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Autore: nikita82roma    15/08/2016    4 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Quando arrivò al distretto Esposito e Ryan erano già lì.
- Ehy, che succede?
- Un cadavere in un magazzino, tre ore fa. Sono distrutto! - esordì Javier sbadigliando
- Potevate chiamare! - li redarguì Beckett
- Tanto non saresti potuta venire, perchè svegliarti? - la risposta di Esposito fu semplice e pratica
- Le indagini? - Chiese vedendo la lavagna pulita
- C'era una telecamera, abbiamo trovato il video, preso l'assassino e fatto confessare. Caso chiuso. - disse l'irlandese stiracchiandosi
- Se non è fortuna questa Kevin! - Kate osservò la scatola chiusa sulla sua scrivania facendo capire ai due con un solo sguardo che la dovevano togliere da lì. - Il rapporto? 
- Lo sto finendo io Beckett! -  Esposito indicò lo schermo del suo computer. 
- Mi faccio un caffè, ne volete uno? - I due detective alzarono le loro tazze per far vedere che ne erano già provvisti così Kate sparì nella sala relax per andarsi a preparare una tazza di caffè: cercò nella scatola dei biscotti se era rimasto qualcosa, ma non c'era che qualche briciola di biscotto spezzato. Sentì la fame, quella mattina, farsi più forte e avvisò i due detective che sarebbe scesa a comprarsi qualcosa alla caffetteria all'angolo. Mangiò un croissant salato al formaggio, un muffin al cioccolato e si fermò perchè avrebbe mangiato ancora, ma si limitò a bere del succo di mela evitando altro caffè.
Quando tornò al distretto Esposito e Ryan non c'erano più, non si era nemmeno accorta che la macchina della polizia era sfrecciata davanti alla vetrina della caffetteria dove era seduta. Guardò l'appunto sulla scrivania di Ryan per capire su cosa avrebbero indagato e appena lesse l'indirizzo segnato dall'irlandese e la tipologia di omicidio si sentì per un attimo mancare ed appoggiò le mani sul tavolo per tenersi in equilibrio. Respirò profondamente, poi aprì il cassetto, prese la pistola, la indossò, cercò le chiavi dell'auto di servizio ed uscì correndo, fermandosi solo quando davanti all'ascensore ancora chiuso sentì la Gates richiamarla tra i corridoi e la sua voce che risuonava autoritaria.
- Beckett ma cosa pensi di fare?
- Devo andare, non posso aspettare qui che facciano loro qualcosa. - Non attese la risposta del capitano, entrò in ascensore e la guardò scuotere la testa mentre le porte si chiudevano. La Gates non avrebbe comunque risposto. Quando l’avevano avvisata di cosa era successo sapeva esattamente che Beckett non si sarebbe comunque fermata.

Kate guidò veloce nel traffico newyorkese, focalizzata sul punto che doveva raggiungere, maledicendo tutte quelle macchine che si mettevano tra lei e la sua meta, tutte troppo lente per stare al passo con la sua voglia di raggiungere i suoi due amici detective.
Parcheggiò poco distante, camminò sul marciapiede calpestando le foglie degli alberi che cominciavano a cadere: erano i primi segni di quell’estate che li stava abbandonando. C’erano alcuni agenti che avevano isolato il perimetro e una piccola folla di curiosi che, come al solito, stava al di qua del nastro che delimitava la scena del crimine. Avvicinandosi a passo spedito sentì un forte senso di nausea invaderla tanto che quasi voleva desistere dall’andare avanti. Vedendola arrivare con il distintivo ben in vista, un agente alzò la striscia per farla passare e lei fu subito alle spalle di Ryan ed Esposito che osservavano Lanie fare rilievi sul corpo senza dire una parola. Non si accorsero di lei. Ryan si passava una mano tra i capelli mentre Esposito era immobile davanti alla scena. Kate face un passo indietro, urtando un contenitore metallico ed attirando l’attenzione dei tre che la guardarono allibiti.
- Beckett cosa ci fai qui? - Urlò Esposito
- Javier, non farmi dire che tra di noi chi può dare ordini, nel caso sono io, quindi se devi chiedermi qualcosa, fallo in un altro modo. - La voce di Kate era ferma e decisa. 
- Andiamo Beckett! Non dovresti stare sul campo, lo sai. - Kevin parlò in difesa dell’amico mentre tutti e tre si lanciavano sguardi taglienti, sostenendo ognuno le proprie ragioni.
- E lasciarvi esaminare questa scena da soli? Qui? Andiamo… perché voi pensate che sia una casualità?
- No, non lo è. È evidente Beckett. E proprio per questo tu non devi stare qui. - Le ringhiò contro Esposito.
- Decisamente non è una casualità - Disse Lanie alzandosi in piedi dopo aver sommariamente analizzato il cadavere. - Le ferite sono pressoché identiche, anche la disposizione del corpo.
- Quei sacchi sono stati trascinati qui. - Ryan indicò i segni di trascinamento a terra con la plastica parzialmente consunta sull’asfalto.
- Chi era la vittima? - Kate aveva già preso il comando delle indagini
- Jane Gills, una prostituta eroinomane. - l’irlandese consultò il suo taccuino. Kate si avvicinò di qualche passo al corpo e la somiglianza la inquietava.
- Che ci faceva qui? - chiese ancora Beckett
- Non era di questa zona. È stata portata qui, Capitano. - Kevin disse quella frase lasciando intendere la gravità della cosa, sottolineando il grado di Kate per tenere quelle distanze che lei aveva voluto mettere ricordando chi tra di loro era il più alto in grado.
- I segni sul corpo parlano chiaro. È stata uccisa altrove e poi messa qui. Hanno voluto ricostruire esattamente la scena. - Continuò l’irlandese mentre Esposito camminava nervosamente guardando la folla che era aumentata oltre gli agenti che facevano da guardia alla zona. Scrutava in alto ogni finestra, osservava ogni piccolo movimento che gli sembrava sospetto, i volti della gente, ogni bagliore che vedeva lo faceva sussultare e stare sulla difensiva.
- Javier sei tra noi o sei nel tuo mondo? - Lo rimproverò ancora Kate infastidita dal suo comportamento. Non aveva più detto una parola da quando lo aveva ripreso appena arrivata.
- Non devi essere qui Beckett. Lo sai anche tu. - L’ispanico pronunciò quella frase a denti stretti.
- Esposito, qualcuno ha deciso di mettere in scena un omicidio identico a quello di mia madre. Stesso luogo, stessa modalità. È tutto dannatamente troppo uguale. - disse con fin troppa aggressività nella voce - E tu mi dici che dovrei starne fuori? 
- Sì Kate! Devi starne fuori! Perchè è evidente che qualcuno vuole che tu sia qui! È tutto ricostruito in maniera fin troppo evidente che sia una messa in scena! - Le urlò contro il detective
- Capitano? - Un agente si avvicinò a Kate ed Esposito lo guardò perplesso. 
- Swift? Cosa ci fai qui? - Ma l’agente non rispose alla domanda dell’ispanico
- Questa la prendo io Capitano - disse sfilando la pistola di Kate dalla fondina, mentre premeva la canna di un’altra al suo fianco - E voi buttate via le vostre ed andatevene subito o sarà peggio per tutti - indicando i due detective 
Ryan ed Esposito appoggiarono le loro armi a terra e con le mani alzate andarono verso la fine del vicolo. 
- Dottoressa Parrish anche tu, via da qui. Devo rimanere solo con il Capitano.
Lanie raggiunse Esposito e Ryan, tendo lo sguardo incollato su Kate che sembrava assolutamente impassibile e tranquilla. Beckett la guardò e l’amica non riuscì a cogliere nulla nel suo sguardo che appariva vuoto.
I due detective e gli altri agenti come prima cosa chiusero la strada facendo allontanare anche con le cattive chi non voleva andarsene continuando a curiosare.
- Maledizione lo avevo detto che non doveva venire! - Esposito diede un pugno al muro scorticandosi le nocche della mano e facendo temere a Lanie che si potesse essere rotto qualcosa ma lui sembrò non curarsene. - Come abbiamo fatto a non accorgerci che era qui, eh? - Urlò verso Ryan che assisteva impotente alla sfuriata dell’amico.
- Dobbiamo avvisare Castle - disse l’irlandese riportando tutti alla realtà dei fatti. I tre si guardarono e nessuno volle fare la prima mossa. 

- Chiunque tu sia spero che il motivo per cui mi chiami sia sufficientemente valido - Rick rispose al telefono con tono estremamente acido senza guardare chi lo avesse chiamato. Aveva già rifiutato due volte delle telefonate da numeri sconosciuti ma ora non ne poteva più. Era intento a scrivere quel capitolo nel nuovo romanzo di Nikki Heat, la sua valvola di sfogo per superare quella situazione con se stesso più che con Kate, mettere su carta le proprie idee e non lasciarle fluttuare nella sua mente gli sembrava un buon modo per capire cosa volesse fare realmente e quali erano i suoi pensieri. Non si giustificava, anzi era il suo critico più severo per come si stava comportando. Stava sbagliando tutto, stava anche lui rincorrendo un ossessione proprio come anni prima aveva accusato Kate di fare e questo li stava allontanando.
- Castle… sono Lanie. - Alla fine si era fatta avanti lei per chiamare lo scrittore. Non perchè con lui avesse un rapporto migliore dei due detective, ma perchè pensarono che così poteva essere meno traumatico per Castle sapere la notizia, se non era uno di loro a dargliela, almeno questo era quello che avevano sostenuto i due, in realtà la dottoressa pensava che fosse solo perchè loro non sapevano come fare a dirglielo.
- Ciao dottoressa Parrish - il tono di Rick fu immediatamente più cordiale - se cerchi Kate non è con me, è al distretto.
- No Castle… cercavo te. - Ora allo scrittore fu chiaro il tono preoccupato della donna che aveva ignorato prima.
- Lanie cosa succede?
- Si tratta di Kate. - Castle strinse gli occhi e serrò i denti tanto forte da farsi male. Se lo chiamavano per Kate voleva dire che lei per un motivo o un altro non poteva farlo. Non era comunque un buon segno. Respirò profondamente.
- Dimmi.
Lanie spiegò rapidamente a Castle quello che era successo, sentendo la voce dello scrittore sempre più incalzante man mano che lei parlava. Aveva già preso le chiavi e stava uscendo di casa, declinando l’invito di aspettare la pattuglia che sarebbe passata a prenderlo. Rick non voleva stare lì ad aspettare senza fare nulla nemmeno un secondo.

Swift era in piedi nel vicolo senza uscita, dando le spalle al muro dietro di se, Kate era davanti a lui, immobile con le braccia leggermente larghe rispetto al corpo e le mani aperte, stava cercando di trasmettergli che lei non lo stava minacciando in alcun modo. Si ricordò il nome dell’uomo da come lo aveva chiamato Esposito.
- Ehy Swift, parliamone. Qualsiasi cosa sia successa, questa non è una soluzione.
- Zitta Capitano, stai zitta!
- Cosa vuoi da me, Swift?
- Fai finta di non saperlo eh? Cos’è, per te rovinare la vita di una persona vale così poco che dopo un anno già non te lo ricordi più?
- No, Swift, non è così…
- E allora se non è così dovresti saperlo che cosa voglio Capitano Beckett! Io rivoglio la mia vita! Quella che tu mi hai tolto!

Dietro al vicolo, Esposito, Ryan e Lanie aspettavano l’arrivo degli altri dalla centrale. Il numero dei curiosi era aumentato e qualcuno aveva anche fatto una soffiata a qualche media perché avevano notato dall’altra parte della strada un camioncino per una diretta televisiva. Alcune volanti ruppero il cordone fatto dagli agenti ed altri arrivarono a dare manforte, mentre la Gates con avanzava decisa verso i due detective con uno sguardo che avrebbe incenerito un’intera foresta.
- Allora? Si può sapere come è successo?
- Carl Swift. Era uno dei nostri. - Disse Esposito
- Dei nostri? - Chiese la Gates
- Sì, del 12°. Lavorava spesso con noi. 
- Che è successo poi? - Il capitano era impaziente di sapere
- Beckett lo ha scoperto che dava informazioni riservate alla stampa. Aveva avuto il sospetto per un caso, poi in un altro ne ha avuto la certezza. Ci ha ritardare la cattura di un assassino divulgando delle notizie e questo nel frattempo ha ucciso un’altra persona. Beckett allora gli ha fatto avere delle false informazioni e puntualmente poco dopo erano in mano alla stampa, così ebbe la certezza che era lui. Lo mandò alla disciplinare. Fu licenziato. - La aggiornò l’ispanico.
- Poi avevo saputo che aveva cominciato a lavorare come guardia giurata in un centro commerciale, ma non se la passava bene in famiglia dopo il licenziamento - Concluse Ryan
- Quindi da la colpa a Beckett di quanto è successo… Non mi piace per niente questa storia. - La Gates camminava nervosamente avanti e indietro, quando un agente la informò che erano arrivate anche le squadre speciali della polizia di New York e si erano messe sui palazzi circostanti.
- Capitano Gates? Sono il Capitano Ayez. I miei uomini sono in posizione.
- Capitano Ayez, mi raccomando. Nessuna mossa avventata, la persona che ha con se è il Capitano Beckett, e l’uomo era un ex agente di polizia.
- Mi hanno informato, faremo il possibile.
- Avete avvisato il signor Castle? - Chiese quindi la Gates ai suoi detective dopo aver salutato Ayez.
- Sì, lo abbiamo avvisato, sta venendo qui. - Disse Ryan.
Victoria Gates si allontanò di qualche passo dai suoi uomini e si appoggiò al muro del palazzo. Era stata lei a spingere Beckett a tornare a lavoro e sempre lei a non fermarla quella mattina quando l’aveva vista uscire. Si sentiva in colpa, pur sapendo quanto fosse difficile, per non dire impossibile, impedire a Beckett di fare quello che aveva in mente. Non aveva ancora capito se era la sfortuna ad avercela oltremodo con lei, oppure lei e Castle riuscivano sempre a trovare il modo di mettersi nei guai. Una cosa era certa, l’atteggiamento integerrimo di Beckett, il suo non scendere a compromessi, il ricercare sempre la verità e l’andare oltre quelli che erano i suoi doveri l’avevano spesso messa in pericolo. Ma se era la migliore, lo era anche per questo.

- Swift, ti capisco. So cosa vuol dire rivolere la propria vita.
- No Capitano Beckett tu non lo sai! Ed ora fai silenzio!
Kate cercò di rimanere calma e ragionare. Si impose di non pensare a nulla se non al modo per uscire da quella situazione. Non aveva tempo per la paura e per preoccuparsi, le avrebbe fatto perdere la concentrazione.
Quell’uomo aveva riprodotto l’omicidio di sua madre fedelmente. Aveva anche scelto una donna che le assomigliava. La posizione del corpo, il tipo di ferite, la posizione. Dettagli che non erano mai stati resi noti, in fondo il caso era sempre stato classificato come vittima di guerra fra bande, non aveva fatto scalpore, non era mediatico. Da quello che aveva visto anche dopo l’arresto di Bracken non avevano diffuso altri dettagli sull’omicidio di Johanna, quindi chiunque sapesse certe cose o aveva partecipato a quell’azione o molto più probabilmente era qualcuno che aveva accesso alle carte, in qualche modo. La sorpresa di Javier nel vederlo ed il chiamarlo per cognome le fece dedurre che quell’uomo probabilmente era uno del distretto, forse qualcuno che lei in qualche modo aveva contribuito a cacciare, magari il volere la sua vecchia vita voleva dire che voleva tornare a lavorare con loro.
- Swift, mi dispiace. Non credevo che le conseguenze fossero queste. - Cercò di rimanere sul vago, non sapendo assolutamente di cosa stava parlando, sperando che fosse lui a sbottonarsi con lei, ma intanto dirgli che le dispiaceva, sperava fosse un modo per entrare un po’ in contatto con lui.
- Ah no? E cosa credevi che mandandomi alla disciplinare mi avrebbero dato un premio? Io non volevo che quella donna morisse, avevo solo dato una notizia insignificante! Avevo bisogno di quei soldi che mi davano per degli stupidi aggiornamenti!
Le sue supposizioni, quindi erano esatte, era uno del distretto ed era stato cacciato per causa sua, doveva solo ritrovare tutti gli altri pezzi del puzzle…

Castle arrivò e fu immediatamente bloccato dagli agenti che contenevano la folla, a nulla valse muoversi come un invasato per passare di là. Urlò per attirare l’attenzione di Ryan e Esposito, ma fu la Gates la prima ad accorgersi di lui e ad andare dagli agenti per concedergli di entrare.
- Signor Castle… 
- Dov’è Kate?
- É là, nel vicolo, con l’ex agente Swift.
- Perché siete tutti qui?
- Non vuole che nessuno si avvicini - Il tono calmo e pacato della Gates, frutto di tanti anni in cui era stata addestrata per mantenere i nervi saldi e non lasciarsi trasportare dalle emozioni, faceva da perfetto contraltare a quello di Castle che era così agitato da rendere difficile anche capire cosa dicesse.
- Sono stato io a dire a Kate di Swift l’anno scorso e anche di provare a fargli una falsa soffiata per incastrarlo. 
- Non è colpa sua signor Castle. - La Gates fu interrotta da Ryan che arrivò con le notizie sulla famiglia dell’ex agente.
- Capitano, la moglie di Swift lo ha lasciato circa 5 mesi fa e sua madre è morta da poco più di sei. Swift per un po’ di tempo ha pagato le sue cure, poi dopo il licenziamento, non ha più potuto… 
- Ha detto alla moglie se ci raggiunge? - Chiese il Capitano
- Ha detto che non può, sua moglie è incinta, una gravidanza difficile e deve rimanere a letto, è assistita dalla sorella.
Castle aveva raggiunto Esposito vicino ad una delle auto delle forze speciali ed ascoltavano con un microfono direzionale quello che accadeva nel vicolo. 
- Cosa succede? - Chiese Castle vedendo l’amico con le cuffie.
- Beckett lo sta facendo parlare. Ha scoperto qualcosa di quello che era successo l’anno scorso.
- Kate non sa nulla… - Castle si passò una mano tra i capelli, non aveva nemmeno pensato a quel “piccolo” particolare… - Io vado da lei.
- Castle, non peggiorare le cose, non vuole che nessuno si avvicini a loro.
- Io non sono nessuno! - Protestò lo scrittore - Swift sa che l’idea di tutto era stata mia, glielo ha detto Kate quando lo interrogava. - Si stava allontanando quando Esposito lo richiamò a gran voce
- Castle! Almeno mettiti il giubbotto antiproiettile! Prendi uno dei nostri!
- Non ne ho bisogno Javier, in ogni caso.

- Ehy Swift! - Castle si affacciò nel vicolo con le mani alzate. - Lascia stare Kate, vediamocela tra di noi, dico di andare via a tutti, alla polizia ed alle forze speciali.
- Ciao scrittore! Hai finito di giocare a fare il poliziotto mettendo nei guai la gente? 
- Rick vattene! - Gli urlò Kate, ma lui fece finta di non sentirla.
- Ce l’hai con me Swift, sono io che ho detto a Kate che eri tu la talpa che spifferava tutto alla stampa e sono stato sempre io a dirle di farti avere quella falsa pista, per avere le prove che eri proprio tu. Quindi, adesso lascia andare Kate e parliamone noi, che ne dici?
- No Castle, non funziona così. Io per colpa tua ho perso tutto, ed ora tocca a te.
Rick rimase immobile riuscì solo a guardare Kate che si voltò ricambiando il suo sguardo. Ognuno leggeva la paura negli occhi dell’altro.
- Swift mi dispiace per tua madre, veramente, se mi avessi avvisato ti avrei aiutato io per le cure… Il detective Ryan ha parlato con tua moglie. È a casa, a letto, ma sta bene ed anche il bambino sta bene… 
- Castle vattene, o ti giuro che la uccido qui davanti a te.
- Carl non fare del male a Kate. Io sono qua dietro l’angolo. Pensaci. - Si guardò nuovamente Kate che non staccava gli occhi da lui chiedendosi perché era venuto lì così, senza alcuna protezione. Senza il suo giubbotto con scritto “Writer”. Si chiese solo per un attimo da dove era venuto quel pensiero, ma lo trovò buffo. Riuscì a regalargli un sorriso che lui però non ricambiò, rimanendo serio e gli poteva sembrare di leggere nel suo sguardo tutta la sua paura ed anche qualcos’altro che non aveva mai visto in lui. Biasimo e delusione. Kate abbassò la testa e si voltò, per non vederlo più.
Rick arretrò lentamente fino a sparire di nuovo dalla vista dei due. Esposito appena fu fuori dalla loro visuale lo prese per il bavero della giacca buttandolo verso il muro.
- Cosa credevi di fare eh Castle? Di farti ammazzare? Di far ammazzare Kate?
- Le ho dato i pezzi che le mancavano della storia. Ora sa tutto. - Disse lui per nulla turbato dalla reazione di Esposito, convinto che nulla lo turbasse più. - Sa quello che le mancava della storia di Swift e sa che ci sono posizionate le forze speciali e che noi siamo qui. Può elaborare qualcosa in maniera più concreta.
- Pensi che ti abbia capito?
- Certo che mi ha capito Javier! È Beckett! Ci siamo sempre capiti, anche prima che noi… - Castle non finì la frase perché un nodo in gola gli bloccò le parole. Loro avevano sempre avuto questa connessione per capirsi e risolvere i casi insieme. Kate doveva averlo capito, ne era certo.
- Ok, scusami… amico… Siamo tutti un po’ nervosi… Certo che Beckett ti ha capito.
- Già, e forse io sono quello che dovrebbe esserlo di più…

Kate era già un po’ che era ferma in piedi in quella posizione e cominciava ad essere stanca, oltre allo stress fisico si stava accumulando anche quello psicologico. Swift era un agente, aveva sì organizzato la copia perfetta di un omicidio, ma non era un criminale esperto. Castle le aveva dato tutti i pezzi mancati del suo puzzle, per quello aveva fatto quella scenata, sapeva benissimo che non avrebbe mai accettato di lasciarla andare per lui, altrimenti non avrebbe organizzato tutto questo per averla lì.
- Mi vuoi uccidere e vuoi punire Castle e farlo soffrire come soffri tu, vero?
- Non sei tu che fai le domande qui Capitano!
- Allora non chiamarmi Capitano, se non ho nessun potere. Chiamami Kate. È maschio o femmina il tuo bambino?
- Femmina.
- Anche la mia. Perché stai aspettando tanto ad uccidermi Swift? Castle è qui, sa tutto. Lo vuoi far soffrire? Fallo adesso no? Sparami, falla finita. Cosa stai aspettando!
- Zitta Capitano! Zitta! - L’ex agente le girava intorno nervoso muovendo la pistola freneticamente nella mano, facendola basculare pericolosamente. Non aveva una presa salda e la sua mano tremava con il dito sul grilletto, sarebbe bastato un sussulto in più per far partire un colpo.
- Pensi che sia colpa mia che tua madre è morta? Per questo hai fatto tutta questa messa in scena? Per ricordarmi di quando è morta mia madre?
- No… non ci avevo pensato a questo… Ma è una buona coincidenza. Fa male ancora Capitano, vero?
- Fa male sempre Swift.
- Dopo tutti questi anni Capitano? Non cambia nulla? - Era un uomo disperato, solo quello.
- No, Swift. Il dolore è sempre lo stesso. Impari solo a conviverci e a non farti condizionare tutta la tua vita da questo.
- Eppure tu sei venuta subito qui. Vuol dire che ti condiziona sempre - Fece una risata isterica
- Già… - Rispose Kate mestamente - Perché hai fatto questo allora?
- L’ho fatto perché sapevo che in questo modo tu saresti sicuramente venuta qui. 
- E se non lo avessi fatto?
- Ne avrei fatto uno uguale, e poi un altro e un altro ancora. E tu alla fine saresti venuta, perché lo sapevi che era per te. Ma non c’è stato bisogno, sei venuta qui subito. Non hai potuto resistere, contavo su questo.
- Swift, lo sai vero che se mi uccidi non ne uscirai vivo nemmeno tu. Invece possiamo uscire tutti e due da qui, senza conseguenze.
- E che vita mi aspetta? 30 anni in galera, uscirò che sarò vecchio, se mai ne uscirò. Sai le guardie dentro che fine fanno.
- Potrai vedere tua figlia. Non pensi che ne valga la pena?
- No. Perché comunque non potrò starle vicino. 
Kate si spostò verso il lato del vicolo. Se come aveva detto Castle le forze speciali erano lì, avrebbero aspettato di avere una linea di tiro libera. E lei, lì in piedi davanti a lui che si muoveva nervosamente intorno, le occupava tutte.
- Cosa fai? Ti ho detto di stare ferma lì!
- Sono stanca, mi posso sedere?
- No!
- Allora uccidimi adesso Swift! Cosa c’è, ti manca il coraggio di farlo? Siamo arrivati fino a qui, finisci il lavoro! - Kate lo stava sfidando: rischiava, ma non aveva altra scelta. Nella sua esperienza sapeva che se avesse realmente voluto ucciderla l’avrebbe fatto subito. Vedeva l’uomo che sudava copiosamente, era sempre più nervoso.
- Ok, ok, siediti, ma muoviti molto piano.
- Perché stai prolungando l’attesa? - Chiese Kate mentre arretrava lentamente - Vuoi far soffrire di più Castle o stai solo torturando me? O ti piace avere questo potere?
- Perché hai detto a Castle di andarsene? Se avessi accattato di tenere lui al posto tuo - Gli chiese
- Non lo avresti fatto 
- Rispondimi! Perché gli hai detto di andarsene?
- Non voglio che gli succeda qualcosa. - Kate era quasi addosso al muro, quando le spalle toccarono la parete si lasciò scivolare lentamente a terra, stando attenta ad ogni suo movimento.
- Non ho mai capito cosa ci hai trovato in lui Capitano Beckett.  - Disse guardandola dall’alto verso il basso con la pistola rivolta verso la sua testa
- Non è difficile, Swift io lo…
Un sibilo interruppe la sua frase. Swift cadde a terra esanime senza nemmeno accorgersi di essere stato colpito. 
Kate respirò profondamente, lasciando che l’adrenalina accumulata potesse defluire dal suo corpo. Chiuse gli occhi ed appoggiò la testa al muro. Non voleva che finisse così, ma nel momento in cui aveva deciso di provare quella strada, di spostarsi verso il muro, sapeva che non ci sarebbe stato altro epilogo. Doveva solo prendere tempo.
Sentì due braccia avventarsi su di lei ed aprì gli occhi. Non erano quelle che si aspettava.
- Ragazza lasciatelo dire, tu sei completamente pazza! - Lanie era in ginocchio vicino a lei stringendole le braccia al collo. Lei ricambiò il suo abbraccio dandole delle piccole pacche sulla schiena.
- Va tutto bene Lanie, va tutto bene! 
Alzò lo sguardo e vide davanti a lei anche Esposito e Ryan e poco dietro di loro la Gates. I due detective si avvicinarono a lei per aiutarla a rialzarsi, erano tutti felici di abbracciarla ed allo stesso tempo arrabbiati con lei.
- Cosa pensavi di fare Beckett? Metterti a sfidarlo? - Esposito era il più arrabbiato
- Prendere tempo ed ha funzionato Javier. Sto bene. - Chiuse il discorso Kate. - Grazie a tutti comunque.
- Avevamo detto niente scene del crimine, Beckett! - La voce della Gates arrivò forte e chiara alle sue orecchie.
- Mi scusi Capitano. 
- Non è con me che si deve scusare questa volta.
Rick. Era lì, lo sapeva, eppure era l’unico che non si era ancora fatto vedere.
- Dov’è Castle? - Chiese guardando tutti e quattro.
- È andato via appena hanno sparato a Swift. - La informò Ryan. Kate posò lo sguardo su tutti i presenti chiedendogli la risposta a quella domanda che non aveva il coraggio di fare, loro lo capirono ugualmente, ma scossero solo la testa, senza dire nulla, mentre lei si appoggiò con la schiena sul muro, guardando fissa il cadavere di quelle giovane donna ancora lì davanti ai suoi occhi.

 


NOTA: Questo capitolo è un po’ diverso dagli altri che ci sono stati fino ad ora ma avevo bisogno di una svolta di questo tipo, anche se non è una storia di azione o basata sui “casi”: più che un caso, è per me un “casus belli”.
I prossimi due saranno gli ultimi, sono un po’ quello che io considero il finale, diviso in due parti solo per una questione di dimensione, ne sarebbe venuto fuori uno esageratamente lungo. Non ho ancora deciso se li pubblicherò entrambi domani, oppure come di solito è stato, in due giorni differenti. Comunque siamo quasi arrivati alla fine (per fortuna, dirà qualcuno e lo capisco).

   
 
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