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Autore: Bael    26/04/2009    2 recensioni
Non è finita, almeno non ancora, perché a tendere i fili delle marionette non è che la noia. La noia e il fuoco.
Genere: Sovrannaturale, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crimini

Crimini

 

“Ti dico che i documenti arriveranno Adam, smettila di seccarmi” sospira Lene O’Brian. Suo marito, anzi il suo ex marito, continuava a parlarle, ma lei aveva smesso di ascoltarlo da dieci minuti più o meno dal momento in cui aveva iniziato a lamentarsi dei documenti che il suo avvocato non gli aveva ancora fatto arrivare e a sostenere che sarebbe stato meglio se lei l’avesse raggiunto in Inghilterra.

“Qui c’è la tomba di mio figlio Adam, non se ne parla” aveva sbuffato in risposta. Doveva smettere di usare il rossetto: le labbra si appiccicavano ogni volta che le chiudeva e le riapriva.

“L’unica cosa che hai saputo fare come madre è stato seppellirlo, Lene”

“Vaffanculo!” e riattacca.

Quel bastardo, pensa, quello stronzo non sa niente di niente.

Si appoggia sulla scrivania con le mani.

Ora calmati, Lene, si dice, respira. Lo ricordava sempre anche a quelle ragazzine che venivano da lei: “Non ti agitare, fa’ un paio di respiri” glielo diceva con voce annoiata subendo ogni volta sguardi scettici, frustrati, stufi. Erano soprattutto ragazze quelle costrette dalle madri a vedere la psicologa O’Brian. Alcune erano omosessuali e lei doveva stare lì a convincerle che in realtà a loro piacevano i ragazzi, i peli sul petto, e l’idea di farsi gonfiare il ventre da una gravidanza. Lene avrebbe preferito mille volte parlare con le loro stupide mamme, perché erano loro, accidenti, ad avere problemi: “Non è che lei, signora, desidera semplicemente vedere in sua figlia realizzare il sogno della famiglia ideale, che con lei, invece, non si è concretizzato, visto che suo marito la riempie di botte e si scopa un’altra?”

Invece da lei venivano solo delle minorenni scorbutiche e scocciate che avrebbero volentieri dato fuoco alle loro compagne di classe più belle, a quello stronzo che, accidenti, le aveva lasciate, alle loro mamme pretenziose e arroganti e, perché no?, a quella scocciatrice di una psicologa truccata come una stronza di diciassette anni, che pretendeva di capirle.

Frustrante in effetti. Avrebbe dovuto cambiare lavoro, ecco infatti. Prende il giornale e lo apre.

“La porti a teatro” aveva detto alla donna con la faccia triste ed ecco che quella decide di morire proprio a teatro.

La signora Yagami, Yagami come il tipo che lavorava come Nate al caso Kira e che, come Nate, era morto.

Suo marito gliel’aveva detto: “Lascia perdere quella cavolo di Wammy House, tieni Nate lontano da queste stronzate, Lene!”

Ma invece no, perché lei pensava che Nate sarebbe stato grande, avrebbe salvato delle vite, perché lui era un genio.

Avrebbe volentieri ucciso la Lene che aveva pensato queste cose mentre suo figlio gridava sul letto di ospedale inarcandosi tanto da rompersi la schiena. Perché la malattia gli era arrivata fino al cervello, l’aveva fatto impazzire e alla fine il bambino conosciuto dagli altri come Near era morto con la schiena spezzata davanti a lei.

Quando, poi, aveva espresso i suoi sospetti su Kira, sul fatto che non fosse affatto morto, ma che operasse ancora, nessuno aveva voluto crederle. Allora, pensava, i suoi crimini erano stati molteplici: aver abbandonato suo figlio, averlo incontrato solo e soltanto il giorno stesso della sua morte e non avergli potuto rendere giustizia.

Lene sentiva bruciare gli occhi verso l’interno, li sentì inumidirsi, ma li chiuse in tempo per non piangere.

Non hai imparato niente, Lene? Autocontrollo! Si disse.

Rialzò le palpebre.

Tuttavia il fatto che fosse morto un componente della famiglia Yagami non faceva che confermare la sua ipotesi: Kira non era scomparso. Da qualche parte. Si stava vendicando.

 

***

 

Death Note

Anche se l’inglese l’avevo studiato abbastanza male riuscivo a tradurre: “Bloc-notes della morte”.

Lo aprii e trovai una sfilza così fitta di nomi da farmi girare la testa. Scorsi le pagine, e poi quella che sembrava la calligrafia di mio fratello cambiò, vidi alcune pagine strappate e il resto erano fogli bianchi.

Ritornai alle prime.

Un nome, incidente. Un altro nome, malattia. Nome, suicidio.

Ma perché questi appunti? Forse Light li ha scritti mentre lavorava al caso Kira.

Che cosa avrà voluto dirmi facendomi avere questo quaderno?

Death Note.

Forse significa “quaderno delle morti”, tutte le morti che Light ha attribuito al serial killer degli assassini. Nome, incidente; nome, malattia.

Torno ancora indietro alle primissime pagine, che, invece, sono nere.

“L’umano” e una parola inglese che non so tradurre, poi “ nome scritto su questo quaderno, morirà”

Chiusi il libretto di scatto.

Ma come? Light usava un quaderno di così cattivo gusto per indagare su Kira? Che aveva in testa?

Va bene. È tutto ok, forse ha semplicemente lasciato perdere la forma-scherzo del quaderno e l’ha usato comunque per prendere appunti. Light è fatto così, ignora le piccolezze e pensa a quello che deve fare.

Mi irrigidii subito. Perché stavo usando il presente per parlare di lui?

No, non importa. Quello che deve fare, doveva, DEVO! Devo.

Io devo mettere in ordine la stanza, buttare i libri, ma non tutti, no, conservare il quaderno, comunque, ma devo riordinare come voglio io, come dico io. Io sono viva.

Presi tutti gli oggetti che non mi piacevano, qualche Barbie di quando ero piccola che sfilava come una regina sulla mensola di legno, tutte le penne e i colori consumati, un tappo blu, il moschettone di una collana che avevo rotto a tredici anni, la carta di una merendina, CD inservibili per i graffi, custodie vuote, una scatoletta con le carte da gioco coi cartoni animati. Poi rimisi in ordine, cambiai la disposizione di alcuni oggetti. Così è più bello, più spazioso, più elegante, con i libri sopra, la mensola che ho sformato col piede sembra dritta come prima, il pavimento è pulito, i cassetti finalmente in ordine. Bene.

Guardai sulla scrivania. C’era solo il quaderno nero.

Fuori dalla finestra ormai è buio e ha finito di piovere. Ora devo preparare qualcosa.

Però in casa sicuramente non c’è niente: erano passati due anni da quando io e mia madre eravamo andate ad abitare in campagna. Non potevo cucinare, mi sarei dovuta accontentare del panino che avevo comprato fuori.

Mi alzai in piedi e abbassai la maniglia. Le ginocchia mi facevano male per tutto il tempo in cui ero stata inginocchiata a scegliere quali oggetti cestinare e quali no.

Il panino dovevo averlo lasciato nello zainetto sul divano, ora…

“Sayu. Ora non gridare”

Il corpo si gela. Il Dolore. Il dolore al petto.

Mi giro di scatto e …

“AAAAAAAAAAH!”

Tumtumtumtumtumtum

“AAAAAAAAAAH!”

Cado a terra, sbattendo contro la porta socchiusa dietro di me che si spalanca per l’urto, quasi non sento il dolore alla gamba alle caviglie. Solo il petto.

Tumtumtumtumtumtum

“Zitta! Non gridare!”

“AAAAAAAAAAAH!”

L’aria nella gola vibra, taglia, fa a brandelli.

Mio Dio! Mio Dio!

Mi giro e cerco di strisciare, allungo le mani, ma qualcosa preme sulle mie labbra.

“Sayu, calmati, maledizione! Non ti faccio niente, calmati!”

Inspiro, una volta, poi due.

“Mmmmh” un lamento lungo, quasi un ringhio, mentre le lacrime scendono dagli occhi.

No. No! Fuggire, lontano. Ho paura. Paura!

“Calmati!” la sua voce vibra di impazienza, il mio corpo si irrigidisce e la voce sparisce.

La mano si stacca dalla mia bocca. “Sapevo che avresti reagito così. Hai toccato il quaderno?”

La testa trema, ma riesco comunque a fare un cenno di assenso.

Gli davo ancora le spalle e i miei occhi fissavano il battiscopa e la porta della sua camera davanti alla mia.

“Chi l’avrebbe detto. Alla fine persino tu hai aperto un libro”

Mi … mi stava prendendo in giro? Ma allora …

Girai la testa e sollevai la mano fino a toccargli la guancia con la punta delle dita.

Era vero!

La sua espressione all’inizio era stupita, poi accigliata e improvvisamente la mia mano che toccava la sua pelle vi passò attraverso come se fosse aria.

“Non illuderti che io sia vivo. Non lo sono”

Mi uscì dalla bocca una risata simile a un singhiozzo.

“E allora sono impazzita, alla fine”constatai.

Lui si alzò in piedi e mi guardò.

“Non lo sei”

“Ah davvero?! Sto parlando con mio fratello morto! Ora chi arriva? Papà? Mamma? Anche loro mi diranno che sono sana di mente?”

“Sono uno Shinigami, Sayu, non un fantasma”

Chiusi gli occhi e presi un po’ di tempo per respirare. Passò qualche secondo, quando li riaprii Light era ancora lì.

“Adesso mi viene un infarto” dissi.

“Sarebbe ironico. Hai letto le regole del quaderno?”

“No. La prima regola sì, ma poi l’ho chiuso, l’ho trovato di cattivo gusto” dissi.

“Pessimo, mamma è appena morta”

Light sembrò stupirsene.

“Anche lei?”

Non risposi, lo guardai: dai capelli cresciuti agli abiti incrostati di fango secco.

“Quel quaderno è lo strumento con cui gli Shinigami uccidono” disse.

“Questa …”dissi.

“Questa è follia!” mi alzai di scatto e mi diressi al salone.

“Dove vai, Sayu?”

Lo zaino, eccolo, cercai nella tasca esterna. Ecco qui: il biglietto da visita della psicologa, col numero di telefono. Se avevo la lucidità di chiamarla significava che per me c’era ancora speranza.

Composi il numero. Squilla, è libero.

Tuuu, tuuu.

“Pronto?”

“MA CHE FAI?”

Qualcosa mi strappò la cornetta dalle mani sbattendola sul telefono. Non qualcosa: lui, Light.

Indietreggiai spaventata. Light non mi aveva mai trattata con violenza.

“Tu non mi credi, vero? Non credi ancora a tutto questo” mi prese per la spalla trascinandomi ancora in camera mia, mi spinse verso la finestra e poi mi raggiunse e con la mano aperta sulla schiena mi costrinse a rimanere dov’ero.

“Guarda” ordinò.

Vidi i passanti sul marciapiede, lui prese un altro quaderno che aveva fissato alla cintura e scrisse. Ripensai alle sue parole.

“No!” cercai di dimenarmi per spostarmi.

“Guarda!”

“NO!”

Poi accadde: una vecchia signora con i suoi due nipotini oscillò per un attimo, poi cadde a terra.

Stavolta riuscii a liberarmi dalla mano di Light i miei piedi scivolarono e sul pavimento.

“Ma che hai fatto?” gli gridai in lacrime.

“Che hai fatto?”

“Adesso mi credi?”

“NO!” strillai sbattendo un piede a terra furiosa.

“Tu non sei mio fratello, tu sei un diavolo, un mostro con le sembianze di Light!”

La sua bocca si aprì appena per lo stupore poi il suo volto tornò impassibile e senza accorgermene mi ritrovai le sue braccia a circondarmi il corpo.

“Sono Light, Sayu. Lo sai che sono io. Tu non vuoi che me ne vada”

Rimasi zitta e paralizzata.

“Tu non lo vuoi” insistette.

“Io sono uno Shinigami con origini umane, sono più debole e morirò presto”

Soffocai un “No” in un singhiozzo.

“Morirò se non scrivi su quel quaderno, Sayu”

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Questo spazio lo dedico ai ringraziamenti per le recensioni. Vi sono molto grato per i vostri commenti:

Bleus De Methylene: grazie per i complimenti. Anche il primo commento che hai lasciato mi ha fatto molto piacere in quanto hai compreso il senso del titolo e mi ha soddisfatto che questo dettaglio fosse stato colto. Poi: per Sayu sono stato un po’ in ansia, non voglio farla cadere nell’OOC, infatti cerco di renderla plausibile e penso che nessuno sarebbe ancora vivace e spensierato dopo un rapimento e la morte dell’intera famiglia. Sono lieto che ti piaccia.

Darseey: sono felice che non sia solo lo yaoi a essere seguito con interesse. In effetti la cosa mi stava preoccupando. Spero tanto di non creare confusione quando faccio prevalere l’introspezione: ho il brutto vizio di far impazzire i personaggi XD

Francy91: la tua recensione è bella densa, dovrei proprio scriverti una risposta meritevole ;D. E’ molto interessante immaginare che quello che ti piace ti svuoti, davvero. Ora che hai questa bella opinione della storia ho una grande, grande paura di deludere le tue aspettative: se una Sayu che grida e un Light assuefatto dalla pioggia sono immagini efficaci magari quando le cose si faranno più statiche la mia storia ti piacerà meno. Be’ allora farò di tutto per evitarlo. Se anche questo capitolo ti emoziona vado a festeggiare XD.

  
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