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Autore: musicislife17    12/08/2016    1 recensioni
In una New York confusa ed elettrizzante come sempre, le vite di tre ragazze cresciute insieme si mescolano e si confondono: Jackie, una giornalista in gamba, ambiziosa e indomabile, in lotta con il proprio caporedattore e con i suoi sentimenti; Autumn, innamorata della musica e dei musicisti, in fuga costante dalla paura di vivere, alla ricerca di tutto e di niente; Annie, innocente per definizione, attratta allo stesso tempo dall’acqua santa, uno studente diligente e amorevole, e dal diavolo, un tatuatore senza tatuaggi, con cui deve fare i conti per la prima volta nella sua vita.
Storie di amore e di amicizia si susseguono nella anormale quotidianità di una famiglia senza precedenti, mentre il passato dei protagonisti sfuma in un presente avvincente e in un futuro indeterminabile. E in mezzo a loro musica, arte, lavoro, sogni e desideri, paure e gelosie, in un crescendo infinito...
-ANCHE SU WATTPAD-
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Autumn si richiuse la porta alle spalle e prese un profondo respiro nell’aria fresca del mattino. Sorrise soddisfatta, le mani nelle tasche della giacca leggera. Aveva voglia di fare un giro nel suo vecchio quartiere, per vedere cosa fosse cambiato durante la sua assenza. Perciò si incamminò di buon passo e oltrepassò il cancello del viale di fronte casa, avviandosi per la strada che tante volte aveva percorso anni prima. Nonostante fosse ancora abbastanza presto, erano da poco passate le otto del mattino, un brulicare di persone era già attivo e pronto ad affrontare la nuova giornata. Autumn vide genitori di fretta alle prese con i propri figli muniti di cartelle scolastiche, pronti ad andare a scuola; i primi negozi stavano già aprendo le porte ai clienti, mentre i caffè e le pasticcerie erano già aperti da un pezzo, affollati da avventori in cerca di un’ottima colazione; lungo la strada si imbatté in diversi appassionati di jogging, tutti muniti di auricolari nelle orecchie e occhiali da sole, e tutti più o meno diretti verso Central Park, il luogo perfetto dove correre.

Autumn decise di seguire il loro esempio e si diresse con calma verso il parco, visibile in fondo alla strada, oltre la selva di edifici che erano il marchio di New York da sempre. Raggiunse quell’oasi di verde e pace e non esitò a recarsi nei pressi del laghetto più vicino, di cui si ricordava precisamente la posizione, dato che tante volte era venuta a fare pic-nic proprio lì insieme alla sua famiglia. Si sedette all’ombra di un’alta quercia rossa, che svettava sulle altre piante con le sue foglie accese. Si prese un momento per osservare il paesaggio intorno a sé e per pensare in tutta tranquillità, distratta solo dalla risata di qualche bambino più in là o dallo sferragliare delle biciclette che sfrecciavano nei lunghi viali del parco. Un venticello si agitò ad un tratto fra le foglie e scompigliò i capelli di Autumn, che aveva posato il capo sul tronco della quercia e meditava ad occhi chiusi sul suo futuro.

Per i quattro anni passati non si era quasi mai posta domande su cosa fare una volta tornata a casa. Aveva solo pensato a viaggiare, a partire ogni volta che voleva, a cambiare aria e vita attraverso i continenti, lasciandosi alle spalle bellissimi ricordi e persone importanti per quell’attimo di esistenza che aveva trascorso lì. Ma adesso che tutto era finito e che doveva necessariamente tornare alla realtà come ogni altro, non sapeva più come muoversi. A New York non aveva nessuna idea su cosa fare, su dove andare, e questo era assurdo, considerando che aveva visitato posti infinitamente più piccoli e vuoti di quella giungla di città e le erano tuttavia parsi pieni di opportunità da sfruttare, di cose da fare. Invece lì si sentiva disarmata, come presa da una paralisi che le impediva di ragionare e decidere.

Avrebbe dovuto trovare un posto dove vivere innanzitutto. Certo, c’era pur sempre la casa di famiglia e Ray non ci avrebbe pensato due volte ad ospitare la figlia, ma in qualche modo Autumn sentiva che in quel caso non avrebbe dovuto chiedergli aiuto. In linea generale Autumn amava la sua indipendenza e libertà, che non a caso l'avevano spinta a viaggiare per il mondo, ma in particolar modo adesso non si sentiva a suo agio a dover pensare di appoggiarsi a Ray. Sentiva che avrebbe dovuto fare tutto da sola, per dimostrare a lui, ma anche ad Annie e soprattutto a Jackie, che se la poteva cavare da sola, che era finalmente cresciuta e diventata matura. Era una questione fondamentale per lei in quel momento, riuscire a compiere quei gesti comuni che avrebbero sancito una volta per tutte il suo ritorno alla normalità. Doveva farcela ad ogni costo e sapeva di poterci riuscire.

Rincuorata, Autumn riaprì gli occhi all’improvviso, pronta ad agire finalmente. Si rialzò dal prato e diede un’ultima occhiata intorno, prima di ripercorrere il viale al contrario e uscire da Central Park. Imboccò una nuova strada e si diresse quasi senza pensare, come se i propri piedi camminassero da soli, verso un luogo che desiderava molto rivedere.

Perché dopotutto una delle poche certezze che Autumn aveva era che non si può pensare di sostenere i ritmi di New York e della vita in generale senza quell’unica necessità, antecedente anche all’urgenza di trovare casa, che erano i soldi.

 

Arrivata al luogo giusto Autumn sollevò lo sguardo sull’insegna del locale e sorrise nostalgica. L'angle des artistes recitava una scritta nera in corsivo, tutta curve e riccioli. Questo era il posto in cui ricordava di aver trascorso il numero maggiore di pomeriggi durante la sua vita da studentessa. Il caffè era riconoscibile per il color azzurro acceso del muro esterno che lo segnalava all’attenzione di tutti i passanti, spesso attirati dal luogo proprio per quel motivo, e dai vivaci tavolini esterni, ognuno di una sgargiante sfumatura diversa. Le grandi finestre davano una perfetta visione dell’interno, che ad Autumn sembrava esattamente uguale a come lo ricordava. Per accertarsene comunque, non aspettò oltre ad entrare all’interno, e trattenne il respiro per l’emozione e la nostalgia.

Fu come fare un tuffo nel passato, come quando per la prima volta entrò lì dentro e ne rimase del tutto affascinata. Il locale rispecchiava in pieno il rifugio della Autumn adolescente. I mobili di legno scuro, i tavolini e le sedie sparsi qua e là, le poltrone e i divanetti negli angoli più lontani, il piccolo palco posto in fondo alla stanza, dove spesso si esibivano musicisti e poeti in erba… e poi l’arte. Arte dappertutto: appesa alle pareti, con quadri e riproduzioni degli artisti più celebri, da Van Gogh a Warhol, passando per Picasso senza distinzione; sugli scaffali dietro il bancone, dove tra una bottiglia e l’altra si nascondevano piccole sculture di artisti indipendenti; nell’aria, agitata dalle note diffuse dagli speaker nascosti, che non disdegnavano nessun genere, abbracciando la musica classica tanto quanto l’alternative rock.

Era semplicemente il paradiso in versione ridotta, un paradiso fatto di piccoli dettagli che Autumn aveva sempre adorato.

Si guardò intorno e notò che il posto era ancora quasi vuoto, dato che generalmente era frequentato dall’ora di pranzo in poi dagli studenti delle varie e prestigiose accademie artistiche che impreziosivano il paesaggio dell’Upper West Side. Unico avventore per il momento era un omino seminascosto nell’oscurità, seduto nella poltrona più lontana dall’ingresso. Autumn lo riconobbe e gli si voleva avvicinare per salutarlo, ma una voce la interruppe.

-Buongiorno a te, señorita. Posso aiutarti in qualche modo?-

La voce suadente ma dal tono leggero bloccò Autumn nel punto in cui si trovava e la fece voltare con un enorme sorriso all’indirizzo dell’uomo.

Gabriél aveva i tratti tipicamente ispanici che il suo nome e il suo accento tradivano da subito. Abbastanza alto, dal fisico visibilmente allenato, come si intravedeva dalla t-shirt nera e da quel poco che il grembiule scuro legato in vita mostrava, aveva la carnagione olivastra, lunghi capelli mossi e neri legati in una coda sulle spalle e una barbetta curata che malcelava il perenne sorriso rilassato sulle labbra pronunciate con cui accoglieva i propri clienti. Gli occhi scuri e quieti, contornati di piccole rughe, scrutavano il mondo da sotto palpebre pesanti, donandogli quell’aria di placidità che lo contraddistingueva in modo inevitabile.

-No, grazie. Sto solo facendo un tuffo nel passato- rispose Autumn avvicinandosi al bancone, dietro il quale Gabriél puliva un bicchiere distratto senza guardarla.

Al sentire la voce di lei però alzò subito gli occhi e la bocca si spalancò per la sorpresa di rivedere Autumn.

-Che mi venga un colpo! Autumn, sei proprio tu?!- quasi urlò per lo stupore.

Lei annuì ridendo e subito Gabriél fece il giro del bancone per salutarla, stringendola in un abbraccio fraterno.

-Non ci posso credere! Sei tornata!- non smetteva di ripetere, stritolandola nella sua presa non proprio delicata.

La lasciò andare solo quando Autumn minacciò di morire per asfissia e prese la ragazza per le spalle, gli occhi che brillavano di gioia e la bocca aperta in un enorme sorriso. La scrutò da capo a piedi, incredulo di rivederla dopo tutto quel tempo.

-Mio Dio, sei proprio tu?- chiese ancora conferma. Autumn rise di gusto e annuì.

-Era da un po’ che non venivo qui, eh?-

-Sul serio! Qualche anno di sicuro… ma dove eri finita?-

Autumn si sedette al bancone su uno degli alti sgabelli e Gabriél la imitò.

-Ho avuto varie cose da fare… ho viaggiato molto, sono appena tornata negli States- confessò lei vaga.

-Buon per te, querida! Ma così all’improvviso?-

Autumn esitò a rispondere ed evitò lo sguardo di Gabriél. Si rigirò fra le mani il lembo della maglia che indossava. Lui capì al volo la situazione, notando quel gesto consueto per Autumn, e sorrise.

-Non me ne vuoi parlare, ho capito. Va bene così. Sono abituato ai tuoi segreti dopotutto- la tranquillizzò lui dandole un buffetto scherzoso sulla guancia.

La ragazza lo ringraziò con gli occhi della comprensione e stava per farlo anche a voce, quando una mano posata sulla sua spalla la fermò.

-Posso avere l’opportunità di salutarti dopo tutto questo tempo?- esordì con una vocina stanca l’ometto che era precedentemente seduto in fondo al locale. Era di bassa statura e abbastanza gracile per l’età, che si aggirava intorno ai cinquant’anni. Aveva un volto triste, malinconico di natura, con occhi infossati dietro gli occhiali spessi e un filo di barba incolta ed ispida. Erano diverse le ipotesi fatte nel corso degli anni per spiegare la perenne uggia che aleggiava intorno alla figura di Garrett, cliente tra i più affezionati del caffè, e andavano dal divorzio risalente ad almeno vent’anni prima con la moglie, donna libertina stando a sentire i commenti che ne faceva, al desiderio di ottenere notorietà per almeno uno dei suoi tanti scritti, che comprendevano poesie e romanzi di varia estensione, composti per lo più nelle ore che trascorreva solitario al suo solito posto nel caffè e puntualmente ignorati dalla critica.

-Garrett, è un piacere rivederti- lo salutò Autumn sincera, con un breve abbraccio.

-Anche per me, mia giovane amica. Non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione. Ti accolgo con un bentornata, viste le circostanze.  Dopotutto “gli uomini sognano più il ritorno che la partenza”-

Autumn non si stupì del modo di parlare di Garrett, formale in ogni occasione e sempre colmo di aforismi.

-Sbaglio o mi accogli con Coelho?- rispose lei indovinando la citazione.

-Corretto. Non tutti sono bravi a cogliere questi miei prestiti ad uomini di certo più illustri di me, mi è molto mancata la tua perspicacia-

-Garrett, sei venuta a convincerla a partire di nuovo per caso?- ironizzò Gabriél, da sempre carnefice dell’umore dello scrittore desolato.

-Vedo di non essere gradito. Torno al mio posto, allora, con la speranza di ricevere un nuovo the nero- concluse l’altro mesto, lo sguardo basso, mentre si trascinava di nuovo sulla poltrona e tornava a scrivere i suoi vari carteggi.

-The nero in arrivo, Mr Simpatia- rispose Gabriél alzando gli occhi al cielo e dirigendosi di nuovo dietro al bancone.

Autumn rise col cuore di fronte al siparietto, tanto simile a quelli che altre volte aveva visto lì dentro. Si sentì per un attimo come tornata nel passato, quando dopo scuola veniva sempre in quel posto che la accoglieva come una seconda casa e dove aveva conosciuto persone meravigliose.

E a proposito di persone meravigliose, Autumn diede un’occhiata all’orario sul cellulare. Erano quasi le undici e sapeva che di lì a breve sarebbero arrivati altri degli amici con cui aveva legato in quel locale, che ospitava le persone più stravaganti di tutta New York di sicuro, se Gabriél e Garrett erano i parametri con cui misurarsi.

E infatti, non oltre due minuti in cui Autumn meditava su questo, la porta del locale si aprì di nuovo ed entrarono tre nuovi clienti in modo rumoroso.

-Ma non puoi negare che l’arte di Kandinsky vada incontro a fraintendimenti!-

-Tesoro, non credo alle mie orecchie! I fraintendimenti di cui parli sono parole al vento. Kandinsky era un maestro, e non tollero che si parli male del mio adorato Vassilj!-

-Oh, andiamo, Izzy! Sei davvero insopportabile. Ti stavo solo facendo notare che l’uso cromatico che fa in quadri come…-

-Oggi è una così bella giornata… ho voglia di torta di mele…-

Autumn rise al vedere la scena, quasi all’ordine del giorno. Da una parte c’era Sybil, insegnante di arte e spettacolo in una vicina scuola di recitazione, una donna piccola e paffuta, stralunata e distratta, dall’ingenuità infantile. Si aggirava nel locale come colta in uno stato di trance, un sorriso vacuo che aleggiava sul viso, la lunga chioma di capelli rossi e ricci a contorno dell’ovale pallido del viso, gli occhietti di un verde liquido che percorrevano la stanza. Si sedette ad un tavolino aspettando la torta di mele come sempre, dando un’occhiata ai quadri alle pareti.

Dall’altra parte i due personaggi di certo più comici de L'angle des artistes, Izzy e Kim. Israel, conosciuto e chiamato da tutti con il nome d’arte della sua famosa firma di moda, “Izzy”, era un uomo esuberante prossimo alla quarantina. Istrionico da capo a piedi, non aveva paura di farsi notare per il suo stile stravagante e raffinato al tempo stesso, caratterizzato quel giorno da una camicia di raso violetta, un lungo gilè nero, attillatissimi pantaloni di pelle nera e stivaletti coordinati. A dirla tutta Izzy non si faceva problemi neanche a nascondere la propria omosessualità, anzi era il primo a fare autoironia sull’argomento e a prendere alla leggera i commenti non sempre carini rivolti al suo indirizzo. La costituzione magra e snella conferivano infatti ai suoi gesti e al suo aspetto anche qualcosa di femminile, che ad esempio si notava nei tratti gentili del viso, glabro e roseo, nei taglienti occhi scuri, generalmente nascosti da occhiali da sole più o meno eccentrici, e nei capelli castani di media lunghezza, raccolti sempre in una crocchia sulla nuca.

Izzy era quasi sempre accompagnato da Kim, una giovane promessa dell’arte moderna, quasi coetanea di Autumn, studentessa dell’Accademia di Belle Arti di New York. Era piccola di statura ed energica in modo indescrivibile, sempre pronta a buttarsi in qualche nuovo e assurdo progetto. Aveva corti capelli a caschetto e la frangetta quasi nascondeva i grandi occhi verdi con cui scrutava il mondo. Accompagnava ogni sua azione con un sorriso divertito, ma l’aspetto innocente nascondeva un orgoglio smisurato e talvolta di intralcio. Il suo carattere collideva spesso con quello di Izzy, che di fondo si comportava da primadonna tanto quanto Kim, e non era raro, anzi era molto frequente, vederli discutere per questo o quel motivo, senza mai giungere ad una opinione condivisa.

Autumn amava vederli discutere perché era esilarante, e anche perché in generale i loro accesi dibattiti non nascondevano malizia o cattive intenzioni.

Kim ed Izzy, presi dalle loro elucubrazioni, si erano intanto seduti al bancone senza far caso a nessun altro nel locale, proprio come se fossero a casa propria. Autumn si divertì ad osservarli senza fare loro presente il suo ritorno, per contare quanto tempo ci avrebbero messo a rendersene conto da soli. Ebbe modo di salutare e abbracciare Sybil senza che nessuno dei due realizzasse la sua presenza in quel luogo.

Gabriél sospirò sconfitto di fronte alla scena, simile a troppe altre volte, e nel tempo in cui aveva già servito la torta di mele a Sybil i suoi due litigiosi clienti non lo avevano per niente considerato.

Alla fine, stanco della faccenda, sbatté una mano non proprio con calma sul bancone, facendo sussultare gli altri due.

-Buongiorno anche a voi, è un piacere sentirvi discutere così presto la mattina. Lo sarebbe ancora di più se ci faceste prima la cortesia di salutarci- esordì ironico.

Izzy sbuffò e con un gesto casuale della mano fece capire a Gabriél di lasciar perdere.

-Ma ti prego, non essere così fiscale con i convenevoli. Siamo i clienti più affezionati, nostro malgrado. Il saluto è implicito ormai- commentò mellifluo. Gabriél sollevò un sopracciglio.

-Non mi riferivo a me, figurati. Se invece di battibeccare vi foste dati un’occhiata intorno avresti capito a chi mi riferisco quando vi dico di salutare- ribatté indicando con il pollice la direzione di Autumn.

Izzy e Kim allora si voltarono entrambi nella stessa direzione all’unisono, in un effetto piuttosto comico. Ancor più divertenti furono le facce che fecero al vedere il sorriso di Autumn, che tratteneva a stento le risate. Lanciarono contemporaneamente un urletto di sorpresa e gioia, scaraventandosi ad abbracciare Autumn allo stesso tempo.

-Santo cielo, sei tornata! Non ci posso credere, sei proprio tu!- esclamò Izzy estasiato, le braccia strette intorno alle sue spalle.

-Come stai? Quando sei tornata? Dove sei stata per tutto questo tempo?- chiedeva intanto a raffica Kim, gli occhi sgranati da sotto la frangetta.

Autumn ridacchiò e allontanò con delicatezza Izzy, che le stava mozzando il respiro.

-Sono tornata ieri, ho avuto molte cose da fare in questi anni- rispose lei sorridente.

Izzy alzò un sopracciglio scettico.

-E ti sembra una buona scusa? “Hai avuto molte cose da fare”? Ma lo sai che ci siamo preoccupati a morte! Scomparire così, dall’oggi al domani…-

Autumn si limitò ad alzare le spalle, con un piccolo sorriso di scusa. Non sapeva come rispondere ad Izzy, forse non voleva neanche farlo. Non pensava che anche le persone de L'angle des artistes si sarebbero preoccupate così tanto per lei e le dispiaceva sapere di aver causato quei problemi.

Fortunatamente Gabriél le venne in soccorso.

-Basta così, Izzy. Autumn è appena tornata, non metterle pressione. Se ti ha detto che aveva da fare, è così e basta- intervenne quieto, mentre serviva un espresso e un frappe ad Izzy e Kim.

Lo stilista lo guardò infastidito.

-Il solito guastafeste…- bisbigliò con uno sbuffo.

-Ti ho sentito- ribatté il barista, di spalle ma ben attento ai commenti degli altri.

Autumn rise ancora una volta di cuore, contenta di essere di nuovo fra quelle persone così care. Solo in quel momento le tornò in mente il reale motivo per cui era lì, al di là della volontà di rivedere i suoi amici.

-Gabriél, posso parlarti un attimo?- chiese all’uomo, che la guardò perplesso ma annuì comunque.

-Ho bisogno di chiederti una cosa. So che sono appena tornata e che probabilmente non sono in diritto di dirti questo, ma… ecco, io ho bisogno di soldi. Sono appena tornata a New York e non so dove andare, avevo pensato di affittare una stanza da qualche parte, ma per mantenermi devo trovare un lavoro. Perciò mi chiedevo… non è che potrei lavorare qui per un po’? È solo per il tempo necessario a trovare un altro impiego- spiegò in fretta Autumn, a testa bassa e in evidente difficoltà.

Gabriél la guardò stupito, grattandosi la testa confuso.

-Lavorare qui? Ma ne sei sicura? Con il tuo talento potresti essere assunta anche…-

-Ho smesso, Gabriél- tagliò corto Autumn, volendo evitare l’argomento -Ho chiuso con quello. E poi in questi anni ho lavorato anche in altri locali, è un lavoro che mi piace- insistette lei fissandolo decisa.

Gabriél sospirò e rifletté un minuto.

-Beh, se proprio sei convinta, non può che farmi piacere se lavori per me- disse infine con un sorriso.

Autumn ricambiò felice e si sentì sollevata di un grande peso. Sapere di essere indipendente almeno dal punto di vista economico la confortava, la liberava della sensazione di non essere capace di fare niente, sensazione che detestava e combatteva spesso.

-E per quanto riguarda l’appartamento… forse posso aiutarti anche in quello- commentò Gabriél, pensando a qualche nuovo piano.
   
 
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