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Autore: naisia    10/08/2016    4 recensioni
Dal primo capitolo:"La terraferma è un luogo insidioso e pieno di pericoli, e le creature che lo abitano, gli umani, sono perfino peggio, non devi mai avvicinarti a loro!"
Consapevole che farò rivoltare il povero Hans Christian Andersen nella tomba ecco a voi il più famoso consulente investigativo di Londra tramutato in un sirenetto.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Augustus Magnussen, Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 18: The game is off (prima parte).
 
 

Whaaaaaaat? Un aggiornamento dopo solo due giorni? Ed è un capitolo di più di quattromila parole? (anche se molte di queste sono sclerate senza senso) Eh già! \^∆^/ pare proprio che l’energy drink che ho provato in palestra mentre cercavo di battere il mio record di corsa, abbia dei piacevoli (o spiacevoli, dipende dai punti di vista) effetti collaterali. In compenso, non vi preoccupate, in questo capitolo nulla di importante accade; più che altro si posizionano sulla scacchiera i pezzi per questo rendez vous della muerte. Chi vincerà? Chi perderà? E chi verrà miseramente calciorotato fuori da questa Fanfiction miserevole? Non lo scoprirete in questo capitolo (che bello posso straparlare quanto voglio e dare la colpa alla sbobba energetica) <3.
 
 

John si sfiorò la ferita con circospezione. La pallottola aveva trapassato la spalla da parte a parte, ma fortunatamente non aveva leso nessuna vena importante, o sarebbe certamente morto dissanguato. Ci era voluta molta pazienza e concentrazione per ricucirla da solo. Per fortuna Moriarty gli aveva reso inutilizzabile il braccio sinistro e lui era destrorso.
 
Ripose ordinatamente il filo e l’ago da chirurgo dentro la scatola del pronto soccorso che teneva nella grotta in caso di emergenza. Mycroft aveva fatto riportare verso la terra lui e Mike, ancora svenuto, da due dei tritoni con cui era comparso: la ragazza di colore e l’uomo dai capelli brizzolati. Dopo che avevano lasciato il pescatore su una spiaggetta isolata (dove probabilmente si sarebbe risvegliato senza ricordare come ci fosse arrivato) i due, grazie alle sue indicazioni, lo avevano accompagnato alla caverna
 
Si erano presentati come Gregory Lestrade e Sally Donovan.
 
Nonostante il primo fosse stato abbastanza cortese, al contrario della donna che lo fissava in cagnesco con una determinazione encomiabile, John non si faceva troppe illusioni sul motivo per cui erano con lui.
 
Era un sorvegliato speciale, anche se lo avevano medicato provvisoriamente permettendogli di arrivare vivo fino alla caverna, le due creature non si fidavano di lui. Era un nemico.
 
Un nemico che aveva salvato la vita ad uno di loro, anche se aveva l’impressione che Donovan non gli fosse esattamente grata di questo, ma pur sempre un nemico, e molto pericoloso.
 
Con tutta probabilità in quel momento Mycroft stava facendo del suo meglio con il consiglio degli anziani per evitargli la pena capitale.
 
Ma a John questo non importava.
 
Sapeva che avrebbe dovuto essere preoccupato per la piega improvvisa che avevano preso gli eventi, ma l’unico pensiero che occupava la sua mente in quel momento era Sherlock.
 
Sherlock che era prigioniero di quel bastardo di Moriarty, Sherlock che probabilmente credeva fosse morto, Sherlock che lo baciava. . .
 
 
A quel ricordo, il ricordo di quelle labbra bagnate e calde che si posavano leggermente dischiuse sulle sue, sentì lo stomaco fare una capriola. Lui non era gay. L’aver baciato  (perché ormai non poteva più fingere che fosse stato solo Sherlock a baciarlo, oh no, lui aveva risposto e con entusiasmo) il suo migliore amico avrebbe dovuto riempirlo di imbarazzo, ma così non era. Si sentiva solamente in colpa verso Mary: perché ciò che la sua fidanzata provava per lui, John Watson lo provava per qualcun altro.
 
Si passò la mano sana sul viso, inspirando profondamente. Lui non era gay, non gli veniva in mente nessun uomo prima del moro per cui avesse provato attrazione.
 
Decise di accantonare momentaneamente la questione, non era importante, ci avrebbe pensato dopo aver salvato Sherlock. E aver restituito il favore a Moriarty.
 
“Puoi smetterla per favore?” la voce della sirena bruna lo ridestò dai suoi pensieri. Si rese conto solo in quel momento che aveva passato tutto il tempo dondolando il piede destro e battendo il tallone ritmicamente contro la roccia dello scoglio su cui era seduto. “Scusa” disse interrompendosi immediatamente “Mi capita quando sono sovrappensiero” aggiunse con un sorriso conciliante. Davvero non capiva che motivazioni potesse avere la donna per essere così sul piede di guerra nei suoi confronti.
 
Per tutta risposta Sally sbuffò con irritazione “Non bastava lo strambo, adesso dobbiamo occuparci anche del suo animaletto da compagnia a quattro zampe” borbottò muovendosi nervosamente nell’acqua vicino all’entrata della caverna.
 
A quel commento acido John abbandonò tutti i suoi propositi di buona volontà “Per prima cosa io non sono l’animaletto di nessuno, e non chiamare Sherlock strambo!” sbottò guardandola di traverso. Donovan emise un verso sdegnato “Siete tutti così in superficie oppure il geniaccio è stato solo parecchio fortunato? Effettivamente ora che ci penso non devi essere molto normale neppure tu, lo hai sopportato per più di due mesi senza ucciderlo o mangiartelo. Cosa sei una specie di stramboide anche tu per i tuoi simili?” chiese con tono derisorio.
 
In quel momento ogni traccia di cortesia abbandonò i sentimenti che John nutriva per quella donna “Il mio nome è John Hamish Watson, sono un medico, curo le persone aiuto la polizia ad arrestare gli assassini e nel tempo libero gioco a Rugby nella squadra di paese e, no, non ho mai avuto l’impulso di mangiare Sherlock che, tanto per la cronaca, è l’essere più brillante, incredibile e fantastico che abbia mai avuto l’onore di conoscere!” sbottò il dottore, intimamente soddisfatto dall’espressione confusa e sorpresa che esibì Sally nell’udire quella filippica.
 
Alla sirena tuttavia ci vollero pochi secondi per riprendere di controllo; si accigliò e aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotta dalla mano di Gregory, che si posò tranquillamente sul braccio della donna.
 
“Penso che possa bastare Sally” disse in modo pacato ma con un tono che non ammetteva repliche. Poi si volse ad osservare l’imboccatura della grotta “Potresti andare a dare un’occhiata all’esterno, non mi sento tranquillo così vicino alla terraferma, non vorrei che qualcuno venisse a curiosare”. La donna aprì la bocca per ribattere ma scorgendo l’occhiata ammonitrice dell’altro alzò con rassegnazione le braccia, borbottando un “Come vuoi tu capo” e si immerse con un guizzo della iridescente coda verdazzurra.
 
Quando la pinna caudale scomparve oltre l’arco di roccia Greg si lasciò andare ad un sospiro “Scusala, tutti quelli della mia gente sono abituati a considerare voi umani come una minaccia, e le storie che si raccontano su di voi ai piccoli per tenerli lontani dalla costa si sono ingigantite molto negli ultimi secoli. In ogni caso Sally non è mai stata esattamente un tipo tenero, e il solo fatto che tu sia amico di Sherlock. . .bhè, direi che sei finito a pieno titolo nella sua ‘lista nera’” disse.
 
“Non ti preoccupare, ho convissuto con il minore degli Holmes negli ultimi due mesi, sono abituato a ben di peggio” rispose John con un sorriso. Gregory gli stava simpatico, probabilmente se fosse stato un umano sarebbero stati amici e avrebbero passato il venerdì sera al pub a bere e a raccontarsi come era andata la settimana. “Comunque piacere di conoscerti Gavin” aggiunse John sorridendo e calcando apposta il tono sul nome sbagliato che gli aveva detto Sherlock quando avevano parlato dei suoi amici e conoscenti.
 
Lestrade aprì la bocca in automatico per correggerlo, poi vedendo il dottore ridacchiare alzò gli occhi al cielo ed emise un gemito sconsolato “Oh, per l’amor di Nettuno! Quel piccolo. . .! Non imparerà mai il mio nome vero? Sono suo cognato dannazione!” sbottò indignato.
 
John smise immediatamente di ridere per guardarlo sorpreso “Cognato? Credevo che ci fossero solo due fratelli Holmes” obbiettò perplesso. Gregory inarcò un sopracciglio “È così infatti” disse “Io sono il compagno di Mycroft” aggiunse a mo’ di precisazione. Al dottore ci vollero alcuni secondi per registrare l’informazione, prima di limitarsi a commentare “ah. . .”.
 
Nella grotta cadde improvvisamente un silenzio imbarazzante “quindi tu e Mycroft. . .” “Già. . .” dopo qualche secondo Lestrade aggrottò la fronte “Le relazioni tra due uomini non sono ben viste tra gli umani?” chiese leggermente contrariato. Sentendosi sotto accusa John si affrettò a rispondere “No, no, no. . .è solo che. . .bhè Mycroft è. . .Mycroft” disse sperando che l’altro riuscisse a comprende cosa stava cercando far capire. Da quello che Sherlock gli aveva raccontato aveva intuito che il maggiore della coppia non doveva essere esattamente qualcuno che avresti invitato volentieri alla cena di Natale.
 
Greg sorrise comprensivo “Gli Holmes giocano a fare i freddi calcolatori senz’anima, ma sotto sotto non sono sempre così distaccati come vorrebbero far credere al resto del mondo. Basta armarsi di pazienza e costanza e dopo qualche tempo si riesce a scalfire la corazza. . .  nel caso di Myc anche una rompighiaccio può essere utile” aggiunse seriamente.
 
Qualche secondo più tardi scoppiarono a ridere entrambi, ma subito il pensiero di Sherlock prigioniero si fece strada nel cuore di John, bloccandogli la risata in gola e facendolo sentire tremendamente in colpa. Lestrade comprese al volo cosa l’altro avesse in mente e si fece serio anche lui “Sei preoccupato per Sherlock non è vero?”mormorò al medico, prima di avvicinarsi con un paio di colpi di coda allo scoglio dove era seduto l’altro.
 
Il silenzio di John fu assertivo, così Greg proseguì “Non stare troppo in pensiero. Ha le squame dure. Non conosco questo Moriarty, ma se dovessi scommettere chi tra loro due uscirà vivo da questa situazione, bhè, punterei tutto sul nostro Sherlock” disse, sperando si risollevare l’animo del biondo. Il dottore scrollò il capo, poggiando il gomito sano sul ginocchio e la fronte sul palmo della mano “Non è questo. . .Io. . . mi sono sempre preso cura di lui da quando ci siamo conosciuti e ora mi sento impotente. Dovrei essere lì con lui in questo momento, a prendere a calci quel dannato psicopatico, non qui senza far nulla” disse con voce carica di frustrazione.
 
Gregory gli posò una delle mani palmate sul ginocchio, cercando di prestare un minimo di conforto. Non osava pensare a cosa avrebbe fatto lui se ci fosse stato Mycroft al posto del fratello , e pregò che una cosa del genere non dovesse mai accadere al maggiore degli Holmes. “Ce lo riprenderemo vedrai, se pensi che sarà difficile salvarlo da Moriarty aspetta di vedere che faccia faranno gli anziani quando diremo loro di voi due” aggiunse con un sorriso complice.
 
 
A quelle parole John boccheggiò visibilmente in imbarazzo “ah, ecco noi. . . noi non siamo. . .una coppia” mormorò con filo di voce. Ma che gli prendeva? Ogni volta che qualcuno lo aveva insinuato in precedenza il suo diniego era stato sicuro e secco, ora invece si sentiva imbarazzato come una liceale. Greg inarcò le sopracciglia, sorpreso “Sul serio? Mi eravate sembrati molto. . .in sintonia, e poi è raro che qualcuno attiri l’attenzione di Sherlock, figuriamoci interessarlo al punto di salvargli la vita” disse scrollando le spalle.
 
Ma John a quelle parole si fece attento “Che intendi con salvargli la vita?” chiese perplesso, il tritone non gli aveva mai evitato la morte (anche se quel testone era stato capace di mettersi in pericolo pur di aiutarlo). Lestrade si fece serio “Scusa hai detto che vi siete incontrati subito dopo la tempesta di due mesi fa no?” “È così infatti.” “E che Sherlock era rimasto ferito gravemente dalla colluttazione contro gli scogli” il dottore annuì.
 
“John, Sherlock è uno dei migliori nuotatori della nostra colonia. Anche se è così magro è molto veloce e estremamente forte, e persino i piccoli più inesperti sanno che durante una tempesta non bisogna mai avvicinarsi ad una costa. Non sarò un Holmes, ma anch’io so fare due più due. La tua barca è andata distrutta e tu sei finito in mare no? Come credi di essere sopravvissuto?” disse Gregory semplicemente. Per lui era stato ovvio sin dal primo momento che fosse stato il cognato a salvare l’umano, l’unica incognita era perché Sherlock non lo avesse detto al medico.
 
John aprì la bocca per replicare, ma uno sciabordio lo interruppe. Poco lontano dall’entrata subacquea emerse Mycroft accompagnato da Sally, il volto scuro come la nuvola di un temporale. Prima che qualcuno potesse chiedere qualunque cosa il tritone parlò “Hanno detto che non possiamo fidarci di un essere umano, anche se si è preso cura di uno di noi senza rivelare la nostra esistenza. Vogliono che lei subisca la pena capitale” disse lapidario. “Per quello che vale” aggiunse “Mi dispiace”.
 
Il dottore rimase in silenzio per qualche istante, fissando il fratello di Sherlock con la fronte aggrottata e la mascella contratta. Greg aprì la bocca per obbiettare a quegli ordini assurdi ma John lo precedette “In cosa consiste la pena capitale?” chiese con tono fermo. Mycroft sospirò “Morte tramite decapitazione” rispose semplicemente “Ma dato che è impossibile che lei raggiunga il luogo dell’esecuzione vivo credo che il Consiglio si accontenterà del suo annegamento, dopodiché il suo corpo sarà abbandonato su una spiaggia. Sembrerà un incidente” aggiunse.
 
Il biondo trasse un profondo respiro, e chinò il capo. Dopo qualche istante di silenzio parlò, questa volta la sua voce aveva un’inflessione sorprendentemente dura “Cosa ne sarà di Sherlock?” chiese alzando la testa e fissando negli occhi il suo interlocutore. Per la prima volta dopo molti anni Mycroft non riuscì a fissare negli occhi qualcuno. “Secondo gli anziani sarebbe molto più problematico continuare a celare la nostra esistenza se attaccassimo apertamente una nave piena di umani. Sperano che Moriarty e Magnussent tengano per loro questa informazione, almeno per il momento. Per quando l’avranno rivelata al mondo noi ci saremo già allontanati da qui. Ora come ora l’unico obbiettivo del Consiglio per quanto riguarda la nostra colonia e la nostra gente è sopravvivere” disse senza mostrare alcuna emozione.
 
John annuì, contraendo le labbra e fissando la parete di roccia alla sua destra “Quindi è questo il piano” commento “Non fare niente” concluse aspramente. “John, noi. . .” “E lei è d’accordo non è vero?” lo interruppe il medico. Il maggiore degli Holmes chiuse gli occhi e rimase in silenzio, mentre una collera sorda gli montava dentro.
 
“Myc. . .” provò Lestrade, ma non c’era nulla che potesse fermare il suo compagno in quel momento. Gli occhi color acciaio di Mycroft si fissarono in quelli dalle tinte dell’oceano del medico. “Ho passato tutta la vita a cercare di proteggere mio fratello da tutto quanto. Da voi umani come dai membri più ottusi del mio popolo. Quelli come noi non trovano facilmente qualcuno in grado di comprenderli dottor Watson, e Sherlock è sempre stato incapace di scendere a compromessi con il resto del mondo. Davvero pensa di avere il diritto di giudicarmi?” chiese con furia appena celata dietro al portamento come sempre impeccabile.
 
John si sporse appena verso il tritone, non accennando ad abbassare lo sguardo “Ma questo non cambia le cose non è vero? Lascerà che un pazzo assassino faccia di lui quello che vuole perché questo sono le regole mh?” chiese amaramente ironico. “Che cos’altro potrei fare?” sibilò Mycroft.
 
Per qualche secondo nella grotta regnò un silenzio assordante, carico di una tensione che rendeva elettrica l’aria e l’acqua. Lestrade e Donovan osservavano i due avversari che sembravano sul punto di saltare uno alla gola dell’altro, osando a malapena fiatare.
 
“Potremmo andare a riprendercelo”.
 
Inaspettatamente fu Greg ad interrompere quello stallo che si era venuto a creare. Tutti gli sguardi conversero su di lui, che si strofinò la nuca imbarazzato. “Sherlock intendo” aggiunse, quasi temesse di non essere stato abbastanza chiaro. “È vero, siamo in minoranza, ma possiamo sempre contare sull’effetto sorpresa e poi cosa abbiamo da perdere? Se non lo facciamo con tutta probabilità Sherlock morirà, e John morirà in ogni caso quindi. . .”
 
Mycroft guardò il suo compagno di vita sorpreso “Gregory. . .” mormorò, senza però riuscire ad aggiungere altro. Poi si riebbe dallo stupore e si ricompose nel suo contegno ordinario “Non se ne parla. Le regole esistono per essere rispettate, e comunque non abbiamo nessuna possibilità di farcela. Non ho intenzione di assecondare un progetto destinato al fallimento certo e che porterebbe non solo alla mia estromissione dal consiglio, ma con tutta probabilità all’esilio per tutti noi.” disse freddamente.
 
“Dimentichi una cosa mr Holmes” la voce di John, vagamente divertita giunse agli altri leggermente distorta dall’eco della caverna. Il medico infatti si era alzato in piedi ed era indietreggiato di qualche passo, mettendo tra se e la riva rocciosa almeno un paio di metri. “Il fatto è che temo di avere quel minimo sindacale di istinto di conservazione che purtroppo mi impedirà di seguirvi fino al luogo della mia esecuzione” disse sedendosi su un rilievo di pietra scura a distanza di sicurezza dall’acqua.
 
Mycroft lo fissò infastidito “Non mi pare di averle concesso di rivolgersi a me in modo così colloquiale dottor Watson” ribatté. Il biondo ignorò completamente la protesta dell’altro “Quanto credi che sarebbe benefico per la tua immagine l’essersi lasciato scappare un pericoloso umano come me?” chiese sorridendo. Il maggiore dei fratelli Holmes si irrigidì mentre osservava quel piccolo uomo e si pentiva di averlo sottovalutato a tal punto.
 
 “Quello che intendo dire” Riprese John senza abbandonare l’espressione divertita “È che se vuoi che la tua parola continui a valere qualcosa presso il circolo di vecchi rimbambiti che avete come capi ti conviene ascoltare quello che ho in mente. Oh, e senza interrompermi, non amo quando la gente mi interrompe” concluse tranquillamente.
 
Lestrade dovette seriamente sforzarsi per mantenere il controllo e non scoppiare a ridere, aveva come l’impressione che il suo Myc non avrebbe gradito. Si chiese distrattamente se quell’umano fosse così prima di incontrare Sherlock o se il loro sociopatico iperattivo avesse avuto qualche effetto malefico sulla personalità del dottore.
 
“D’accordo” capitolò infine il tritone “Qual è il piano?”
 
***
 
 
Da ormai quattro ore Sherlock si trovava in stato catatonico, rifugiato nel suo Mind palace, le porte d’ingresso chiuse a doppia mandata. Nessuno doveva disturbarlo, soprattutto Moriarty con i suoi folli sproloqui, o non avrebbe mai trovato il modo.
 
Nulla fin’ora era riuscito a farlo uscire dallo stato di furiosa e gelida determinazione in cui si trovava. Jim aveva avuto quasi due esaurimenti nervosi nel tentativo di risvegliarlo. E il fatto che il suo nemico, già parecchio oltre la soglia della insanità mentale, fosse ancora meno padrone di sé giocava completamente a favore di Sherlock.
 
Moriarty in quel momento era pazzo di rabbia.
 
E le persone pazze di rabbia sono facilmente impulsive.
 
E le persone impulsive commettono errori.
 
Piccoli, minuscoli,importantissimi errori.
 
Studiava un piano e intanto indeboliva le difese del suo nemico, probabilmente John e le sue perle di saggezza popolare avrebbero definito quella situazione “prendere due piccioni con una fava”.
 
John.
 
Il suo nome era doloroso come un attizzatoio rovente premuto nella carne, il pensiero del suo sorriso come una lama, quello della sua voce una frustata.
 
Ed era ferocemente motivatorio.
 
“Sherloooock” nonostante il tritone si fosse barricato nella sua stessa mente non poteva impedire che quella voce, la voce di Moriarty, oltrepassasse le sue barriere. Quella modulazione leziosa e strascicata aveva il potere di farlo impazzire di rabbia, come un mastino in gabbia quando viene pungolato per renderlo ancora più feroce.
 
Il moro aprì gli occhi, restando però perfettamente immobile, sdraiato al centro della sua prigione d’acqua, le mani congiunte sotto il mento.
 
“So cosa stai cercando di fare” la voce di Jim si propagava nel suo spazio vitale, resa metallica dal passaggio attraverso l’interfono. “Cerchi di farmi annoiare” continuò lamentoso. “E ci stai riuscendo benissimo” ammise senza problemi. Poteva immaginarselo mentre con il volto e con i gesti imitava grottescamente una immaginaria versione contrita di sé stesso.
 
Perché, almeno di questo Sherlock era certo, il pentimento non faceva parte della natura di Jim Moriarty.
 
“Ma davvero vuoi giocartela in questo modo? Vuoi punirmi non parlandomi più? Un po’ infantile per il grande Sherlock Holmes non trovi?” chiese, stuzzicando una sua possibile reazione.
 
Ma il tritone si limitò a mantenere il suo ostinato silenzio.
 
“Va bene! Fa come vuoi!” sbottò rabbiosamente colpendo il vetro della sua prigione. Poco dopo un ronzio alla sua destra lo avvisò che la parete divisoria di metallo stava scorrendo nuovamente al suo posto, riportando la sua prigione al precedente aspetto di cinque pareti azzurre e una formata dalle sbarre massicce.
 
“Quasi dimenticavo” aggiunse la voce di Moriarty “La cena è servita”.
 
Lo sguardo azzurro di Sherlock saettò verso la figura scura che si chinava poco sopra la superficie dell’acqua e vi rovesciava dentro il contenuto di un secchio.
 
Un mucchietto di interiora di pesce fluttuò debolmente verso il basso, guadagnandosi un’occhiata disgustata.
 
Sul serio era quella la fine strategia di James? Punirlo con il cibo? Aggiunse il cattivo gusto e la scarsa fantasia alla lista di difetti della sua nemesi. L’unica fortuna era che non avrebbe dovuto sopportarlo ancora a lungo.
 
 Subito però i suoi occhi furono attratti da una figura appena comparsa accanto all’uomo che gli aveva servito il mangime. Anche attraverso l’increspatura della superficie era possibile distinguere i colori monocromatici dei giubbotti antiproiettile indossati dagli uomini di Jim.
 
Osservò il nuovo umano sbeffeggiarlo e insultarlo insieme a quello che gli aveva servito il pasto, al sicuro attraverso le sbarre, troppo strette per far passare il suo corpo.
 
Ma non abbastanza per bloccare un braccio.
 
Sherlock si tirò su di scatto e in un secondo guadagnò l’entrata della sua prigione. Veloce afferrò oltre le sbarre un coltello a scatto che uno dei due uomini portava nella tasca superiore della giubba, e dopo averlo armato lo pianto con forza nel collo dell’uomo, che lanciò un grido di dolore. Ben presto il suo urlo si trasformo in un gorgoglio per il sangue che rifluiva nella gola e lo scagnozzo cadde riverso sulla grata, spruzzando di sangue il volto del tritone.
 
Il moro fu sbalzato via bruscamente dalle sbarre, rese elettrificate da un pulsante d’emergenza schiacciato dall’altro uomo, affondando verso il basso, il corpo raggomitolato su se stesso, le braccia raccolte sotto di sé.
 
Il tutto si era svolto in una manciata di secondi, e solo la sua rapidità gli aveva permesso di colpire l’umano, che ora si stava tamponando affannosamente la gola. La ferita che Sherlock gli aveva inferto non l’avrebbe ucciso se si fosse medicato in fretta.
 
Il secondo, quello che aveva premuto il pulsante di sicurezza, sputò in direzione del tritone. “Stupido mostro” biascicò con un pesante accento slavo, prima di afferrare il compagno e aiutarlo a dirigersi verso l’infermeria.
 
Dopo qualche secondo Sherlock abbandonò la posizione raggomitolata e ammirò la piccola pistola acquatica* che aveva rubato dalla cintura dell’umano ferito, approfittando della confusione.
 
Mostro? Forse.
 
Stupido? Oh, no.
 
Ma una cosa era certa: se doveva precipitare giù all’inferno avrebbe trascinato James Moriarty con sé.
 
Ripensò al generatore di energia* che aveva visto in fondo alla sala dove si affacciava la quarta parete di vetro della sua prigione sorridendo.
 
E sarebbe stata una caduta col botto.
 
***
 
John deglutì cercando di mantenere il controllo sui suoi nervi mentre il cervello gli ripeteva che quella era una pessima, pessima idea. “Sapete, sono quasi certo che esista un modo migliore per arrivare alla nave di Moriarty” commentò mentre, giusto per sicurezza visto che non si sa mai, ricontrollava per la decima volta le cinghie che gli stringevano la cintura.
 
“Rilassati” rispose Sally finendo di affrancare l’altro capo della robusta striscia di pelle di foca “li usiamo sempre quando dobbiamo spostarci velocemente. Questi qua in particolare sono dei veri campioni, i migliori della scuderia” aggiunse, dando una pacca al fianco robusto dell’animale.
 
“Pensavo che volesse raggiungere mio fratello il più velocemente possibile dottor Watson” disse Mycroft, mentre Greg finiva di assicurargli dei legacci simili a quelli che John aveva ai fianchi intorno alle spalle.
 
“È così infatti. Ma pensavo che avrei preso in prestito un scooter d’acqua” obbiettò con tono leggermente lamentoso. Lestrade sorrise “Che magari avrebbe fatto la fine dell’altra barca, per non parlare del fatto che in quel modo ti avrebbero visto arrivare. Non preoccuparti” aggiunse indicando gli animali a cui era attaccato “Sono i più mansueti, di solito trasportano i carichi pesanti, perciò sono addestrati a seguire le coppie davanti a loro”.
 
John deglutì, grato al tritone per il tentativo di conforto perfettamente inutile.
 
“Giuro che se esco vivo da questa storia mi trasferisco nell’entroterra e non mi avvicinerò mai più neanche a una pozzanghera!” ringhiò, scivolando in acqua con una smorfia per il braccio.
 
Nonostante avesse impiegato la mezz’ora che Sally e Mycroft avevano speso per recarsi alle scuderie a requisire i loro mezzi di trasporto, per ingerire antidolorifici e migliorare la fasciatura la spalla si faceva ancora sentire e parecchio.
 
Guardò i giganteschi pesci spada* a cui era legato ondeggiare placidamente nell’acqua, oltre alle cinghie che lo legavano ad essi i due erano agganciati tra di loro. Da quello che aveva detto Sally era per evitare che nel viaggio prendessero due direzioni diverse squartando il passeggero. “Rassicurante” aveva commentato.
 
Inspirò profondamente prima di indossare il respiratore collegato alle bombole, poteva essere il suo ultimo respiro di aria pura.
 
“Pronto?” chiese Mycroft seriamente. John si concesse un secondo prima di annuire.
 
“Sherlock” pensò “Non azzardarti a morire” e premette per sicurezza un’altra volta gli occhialini.
 
Lestrade si posizionò in testa “Andiamo!” ordinò e, trainati dai pesci, i quattro si immersero.
 
 
 

*Non ho la minima idea se ci siano realmente pistole che funzionano sott’acqua (a parte i fucili per la pesca sottomarina, ma quelli hanno una minifiocina al posto dei proiettili e sono piuttosto ingombranti, non certo qualcosa che Sherlock avrebbe potuto nascondere con facilità) ma facciamo finta che esistano, per il bene di una trama che ha già da sola più buchi di un gruviera.
 
* Idem come sopra: non chiedete. (e ringraziate che in ultimo barlume di decenza ho bocciato l’idea del generatole nucleare stile vuecchio suottuomarinuo russuo di guerra friedda, da!)
 
* . . . .sapete che c’è? Credo che andrò a rileggere quello che c’era dentro quell’energy drink. . .e devo anche smetterla di guardare pirati dei caraibi (tartarughe marineeeee)
 
P.s perché i pesce spada? Perché raggiungono come niente i 97 chilometri orari, piazzandosi al secondo posto come pesci più veloci del mondo subito dopo i pesci vela, appartenenti alla stessa famiglia ma decisamente più piccoli, e qui, con uno Sherlock dalle manie suicide/omicide, il tempo inizia a stringere.
   
 
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