhiata fulminante all’uomo che, come pervaso dalla mio sguardo omicida, si fa piccolo piccolo e con un leggero “scusatemi”, si allontana. Posso notare l’improvviso sguardo di terrore ed ansia dipinto sui volti delle sorelle Jefferson. Le due ragazze, come sospinte da una forza innaturale, si raddrizzano sulle spalle ed iniziano a correre come delle forsennate verso l’interno del cimitero. In un attimo io e John stiamo correndo dietro ad entrambe, ma non arriviamo in tempo perché Tracy, non appena nota l’incisione sulla lapide, crolla in ginocchio in un pianto disperato, seguita dalle lacrime incontrollate di Amber.

Non mi voglio dilungare a raccontare ciò che è successo dopo. In breve, John ha chiamato loro un taxi, dopo averle prese da parte per tranquillizzarle, e poi le ha detto che la questione non sarebbe più stata un mistero, che io l’avrei sicuramente risolto e capito. Abbiamo preso la lettera e le foto e ce ne siamo andati.

Ingenuo il mio John, vero?

Aspetta… “mio”? Da quanto penso a lui come mio?

- Cosa ne pensi? – Non rispondo alla sua domanda, mi limito a fissare il vuoto, imprigionato nel mio palazzo mentale, a cercare in tutte le stanze un filo logico e convincente. Il taxi si ferma davanti a noi ed io apro la portiera con un gesto meccanico.

- Questo taxi è mio, sali sul prossimo. – Dico con voce ferma e decisa mentre mi accingo a mettermi comodo.

- Perché? – Mi chiede irritato.

- Mi parleresti. – Non aspetto una sua risposta, chiudo la portiera e, dopo aver comunicato la destinazione al tassista, lascio John immobile sul marciapiede, la sua espressione delusa mi è rimasta impressa per tutto il tragitto.

Nella mia testa c’è ancora il vuoto, il mio unico pensiero si rivolge solo ad una persona, l’unica che probabilmente, mi duole ammetterlo, sa molto più di me.

Mi lascia proprio davanti al 221B. Con mia grande sorpresa, appoggiato alla porta, con braccia e gambe incrociate, ci trovo proprio il Dottore. Il suo sorrisetto fuori luogo mi fa sospirare rabbiosamente mentre a passo svelto lo raggiungo. Proprio chi volevo vedere!

- Dov’è il dottor Watson? –

- Mi raggiungerà a breve. – Sibilo mentre lo guardo dall’alto in basso.

- Vedo che ha con sé la lettera di Luke. –

- Come faceva a saperlo? –

- Perché io ho detto a Luke di scriverla. –

- Come? –

- Vuole sapere tutta la verità, Sherlock? – Non rispondo. Non voglio dargliela vinta con una risposta in cui, ahimè, mi arrendo al mio sapere e chiedo aiuto ad un Dottore sconosciuto. Il suo sopracciglio alzato mi fa capire che dal mio silenzio ha compreso tutto. – Aspettiamo il suo amico? – Annuisco con lo sguardo perso ad osservare la porta chiusa davanti a me. Con un giro della chiave la apro e sospiro.

- Le offro un tè. – Il suo sorriso esprime tutta la sua soddisfazione.



Note autrice:
Ok, eccomi, stavolta puntualissima! Possiamo dire che da adesso inizia la collaborazione tra i nostri bimbi del 221B e del Dottore.
Cosa ne pensate? Fatemi sapere, un bacio e alla prossima!
  
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