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Autore: Melabanana_    17/08/2016    2 recensioni
Kariya Masaki e Kirino Ranmaru si trovano catapultati per caso in uno strano videogioco che mescola confusamente le fiabe con la realtà, strani (ma familiari) personaggi e difficili situazioni... Riusciranno a raggiungere l'ultimo livello e ad uscire dal gioco?
[Scritta da Roby]
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Dal Prologo:
Prima ancora di rendersene conto, Kariya appoggiò braccia e viso sulla scrivania e si addormentò; anche Kirino, seduto accanto a lui, aveva chiuso gli occhi e dormiva placidamente con la testa sulla sua spalla.
Lo schermo s’illuminò.
Il caricamento è stato completato.
Bene, dunque…
Benvenuto nel mondo delle favole~
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Kariya Masaki, Kirino Ranmaru, Shindou Takuto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Inazuma Eleven Go! Characters Adventures °u°'
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n/A: il capitolo non è betato, pertanto potrebbero esserci degli errori di distrazione o di battitura. Mi scuso e assicuro che appena avrò un po' di tempo lo controllerò meglio.
Aggiungo inoltre alcune soundtracks che mi hanno aiutata mentre scrivevo, nel caso voleste ascoltarle durante la lettura:
Altre note dell'autrice a fine capitolo! ↓↓↓

 
Event Thirteen –Damsel in Distress.

Kirino si svegliò con un’orribile sensazione di soffocamento.
Scalciò la coperta che aveva addosso con furia e si alzò di scatto sui gomiti, guardandosi intorno. Si trovava nella stanza che Midori – beh, la sua alter-ego virtuale - gli aveva dato la sera prima, una piccola mansarda triangolare in cui faceva molto caldo. Si mise seduto sul materasso, poggiandosi una mano sul petto mentre cercava di regolarizzare il proprio respiro, ed avvertì una fitta di dolore dietro alla schiena. Dovette girarsi rapidamente su un fianco: non era facile dormire con una grossa coda pelosa, non si era ancora abituato all’idea e non credeva ci sarebbe mai riuscito.
Kirino sospirò e scosse il capo, cercando di scacciare la solita delusione che istintivamente lo assaliva ogni volta che apriva gli occhi e si rendeva conto di trovarsi ancora all’interno del gioco. Gettò un’occhiata fuori dalla finestra e notò che, benché il cielo non si fosse ancora schiarito, il sole stava cominciando a fare capolino dietro i tetti delle case. Doveva essere mattino presto, impossibile stabilire un’ora precisa.
Un fortissimo prurito gli faceva bruciare le gambe. Kirino allungò una mano per grattarsi e sussultò quando sentì le proprie dita affondare in una peluria ispida. Allarmato, si sporse subito verso il comodino per accendere la lampada ad olio; non appena il fuocherello divampò, un fascio di luce avvolse il letto, illuminando il corpo del ragazzo.
Kirino trattenne il respiro.
Le sue gambe  erano coperte da una folta peluria molto simile a quella della sua coda. Kirino si guardò istintivamente le braccia e notò che anche lì stavano crescendo peli scuri, sebbene non fossero ancora né alti né fitti come quelli delle gambe. Il dorso delle sue mani ne era coperto.
Le sue unghie erano diventate più lunghe. Kirino inspirò profondamente per farsi coraggio, poi scostò la coperta dai propri piedi e li studiò: erano in condizioni simili alle sue mani, con unghie ricurve, dure e lisce come perle, e uno strato di peluria grigia che copriva la pelle.
Non si trattava più di avere semplicemente una coda e un paio di orecchie in più sul capo; già da qualche giorno Kirino aveva capito che si stava trasformando in un vero e proprio lupo, ma ora il processo pareva aver preso una brusca accelerazione. Di questo passo, il ragazzo avrebbe perso la propria umanità da un momento all’altro: il pensiero lo terrorizzava.
Solo il giorno precedente, aveva ballato con Kariya nella piazza. All’inizio era stato divertente, persino liberatorio, lasciarsi trasportare dalla musica; all’interno del gioco erano stati sempre sottoposti ad una forte tensione, perciò dovevano approfittare dei rari momenti di svago. Kirino chiuse gli occhi per rivivere vividamente quegli istanti… Erano così vicini, Kariya non aveva opposto resistenza ed era rimasto tra le sue braccia, per una volta… Le mani di Kariya erano calde, i suoi occhi luminosi, e Kirino aveva sentito il profumo della sua pelle… Un odore misto di sudore e di fiori, l’aroma usato da Seto e Nishiki nella loro locanda… Sì, la pelle di Kariya era profumata, morbida, e a Kirino sarebbe bastato spostare i suoi capelli per scoprirgli il collo, poggiarci le labbra, mordere…
Aprì gli occhi di scatto ed esalò un verso incredulo. Aveva percepito quella stessa sensazione quando la musica si era fermata e lui e Kariya si erano trovati a guardarsi negli occhi, immobili e stretti l’uno all’altro in mezzo alla folla. Una sensazione di desiderio, quasi di fame. Kariya sembrava sorpreso; forse aveva letto qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che nemmeno Kirino era riuscito a spiegarsi fino a questo momento.
Stava diventando sempre più un lupo e sempre meno umano.
Kirino sospirò, si passò una mano nei capelli. Aveva la fronte bagnata dl sudore, non avrebbe saputo dire con certezza se dipendesse dal caldo o dalla tensione. Dovevano uscire al più presto dal gioco, o avrebbe perso il controllo… Non voleva rischiare di fare del male a Kariya. Era stato un sollievo avere una scusa per allontanarsi da lui quando, una volta terminata la danza, il Pifferaio gli aveva rivolto la parola. Se fossero stati attaccati un momento di più, Kirino non avrebbe resistito alla tentazione di mordere Kariya, nel punto di giunzione tra collo e spalla, dove la pelle sembrava più morbida e deliziosa…
Devo decisamente smetterla di pensarci, si rimproverò, arrossendo.
Uscire dall’universo di Fairytale era necessario anche per un altro motivo: la salute di Kariya peggiorava di giorno in giro. Kirino sapeva che non era così debole (lo aveva osservato a lungo, durante gli allenamenti), ma da quando si trovavano nel gioco il ragazzino sembrava perdere le forze molto più velocemente del solito e perdeva i sensi quasi quotidianamente. Considerati gli eventi a cui erano costretti a partecipare, Kirino non poteva negare di avvertire lui stesso una certa stanchezza, talvolta anche qualche dolore muscolare, ma Kariya sembrava molto più che esausto: era come se ogni giorno dovesse trasportare da solo un peso che lo affaticava enormemente.
Kirino frugò di nuovo nella propria memoria e ricordò l’evento della seconda stella, quello di cui erano stati protagonisti Nishiki e Midori. In quell’occasione, per la prima volta Kariya aveva perso i sensi dopo una battaglia. Mentre lo trasportava in un luogo sicuro, la preoccupazione di Kirino era diventata vero e proprio panico quando si era accorto di quanto pallido e freddo fosse. Sembrava quasi morto. Kirino rabbrividì ripensando ai momenti terribili che aveva vissuto mentre aspettava che Kariya si risvegliasse. Da quella volta in poi, era sempre stato così.
Kirino aveva pensato più volte di parlarne con Kariya, ma il ragazzino liquidava sempre le sue preoccupazioni come se fossero insignificanti. Era troppo testardo, troppo orgoglioso e, forse, troppo spaventato per ammettere che in lui ci fosse qualcosa di sbagliato. Di recente, Kariya era diventato ancora più lunatico, era sempre nervoso, pronto a scattare al minimo commento.
Una luce soffusa invase la stanza. Kirino guardò di nuovo il cielo e notò che il sole si era alzato ancora un pochino, affacciandosi sopra ai tetti.
Decise di alzarsi e andare a controllare come stava Kariya. Avrebbero dovuto dormire insieme, ma la sera precedente Kariya gli era parso così stremato che Kirino aveva preferito insistere con Midori perché gli dessero una singola: voleva che Kariya potesse riposarsi al meglio, anche se a lui sarebbe toccato accontentarsi di una piccola, soffocante mansarda.
Si mise in piedi, si infilò i pantaloni lunghi per coprire le gambe coperte di peluria e lasciò scivolare i piedi negli stivaletti, pregando che le unghie non crescessero ancora e che non si rompessero. Si chiese se non esistesse la possibilità di prendere altri vestiti senza doverli pagare, visto che non avevano denaro. Spense la lampada con un soffio, poi uscì dalla stanza e chiuse la porta. Davanti a lui c’era una lunga scala a chiocciola di legno e, con un sospiro, iniziò a scenderla lentamente per non fare troppo rumore. Se Kariya stava ancora dormendo, di certo non intendeva svegliarlo. Se non sbagliava, la sua stanza avrebbe dovuto trovarsi proprio sotto le scale.
Bussò una volta sola, piano. Da dentro non venne alcuna risposta e Kirino sapeva che la porta non era chiusa (nessuna stanza aveva una chiave), perciò la aprì senza aspettare oltre.
Trattenne bruscamente il respiro per la sorpresa quando vide il letto vuoto, spogliato dalle sue coperte, che erano state legate per farne una sorta di corda.
Kirino si precipitò verso la finestra spalancata, appoggiò entrambe le mani sul davanzale e guardò giù. L’aria tratteneva ancora l’odore della notte. Le coperte arrivavano fino a terra e la strada davanti a lui era vuota, di Kariya non c’era traccia. Era scappato, o qualcuno lo aveva portato via? Kirino si guardò intorno, nella stanza non c’erano segni di lotta. Kariya era ancora debole dopo la battaglia, avrebbero potuto portarlo via senza problemi anche se fosse stato sveglio… Ma Kirino aveva la brutta sensazione che il ragazzino fosse andato via sulle proprie gambe.
Si avvicinò al letto e guardò dritto verso la spalliera. Il cestino che conteneva il libro, e che Kirino aveva appeso vicino ad uno dei pomi, non c’era più. Kirino si premette le mani sul viso e si lasciò sfuggire un verso esasperato realizzando che probabilmente Kariya era andato a cercare l’ultima stella da solo e che, come al solito, si sarebbe cacciato nei guai.
Non poteva lasciare le cose così come stavano, doveva trovarlo al più presto. L’unico problema era che non aveva idea di dove cercarlo…
Mentre rifletteva sul da farsi, una dolce melodia gli arrivò alle orecchie da lupo. Il sole stava sorgendo e il pifferaio doveva essersi svegliato; nella locanda presto tutti avrebbero seguito il suo esempio per riprendere le proprie attività, o forse si sarebbero lasciati cullare nel sonno ancora un po’ dal suono del flauto. Del resto, non sapevano quando il pifferaio sarebbe ripartito e volevano godersi la sua musica finché ce n’era la possibilità…
Il pifferaio.
Kirino si bloccò, fulminato da un’idea improvvisa. Come aveva fatto a non pensarci prima?
Uscì dalla stanza in tutta fretta e, guidato dal suo udito, trovò la camera del pifferaio. Bussò con impazienza.
-Venite pure- rispose una voce. Kirino esitò per un momento: non sembrava affatto la voce di Shindou. Era vuota, senza un particolare timbro.
Ma non aveva tempo di pensare a questi dettagli, perciò aprì la porta. Il pifferaio era seduto sul davanzale della propria finestra, con una gamba piegata sott’altra e lo strumento musicale alle labbra; era già vestito e dalla finestra aperta spirava una brezza calda, che muoveva leggermente i suoi capelli e la piuma rossa attaccata al suo cappello. Il suo viso era coperto da una sottile penombra e Kirino ebbe l’impressione che fosse senza espressione, ma bastò battere un pio di volte le palpebre perché il personaggio gli apparisse come Shindou.
-Messer Kirino, buongiorno- salutò con garbo. Era la voce di Shindou, questa volta, non c’era alcun dubbio, e anche gli occhi castani che lo scrutavano erano i suoi.
-A cosa devo la vostra visita… così presto? È successo qualcosa? Mi sembrate trafelato- osservò.
-Il mio compagno è scomparso.
-Ah, la dolce Cappuccetto? Mi rammarica molto, purtroppo non ne so nulla…
-No, io… Ho bisogno di un’informazione- lo interruppe Kirino. –Avete viaggiato molto, in lungo e in largo, giusto? Allora saprete forse dirmi… Avete mai sentito parlare di una certa Rosaspina? Una fanciulla addormentata in un castello?
Il pifferaio gli rivolse un’occhiata curiosa, come se gli fosse stata rivolta una domanda strana.
Per alcuni minuti rimase in silenzio, perso nei propri pensieri. Kirino non voleva mettergli in fretta, ma la sua pazienza era agli sgoccioli. Kariya avrebbe già potuto essere in pericolo… ma se avesse avuto bisogno di aiuto, avrebbe evocato la carta del Lupo, vero? Avrebbe chiesto il suo aiuto? Kirino si morse l’interno della guancia sperando di aver ragione, ma non era più sicuro di niente.
-Non conosco il nome Rosaspina- disse infine il pifferaio. Kirino stava già per avvertire la delusione, quando l’altro proseguì:- Ho sentito parlare, però, di una fanciulla che è stata maledetta e che pertanto giace addormentata in un castello da molto, molto tempo. Non so se si tratta della stessa Rosaspina di cui parlate voi… Si tratta di una leggenda che circonda un particolare luogo, non troppo distante da qui.
-Deve trattarsi di lei!- esclamò Kirino. –Pifferaio, vorrei che mi portaste in questo luogo. Credo che Cappuccetto… il mio compagno… si sia diretto lì per aiutare Rosaspina. Potreste fare questo per me?
Il pifferaio annuì e si alzò lentamente, riponendo il flauto in una tasca interna della giacca.
-Vi porterò dove volete, messer Kirino, ma l’avverto: non sarà facile entrare nel castello.
Quando mai qualcosa è stato facile in questo gioco?, pensò Kirino, ma non lo disse ad alta voce.
-Come mai?- chiese invece. Ripensò alla fiaba di Rosaspina e immaginò già la risposta.
-Il castello è interamente circondato da alti muri di rovi pungenti, probabilmente invalicabili… per questo è chiamato proprio il Castello dei Rovi- spiegò il pifferaio.
Kirino sospirò: non si era aspettato niente di meno complicato per la quinta stella.
 
 
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Il sole era sorto da poco quando Kariya intravide, in lontananza le guglie di una torretta.
Era vagamente sollevato di aver scelto la direzione giusta, ma era ancora troppo presto per esultare: la meta appariva lontana ed il ragazzo non riusciva a immaginare per quanto ancora avrebbe dovuto camminare. Inoltre, non c’era nessuna garanzia che la torre fosse legata a Rosaspina.
Sentiva il corpo pesante, intirizzito e dolorante. Si era allontanato un bel po’ dal villaggio, tanto che ormai non riusciva a vedere i tetti delle case oltre la collinetta su cui si era fermato quando la stanchezza era sopraggiunta. Forse avrebbe potuto riposare un pochino…
Kariya uscì dal sentiero di ghiaia gialla e camminò fino ad un masso coperto di morbido muschio. Appoggiò il cestino accanto a sé, aggomitolò la propria mantellina sotto il proprio capo come cuscino e si rannicchiò sull’erba fresca. L’aria del mattino era calda e gli faceva venire sonno… Aveva appena chiuso gli occhi, quando qualcuno parlò.
-Non dovresti uscire dal sentiero tutta sola, Cappuccetto Rosso! La mamma non ti ha insegnato nulla?
Kariya sobbalzò e si tirò su di scatto. Hiroto, nei suoi abiti da contastorie, era ora seduto sul masso, con il viso tra le mani, i gomiti appoggiati sulle proprie ginocchia. Era comparso all’improvviso e si era messo ad osservare il ragazzino dall’alto in basso, con un’espressione curiosa e divertita.
-Cosa… Cosa ci fai tu qui?!- esclamò Kariya, cercando istintivamente di mettere distanza tra loro.
Hiroto sorrise placidamente.
-Sembrava che ti servisse una mano per trovare Rosaspina- rispose.
Kariya gli rivolse un’occhiata circospetta.
-Tu… tu sai dov'è Rosaspina? Se conosci la strada, dimmela!
-Oh, ma anche tu sai dov’è! Ci stavi andando, giusto?- ribatté il contastorie. Si alzò in piedi, si stiracchiò come un gatto e poi indicò la lontana torretta. –Rosaspina è proprio là!
Beh, almeno ci aveva visto giusto. Per qualche motivo, Kariya non si sentiva per nulla sollevato. Avrebbe dovuto camminare ancora molto.
Hiroto parve intuire i suoi pensieri.
-Se vuoi, c’è una scorciatoia per il castello- disse.
-Una… scorciatoia?
-Certo, io la conosco. Vuoi che te la mostri?
Kariya rimase in silenzio. Ecco, si trovava davanti ad una classica scelta da videogioco: accettare l’aiuto e cercare una scorciatoia, o rifiutarlo e seguire la strada principale? L’opzione B sembrava la più sicura, almeno apparentemente, ma a giudicare dalla distanza si sarebbe trattato di più di un giorno intero di marcia. Avrebbe dovuto trascorrere le notti all’aria aperta, con chissà quali creature selvagge nei dintorni.
Scegliere l’opzione A significava accettare quell’aiuto inaspettato. Kariya non era sicuro di fidarsi del contastorie, che lo intimoriva e al contempo esercitava su di lui uno strano fascino. Forse era perché aveva assunto l’aspetto di Hiroto, una delle poche persone a cui Kariya raramente sapeva dire di no. Lo strano fascino del contastorie non faceva altro che spaventarlo di più.
Ma Kariya voleva uscire dal gioco al più presto: non riusciva più a sopportare quella situazione. La sua salute, che pareva misteriosamente peggiorare ogni minuto di più, lo preoccupava più di tutto il resto. Ripensò alla domanda di Kirino: Cosa succede, se si muore qui?
-Va bene, mostrami la strada- disse infine, titubante.
Hiroto non smise di sorridere, come se avesse sempre saputo quale sarebbe stata la decisione finale.
Si girò e s’incamminò, scendendo un fianco della collinetta. Kariya gettò un’ultima occhiata indecisa al sentiero, poi si infilò nuovamente la mantellina e seguì il contastorie.
Procedevano in silenzio ed il fatto che il contastorie non avesse più nulla da dire era tanto strano quanto inquietante.
Circa un quarto d’ora più tardi, Kariya non riusciva più a vedere la torretta; anzi, in realtà, non riusciva a vedere nemmeno le proprie scarpe, perché d’un tratto una nebbia grigia e fumosa si era sollevata intorno a loro. Attanagliato da un senso di disagio, temendo di essersi allontanato troppo, Kariya si voltò verso la propria guida e per poco non gli andò a sbattere contro.
Quando sollevò il capo per protestare, si bloccò vedendo Hiroto portarsi un dito alle labbra, come per dirgli di fare silenzio. Davanti a loro era comparsa una piccola selva. Kariya si chiese se fosse sempre stata lì, se per caso non fosse stata nascosta dalla nebbia; non poteva certo essere comparsa dal nulla, giusto? Il fatto di non poter avere una risposta certa rendeva tutto più inquietante. Non avrebbe mai voluto entrarci, ma non poteva neanche tornare indietro. Non avrebbe saputo come fare. Ed il contastorie questa volta non aspettò che prendesse una decisione, non gli diede opzioni: si voltò e, senza aspettarlo, s’incamminò tra gli alberi. Kariya capì di non avere scelta se non affidarsi a lui e si affrettò per non perdere di vista il personaggio, che procedeva a passo svelto, quasi come se lo stesse sfidando a non perdersi.
Gli alberi avevano tronchi scuri e ricurvi e chiome fitte. Ogni tanto l’aria era riempita dalle grida delle cornacchie, o da lunghi, profondi versi di animali che Kariya non voleva incontrare faccia a faccia. Si sforzò di camminare il più vicino possibile al contastorie, tenendo il cestino stretto contro il corpo: il libro era la sua unica arma per difendersi, doveva starci molto attento. Era difficile vedere davanti a sé a causa della nebbia, perciò decise di concentrarsi sul contastorie, da un lato, e dall’altro sui propri piedi, cercando di non inciampare in radici sporgenti.
Kariya non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato, sembrava che tutto fosse rallentato dalla nebbia e dal silenzio che gravava tra lui e il contastorie.
Poi, d’un tratto, cominciò a scorgere i rovi: erano lunghi lacci erbosi, interamente coperti di spine che apparivano capaci di tagliare la gola di una persona in un secondo, attorcigliati su sé stessi e intorno alle mura delle torri. Erano fitti e apparentemente invalicabili.
-Siamo arrivati al Castello dei Rovi- annunciò Hiroto. Il nome dato al luogo era davvero appropriato e prometteva una fine orribile.  
-E come facciamo a entrare?- chiese Kariya, incrociando le braccia al petto.
Hiroto non sembrava turbato quanto lui, anzi sorrideva con serenità.
-Oh, tranquilla, Cappuccetto! Sono certo che non avrai problemi. Si dice che i Rovi abbiano un’anima, e che facciano passare le persone speciali- disse.
-La tua spiegazione non è per nulla convincente…- borbottò Kariya sottovoce. -Cosa cavolo si intende per speciali…? Non ha alcun senso, è troppo vago!
-Per te si apriranno di certo- affermò con decisione Hiroto. –Dopotutto, non sei uno dei personaggi protagonisti di questa storia?
-Non sono un personaggio di nessuna…- protestò Kariya, ma s’interruppe di colpo quando vide che, a dispetto di tutte le sue convinzioni, il contastorie aveva ragione.
La barriera di rovi si stava aprendo per lui, i lacci spinosi si ritiravano senza indugi fino a creare un varco. Gli stavano dicendo esplicitamente di passare. Kariya esitò e si girò verso Hiroto, che gli rivolse un’occhiata incoraggiante e con il mento gli fece cenno di andare.
Con il cuore in gola, Kariya deglutì e si fece coraggio per attraversare il varco. Ad ogni passo guardava verso l’alto: temeva che i rovi potessero richiudersi su di lui, trafiggendo il suo corpo con le loro spine. Sarebbe stata una morte orribile, solo immaginare la scena gli dava i brividi. Fortunatamente, però, i rovi non diedero segno di volerlo uccidere e lo lasciarono passare senza problemi. Iniziarono a richiudersi lentamente solo quando Kariya mise piede nel cortile del castello.
-Bene- sussurrò. –E ora che faccio…?
Si voltò, cercando l’aiuto del contastorie, e così si accorse che il contastorie non l’aveva seguito. Probabilmente era rimasto all’esterno della barriera dei rovi, perché non voleva o non poteva passare oltre. I lacci si erano intanto chiusi in modo così stretto e fitto che Kariya non riusciva a scorgere nemmeno i capelli rosso fiamma di Hiroto.
Il ragazzino tornò a guardare il paesaggio desolante davanti a sé. Il cortile era vuoto, avvolto da una cortina di nebbia sottile; al suo centro vi era un pozzo senza dubbio molto profondo, da cui proveniva un odore vomitevole di acqua marcia e stagnante. Kariya trattenne il respiro mentre ci passava a fianco per proseguire verso l’interno del castello. Sulla porta di legno, coperta da uno strato di polvere e terra, pendevano i tralicci di una vite secca, ormai incapace di produrre dei frutti. Quando Kariya li spostò per raggiungere il pomello, la vite si spezzò e si sbriciolò sotto le sue dita.
La porta si lasciò aprire senza alcuna resistenza, probabilmente non era mai stata chiusa; non ce n’era bisogno, perché i viaggiatori venivano sempre fermati dai rovi, tornavano indietro o morivano ben prima di arrivare alla torre del castello. Kariya percepì un brivido freddo corrergli lungo la schiena quando spinse in avanti la porta e il legno scricchiolò e strisciò contro il pavimento di pietra emettendo un verso acuto, quasi un grido spezzato.
 
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Il pifferaio conosceva bene la strada: un sentiero di ghiaia gialla che conduceva dritto verso una torretta di cui s’intravedevano le guglie già a metà strada. Kirino non poteva fare a meno di chiedersi se Kariya non avesse percorso lo stesso sentiero, solo poche ore prima di lui. Sarebbe riuscito a raggiungerlo in tempo, prima che si cacciasse nei guai? Era improbabile, ma Kirino sperava di sì.
Il pifferaio sembrava a suo agio e stava suonando un pezzo allegro, come se volesse risollevargli il morale. Forse si accorse che non stava funzionando, perché d’un tratto smise e gli rivolse la parola.
-Siete sinceramente preoccupato per Cappuccetto- osservò, abbozzando un sorriso.
Kirino sussultò, strappato dai propri pensieri.
-Oh… beh, sì- ammise. –Non siamo molto amici, ma è un mio compagno ed è più piccolo di me di un anno… Mi sento responsabile nei suoi confronti.
-Mmm. Ho la sensazione, però, che non sia soltanto questo- replicò il pifferaio. Kirino lo guardò sorpreso e l’altro piegò leggermente la testa di lato, assumendo un’espressione pensierosa.
-Siete sicuro che i vostri sentimenti per la dolce Cappuccetto si fermino qui? È una fanciulla molto carina, non vi biasimerei se ve ne foste infatuato.
-Kariya non è una fanciulla- obiettò Kirino, poi rifletté sulle parole del pifferaio e le sue guance si colorarono rapidamente di rosso. –Ma… infatuato… non vorrete dire che io…?
Il pifferaio sorrise. –Chissà? Questa è solo la mia impressione. Solo voi potete conoscere i sentimenti che albergano nel vostro cuore, messer Kirino…- disse, poi voltò lo sguardo verso il sentiero e il suo viso s’illuminò.
-Messer Kirino! Siamo quasi arrivati alla nostra destinazione. Riesco già a scorgere i rovi. Venite dove mi trovo io- affermò e, quando Kirino lo raggiunse, gli indicò la fitta barriera di rovi che si ergeva ad appena una ventina di metri da loro.
Kirino deglutì: vista da lontano, era davvero alta e spaventosa, gli metteva i brividi. Aveva il presentimento che da vicino non gli avrebbe dato sensazioni migliori. Intorno a loro si era sollevata una fine cortina di nebbia, che sembrava avvolgere soltanto la zona del castello. Più si avvicinavano al castello, inoltre, più la temperatura si abbassava. All’improvviso tutti i sensi di Kirino erano all’erta; il suo naturale istinto di sopravvivenza gli stava dicendo di tornare indietro.
Ma non poteva farlo, non poteva abbandonare Kariya a se stesso. Avrebbe riflettuto più tardi sui sentimenti che provava per lui. Al momento, gli sarebbe bastato sapere con certezza che Kariya stesse bene, che fosse sano e salvo.
-Dovremmo trovare un modo di aggirarli- disse, pensieroso.
Il pifferaio non gli rispose. Kirino si girò a guardarlo e notò che il personaggio si era bloccato di colpo; aveva lo sguardo vuoto e i suoi lineamenti si stavano scomponendo in milioni di piccoli pixel. Kirino aggrottò la fronte, confuso.
-Pifferaio?- chiamò, agitò una mano davanti al suo viso, ma l’altro non reagì. Sembrava che ci fosse una sorta di bug nel gioco che gli impediva di funzionare. Kirino stava giusto pensando a come comportarsi quando le sue orecchie da lupo sussultarono, cogliendo un lieve fruscio alle sue spalle. Il ragazzo si voltò di scatto e, con grande stupore, notò che i rovi si stavano ritirando: i nodi erbosi si stavano sciogliendo, le spine si curvavano verso l’interno, assopite, innocue, e ben presto nella barriera si era aperto un arco sotto cui Kirino avrebbe potuto passare agevolmente.
Lanciò una rapida occhiata al pifferaio, che era ancora immobile, paralizzato. Non aveva nemmeno più l’aspetto di Shindou e il suo corpo era quasi trasparente, al punto che se Kirino avesse allungato un braccio vi sarebbe passato attraverso. A quel punto, non aveva scelta se non attraversare i rovi ed entrare nel castello da solo… E, dopo aver tirato un profondo respiro per farsi coraggio, così fece.
 
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Al primo piano della torre c’era una sorta di salone circolare. Non c’era nessun mobile, ma Kariya immaginava fosse inutile arredare una casa la cui unica abitante dormiva ogni giorno da anni. Proseguiva in punta di piedi per non far scricchiolare troppo il legno marcio, ad ogni passo che faceva nella stanza sollevava una nube di polvere e sporco. Nulla gridava “abbandonato” più di quel posto.
Kariya trovò un piccolo varco per una scala a chiocciola, i cui gradini di pietra avevano un’aria tumefatta, ma solida. Cominciò a salire un gradino per volta, lanciando ogni tanto un’occhiata circospetta alle proprie spalle. L’ultima volta che era entrato in una torre, aveva poi scoperto la presenza di un drago assetato di sangue; sperava che questa volta non ci sarebbero state sorprese del genere, e che magari la principessa Rosaspina fosse meno violenta di Midori. Non ci teneva ad essere preso a padellate una seconda volta, grazie tante.
Gli sembrava di aver già salito una cinquantina di scalini quando finalmente, alzando lo sguardo, vide una porta verde scuro. Avvicinandosi, vide che il pomello dorato era a forma di rosa e che il legno era intarsiato con il disegno di rovi spinosi, che si attorcigliavano in spirali lungo il bordo. Kariya inspirò a fondo. Ci siamo, pensò.
Tutto pareva indicare che dietro quella porta ci fosse Rosaspina.
Mise una mano sul pomello, che si abbassò con uno schiocco, ed aprì la porta.
La stanza era diversa da come se l’aspettava: era identica al salone che c’era al piano di sotto, ma le pareti erano coperte di specchi di varie forme e dimensioni. Persino sulla facciata interna della porta ce n’era uno, lungo e stretto, che copriva interamente la superficie di legno. La cosa più strana, però, era l’assenza di un letto. Sembrava ovvio che dovesse essercene uno dove c’era una principessa dormiente, no? Ma non c’era traccia né di letti, né di principesse.
-Finalmente sei arrivata, Cappuccetto- disse una voce familiare.
Kariya sussultò ed arretrò di scatto, andando quasi a sbattere contro lo specchio sulla porta. Il contastorie, che aveva ancora l’aspetto di Hiroto, era in piedi davanti ad una piccola finestra a forma di arco, chiusa da un vetro diviso in sei parti.
-Tu… D-di nuovo tu?!- gridò Kariya, la sua voce salì di un’ottava per la sorpresa.
-No, aspetta, come hai fatto ad arrivare qui prima di me?! Io… Tu… T-ti avevo lasciato laggiù, ero sicuro che…
L’altro lo interruppe con una risata e ignorò la domanda.
-Non potevo perdermi il gran finale- disse invece, con un sorriso enigmatico.
Kariya boccheggiò, deglutì e strinse forte il cesto al petto. Si sentiva fortemente a disagio in presenza del contastorie, molto più di prima. La sua risata non gli era mai parsa tanto dolce quanto inquietante.
-Dov’è Rosaspina?- riuscì a chiedere con un filo di voce. –Devo salvarla, così potrò…
-Ah, Cappuccetto, quanto sei tenera…! Ancora non l'hai capito?- Il contastorie lo interruppe di nuovo. Si alzò in piedi e lentamente si avvicinò a Kariya con un’espressione sardonica. Kariya non credeva che avrebbe mai visto un sorriso tanto crudele sul volto di Hiroto, almeno non rivolto a lui, e sentì il terrore gelargli il sangue nelle vene.
Avrebbe voluto indietreggiare, ma per qualche motivo era paralizzato. Le sue gambe non obbedivano, come se un incantesimo oscuro le avesse tramutate in pietra. L'aria era diventata soffocante e il suo respiro si fece affannoso. Fissava inerme la persona che veniva verso di lui, ascoltando il tonfo dei suoi passi, il fruscio del suo mantello che strisciava sul pavimento.
Il contastorie gli afferrò il mento tra le dita e gli sollevò il volto per guardarlo dritto negli occhi.
-Rosaspina non è mai stata qui- rivelò in un sussurro -e la fanciulla da salvare sei proprio tu, mia cara Cappuccetto…
 


 

**Angolo dell'Autrice**
Buon pomeriggio, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Come autrice, sono stata molto presa dalla descrizione del Castello di Rovi, che rappresenta lo scenario finale della storia, il luogo dove avverranno gli ultimi eventi... Visto che è praticamente la "tana" del "Boss finale", ci tenevo a raffigurare un'atmosfera misteriosa ed inquietante e mi auguro di esserci riuscita! 
In quest'ultima parte di storia sposterò spesso il p.o.v. da Kariya a Kirino e viceversa; questa scelta è dettata da un motivo pratico, cioè il fatto che sono separati, e da uno emotivo, ovvero la necessità di indagare gli stati d'animo di entrambi. Kariya e Kirino non dovranno soltanto realizzare (finalmente) quali sentimenti nutrano l'uno per l'altro, ma anche cercare di capire la complessa trama in cui sono rimasti invischiati. Ho cercato di dare vari indizi, nel corso degli ultimi capitoli, su cosa stia realmente accadendo ai due... Comunque, tra poco tutti i nodi verranno al pettine, come si suol dire!
Al prossimo aggiornamento,
                             Roby
   
 
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