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Autore: nikita82roma    12/08/2016    3 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Io sono qui Castle. Sono quella che sono oggi. Accettami così, non mi lasciare.

- Kate, perché pensi che voglio lasciarti? - Rick allontanò Kate dal suo petto per guardarla negli occhi, stupito di quell’affermazione e quella richiesta che aveva un suono così disperato.
- Tu non vuoi me, tu rivuoi lei.
- Lei sei tu. Io voglio solo che tu ricordi quello che eravamo, perché non c’è niente di cui devi aver paura nel nostro passato, perché tutto quello che c’è stato di brutto lo abbiamo superato insieme.
- Tu me lo dici, ma sei il primo a non esserne convinto Rick. L’ho capito questa mattina, quando non mi hai risposto. Tu non ami me. Ami il ricordo che avevi di me.
- Io non posso vivere senza di te. - Non le disse che non era vero, e questa fu per Kate un’ulteriore conferma
- Io ti credo Castle, credo alla tua sincerità. Ma so che lo fai solo sperando che io ritorni quella che ero prima, non puoi negarlo.
- Non avrebbe senso negare che io voglio questo.
- E pensi di riuscire a starmi vicino se questo non avverrà?
- Io non posso stare in nessun altro posto nel mondo che non sia vicino a te.
Kate gli accarezzò il volto dolcemente e lui si appoggiò alla sua mano. Avevano entrambi bisogno uno dell’altra, ma nessuno dei due riusciva ad essere quello di cui l’altro aveva bisogno: lei non voleva essere quella che era prima, lui non riusciva ad amare totalmente lei che aveva deciso di non lottare per loro.
Nonostante questo non potevano fare a meno di essere vicini, legati da qualcosa di imponderabile, si facevano male, ma non potevano stare separati e trovavano conforto nei loro abbracci, sperando intimamente ognuno che la situazione si potesse in qualche modo risolvere, che qualcuno cedesse o che trovasse un punto d’incontro.
Kate davanti a quell’atteggiamento inaspettato di Rick dovette ingoiare l’idea di dirgli quello che provava. Come poteva dire ad un uomo che lo amava, che lo voleva solo per se, sempre, che voleva che fosse suo marito se si era resa conto che lui era il primo a non considerarla sua moglie, perchè sua moglie era l’altra Kate, quella nei suoi ricordi. Ripensava a quando si era messa la fede e a come si era sentita ed ora le rimaneva solo quel ricordo, era convinta che quella sera sarebbero stati qualcosa di diverso di quello che erano ora.
Kate era sempre più stanca, aveva dormito poco, lavorato molto, avuto un’altalena di emozioni che fatica a gestire. 
Si sdraiò sul letto accendendo la luce sul comodino, regolandola ad una bassa intensità. Rick spense sospirando una ad una tutte le candele ed aveva la terribile sensazione che ogni fiammella che si spegneva era una possibilità in meno per loro. La gioia, la positività e l’ottimismo per il loro futuro si erano frantumate contro le granitiche paure di Rick. Lui la raggiunse poco dopo, sdraiandosi dalla sua parte di letto, senza dire nulla, guardando il soffitto. Sentì il frusciare delle lenzuola quando lei si voltò appena un attimo a guardarlo e lui, senza pensarci, allargò un braccio: era un invito silenzioso che Kate accolse accomodandosi tra le sue braccia, sul suo petto, cullata dal battito del suo cuore che era molto più rapido del solito, segno della sua inquietudine. 
- Castle...
- Uhm?
- E' stato molto bello quello che hai fatto questa sera.
Entrambi finsero di dormire per molto tempo, appesantiti dai dubbi e dalle paure, prima di lasciarsi andare a Morfeo.

La mattina, quando Kate si svegliò prima del suono della sveglia, sentì qualcosa che gravava sul suo fianco. Ci mise poco per capire che era il braccio di Castle, pesantemente abbandonato su di lei. Non poteva dire che le dispiaceva quella sua istintiva possessività che aveva per lei, il suo cercarla anche quando dormiva, senza mai interrompere il contatto tra di loro, anche quando si allontanavano. Castle nei mesi passati insieme le giustificava questo come un segnale che loro avevano una connessione che andava oltre il loro volere e che l’inconscio o il destino decideva per loro. Aveva spesso storto il naso davanti a queste sue giustificazioni, credendo che fossero solo scuse per motivare il fatto che ogni notte finisse per abbracciarla. Ora sperava, invece, che avesse ragione lui. Spostò il suo braccio pesante per poter uscire dal letto e lui immediatamente percepita la sua assenza rumoreggio prima di svegliarsi.
- Dormi Castle, è presto. - Gli sussurrò prima di alzarsi, dandogli un bacio sulla guancia.
Quando tornò in camera dal bagno, Rick era sveglio, anche se con una faccia estremamente assonnata, seduto sul letto silenzioso e rimase così per tutto il tempo mentre lei si vestiva e si preparava.
- È per Alexis, vero? - Gli chiese Kate ottenendo come risposta solo un cenno del capo. - Quando parte?
- Oggi pomeriggio. Mi ha detto ieri che ha già spedito le sue cose. - Castle finalmente le parlò e la sua espressione era quella di un cucciolo che stava per essere abbandonato e lei gli si avvicinò rimanendo in piedi a lato del letto, accarezzandogli i capelli.
- Rick, Alexis è una donna ormai, è giusto che cerchi la sua strada, faccia quello che ritiene migliore per se.
- Lo so, però mi dispiace… E poi negli ultimi tempi l’ho trascurata… - Kate si allontanò
- Mi… mi dispiace Castle… Non avrei voluto che per causa mia trascurassi tua figlia.
- No, no Kate… Non è colpa tua. Sono stato io che non sono stato in grado di gestire tutto.
- Non darti colpe che non hai. Sono sicura che Alexis non si è sentita trascurata.

Lo convinse ad andare a fare colazione insieme e fu lei quella mattina a cucinare per lui. Rick la guardava muoversi ormai con naturalezza tra i fornelli di quella nuova cucina, chiedendosi se in fondo non ci fosse una possibilità di far funzionare tutto anche così, almeno per adesso.
Preparò dei pancakes, mettendo nei suoi tanto cioccolato fuso sopra, panna e granella di nocciole. Riuscì a strappargli un sorriso.
- Ce n’è anche per me? - La voce di Alexis che scendeva le scale li raggiunse mentre Castle stava per cominciare a mangiare e Kate finiva di guarnire la sua con la salsa i frutti di bosco.
- Certo Alexis - Le rispose Beckett mentre Castle l’abbracciava e la invitava a sedersi vicino a lui. - Come li vuoi?
- Come papà! - Provocò un sorriso compiaciuto in Castle che aveva già la bocca sporca di cioccolata.
Quando anche i pancakes di Alexis furono pronti, anche Kate si sedette con loro a mangiare. Nessuno parlò più di tanto. Kate, sbrigandosi, finì prima di loro per andare al distretto, ma prima che uscisse Alexis la fermò e contemporaneamente chiese a suo padre se poteva andargli a prendere in camera una valigia che era particolarmente pesante. Rick sorrise, capendo che voleva solo rimanere qualche minuto sola con Beckett per salutarla. Con tutta calma andò di sopra nella sua stanza dove c’era effettivamente una grande valigia chiusa. Si sedette sul letto di sua figlia, guardando le foto alle pareti e i pupazzi di Alexis, ripensando a quando era piccola, pensando che tra poco avrebbe ricominciato tutto da capo.

- Hai un paio di minuti? - La ragazza fermò Beckett che stava per uscire e la donna appoggiò la borsa lì dove fino a poco prima stavano mangiando. - Mi raccomando Kate, mio padre ha bisogno di un adulto che lo controlli e limiti le sue follie. Sono tranquilla se tu sei con lui, sei l’unica che riesce a contenere la sua esuberanza e a farlo comportare da adulto responsabile. - Beckett sorrise, in effetti alcune volte tra lei e suo padre i ruoli sembravano invertiti. 
- Beh, Al, non so se adesso è sempre così.
- Ma sì che lo è Kate! Senti… circa quattro anni fa, quando io mi sono diplomata ho dovuto scrivere il discorso. Vedi, quel giorno tu e papà… beh, avevate discusso molto. Io non lo sapevo, ma papà è venuto alla cerimonia, sorridendo, facendo finta di nulla ma dentro stava malissimo, ne sono certa. Poi quella sera tu sei venuta qui al loft e insomma… capito no? 
- Sì, ho capito…
- Ecco, voi state insieme da quel giorno. Mettendo via le cose da portare a Philadelphia ho trovato questo… - le diede un foglietto spiegazzato scritto a mano - è la bozza del mio discorso. Tu non l’hai sentito quel giorno, anche se a me avrebbe fatto piacere che tu ci fossi stata. Io penso che è sempre valido, per me che sto partendo, ma anche per voi. Kate e non avercene se anche io spero che tu possa ricordare tutti questi anni, perché tu sei stata e sei ancora molto importante per tutti noi ed è grazie a te se mio padre è un po’ meno bambino ed un po’ più uomo.  Ti voglio bene.
- Ti voglio bene anche io Al e dovrai tornare spesso per adempiere al meglio al tuo ruolo di sorella maggiore!
Le due si abbracciarono, sotto lo sguardo di Rick che aspettava in cima alle scale che Beckett uscisse per tornare da sua figlia. Kate mise il foglio in tasca, riprese la borsa, diede un altro abbraccio alla ragazza e nel farlo si accorse di Rick che la salutò con un sorriso.
Kate salì su taxi per andare al distretto. Mentre era seduta prese il foglietto che le aveva dato Alexis e cominciò a leggere.
“…Nonostante questo ci faccia male è ora di voltare pagina, malgrado ciò, ci sono persone che fanno talmente parte della nostra vita che saranno presenti ovunque andremo, sono il nostro punto di riferimento, la nostra Stella Polare, sono quelle piccole voci dentro il nostro cuore, che rimarranno con noi per sempre”

Al Loft Rick aveva raggiunto di nuovo la figlia tirando giù per le scale la grande valigia di Alexis.
- Vedo che ora non sono più convalescente per te! - Le disse con voce lamentosa
- Papà, non lo sei più da un pezzo, non fare la vittima! 
- Sì, hai ragione. Allora, quando parti?
- Dustin mi viene a prendere tra un paio d’ore.
- Oh, così presto… Speravo almeno in un pranzo insieme.
- Te lo avevo detto anche ieri che partivo questa mattina… - sbuffò Alexis
- Sì, scusami, è vero…  mi ero convinto nel pomeriggio, forse perché lo speravo - ammise Castle amareggiato
- Tutto bene papà?
- Sì, pumpink, è solo un periodo un po’ difficile con Beckett
- Io non i voglio intromettere tra voi papà, lo sai non l’ho mai fatto. Però penso che se tu la ami, devi accettare qualsiasi cosa deciderà di fare della sua vita. Puoi sperare che faccia altro, puoi soffrire per quello che è successo, però se tu ami Kate devi starle vicino in ogni caso. È sempre la nostra Kate, anche se lei non se lo ricorda.
- Ma tua nonna? - Chiese Rick per sviare il discorso ed evitare di rispondere alla figlia su quell’argomento che non riusciva ancora a gestire. 
- Oh papà, lo sai com’è nonna. Non ama i saluti, a meno che non possa farli nel suo solito modo melodrammatico. È uscita all’alba dicendo che la rugiada delle mattine di fine estate faceva bene alla pelle…
- Chissà in quale locale aperto all’alba vendono questa “rugiada”… 
- Ha detto che mi verrà a trovare prossimamente, sta organizzando alcune repliche dello spettacolo della sua scuola in un teatro a Philadelphia.
- Casualmente eh… - ammiccò Rick facendo sorridere sua figlia.

La salutò calorosamente quando Dustin le mandò un messaggio che l’aspettava sotto. Stava provando tanti sentimenti contrastanti. Era felice che la sua bambina avesse deciso cosa fare nel suo futuro, almeno immediato. Pensò che sarebbe stato tutto perfetto se con Beckett avesse vissuto un altro periodo.
Ripensò alle parole di Alexis, quelle a cui non aveva voluto rispondere. E si soffermò su una cosa che aveva detto: poteva anche soffrire per questo.

La verità era che Rick non si era dato tempo di soffrire per quello che era successo. Aveva trattenuto il respiro per tutto il tempo che Kate era rimasta in ospedale in coma, doveva dirlo adesso, in coma: già quello era un passo avanti nell’accettare la cosa.  Quando era convinto che poteva cominciare a respirare, quando lei si era risvegliata, aveva cominciato una nuova corsa, quella ad essere il perfetto amico/compagno/marito qualunque cosa lei avesse voluto, tutto per farla stare bene, per aiutarla a riprendersi e a ricordare.
Non si era mai lasciato andare, tranne in rari momenti, allo sconforto. Aveva parlato con Burke ma più che altro della sua paura di perderla, del suo senso di inadeguatezza nel proteggerla, non aveva mai parlato, realmente, della sua sofferenza nel non ritrovare la sua Kate e di quanto questo lo stava logorando. Non era solo la mancanza dell’avere la certezza del suo amore, c’era di più, c’era la paura di non ritrovarla.
Pensare solo a lei, a farla stare bene, a farle avere tutto quello che voleva, a portarla nei loro luoghi, cercare di farla innamorare di nuovo di lui, sperando di scatenare una serie di reazioni a catena che l’avrebbero portata a ricordarsi di come l’amava prima, lo avevano distolto dal pensare al suo dolore, alla sua perdita. Perchè Rick si sentiva così, come se avesse perso qualcosa, anzi qualcuno e non lo aveva mai voluto ammettere, prima di tutto a se stesso. Viveva come un lutto non avere più sua moglie, si sentiva defraudato degli anni più belli della sua vita e questi sembravano mancare più a lui che a lei che non li ricordava. Lui sì e sentiva come se qualcuno glieli avesse portati via, perchè ora vivevano solo in lui, ed era come se non ci fossero più, come se fossero solo un riflesso marchiato a vita in uno specchio in assenza dell’originale che era scomparso nella memoria di Kate. Perchè senza di lei i suoi ricordi erano nulla, perché se solo lui si ricordava di loro, loro non esistevano più.
Le era mancata anche in senso fisico e se ne era accorto solo quando l'aveva avuta di nuovo. Certo, si era detto più volte che non era quella la cosa importante, vista la situazione, ma non era così, era sempre un uomo e quella che aveva sempre davanti o tra le sue braccia in modo più o meno amichevole, era sua moglie, la sua bellissima moglie, una donna che lo aveva sempre attratto in modo particolare, con la quale c’era sempre stata una chimica che non riusciva ad arginare in nessun modo. Quella chimica che ora non sentiva più. Non era un discorso esclusivamente dato da un bisogno sessuale, quello era facile da soddisfare e ci riuscivano in pieno. Era un bisogno di condividere con lei il suo corpo e la sua anima, come facevano ogni volta che facevano l’amore, perchè per lui non era mai solo sesso. Era dello splendido ed appagante sesso, ma non solo quello: era tutto quello che, per lui, c’era oltre al sesso che faceva sempre più fatica a ritrovare ogni volta, dopo ogni amplesso che gli lasciava tanta soddisfazione fisica quanto quella malinconia di qualcosa che gli mancava e non trovava più. Ogni volta questo gli presentava sempre un conto più salato in termini di emozioni scomparse, tanto da essere pervaso da un senso di disgusto verso se stesso per sentirsi così, per non riuscire più ad amarla totalmente come avrebbe voluto, con tutti i suoi sensi, ma rendendosi conto di farlo sempre più solo in senso fisico e questo lo spaventava.

Rick aveva fatto finta di non sentire il suo dolore, anestetizzandosi con la nuova Kate, lo aveva cacciato via, il più lontano possibile dal suo cuore e dalla sua testa, concentrandosi su di lei e sulla bambina. Ma era proprio quella bambina, quando ci pensava, da solo, che riportava a galla tutta la sua angoscia, ed il suo tormento. Era quella bambina, quel legame così potente tra quello che era stato e quello che era che gli faceva ricordare ogni volta tutto quello che aveva perso, tutti quei sentimenti che non poteva condividere, tutte quelle situazioni che non poteva vivere. Ripensava spesso a quella notte che era convinto era quella in cui avevano concepito la loro piccola. Ripensava a quelle sensazioni, a come Kate lo amava con tutta se stessa, come lo reclamava, come lo voleva con ogni fibra del suo essere. Come poteva non voler ricordare momenti come quello? Come poteva non voler ricordare tutto quello che avevano condiviso? Lui si aggrappava a quei ricordi per sentirsi vivo, per galleggiare nella sua inquietudine.
Sapeva che Kate amava la loro bambina lo aveva capito dalla volta che l’aveva vista commuoversi durante la prima ecografia, ma percepiva la sua ansia, la sua preoccupazione che andavano oltre quelle normali delle madri in attesa del loro primo figlio. Era una tensione diversa, quella di una donna che ancora non aveva superato lo shock di scoprirsi incinta senza saperlo. Il terrore che aveva letto negli occhi di Kate quando pensava che non fosse normale non riuscire a sentirla, non era una cosa da Beckett, quell’irrazionalità non era solo per la paura comprensibile di una madre, era qualcosa di più, che nasceva dal profondo, come se dentro di se sentisse la colpa per quanto accaduto, per aver inconsapevolmente messo a repentaglio la vita di sua figlia.
Quando qualche volta, soprattutto nei primi tempi, le aveva parlato di quanto fosse buffa quella situazione, per tirarle su il morale e cercare di sdrammatizzare. A lui erano venuti in mente anche paragoni grandissimi, ma non le disse mai niente per non essere accusato di essere blasfemo o quantomeno megalomane. Rick, comunque, credeva veramente che la loro bambina fosse un miracolo o, almeno, un’entità superiore mandata appositamente per aiutarli a salvarsi e ritrovarsi, perchè altrimenti non avrebbe potuto resistere a tutto quello che era successo. Era il loro miracolo privato, ne era certo, e non c’era nessun discorso logico che gli avrebbe fatto cambiare idea: qualcosa di vero nei suoi pensieri c’era, ma se li sarebbe tenuti per se, almeno per il momento.

Castle capì alla fine che il dolore non si può nascondere, non si può fare finta che non esista sperando che passi da solo, doveva affrontarlo, in qualche modo. Lui invece lo aveva ignorato, anzi, lo aveva accumulato mettendolo granello dopo granello nel cuore, ed ora era diventato un macigno che non riusciva più a sostenere. Rick si sentiva come se fosse un suo libro del quale non aveva scritto un capitolo e doveva per forza tornare indietro, rileggere dove era arrivato, aprire il computer e ricominciare a scrivere quello che aveva interrotto. Altrimenti non avrebbe avuto senso nessun finale di quella storia. Sapeva che ogni parola di quel capitolo che avrebbe scritto  gli avrebbe fatto male, ma non poteva più fare finta che non ci fosse, o peggio, che la storia avesse un senso così com’era.
Si sentiva come un uomo che era stato lasciato dalla sua donna, doveva metabolizzare questo evento. Dove era andato il loro amore, quello che ancora viveva in lui così forte da bruciarlo, corroderlo? Possibile che qualcosa di così intenso potesse svanire perso nell'oblio? Quell'amore che li aveva tenuti più volte in vita, al quale si erano aggrappati prima ancora di riconoscerlo e di sapere si amarsi, adesso era diventato fragile a tal punto da essere diventato trasparente nella mente di Kate. E senza quella parte del loro amore lui era solo. Solo a soffrire per loro. Solo a starci male, solo a ricacciare via lacrime e tristezza pensando a loro stessi. Perchè lei, perdendo la memoria, in realtà, si sentiva come se non avesse perso nulla. Lui, invece, aveva perso il suo mondo. Si sentiva come un uomo a cui il terremoto aveva raso al suolo la sua casa distruggendo tutto. E sì, ne poteva costruire un'altra anche più bella, ma non era la sua, quella dove aveva vissuto che si portava dentro le sue memorie.

Allora forse sarebbe stato meglio se avesse dimenticato tutto anche lui, che avessero ricominciato da zero insieme, perché ne era certo, lui si sarebbe sempre innamorato di Kate Beckett, in qualsiasi vita.

 



Nei commenti dei precedenti capitoli ed anche nei messaggi che mi sono scambiata in privato, ho visto che più di qualcuno si poneva dei dubbi sul comportamento di Castle. Spero che questo capitolo vi abbia chiarito un po' di più le idee ed anche il prossimo sarà un viaggio nell'universo di Rick per spiegare meglio il suo punto di vista su questa situazione.
Dal mio punto di vista non c'è chi ha torto o ragione, ci sono due mondi e due persone che vivono lo stesso problema soffrendone in modo diverso.
   
 
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