Crimini
“Ti dico che i documenti arriveranno Adam, smettila di
seccarmi” sospira Lene O’Brian. Suo marito, anzi il suo ex marito, continuava a
parlarle, ma lei aveva smesso di ascoltarlo da dieci minuti più o meno dal momento
in cui aveva iniziato a lamentarsi dei documenti che il suo avvocato non gli
aveva ancora fatto arrivare e a sostenere che sarebbe stato meglio se lei l’avesse
raggiunto in Inghilterra.
“Qui c’è la tomba di mio figlio Adam, non se ne parla”
aveva sbuffato in risposta. Doveva smettere di usare il rossetto: le labbra si
appiccicavano ogni volta che le chiudeva e le riapriva.
“L’unica cosa che hai saputo fare come madre è stato
seppellirlo, Lene”
“Vaffanculo!” e riattacca.
Quel bastardo, pensa, quello stronzo non sa niente di
niente.
Si appoggia sulla scrivania con le mani.
Ora calmati, Lene, si dice, respira. Lo ricordava sempre
anche a quelle ragazzine che venivano da lei: “Non ti agitare, fa’ un paio di
respiri” glielo diceva con voce annoiata subendo ogni volta sguardi scettici, frustrati,
stufi. Erano soprattutto ragazze quelle costrette dalle madri a vedere la
psicologa O’Brian. Alcune erano omosessuali e lei doveva stare lì a convincerle
che in realtà a loro piacevano i ragazzi, i peli sul petto, e l’idea di farsi
gonfiare il ventre da una gravidanza. Lene avrebbe preferito mille volte
parlare con le loro stupide mamme, perché erano loro, accidenti, ad avere
problemi: “Non è che lei, signora, desidera semplicemente vedere in sua figlia realizzare
il sogno della famiglia ideale, che con lei, invece, non si è concretizzato,
visto che suo marito la riempie di botte e si scopa un’altra?”
Invece da lei venivano solo delle minorenni scorbutiche e
scocciate che avrebbero volentieri dato fuoco alle loro compagne di classe più
belle, a quello stronzo che, accidenti, le aveva lasciate, alle loro mamme
pretenziose e arroganti e, perché no?, a quella scocciatrice di una psicologa
truccata come una stronza di diciassette anni, che pretendeva di capirle.
Frustrante in effetti. Avrebbe dovuto cambiare lavoro,
ecco infatti. Prende il giornale e lo apre.
“La porti a teatro” aveva detto alla donna con la faccia
triste ed ecco che quella decide di morire proprio a teatro.
La signora Yagami, Yagami come il tipo che lavorava come
Nate al caso Kira e che, come Nate, era morto.
Suo marito gliel’aveva detto: “Lascia perdere quella
cavolo di Wammy House, tieni Nate lontano da queste stronzate, Lene!”
Ma invece no, perché lei pensava che Nate sarebbe stato
grande, avrebbe salvato delle vite, perché lui era un genio.
Avrebbe volentieri ucciso la Lene che aveva pensato
queste cose mentre suo figlio gridava sul letto di ospedale inarcandosi tanto
da rompersi la schiena. Perché la malattia gli era arrivata fino al cervello, l’aveva
fatto impazzire e alla fine il bambino conosciuto dagli altri come Near era
morto con la schiena spezzata davanti a lei.
Quando, poi, aveva espresso i suoi sospetti su Kira, sul
fatto che non fosse affatto morto, ma che operasse ancora, nessuno aveva voluto
crederle. Allora, pensava, i suoi crimini erano stati molteplici: aver
abbandonato suo figlio, averlo incontrato solo e soltanto il giorno stesso
della sua morte e non avergli potuto rendere giustizia.
Lene sentiva bruciare gli occhi verso l’interno, li sentì
inumidirsi, ma li chiuse in tempo per non piangere.
Non hai imparato niente, Lene? Autocontrollo! Si disse.
Rialzò le palpebre.
Tuttavia il fatto che fosse morto un componente della
famiglia Yagami non faceva che confermare la sua ipotesi: Kira non era scomparso.
Da qualche parte. Si stava vendicando.
***
Death Note
Anche se l’inglese l’avevo studiato abbastanza male
riuscivo a tradurre: “Bloc-notes della morte”.
Lo aprii e trovai una sfilza così fitta di nomi da farmi
girare la testa. Scorsi le pagine, e poi quella che sembrava la calligrafia di
mio fratello cambiò, vidi alcune pagine strappate e il resto erano fogli
bianchi.
Ritornai alle prime.
Un nome, incidente. Un altro nome, malattia. Nome,
suicidio.
Ma perché questi appunti? Forse Light li ha scritti
mentre lavorava al caso Kira.
Che cosa avrà voluto dirmi facendomi avere questo
quaderno?
Death Note.
Forse significa “quaderno delle morti”, tutte le morti
che Light ha attribuito al serial killer degli assassini. Nome, incidente;
nome, malattia.
Torno ancora indietro alle primissime pagine, che,
invece, sono nere.
“L’umano” e una parola inglese che non so tradurre, poi “
nome scritto su questo quaderno, morirà”
Chiusi il libretto di scatto.
Ma come? Light usava un quaderno di così cattivo gusto
per indagare su Kira? Che aveva in testa?
Va bene. È tutto ok, forse ha semplicemente lasciato
perdere la forma-scherzo del quaderno e l’ha usato comunque per prendere
appunti. Light è fatto così, ignora le piccolezze e pensa a quello che deve
fare.
Mi irrigidii subito. Perché stavo usando il presente per
parlare di lui?
No, non importa. Quello che deve fare, doveva, DEVO!
Devo.
Io devo mettere in ordine la stanza, buttare i libri, ma
non tutti, no, conservare il quaderno, comunque, ma devo riordinare come voglio
io, come dico io. Io sono viva.
Presi tutti gli oggetti che non mi piacevano, qualche
Barbie di quando ero piccola che sfilava come una regina sulla mensola di legno,
tutte le penne e i colori consumati, un tappo blu, il moschettone di una
collana che avevo rotto a tredici anni, la carta di una merendina, CD
inservibili per i graffi, custodie vuote, una scatoletta con le carte da gioco
coi cartoni animati. Poi rimisi in ordine, cambiai la disposizione di alcuni
oggetti. Così è più bello, più spazioso, più elegante, con i libri sopra, la
mensola che ho sformato col piede sembra dritta come prima, il pavimento è
pulito, i cassetti finalmente in ordine. Bene.
Guardai sulla scrivania. C’era solo il quaderno nero.
Fuori dalla finestra ormai è buio e ha finito di piovere.
Ora devo preparare qualcosa.
Però in casa sicuramente non c’è niente: erano passati
due anni da quando io e mia madre eravamo andate ad abitare in campagna. Non
potevo cucinare, mi sarei dovuta accontentare del panino che avevo comprato
fuori.
Mi alzai in piedi e abbassai la maniglia. Le ginocchia mi
facevano male per tutto il tempo in cui ero stata inginocchiata a scegliere
quali oggetti cestinare e quali no.
Il panino dovevo averlo lasciato nello zainetto sul
divano, ora…
“Sayu. Ora non gridare”
Il corpo si gela. Il Dolore. Il dolore al petto.
Mi giro di scatto e …
“AAAAAAAAAAH!”
Tumtumtumtumtumtum
“AAAAAAAAAAH!”
Cado a terra, sbattendo contro la porta socchiusa dietro
di me che si spalanca per l’urto, quasi non sento il dolore alla gamba alle
caviglie. Solo il petto.
Tumtumtumtumtumtum
“Zitta! Non gridare!”
“AAAAAAAAAAAH!”
L’aria nella gola vibra, taglia, fa a brandelli.
Mio Dio! Mio Dio!
Mi giro e cerco di strisciare, allungo le mani, ma
qualcosa preme sulle mie labbra.
“Sayu, calmati, maledizione! Non ti faccio niente,
calmati!”
Inspiro, una volta, poi due.
“Mmmmh” un lamento lungo, quasi un ringhio, mentre le
lacrime scendono dagli occhi.
No. No! Fuggire, lontano. Ho paura. Paura!
“Calmati!” la sua voce vibra di impazienza, il mio corpo
si irrigidisce e la voce sparisce.
La mano si stacca dalla mia bocca. “Sapevo che avresti
reagito così. Hai toccato il quaderno?”
La testa trema, ma riesco comunque a fare un cenno di
assenso.
Gli davo ancora le spalle e i miei occhi fissavano il
battiscopa e la porta della sua
camera davanti alla mia.
“Chi l’avrebbe detto. Alla fine persino tu hai aperto un
libro”
Mi … mi stava prendendo in giro? Ma allora …
Girai la testa e sollevai la mano fino a toccargli la
guancia con la punta delle dita.
Era vero!
La sua espressione all’inizio era stupita, poi accigliata
e improvvisamente la mia mano che toccava la sua pelle vi passò attraverso come
se fosse aria.
“Non illuderti che io sia vivo. Non lo sono”
Mi uscì dalla bocca una risata simile a un singhiozzo.
“E allora sono impazzita, alla fine”constatai.
Lui si alzò in piedi e mi guardò.
“Non lo sei”
“Ah davvero?! Sto parlando con mio fratello morto! Ora
chi arriva? Papà? Mamma? Anche loro mi diranno che sono sana di mente?”
“Sono uno Shinigami, Sayu, non un fantasma”
Chiusi gli occhi e presi un po’ di tempo per respirare.
Passò qualche secondo, quando li riaprii Light era ancora lì.
“Adesso mi viene un infarto” dissi.
“Sarebbe ironico. Hai letto le regole del quaderno?”
“No. La prima regola sì, ma poi l’ho chiuso, l’ho trovato
di cattivo gusto” dissi.
“Pessimo, mamma è appena morta”
Light sembrò stupirsene.
“Anche lei?”
Non risposi, lo guardai: dai capelli cresciuti agli abiti
incrostati di fango secco.
“Quel quaderno è lo strumento con cui gli Shinigami
uccidono” disse.
“Questa …”dissi.
“Questa è follia!” mi alzai di scatto e mi diressi al
salone.
“Dove vai, Sayu?”
Lo zaino, eccolo, cercai nella tasca esterna. Ecco qui:
il biglietto da visita della psicologa, col numero di telefono. Se avevo la
lucidità di chiamarla significava che per me c’era ancora speranza.
Composi il numero. Squilla, è libero.
Tuuu, tuuu.
“Pronto?”
“MA CHE FAI?”
Qualcosa mi strappò la cornetta dalle mani sbattendola
sul telefono. Non qualcosa: lui, Light.
Indietreggiai spaventata. Light non mi aveva mai trattata
con violenza.
“Tu non mi credi, vero? Non credi ancora a tutto questo”
mi prese per la spalla trascinandomi ancora in camera mia, mi spinse verso la
finestra e poi mi raggiunse e con la mano aperta sulla schiena mi costrinse a
rimanere dov’ero.
“Guarda” ordinò.
Vidi i passanti sul marciapiede, lui prese un altro
quaderno che aveva fissato alla cintura e scrisse. Ripensai alle sue parole.
“No!” cercai di dimenarmi per spostarmi.
“Guarda!”
“NO!”
Poi accadde: una vecchia signora con i suoi due nipotini
oscillò per un attimo, poi cadde a terra.
Stavolta riuscii a liberarmi dalla mano di Light i miei
piedi scivolarono e sul pavimento.
“Ma che hai fatto?” gli gridai in lacrime.
“Che hai fatto?”
“Adesso mi credi?”
“NO!” strillai sbattendo un piede a terra furiosa.
“Tu non sei mio fratello, tu sei un diavolo, un mostro
con le sembianze di Light!”
La sua bocca si aprì appena per lo stupore poi il suo
volto tornò impassibile e senza accorgermene mi ritrovai le sue braccia a
circondarmi il corpo.
“Sono Light, Sayu. Lo sai che sono io. Tu non vuoi che me
ne vada”
Rimasi zitta e paralizzata.
“Tu non lo vuoi” insistette.
“Io sono uno Shinigami con origini umane, sono più debole
e morirò presto”
Soffocai un “No”
in un singhiozzo.
“Morirò se non scrivi su quel quaderno, Sayu”
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Questo spazio lo dedico ai ringraziamenti per le
recensioni. Vi sono molto grato per i vostri commenti:
Bleus De Methylene: grazie per i complimenti. Anche
il primo commento che hai lasciato mi ha fatto molto piacere in quanto hai
compreso il senso del titolo e mi ha soddisfatto che questo dettaglio fosse
stato colto. Poi: per Sayu sono stato un po’ in ansia, non voglio farla cadere
nell’OOC, infatti cerco di renderla plausibile e penso che nessuno sarebbe
ancora vivace e spensierato dopo un rapimento e la morte dell’intera famiglia.
Sono lieto che ti piaccia.
Darseey: sono felice che non sia solo lo yaoi a essere seguito
con interesse. In effetti la cosa mi stava preoccupando. Spero tanto di non
creare confusione quando faccio prevalere l’introspezione: ho il brutto vizio
di far impazzire i personaggi XD
Francy91: la tua recensione è bella densa, dovrei proprio
scriverti una risposta meritevole ;D. E’ molto interessante immaginare che
quello che ti piace ti svuoti, davvero. Ora che hai questa bella opinione della
storia ho una grande, grande paura di deludere le tue aspettative: se una Sayu
che grida e un Light assuefatto dalla pioggia sono immagini efficaci magari
quando le cose si faranno più statiche la mia storia ti piacerà meno. Be’
allora farò di tutto per evitarlo. Se anche questo capitolo ti emoziona vado a
festeggiare XD.