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Autore: Tinucha    10/08/2016    4 recensioni
Leon Vargas e Violetta Castillo, due ragazzi uniti da un passato burrascoso, entrambi orfani di genitori a causa di un incidente mortale. E se quel giorno avessero perso la vita sia German e Maria, i genitori di lei che Lucia e Fernando? Se Violetta e Leon si rincontrassero, cosa accadrebbe?
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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POV DIEGO
Labbra che si cercano, cuori che perforano la gabbia toracica facendo unire due anime come se fossero una sola. La testa gira, la bocca si curva in un sorriso genuino e spontaneo. Deglutisco, guardando le sue labbra rosee, affamato di averle ancora. Sono gonfie, invitanti, chiedono di essere amate. Riesco ad intravedere le punte dei capelli corvini.



Riapro gli occhi scalpitante, mettendomi a sedere sul letto. Sono affannato, deluso, voglioso. Mi maledico mentalmente, sognare la donna che fino a pochi istanti prima ho definito mia sorella. Serro le palpebre, deglutendo rumorosamente e lanciando uno sguardo verso il basso. I boxer stringono quasi fino a far male. Schiudo le labbra, scuotendo il capo e maledicendomi per i miei desideri sbagliati. Lentamente una mano scivola sull'addome, nella testa non faccio che ripetermi che tutto questo è sbagliato, anche se Francesca non è mia sorella non dovrei sognarla in atteggiamenti intimi e con me. Serro le palpebre, sono impaziente, impaziente solo e soltanto per lei, ma non devo. Gemo silenziosamente, il cuore in gola quando avverto dei leggeri passi, un leggero bussare proveniente dalla porta. Mi fermo, ricoprendomi con il piumone sussurrando al diretto interessato di avanzare. Ludmilla fa capolino in stanza, i capelli scompigliati come se fosse appena uscita da un centro commerciale con i saldi su tutti i capi più costosi. Le labbra ed il naso arricciati, mentre cammina avanti e dietro per la mia camera. «Ludmilla?» la richiamo «Siete dei coglioni, tutti solo e soltanto dei coglioni, okay?» «Tutti chi?» «La vostra razza. Non capite mai, non avete sentimenti, pensate solo e soltanto a soddisfare i vostri bisogni usando quel mollusco che avete tra le gambe» sobbalzo dal letto, per poi mettermi a sedere. «Ludmilla sei andata a letto con qualcuno?» domando lanciandole un'occhiataccia, mentre lei alza lo sguardo, annuendo. «Con chi esattamente?» «Diego andresti mai con una ragazza, sapendo che è vergine, se non provassi niente per lei?» aggrotto la fronte confuso. «Certo che no, che ti salta in mente?» «Si chiama Marco e l'ho conosciuto l'estate scorsa. Credo di amarlo» sospiro, facendole segno di avvicinarsi e stringendola a me. «E lui?» «Penso mi abbia solo usata» un senso di protezione si instaura dentro di me. «Ora usalo tu» «Nel senso?» alzo un angolo della bocca, scrollando le spalle. «Fingi che non esista, provocalo e lascialo lì su due piedi, se davvero gli interessi non esiterà nemmeno un secondo per sbatterti al muro e farti sua» gli occhi le si illuminano e sorrido piano. «Ma se scopate io non voglio saperlo, sia chiaro» l'ammonisco facendola ridere ed annuire. «Sai cos'ha Francesca?» riesco a domandare dopo un istante fatto di silenzi. Mi guarda, sorride. «Sei proprio cieco, eh?»





POV VIOLETTA
Fischietto, stendendomi definitivamente sul letto di Camilla, continuando ad aspettarla impaziente. La porta si spalanca di colpo ed immediatamente mi metto a sedere «Finalmente sei torn-..» le parole mi muoiono in gola, nel constatare che la persona che giace dinanzi ai miei occhi in questo momento non è la ragazza dai capelli di fuoco. Leon mi guarda confuso, gocciolante e con solo un'asciugamano legata in vita. «Dov'è mia sorella?» «È scesa a prendere del succo d'arancia» riesco a deglutire, cercando di non soffermarmi con gli occhi sul suo addome scolpito. «Ah, volevo solo dirle che ho avuto un contrattempo con i ragazzi e che quindi non posso darvi una mano con i compiti» «COME SCUSA?!» la rossa compare alle sue spalle. «LEON, ME L'AVEVI PROMESSO!» trattengo una risatina guardando la differenza d'altezza tra i due e constatando irritata che è decisamente un colosso a mio confronto. «Prometto che domani vi aiuto» «SONO DUE SETTIMANE CHE PROMETTI, SE NON MI DAI UNA MANO SPIFFERO A TUTTI DI QUANDO LA MAMMA TI HA BECCATO A MASTURBARTI IN CAMERA TUA!» sbotta minacciosamente, puntellando le mani sui fianchi. Sgrano gli occhi, mentre occhi verdi la guarda malamente. «Non ne saresti capace» il cuore sembra risalirmi in gola, quando con un sorriso terrificante Camilla avanza verso di me. «Primo anno allo Studio, erano giorni che si rifugiava in camera per ore ed ore, la mamma continuava a preoccuparsi ed a parlarne con papà che ovviamente ribatteva con un 'Oramai è grande, ha bisogno dei suoi spazi' senza che te le stia a fare lunga, la mamma ha spalancato la porta, lui aveva una mano nei boxer e stava guardando un porno» «Sei ripugnante, Vargas» rotea gli occhi, infastidito. «Non sono ripugnante, quale ragazzo sano di mente non si masturberebbe?» «Ed anche rivoltante» «Anche se fosse a te cosa importa?» riduce gli occhi a due fessure. Lo imito arrendendomi, fin da subito, che abbia conseguito e superato tutti gli esami per la sua laurea in coglioneria. «Chiama i tuoi amici e dì che devi aiutarci, Leon, sai che lo farei» «Va bene, va bene, vado a vestirmi, voi cominciate a ripetere, voglio sentire ciò che avete composto finora» quando abbandona la stanza, tiro un sospiro di sollievo. «Appena sentirà ciò che abbiamo scritto ci spedirà in un posto frequentato solo da pitbull di razza» «Il tuo umorismo mi sconvolge, Vilu, giuro.» sbotta sarcasticamente cominciando a premere le dita sui tasti. «Hay algo que tal vez deba decirte, es algo que te hace muy muy bien. Se siente tan real está en tu mente, y dime si eres quien tu quiere ser, tomarme la mano ven aquí, el resto lo hará tu corazón, no hay nada que non puedas conseguir, si vuelas alto..» ci sorridiamo, constatando che infondo è accettabile sia come testo che come melodia. Avvertiamo degli applausi, e voltandoci incontriamo gli occhi magnetici di Leon, ed il sorriso angelico di Emma, accostata ad Andres. Avvampo di colpo, guardando la rossa che ridacchia.






Sistemo lo spartito nella mia tracolla, avvertendo qualcuno tossire alle mie spalle. Mi volto guardando un sorriso genuino aleggiare sul volto di Leon e d'istinto ricambio, arrossendo fino all'inverosimile. «Non sapevo cantassi così» «Ci sono molte cose che non sai di me» lo correggo misteriosa. «E se volessi scoprirle, Castillo? Se volessi scoprire ogni tuo singolo lato nascosto al mondo?» avanzo pericolosamente, le nostre labbra si sfiorano, ed avverto il suo sguardo penetrante sulla mia bocca. «Non puoi» Ride. La sua rauca risata, per un attimo mi annebbia i sensi. «Perché? Dopo dovresti uccidermi?» «No, semplicemente perché non voglio aprirmi con te» «Sei già aperta con me. Come un libro sulla fisica quantistica scritto in finlandese, ma pur sempre aperta.» provo invano a trattenere una risata, abbandonandomi però, al suo volere. «Sei uno scemo» alza l'angolo della bocca. «Uno scemo che mozzerebbe il fiato a qualunque essere vivente respiri» «Sì che lo mozzeresti, per le cazzate che spari» deglutisco, quando il suo sguardo penetrante si intreccia col mio. Uno squillo ci distrae da quella realtà. «Federì, che è successo?» rimane in attesa di una risposta, per poi scoppiare in una genuina e scoppiettante risata che involontariamente porta a ridere sia me che la rossa che compare alle sue spalle. «Sto arrivando» scuote il capo, trattenendo una nuova risata e premendo il tasto di chiusura per la chiamata. «Chi era?» «Federico» il sorriso di Camilla sembra rattristarsi ed il suo sguardo si punta in un punto indefinito. «Che gli è successo?» «È rimasto a terra con la macchina, ha dimenticato di fare benzina» «Uhm, posso venire con te? Così diamo un passaggio anche a Violetta?» Leon la guarda diffidente, per poi scrollare le spalle ed annuire. «Andiamo»



«Vilu chi è quell'uomo sulle scale di casa tua?» il mio volto si illumina istantaneamente. «Mio nonno» «Ti sembra questa l'ora a cui tornare, signorina?» strepita incrociando, severamente, le braccia al petto, avvicinandosi al mio finestrino aperto. «Salve ragazzi, grazie per averla riportata, la ragazzina ogni tanto scappa» ridacchio ringraziando e scendendo dall'auto. «Andiamo, oggi dovevi parlarmi del primo appuntamento» affermo, stringendomi a lui e salutando i ragazzi oramai lontani. Immediatamente sorride, sedendosi sul dondolo di fianco la zia. «Tra poco si cena, ehm, ho già preparato il cibo solo che io..» si gratta nervosamente la nuca «..devo uscire» «Hai un appuntamento?» i miei occhi luccicano, mentre lei avvampa di colpo. «No no, é solo una cena tra colleghi di lavoro, non metterti in testa strane idee, Pablo mi ha invitata per parlare dello Studio» roteo gli occhi «Aha, certo, per parlare dello Studio» commento. «Se ti metti i tacchi è un appuntamento, è scientificamente provato nel caso delle donne Castillo» volge uno sguardo al giardino, le goti rossastre. «Uhm, papà, che ne dici di far partire il tuo racconto?» ridacchia, annuendo. «Eravamo nel '56, Meredith era una ragazza abbastanza attiva e con la lingua biforcuta. Mi ricordo che dovetti andarla a prendere al negozio perché non voleva sapessi dove abitasse. La trovai piccola, indifesa, donna su quel marciapiede. Le braccia mingherline incrociate al petto, indossava un vestitino verde smeraldo e dei tacchetti dello stesso colore, fingeva di non sorridere, ma lo stava facendo. Il mio cuore lo sentiva. Scalpitava, era indomabile, così come la mia irrefrenabile felicità. Salì in auto cominciando a darmi istruzioni di guida, voleva fossi attento, ma io già lo ero. Quale militare non lo sarebbe? Parlava continuamente, senza mai smettere, a volte diceva anche cosa senza senso, inesistenti. Eppure amavo ascoltarla, ridere, fingere di essere d'accordo su qualcosa di inesistente. Si bloccò, era affannata e mi guardò malamente. 'La smetti di darmi ragione su qualsiasi cosa io dica?' Risi, risi così tanto che il fiato non mi bastò, e lei, lei mi seguì a ruota. 'Non mi hai detto nemmeno il tuo nome' il suo sguardo si intrecciò col mio, incatenandosi in un modo disumano. Le dissi di chiamarmi Drew e lei inclinò il capo. 'Non ti piace il tuo nome, vero?' Annuii, scrollando le spalle. Mi sorrise. 'A me piace' fu in quel momento che smisi di odiare smisuratamente il mio nome. Ci furono attimi di silenzio, mi disse che si chiamava Meredith e le dissi che già lo sapevo. 'Ho letto la collana-targhetta che hai al collo' ridacchiò imbarazzata, dandosi degli schiaffetti in fronte ed io risi ancora, con lei. 'Non fa niente, mi piaci comunque' quella frase abbandonò spontaneamente le mie labbra, lei non fiatò, forse smise di respirare, non lo so. Fu la serata più bella della mia vita, mi sentii amato, compreso, e di nuovo bambino. Nell'istante in cui mi consentì di riaccompagnarla sotto casa avvertii un vuoto allo stomaco, quando le sue labbra sfiorarono la mia guancia. In quell'istante realizzai di essermi innamorato, definitivamente, senza alcun remore, sentii che quella era la donna giusta» guardo mio nonno con i brividi a fior di pelle e mi rannicchio sul dondolo. Forse ho capito cos'è davvero l'amore. Forse ho capito che quel sentimento mi toglierà il respiro e mi farà ridere imbarazzata. Voglio anch'io un amore così. Uno devastante, disarmante. Angie mi sorride ed io rido. «Tu va' a vestirti, hai la tua cena di lavoro!» strepito. China il volto, imbarazzata, guardandosi nervosamente le dita dei piedi scalzi. «Violetta?» «Mmh?!» «Credo metterò i tacchi.»
   
 
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