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Autore: Blablia87    17/08/2016    7 recensioni
Cosa si può fare, in 180 giorni?
Alle volte, si può cambiare una vita intera.
[AU][Tematiche delicate]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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+93
2.230 ore circa dall’Impatto.
 
Il medico ha ammesso che le possibilità di recupero della parte sinistra sono scarse, quelle della zona inferiore pressoché nulle.
Mio fratello lo ha fulminato con lo sguardo.
Come se non lo avessi già dedotto dalle sue mani contratte, o dai sorrisi di circostanza delle infermiere ad ogni ingresso nella mia stanza durante quest’ultimo mese.
 
“Oggi torni a casa.” Continuano a dirmi.
Quella non è casa mia.
Casa mia è a chilometri di distanza da qui.
E l’ho persa, insieme a tutto il resto.
 
 
 


+96
73 ore circa dal mio ingresso trionfale nella mia nuova “vita”.
 
Mycroft ha rinunciato alla propria dépendance e di conseguenza a circa ottanta metri quadri della sua “magione” estiva per ricavarne un luogo adatto a me, come ama ripetere.
Nella fattispecie l’adattamento si traduce in un groviglio di cavi e guide che percorrono per intero il soffitto, permettendo ad una specie di amaca di trasportarmi qua e là come un pezzo di carne appena uscito dal macello (che, in modo piuttosto ironico, è esattamente quello che sembro senza vestiti addosso). Un cavo per entrare nella vasca, un cavo per uscire dalla piccola piscina per la “riabilitazione”, un cavo per scendere dal letto.
Ho cercato il violino con gli occhi, senza trovarlo.
Gentile, da parte sua, nasconderlo alla mia vista. Come se l’impatto avesse leso i miei centri del ricordo, e mi fossi dimenticato di averlo chiesto espressamente. Come se non sapessi che si crede misericordioso, nell’aver scelto di portarlo via. Sempre che l’abbia mai davvero preso, da Baker Street.
 
L’unica cosa con la quale interagisco realmente è questo schermo. È divertente, vederlo reagire a input così rapidi come il movimento delle pupille. Alle volte uso la mano destra, ma sono insopportabilmente lento.
 
Ho scritto una mail alla signora Hudson, per rassicurarla.
L’ho inviata al panettiere. Ha dieci anni meno di lei e più dimestichezza con la tecnologia.
Magari si chiederà come ho ottenuto il suo indirizzo, ma non farà tante domande.
 
Gli ho inviato una missiva personale ieri. Gli ho detto di far avere alla signora il messaggio, o io farò avere il mio al fisco.
 
No. Non credo farà domande.
 
 
 
 
(0,0)
Nessun orientamento.
Solo un punto.
 
Oggi ho fatto una scelta.
 
La scelta.
 
 
 
 
(0,0) +2
Oggi ho informato Mycroft.
 
Inutile dire quale sia stata la sua reazione.
Ma per quanto cerchi “di farmi ragionare”, come avrà ripetuto almeno dieci volte, sa che la sua ferrea logica non avrà la meglio sulla mia, questa volta.
Perché, per quanto ammetterlo lo spaventi, è cosciente che la ragione risieda dalla mia parte della bilancia, tra le ruote silenziose di questo odioso mezzo di trasporto meccanico che porta il mio corpo in giro per queste stanze.
 
Oggi piove, e il cielo grigio del Sussex sembra voler entrare dalle vetrate di questa prigione di cristallo.
 
 
 
 
-210
Per quanto non volessi, ho dovuto contrattare. Al momento gestisce lui il denaro, così come i mezzi di trasporto. Una delle tante cose che odio, da quando ho riaperto gli occhi su questa esistenza a metà.
 
Ha chiesto un anno. Io non volevo aspettare più di tre mesi. Alla fine, ci siamo accordati per sette.
 
Cinque mesi persi per lui.
Quattro per me.
 
Quindi, alla fine, ho vinto io. Come sempre.
 
210 giorni.
 
 
 
 
-209
 
La signora Hudson mi ha risposto.
Vorrei dirle che sì, tornerò presto a casa, ma non amo mentirle quando non è strettamente necessario.
 
Magari le scriverò una lettera, quando sarà il momento. Una lettera vera, con francobollo e tutto.
 
Sono contento che abbia deciso di lasciare il 221b libero per me. Ma, prima o poi, dovrà radunare tutte quelle cose e mandarle al macero. È inevitabile. Non ancora, però.
 
Mi piace pensare di poter tornare alla mia poltrona un’ultima volta.
 
Magari chiederò a Mycroft di allungare il viaggio di andata verso la Svizzera. Di fare una deviazione. Magari due.
Lestrade potrebbe rimanerci male, nello scoprire che dovrà vedersela da solo con tutti quei delinquenti che quasi sempre riescono a sfuggirgli davanti agli occhi.
 
Certo, non credo che sarà peggio di trovarmi quasi morto su una delle sue scene del crimine…
In effetti, non gli ho mai chiesto come l’ha presa.
 
 
 
 
-207
Prevedibile.
 
Mycroft mi ha fatto recapitare una cartella piena di casi irrisolti.
 
Un solerte tecnico ha armeggiato con il computer, e adesso ho una piccola icona che mi mette in collegamento diretto con la divisione di Lestrade.
Gentile, da parte sua, settare la telecamera in modo che mi inquadri solo il viso.
 
Quindi eccola qui, la contromossa di mio fratello. Una meravigliosa alternativa all’uso degli arti.
 
Peccato che non funzioni poi così bene, come distrazione, quando ogni due ore un’infermiera deve venire a controllare il mio stato di saluto generale. Diciamo che è un cadenzato risveglio dalla realtà.
 
Alla fine, ad ogni modo, ho ceduto. Se sfoglio i fascicoli non posso muovere la sedia, ma non è poi così necessario.
 
Vorrei semplicemente poter uscire a fumare una sigaretta, ma le porte al momento sono inattraversabili, con questo transatlantico sul quale passo circa diciotto delle mie venti ore di veglia giornaliera.
 
L’infermiera delle 16:00 - della quale ignoro il nome ma non il fatto (abbastanza palese) che tradisca il marito con almeno due uomini diversi - trova divertente definire la mia sedia “il Titanic delle carrozzine elettriche”. Non credo di aver mai invocato così tante volte che un iceberg ci investisse, ponendo fine alle sue ciance e alla mia (maggiorata) agonia nel sentirle.
 
Comunque.
Al momento ho pile su pile di visi sconosciuti pinzati a verbali per lo più illeggibili a tenermi compagnia.
 
Mio fratello insiste che mi alleni in acqua per almeno due ore al giorno.
 
Capisco cosa stia provando a fare e, in parte, mi dispiace per lui.
Più mi guarda più vede la mia convinzione.
 
È come assistere ad una lentissima marcia nel braccio della morte, domandandosi perché il prigioniero continui a camminare con tanta testardaggine.
 
Quindi entro il acqua (fili a sollevare, fili ad abbassare), e gli concedo un paio di bracciate con la destra, portandomi sinistra e gambe appresso, come una zavorra.
 
Le dita della mancina formicolano, alle volte, ma non gliel’ho detto.
 
In 200 giorni arriverò al massimo a sollevare l’indice quel tanto da poter accusare l’infermiera di aver davvero parlato troppo, poco altro. Importa davvero quanta mobilità avrò, quando sarà il momento?
 
 
 
 
-200
Ogni tanto sogno il Volo.
 
Quell’attimo di epifania che ti allarga i sensi mentre sai di star per morire.
Spalanco gli occhi a metà della caduta, realizzando che l’impatto col suolo avverrà nel giro di pochi secondi.
 
Mi risveglio a letto, congelato in una statica posa supina.
 
Non ho mai dormito in questa posizione in tutta la vita.
Eppure non posso fare diversamente.
I fili non ti girano da un lato. Non alzano lenzuola.
 
Ma mai a nessuno darò il potere di sentirsi indispensabile, per me.
Non dipendo che da quel patto con mio fratello.
 
200 giorni alla mia libertà.
 
 
 
 
-198
Piove.
 
Il giardino è umido, carico di acqua e forme di vita, ed io vorrei riuscire a portare la sedia oltre le maledette porte scorrevoli di questa teca nella quale sto perdendo la ragione.
 
Lestrade dice che non posso chiamarlo ad ogni ora del giorno, che i casi devono essere un aiuto, non un’ossessione.
 
Mycroft non deve avergli detto del nostro patto, o si sentirebbe in colpa a impormi regole sulla quantità di tempo da passare insieme.
O, ancor più presumibilmente, mio fratello gli ha riferito che ho smesso di mangiare con regolarità, da quando ho ricevuto i plichi.
 
La verità è che occorrerebbero due mani, per poter sfogliare i documenti e nutrirsi allo stesso momento. Sfortunatamente, ne ho solo una nel pieno delle sue capacità.
 
Mi si paventa lo spettro del sondino nasogastrico come se fosse un mostro orribile, mentre per me sarebbe la scelta migliore. Che mi riempiano di nutrienti liquidi, se sono tanto preoccupati della mia salute. Mi chiedo cosa cambi mai, qualche chilo in più o in meno.
 
198 giorni.
 
 
 
 
-193
Il vento spazza l’erba e fa tremare i vetri.
 
Non credo di ricordare come fosse, sentirlo tra i capelli.
Mi manca, come mi manca Londra ed i suoi vicoli, dove soffiava con forza contro il bavero alzato del mio cappotto.
 
Ho terminato i casi in mio possesso, e con loro la poca voglia che ho avuto negli ultimi giorni di continuare ad “alzarmi” dal letto.
 
Poco più di 190 giorni mi sembrano un’eternità, se mi fermo a riflettere di doverli trascorrere qui, una cavia informe in un labirinto lustro.
 
Se non fosse per l’infermiera (castana, timida) della mattina, muta assistente delle funzioni che mi ostino ad espletare da solo, non credo che il mio transatlantico motorizzato si troverebbe davanti a questo schermo con me sopra, adesso.
 
Ho chiesto a Lestrade altri casi.
 
Ho chiesto a Mycroft il mio violino.
 
Ho anche invocato la morte, ma per quella occorrerà un po’ più di tempo.
 
D’altronde, se non mi ha ucciso l’Atterraggio, dubito che potrà mai farlo l’acqua calda della piscina o, ancor più semplicemente, la noia.
 
193 giorni al termine del tedio.
 
 
 
 
-184
Gli unici casi ancora aperti in mano a Lestrade sono quelli che la sua divisione sta seguendo con l’aiuto di un consulente esterno, un professore di neuroscienze con cattedra al King's College di Londra.
 
Non mi ha voluto dire di più, con la convinzione che questo mi facesse desistere dalla mia richiesta continua di un diversivo all’immobilità alla quale hanno condannato i miei neuroni.
 
Non c’è voluto molto, ad ogni modo, a rintracciare il suo nome. Lestrade lo ha definito “giovane”, e l’unico titolare di un corso al Dipartimento di Neuroscienze Cliniche e di Base sotto i settant’anni risponde al nome di John H. Watson.
 
Ho fatto altre ricerche sul suo conto, ed ho scoperto che è un ex chirurgo militare, Capitano della quinta Northumberland Fucilieri, congedato in seguito ad un ferimento in Afghanistan.
 
La sua pagina sul sito del College ha poche informazioni, ma una foto che lo ritrae durante una lezione.
 
Usa un bastone, da quel che ho potuto vedere, ma da come poggia il peso sull’impugnatura non sembra gravare realmente con il corpo su di esso. Immagino sia un postumo dell’agguato in missione. E non mi sorprenderebbe se fosse del tutto psicosomatico.
 
Gli ho scritto una breve mail all’indirizzo accademico, presentandomi e domandando se avesse bisogno di un aiuto esterno per la risoluzione dei casi.
 
Non che conti su una sua risposta affermativa, ma tanto vale provare.
 
L’infermiera delle 16:00 è qui, e ancora non ricordo il suo nome.
 
Fingerò che mi interessi lo stato delle mie ferite e lascerò pazientemente che cambi le medicazioni.
 
“Su, sposti il Titanic verso di me, da bravo.” Cinguetta, giuliva.
 
Vorrei avere la forza fisica di cacciarla da qui.
Potrei urlarle contro ogni sua più piccola, profonda, infima lordura, ma poi Mycroft troverebbe qualcun’altra, e sarebbe di sicuro ancora più sgradevole di lei.
 
Quindi avanti. Salviamo questo “diario”, o qualunque cosa sia, e diamoci una mossa.
 
 
 
-182
Non sembra uomo di molte parole, il professor Watson.
 
Ha risposto alla mia mail con un secco no, senza molte argomentazioni o spiegazioni.
 
“Non credo che Scotland Yard apprezzerebbe.”
Un diniego cortese, ma fermo.
 
Il pranzo si sta freddando, e le dita della mano sinistra percepiscono appena la temperatura del piatto che le sfiora.
 
Dio, il Dottor Ross griderebbe al miracolo, e Mycroft proverebbe di nuovo a “farmi ragionare”. Come se cinque falangi appena sensibili mi ridessero l’uso del mio corpo, la mia città, il mio violino.
 
La signora Hudson continua a farmi scrivere. Prima o poi si stancherà.
 
Molly mi manda i suoi saluti attraverso un messaggio sul cellulare, e posso percepire la sua ansia nello scriverli anche attraverso lo schermo e l’armatura pesante dei miei nervi danneggiati. Le ho detto addio. Sorprendentemente, sembra l’unica ad aver davvero capito.
 
Poco più di sei mesi.
 
Ed io vorrei ancora riuscire ad attraversare la portafinestra.
 
Ma forse certi viaggi sono troppo anche per i transatlantici.
 
 
 
 
-180
Mycroft ha insistito affinché mangiassi tutta la colazione, ed ha presenziato personalmente alle mie “grandi manovre” del mattino. Credo che, in una qualche maniera, goda nel vedermi dimenare come un pesce privo di pinne e branchie.
 
Mi aiuto con le corde, i piccoli argani a motore fanno il resto.
Il braccio destro si è rafforzato, il sinistro adesso ha un diametro di circa la metà, se li raffronto.
 
Mio fratello ha detto di prepararmi, che stasera verrò portato a cena nella sala da pranzo, scuse o meno.
 
Sì, dev’essere divertente per lui avere finalmente il controllo.
 
Ha imposto all’infermiera del mattino la mia rasatura (con il risultato di avermi donato due nuove ferite da medicare), e insistito che venissi vestito “in modo adeguato”.
 
Adesso, fermo davanti a questo computer con addosso una camicia inamidata ed un paio di pantaloni nuovi dei quali non percepisco la stoffa contro le gambe, mi sento poco più di un maledetto bambolotto.
 
Una macchina svolta sul vialetto, la nebbia pomeridiana a coprirle le ruote di foschia densa.
 
Vista da qui, sembra quasi galleggiare.
 
Non riesco a vederne la targa, ma riconosco il suono del motore. È Hank, l’uomo che ci porta i rifornimenti dalla città due volte la settimana.
 
È in anticipo di tre giorni, ed io non credo di aver mangiato così tanto da terminare le scorte in due.
 
Forse Mycroft. Di sicuro non la sua assistente, evidentemente sotto peso e con abitudini (sarebbe meglio dire storture) alimentari ben in mostra.
 
Il motore si spenge, l’auto è ferma. Da questa posizione non riesco a vedere molto, l’angolo lungo della casa mi taglia la visuale del vialetto e dell’ingresso.
 
C’è qualcosa che…
 
Oh.
 
Ma certo, è evidente, come ho fatto a non pensarci prima?
 
Abbiamo ospiti.
 
Spero solo che non sia stato tanto idiota da dirlo a nostra madre e nostro padre.
 


 
 
 
 


[11:34] Sei arrivato? GL
 
[11:36] Sono appena sceso dal treno. Poi, un giorno, mi spiegherai perché sono qui. JW
[11:37] È… È complicato, John. Ma ti ringrazio molto di aver acconsentito ad andare da lui con i fascicoli. GL
 
[11:39] Non sapevo che la polizia consultasse i dilettanti. JW
[11:40] Capirai presto. GL
 
[11:42] Capirò cosa? JW
[11:43] Che la polizia non consulta dilettanti. GL
 
[11:45] Devo andare, la macchina è arrivata. JW
 
 
 
 
 


“In assoluto la sua è l’espressione più idiota che qualcuno mi abbia mai dedicato ad un primo incontro. È venuto fin qui da Londra solo per osservarmi con quella faccia?”
 
“Nella mail sembrava decisamente men—”
 
“Paraplegico?”
 
“Stavo per dire odioso. Ma anche paraplegico funziona, se preferisce.”
 
“Allora, da dove vogliamo cominciare?”
 
“Oh, beh, non saprei. Se per lei va bene, direi dalle presentazioni.”
 
 
 
 

Angolo dell’autrice:
Avete presente “Io prima di te”, libro del 2012 di Jojo Moyes appena uscito al cinema nella sua versione su pellicola?
 
Ecco, io no.
 
Non sapevo della sua esistenza fin quando due giorni fa, aspettando l’inizio di “Suicide Squad”, non ho assistito al trailer della trasposizione su grande schermo. Non chiedetemi perché, ma ne sono rimasta affascinata. Così ho letto quanto più possibile della trama del libro, scoprendo un plot decisamente sorprendente, in alcune scelte.
 
Da quel momento sono solo riuscita a pensare: devo riadattarlo su John e Sherlock. DEVO.
 
Ecco, questa storia nasce (per assurdo) proprio da lì. Da un’idea che ho amato ed un romanzo che non ho letto.
 
In realtà all’inizio doveva essere strutturata tutt’altro modo, con un narratore in terza persona e uno sviluppo più lineare.
Ma, devo essere sincera: dopo “The Final Problem” non sono ancora pronta a gettarmi di nuovo in particolari minuziosi e lunghe descrizioni.
 
Quindi questa long si muoverà tra le pagine digitali di Sherlock e gli appunti cartacei di John, intervallando qua e là con sms o dialoghi. Nient’altro.
Ho inserito l'avvertimento OOC perché, per una volta, non sono affatto sicura di riuscire a gestire i personaggi in modo super coerente.
È anche la prima AU totalmente staccata dalla serie nella quale mi imbarco, quindi ho decisamente timore di "uscire" dal personaggio. In caso, però, fatemelo notare. ^_^

Non so bene dove questo mare mi porterà, ma sentivo di dover salpare. Chiunque voglia affrontare il viaggio con me, come sempre, sarà più che benvenuto.
 
Grazie a tutti, as usual, per aver letto fin qui. ^_^
 
A presto,
B.



 
   
 
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