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Autore: Ink Voice    09/08/2016    2 recensioni
Niente sarà più come prima. Forse è meglio così, pensa Eleonora, mentre si chiede esasperata quale sia il prossimo compito da portare a termine. È una domanda retorica che si pone solo per rispondersi subito dopo: “Salvare il mondo”. Una frase da supereroe, da film, che invece le tocca pronunciare per autoconvincersi che il momento è giunto e che lei, fino a qualche anno prima una ragazzina normale che non conosceva la realtà in cui è improvvisamente finita, è una delle più importanti pedine nel triste gioco della guerra.
Dalla parte di chi schierarsi e perché, quando ogni fazione ha numerosi difetti, che rendono l’una indistinguibile dall’altra? Troverà mai dei motivi che la spingeranno a non chiudersi in sé stessa e a non tirarsi indietro? Perché dover rischiare la propria vita per una causa che non si conosce davvero e per una verità svelata sempre poco per volta?
Queste domande l’accompagneranno mentre cercherà la forza per non arrendersi. È l’ultima parte di Not the same story.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XVII
Conflitto secolare

Non capisco perché, ma sembra che non ci sia nessuno nell’appartamento di Enigma. Ho dato naturalmente per scontato che l’uomo fosse rimasto barricato in casa sua come sempre, da quando vive nella città fuori dal conflitto tra Forze del Bene e Victory; invece, quando per accertarmi che non ci fosse alcuna presenza pericolosa nelle vicinanze ho attivato il potere della Vita, non ho sentito proprio niente.
«Immagino non gli darà fastidio se entriamo e aspettiamo qui» mormoro tra me e me.
«Non darà fastidio a chi?» sbotta puntualmente Daniel, seccato dalla solita scarsità di spiegazioni ogni volta che decido di spostarci in un luogo che lui non conosce. «Di grazia, si può sapere dove siamo?»
«In un luogo sicuro. Mi apri la porta, per piacere?»
Il ragazzo alza gli occhi al cielo ma esgue: dopo che ha sfiorato i due buchi della serratura con la punta delle dita, la porta si schiude accompagnata dal rumore di un chiavistello sbloccato. La sospinge ed entra, seguito da me, che lo supero appena posso per dare, non senza una crescente preoccupazione, un’occhiata all’appartamento.
È tutto fin troppo in ordine per i miei gusti, e probabilmente anche per quelli di Enigma. Non so dire se ricordi meglio il colloquio con l’uomo, quel lontano giorno a Città Nera quasi un anno fa, o l’ambiente tremendamente caotico, pervaso dagli odori pungenti e sgradevoli dell’alcol e del fumo. Sul tavolino da caffè, sistemato mezzo storto rispetto al divano e alle poltrone, giacevano fogli e fascicoli mischiati tra loro, ormai privi d’identità se non agli occhi di Enigma - che chissà cosa ci faceva con quelle scartoffie, quei documenti, dato che se n’era andato dalla Polizia Internazionale, prima ancora essa che scomparisse definitivamente a causa dell’arrivo dei Victory e della nascita tempestiva delle Forze del Bene. È difficile credere che adesso stia guardando il medesimo tavolino, ma sgombro e ben pulito: soltanto un telecomando e un centrotavola vi sono poggiati. Anche la libreria e i mobili del salotto sono stati sistemati - direi più che altro che sono stati svuotati, per prima cosa, e poi messi in ordine. L’appartamento è nelle condizioni di ricevere visite.
Mi chiedo se Enigma sia fuori soltanto momentaneamente o se, anche da poco, abbia abbandonato la sua casa. Quest’idea sopraggiunge quasi senza motivo, anche perché non è mai sembrato intenzionato a lasciare la sua abitazione e la città in cui ha trovato rifugio durante il conflitto: è soltanto una mia sensazione dettata da un sesto senso. Con il potere della Vita potrei analizzare l’ambiente e le “tracce” lasciate da Enigma, e capire così che fine abbia fatto. Ma non voglio, per lo meno non ora.
Daniel si guarda intorno con curiosità e mi fa ripensare - non riesco a nascondere un sorriso al sopraggiungere dei ricordi - a come avessi ficcanasato spudoratamente in giro mentre Enigma leggeva il brevissimo messaggio da parte di Bellocchio, consegnatogli da me e Melisse. Prima che si accorga di essere studiato mentre esamina le fotografie alle pareti e sui mobili, torno a fare attenzione alle condizioni del salotto, l’unica parte della casa che abbia mai visto, in cerca di indizi per non essere costretta ad usare l’elemento della Vita.
«Oh! Ma che…?» esclama Daniel all’improvviso. So già di cosa sta parlando senza aver sfruttato alcun potere. «Può essere che sia Bellocchio questo qui? Non ci credo! Guarda, Eleonora, è proprio lui!»
Sta guardando la fotografia in bianco e nero appesa alla parete che ritrae Enigma, Bellocchio e le rispettive mogli. La sua faccia stupita è leggermente divertita, contagiata dall’allegria espressa da quei quattro volti. Io, quando vidi quella foto, ero molto sorpresa e anche piuttosto intenerita.
«So che è lui. Sono già stata qui» gli rispondo semplicemente, mitigando il suo entusiasmo.
Si volta di scatto: non si capacita della mia calma. «Mi spieghi o no che cosa è questo posto e perché ci sei già stata?»
«Il proprietario di questa casa si fa chiamare Enigma ed era un collega di Bellocchio quando entrambi lavoravano per la Polizia Internazionale. Anche se, più che colleghi, erano amici molto, molto intimi, a tal punto che Enigma parlava di lui come di un fratello minore. Bellocchio mandò me e Melisse a consegnargli un messaggio che non so cosa dicesse, e quando Enigma vide che avevo notato quella stessa foto» con la testa faccio un cenno rivolto ad essa, «si mise a raccontare degli anni di Bellocchio nella Polizia e della loro conoscenza, per poi arrivare alla nascita del Victory Team e delle Forze del Bene.»
«Però. Una persona che sapeva tenere un segreto» commenta Daniel. «Per essere vissuto qui si dev’essere rifiutato di schierarsi da qualunque parte. Nonostante fosse il grande amico di Bellocchio…»
«Non sarà mica morto!» esclamo. «Comunque sì. Si separò da Bellocchio proprio allora, perché non vedeva il motivo di schierarsi con le Forze del Bene, né contro di loro. Ad ogni modo non aveva neanche Pokémon, e non li ha ancora, proprio come Bellocchio.»
Daniel annuisce semplicemente e torna a farsi i fatti di Enigma, non visto dal proprietario della casa. Il contrario mio, che guardai le foto della vita dell’uomo sotto i suoi stessi occhi. Li ricordo bene: azzurri, abbastanza grandi, con un’incredibile espressione profonda che sembrava in grado di leggere nella mente di qualsiasi interlocutore. Mi avevano messa a disagio più volte per quella loro capacità, e allo stesso tempo affascinata proprio per quel motivo. Ricordo altrettanto bene i capelli rossi messi alla prova dall’età in avanzamento e il naso piuttosto lungo, aquilino. Non c’è una cosa di quell’incontro, non un dettaglio che non sia stato marchiato a fuoco nella mia memoria.
Mi sembra così strano, ma a pensarci è comprensibile, che sia precipitata in un periodo di confusione dopo aver conosciuto le posizioni di qualcuno fuori dal conflitto. Enigma era riuscito in circa dieci minuti a far crollare le mie certezze: se inizialmente gli attriti con Bellocchio erano dovuti perlopiù al mio caratterino, dopo qualche tempo di riflessioni sui discorsi dell’uomo di Città Nera trovavo le sue argomentazioni sempre più corrette, e non avevo mancato di farlo sapere al mio superiore. Dalla comprensione ero infatti passata alla condivisione, ed ero rimasta nelle Forze del Bene per una sorta di senso del dovere. L’alternativa era unirmi a gente come Cyrus, che chissà come mi avrebbe fatto conoscere il Legame e in che modo mi avrebbe chiesto di sfruttarlo. Per quanto ardua fosse stata la scelta in alcuni momenti di particolari ostilità e tensione, riuscii sempre a preferire Bellocchio, nonostante tutti i suoi difetti e il cattivo sangue tra noi due, all’ex boss del Team Galassia e alla sua compagnia.
Le Forze del Bene mi hanno procurato tante delusioni, ma il Victory Team mi ha inferto le ferite peggiori. L’ostinazione di Bellocchio, che peraltro è sempre stato in buona fede, a non dirmi niente sul Legame e gli attriti tra noi due non sono niente, se non piccole scintille di rabbia nella storia delle mie emozioni, al rapimento e all’uccisione dei miei genitori, mezzi che le Forze del Bene non avrebbero mai adottato, perché il ricatto non fa parte del loro armamentario. È questa la sostanziale differenza tra le due fazioni, o almeno tra i loro comandanti: Bellocchio ha sempre avuto le sue ragioni per negarmi la conoscenza della mia identità, per allontanarmi dal mio passato nel mondo esclusivamente umano, per riprendermi, quando andavo volutamente contro di lui per fargli un dispetto, anche con maniere più forti - tra cui non mandarmi in missione per più di sei mesi.
A muovere ogni azione dei Victory sono invece Nike e il fratello, spinti da qualcosa che va oltre la sete di potere: sono invischiati, sicuramente insieme a “Vì”, in faccende che riguardano anche e soprattutto i Leggendari, e sono certa che siano mille volte peggiori di quanto chiunque tra noi possa credere, persino noi Legati. Mi viene subito in mente Daniel, a cui Dialga ha cancellato la memoria dopo che era andato ad analizzare cosa abbia diretto le sorti della guerra per quasi dieci anni.
Lo realizzo solo ora, e mi dispiace, ma per poco non tiro un sospiro di sollievo se penso alla fortuna che ho avuto a rimanere sempre dalla parte delle Forze del Bene. Molte reclute dei Victory avranno le loro più che valide ragioni per essere riconoscenti al Team di averle prese con sé, come la ragazza che abbiamo incontrato sul Ponte Meraviglie; ma se per certi versi entrambe le fazioni non presentano tante differenze, ce ne sono alcune sostanziali - come la ragione e le ragioni di Bellocchio - che mi fanno ringraziare il cielo di aver avuto questa possibilità. Certo non ho dubbi che le Forze del Bene abbiano avuto le loro centinaia di prigionieri sotto tortura e che abbiano adottato, talvolta, qualche mezzo poco apprezzabile per sottrarre ai Victory ciò di cui avevano bisogno. Ma, come disse anche Enigma, il fine giustifica i mezzi; e io sto con un uomo che ritengo equilibrato, che è riuscito a superare il desiderio di vendetta nei confronti del nemico nonostante gli abbia portato via le cose e le persone che gli stavano più a cuore.
È paradossale che capisca di essere stata fortunata a ritrovarmi dalla parte di Bellocchio proprio adesso, nel luogo in cui per la prima volta fu instillato in me il seme del dubbio. Non mi nego una certa vergogna di me stessa a ripensare a come mi sia comportata con Hei Feng e come tante volte abbia sfidato Bellocchio, e a come lui, dopo momenti di inevitabile rabbia, sia sempre stato disposto a fare un passo incontro a me e abbia cercato di farmi ritrovare il lume della ragione nei momenti di rabbia, soprattutto nei suoi confronti, come quando mi annunciò il rapimento dei miei genitori da parte dei Victory, di cui accusai lui e le Forze del Bene.
«E così eravate tu e Melisse, eh?»
La voce di Daniel mi riporta alla realtà dopo aver trascorso non poco tempo a immergermi in pensieri e ricordi. Mi giro a guardarlo mentre sprofonda nel divano: mi sta sorridendo con la sua aria beffarda, un po’ sornione. Non so bene cosa rispondergli, dove voglia andare a parare - vorrà soltanto stuzzicarmi come al solito, avendomi sicuramente vista con la testa rivolta a chissà quali riflessioni. «Sì, perché?»
«Niente. È da tanto che non la vedo. O forse è soltanto un paio di settimane, ma sembrano passati mesi.»
So bene come si sente: è esattamente quel che provo io quando penso a Oxygen. Insieme alla comprensione di Bellocchio e del mio passato nelle Forze del Bene, che pesano sulla mia coscienza macchiata da capricci e illusioni, mi assalgono i rimpianti di averlo trattato come una persona di relativa importanza, di avergli detto che non potevamo proprio rimanere insieme, di avergli intimato di accettare il suo Legame e il destino che gli toccava… ritratterei praticamente ogni cosa che mi uscì di bocca in quei momenti. Chissà che quella freddezza, quel distacco non mi siano stati dettati da Helenos stesso già ai tempi, e che non sia stato tutto merito mio aver lasciato andare gli attaccamenti a un mondo terreno, troppo distante per essere conciliato con quello dei Legami e dei Leggendari!
«Non vedrà l’ora di rivederti» mormoro. Mi chiedo se Oxygen desideri incontrarmi di nuovo.
Il sorriso di Daniel si tinge di una nota amareggiata. «Ne dubito. Mi sono impegnato per lasciarla prima di partire per Sinnoh, a prendere il Legame e a trovare altri Legati… ho fatto di tutto per farmi odiare, così non mi ha ostacolato quando sono partito. Quasi quasi mi ci mandava a calci nel sedere lei, in giro per Sinnoh.»
La notizia mi ha sorpresa, non so se negativamente o positivamente: non ho più una rivale, ma al contempo non c’è comunque la possibilità che Daniel si innamori di me. Ho avuto anche la prova della sua indifferenza, suo malgrado. Non mi aspettavo, però, che avesse lasciato Melisse per non avere delle catene a trattenerlo, a cercare di tirarlo indietro, quando ha dovuto dire addio ad una vita normale nella base segreta. Non lo credevo possibile da parte sua, ma ha fatto la cosa giusta; io potevo anche risparmiarmi di mandar via Oxygen, che è un Legato e non un comune mortale. Mi ritrovo a sperare ardentemente che la colpa sia stata di Helenos, ma temo di averci messo molto del mio, convinta che fosse l’unico modo per adempiere appieno ai miei doveri di Legata.
«Che le hai detto?» gli chiedo a bassa voce.
«Che me la facevo con te.»
Segue qualche secondo di silenzio. «Non ci credo.»
«La sostanza è quella» ridacchia Daniel di fronte alla mia faccia seria, che gli intima in silenzio di smettere di prendermi in giro. Alzo gli occhi al cielo e mi ritiro dalla conversazione; il ragazzo prende il telecomando e accende la televisione, mettendosi a fare zapping.
“Ho contattato Xerneas e Raikou.” La voce di Ho-Oh arriva inaspettata nella mia mente appena io e Daniel finiamo di parlare, ma non mi sorprende, dato che ci ho quasi fatto l’abitudine. “Appena sarà loro possibile, verranno a Città Nera, in questa stessa casa.”
“Bene. Grazie” rispondo con semplicità.
“Come ti senti?”
“Lo sai come sto.” Questa domanda invece me l’aspettavo. Ho cercato di non pensare alla ragazza Victory, ma mi è tornata alla mente di continuo mentre ci spostavamo a Città Nera, e adesso che ci siamo sistemati nella casa vuota di Enigma e che Daniel si è anche trovato un’occupazione migliore, non ho fatto in tempo a muovermi che il ricordo di quella recluta mi ha invaso i pensieri.
“Era necessario.” Ho-Oh cerca di essere rassicurante, e gli sono immensamente riconoscente per questo, ma non posso fare a meno di sentire un terribile senso di oppressione nel petto, nelle vie aeree, alla bocca dello stomaco.
“Lo so che era necessario, e non è per questo che sto così. La cosa peggiore di tutto ciò è che non provi alcun rimorso, che non sia sconvolta, neanche turbata, per cosa sono stata in grado di fare. È questa la ragione per cui non mi sento a posto con me stessa, non perché abbia ucciso quella ragazza. Ho pensato che fosse giusto eliminarla perché poteva rappresentare un pericolo, e un momento dopo le ho tolto la fiamma della vita dal corpo senza la minima difficoltà, senza esitare. Non so come sia potuto accadermi. Non avrei mai creduto di poter fare qualcosa del genere: né di uccidere qualcuno, né di restare indifferente alla sua morte, provocata da me… è vero che, in teoria, alla base al Monte Corona ci avevano preparato anche a questo tipo di situazioni, ma è tutt’altra cosa ritrovarsi a farlo davvero, fuori le varie stanze degli allenamenti. Dubito che la maggior parte di quelli che erano nel mio stesso corso avrebbe il coraggio di togliere la vita ad un altro essere umano.”
Ho-Oh ci mette un po’ a rispondere, dopo che mi sono silenziosamente sfogata con lui, riversandogli addosso tutti i miei pensieri. “Non dovresti prenderla male. Dici di sapere che era necessario, ma i tuoi sensi di colpa dimostrano l’esatto contrario. Pensi di aver commesso un’ingiustizia, quando invece hai agito per il bene tuo e di chi è con te. Ma in fondo ne sei conscia anche tu: non sarà l’ultima volta che ti ritroverai in questa situazione, e che dovrai ripeterti, anche più spietata con chi rappresenta un pericolo maggiore.”
“Forse lei non era una minaccia.”
“Ogni tuo nemico rappresenta una grave minaccia, Eleonora. Tutte le reclute che incontri possono arrivare ai Comandanti. Ti prego di metterti l’anima in pace, soprattutto perché sono cose che sai e che, anche se non vorresti, condividi.”
Accarezzo con le dita il dorso del primo volume di una vecchia enciclopedia universale nella libreria. Non c’è molta polvere, quindi Enigma non se ne deve essere andato da molto. Forse è vero che è uscito per un po’, magari è addirittura sulla strada del ritorno. Rischia di ritrovarsi con otto Legati in casa. “Vorrei poter dare la colpa di quest’indifferenza totale a te o a Helenos.”
“Puoi farlo, ma non è intervenuto nessuno di noi due. Se non io per far sparire il corpo di quella ragazza.”
Non riesco a rispondere nulla e dubito ci sia motivo di proseguire: Ho-Oh sa già cosa mi passa per la testa e per il cuore senza che gliene faccia un resoconto. Mi ha costretta a parlargliene solo per farmi ammettere con me stessa quelle cose, che altrimenti sarebbero rimaste pensieri ed emozioni senza forma - non che già sotto un aspetto vago non fossero abbastanza pesanti.
Delle nocche che bussano alla porta sono il suono più gradito del mondo, che mi impedisce di rimettermi a rimuginare su quel che ho fatto; nonostante mi ritrovi faccia a faccia con il muso scorbutico di Camille, il sollievo che provo non viene intaccato. Lascio passare la ragazza senza salutarla, e dopo di lei mi rivolgono un cenno Zhao e un sorriso furbo George; chiudo la porta dietro di lui e torniamo in salotto, accanto all’ingresso.
«Che posto è questo?» chiede allegramente il Legato di Yveltal, mettendosi a curiosare. Sembra che la casa di Enigma sia naturalmente predisposta a far ficcanasare gli ospiti.
«L’appartamento di una mia conoscenza. Adesso non c’è» rispondo. «Non so se sia momentaneamente andato via o se sia proprio partito. Penso sia solo una cosa temporanea, comunque.»
Camille, stranamente, non ha niente da dire né commentare: si guarda intorno senza avvicinarsi a nessuna foto appesa alle pareti o ai libri rimasti negli scaffali, con aria leggermente insospettita. Zhao è diffidente e silenzioso come suo solito, e nemmeno si disturba di dare un’occhiata in giro, andandosi a sedere sul divano ma mantenendo una certa distanza da Daniel. George apre bocca per dire qualcos’altro ma viene interrotto dallo stesso Legato di Dialga, all’improvviso crucciato. «Sentite qua.»
Alza il volume della televisione, a cui prima, mentre parlavo con Ho-Oh, non prestavo attenzione. Si è sintonizzato su uno dei principali canali in chiaro che dà un’edizione straordinaria del telegiornale - anche se, con tutte le notizie che passano sui Victory, sulle Forze del Bene e sui Pokémon in generale, di straordinario ormai ci sono i programmi che non parlano di uno di quegli argomenti.
«… Alghepoli è stata tremendamente scossa dall’attacco: gli abitanti si sono barricati nelle loro case, in attesa di rassicurazioni da parte del governo. Le informazioni principali sono pervenute da parte del Victory Team e anche confermate ai servizi segreti dalle Forze del Bene, tra cui l’identità del gruppo di attentatori e la motivazione della loro mossa… una mossa radicale e terrificante, giunta inaspettata per tutti, che si aggiunge agli elementi del conflitto tra i Victory e i loro oppositori. Dai comunicati di entrambe le parti, però, si lascia intendere che non ci sono ragioni per cui l’attacco, indirizzato alla zona portuale della città, dovesse coinvolgerle: nessuna delle due dovrebbe aver provocato questa decisione da parte del fantomatico Team Idro. È tutto per ora.»
Una lunga pausa segue le parole del presentatore; Daniel abbassa bruscamente il volume della televisione e si porta le braccia incrociate al petto; ha un’espressione contrariata che non gli ho mai visto addosso.
«Non ho capito» mormoro. Anche gli altri sono perplessi: nessuno di noi ha capito cosa c’entri il vecchio Team Idro, scomparso da circa vent’anni, con un attacco di natura terroristica. Ho-Oh è in tensione: se avesse il suo aspetto umano, il suo viso sarebbe crucciato tanto quanto quello del Legato di Dialga.
«Porto Alghepoli è stata attaccata da Ivan e il suo Team Idro.» L’esordio di Daniel non chiarisce affatto la nostra confusione. «Non so cosa è successo di preciso, immagino che i dettagli ce li diranno appena arriveremo alla Fossa Gigante e potremo parlare con qualcuno che ne sa di più. Ma se Ivan ha ricostituito il suo Team dopo essersene andato dai Victory qualche mese fa, ve lo ricordate l’annuncio di Bellocchio, no?…» Lancio una veloce occhiata a Camille, che è imperturbabile: lei di sicuro non se lo ricorda, visto che qualche giorno prima se n’era andata dalla base segreta, facendo un incantesimo a Bellocchio che l’aveva cancellata dai suoi ricordi. «A questo punto dobbiamo aspettarci che anche Max abbia di nuovo i suoi Magma, e che quei due torneranno a farsi la guerra.»
«Due guerre sugli stessi spazi e nello stesso tempo» sentenzio.
«Dopo vent’anni di silenzio, riprendono le ostilità» commenta George. «Non si daranno per vinti finché l’uno dei due non sarà morto. Forse a quel punto saranno abbastanza soddisfatti e lasceranno pure perdere Groudon, Kyogre e i loro progetti di espansione della terra o del mare.»
Non voglio pensare a come ne usciremo ridotti, sia noi che i territori coinvolti - in particolare Hoenn tra tutte le regioni, già in passato teatro dello scontro tra Magma e Idro. Nessuno dei due oserà chiedere un’alleanza con i Victory, perché Max e Ivan verrebbero fatti fuori per il loro abbandono di tempo fa; forse una delle due parti si venderà alle Forze del Bene in cerca di appoggio, offrendo in cambio informazioni sul loro nemico. Di sicuro sarà impossibile tenere i due conflitti separati e finiremo per ritrovarci a stringere momentanee, impropabili alleanze e a subire improvvise aggressioni che magari, originariamente, neanche erano dirette alla nostra fazione. Forse noi Legati saremo ricercati dai Victory tanto quanto dai Magma e dagli Idro. Mi auguro che George abbia ragione e che la guerra infinita tra Ivan e Max si risolva con la morte dell’uno o dell’altro.
Ho-Oh sembra più turbato di quanto lo sia io, ma non mi dice niente: dovrò essere io a chiedergli perché sia così agitato. Non sto assolutamente prendendo alla leggera la novità, anzi, ma lui ha preoccupazioni maggiori delle mie, è evidente, di cui non conosco l’origine. Dubito tuttavia che nel “rapporto” tra Ivan e Max, l’uno più fuori di testa dell’altro, c’entrino le questioni tra Leggendari - sorte, a quanto pare, dopo la soltanto momentanea chiusura delle ostilità tra i due. Anche perché Kyogre e Groudon sembrano essere due dei Leggendari che non hanno scelto un Legato e che quindi sono meno strettamente coinvolti di altri, come Ho-Oh e Dialga.
Sussulto quando sento bussare alla porta per la seconda volta, e ricordo subito che stavamo ancora aspettando Ilenia, Luke e Yue: sono proprio loro che George si ritrova davanti, e che fa entrare con un “Prego, prego!” con il suo solito, caratterizzante tono ironico. La Legata di Reshiram va subito ad affiancarsi al cugino, con cui inizia a parlottare senza risparmiarsi considerazioni sui suoi accompagnatori; Luke è serio e ha l’aria di essere un po’ a disagio - come sembra di solito. Ilenia invece ha un piccolo sorriso gentile sulle labbra, ma si spegne appena vede la mia faccia impensierita. Guardare Camille è inutile, ha un brutto cipiglio come al solito.
«Che succede?» domanda. Anche Luke ora esibisce un’espressione interrogativa.
Apro bocca per risponderle, ma vengo distratta da Daniel che, scuotendo la testa, si alza dal divano ed esce dal salotto. Lo seguo con lo sguardo, sorpresa che si allontani proprio lui, che è quello che ci ha capito di più in questa situazione. Camille e George si ritrovano con il compito di spiegare ai tre appena arrivati cos’abbiamo sentito al telegiornale: non faccio caso alle loro parole e, a mia volta seguita con lo sguardo da Luke, vado a vedere cos’ha Daniel.
Lo trovo nella camera da letto di Enigma. Ha aperto un armadio davanti ai piedi del letto e, con le mani nelle tasche dei pantaloni, è tutto intento a guardare cosa ci sia all’interno. Mi avvicino con cautela, rimanendo però nelle vicinanze della porta, e lui non dà segno di avermi sentita, ma sono certa che sappia che ci sono anch’io.
«Pensi che il signore che abita qui abbia qualcosa della mia taglia?»
«Be’, sarà alto poco meno di te. Vuoi fregargli un po’ di vestiti?»
«Non posso andare in giro conciato così. Passi per i capelli, ma devo cambiarmi» risponde. Si china a terra e tira fuori da un cassetto dell’armadio una camicia bianca. Se la appoggia addosso e mi guarda interrogativamente: io annuisco, vedendo che dovrebbe stargli bene. Nella sua Forma di Mezzo Daniel ha le spalle piuttosto larghe, e anche il petto, ma, prima di diventare un anziano panciuto, Enigma doveva aver avuto la stessa costituzione.
Prende un paio di jeans, che di lunghezza vanno bene ma di larghezza no, perciò si appropria anche di una cintura. Dopo aver sottratto al guardaroba del padrone di casa anche un classico gilet di lana da mettere sopra la camicia, mi lancia un’altra occhiata e mi fa, ammiccando: «Vuoi guardare mentre mi cambio, cara?»
«Ti lascio subito, se vuoi» rispondo con grande serietà, «ma non posso fare a meno di notare come ti stia scegliendo vestiti da vecchio.»
Daniel sbuffa, sorridente. «Non ho altra scelta, se il signor Enigma ha mezzo secolo più di me. E poi immagino che coprirò tutto con… questo qui.» Nel mentre prende e butta sul letto un lungo impermeabile nero. Ce lo vedo proprio Enigma con vestito con esso: un aspetto più stereotipato e comune per un investigatore, o per un agente segreto, non c’è.
Esito per un altro po’, appoggiata con un braccio allo stipite della porta e con l’altra mano sul fianco. Non so se sia più evidente il fatto che si stia vestendo come un vecchio o che stia nascondendo qualcosa - cioè la ragione per cui improvvisamente se n’è andato dal salotto. Daniel sa che lo sto guardando in modo un po’ sconsolato, che c’è palesemente qualcosa che non va, ma fa finta di niente. Non oso farmi gli affari suoi con il potere della Vita; una volta capito che non mi dirà niente e che è inutile che aspetti ancora, mi giro e faccio per andarmene.
È la sua stessa voce a bloccarmi prima che muova un passo: «Ad Alghepoli ci vive la mia famiglia.»
Mi volto di scatto in tempo per vederlo sedersi sul letto, con gli avambracci poggiati sulle ginocchia e gli occhi puntati a terra. Vado subito vicina a lui e gli passo una mano sulla schiena, fermandomi su una spalla. «Dani… mi dispiace» mormoro. «Vivono nella zona del porto, che è stata attaccata?»
«No, però…» La sua voce è ferma, ma continua a guardare il pavimento e non finisce la frase. Quando rialza la testa ha gli occhi lucidi, sta facendo uno sforzo enorme per non concedersi neanche una lacrima, anche se forse dovrebbe dare un minimo di sfogo alle sue paure. Cerca di sorridermi ma gli angoli stiracchiati delle sue labbra non sono per niente convincenti. «Forse non dovrei preoccuparmi così tanto» bisbiglia.
«Non dovresti vergognartene, semmai» ribatto. «Vivessero anche dalla parte opposta della città, hai tutto il diritto di avere paura per loro.»
«Sì, ma…» Si blocca di nuovo. Poi scuote la testa e si siede più compostamente. «Non dovrei essere preoccupato per la mia famiglia perché non dovrebbe importarmene nulla!» esclama. «Non dovrei essere con la testa lì, devo pensare a questo conflitto e al Legame, punto. Anche tu, Eleonora…»
Si interrompe di colpo. La mia mano scivola via dalla sua spalla e me la porto in grembo, mentre guardo il ragazzo, improvvisamente imbarazzatissimo, con serietà. Vorrei chiedergli cosa intende dire con quell’“anche tu” e fargli così ammettere che ha ficcato il naso in tutta la mia vita, anche e soprattutto dove non avrebbe dovuto: non solo nei miei sentimenti per lui, ma anche per le condizioni familiari disastrose con cui mi sono ritrovata - i miei genitori assassinati, neanche da tanto tempo, e il resto dei miei parenti non più a conoscenza del fatto che sia esistita una ragazza di nome Eleonora.
«Scusami» mormora infine Daniel, e so che si sta scusando più per essersi fatto gli affari della mia vita che per essersi quasi fatto scappare delle parole sconvenienti. È sicuramente la cosa più giusta, se non l’unica, da dire, ma non ci sono parole che possano perdonarlo facilmente per quel che ha fatto.
«Ci passerò sopra» replico, aggiungendo nella mia mente: “Soltanto perché si tratta di te.” Improvvisamente mi sento molto a disagio e avvampo, distogliendo lo sguardo, anzi girando tutta la testa. Un attimo dopo sono già in piedi ed evito di voltarmi un’altra volta verso di lui, sicura che troverei i suoi occhi rossi a guardarmi, mentre si domandano cosa fare e se fare qualcosa. Alla fine riesco a borbottare: «Vado a dire agli altri ragazzi che qui c’è qualcosa con cui possono cambiarsi, eventualmente. Sempre sperando che combinino i vestiti meglio di come hai fatto tu.»
Probabilmente sorride appena. «Passeremo la notte qui, no?»
Getto un’occhiata alle grandi finestre della stanza da letto. L’oscurità è totale e sembra voler assorbire qualsiasi fonte di luce, grazie alla tinta monocromatica di Città Nera. «Credo che siamo più al sicuro qui che all’esterno. Di certo circolano meno Victory da queste parti, a meno che non ce ne sia proprio nessuno… dovremo comunque fare qualche turno di guardia.»
«Già.»
Esito per l’ennesima volta sulla porta, mentre do le spalle a Daniel. Mi arrischio a guardarlo di nuovo prima di uscire, con le guance ancora arrossate per una timidezza improvvisa e forte che non dovrei neanche provare - lui sembra meno in imbarazzo, eppure ha molto più di me di cui vergognarsi… sempre che si debba provare qualcosa del genere per i propri incontrollabili sentimenti. Lui è intento a fissare l’interno dell’armadio aperto e ha l’aria di essere molto interessato, perciò mi decido ad abbandonare una volta per tutte la stanza.
  
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