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Autore: SherlokidAddicted    18/08/2016    2 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
- Voglio sapere chi è lei e che ci fa qui. –
- Sono il Dottore! – Dice porgendomi la mano ed aspettandosi che io la stringa, cosa che però non succede. Assottiglio lo sguardo e lo scruto con attenzione mentre, deluso dalla mia mancata stretta, abbassa il braccio e lo riporta lungo il fianco.
– Il suo vero nome. –
- Beh, è questo il mio nom… -
- Non il nome con cui si fa chiamare, ma il suo vero nome, quello che nasconde a tutti da sempre, forse perché ha fatto qualcosa. Oh, allora è così! Ha fatto qualcosa di brutto, qualcosa di inaccettabile di cui si pente, talmente tanto che si vergogna ad utilizzare il suo vero nome e si nasconde dietro un titolo che la fa sentire meno in colpa di quanto vorrebbe, non è così… Dottore? – Gli occhi del mio nuovo conoscente si strabuzzano non appena mi sente pronunciare quelle parole con quel tono indagatore che mette la maggior parte delle persone che mi stanno attorno in soggezione, lui compreso.
- Oh, è proprio bravo come dicono… –
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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Grazie Dottore



Sono passati due giorni dall’incredibile viaggio col Dottore sul suo Tardis. Non lo vediamo né sentiamo da quel giorno, ciò vuol dire che non ci sono novità riguardo agli Angeli, e quello che ci resta da fare adesso è solo aspettare.
Tracy ed Amber non si sono più fatte sentire, ma Lestrade ha detto che ogni tanto viene contattato da loro solo per sapere gli sviluppi dell’indagine poi, quando capiscono che non abbiamo informazioni, mettono giù con un sospiro rassegnato.

Per il momento ho deciso di non riferire nulla riguardo agli ultimi eventi capitataci. Nulla riguardo al Dottore, nulla riguardo agli “assassini solitari”… almeno finché non avremmo avuto delle prove concrete e soprattutto credibili, data la natura fantascientifica della situazione. Anche John era d’accordo sul mantenere il silenzio per lo stesso motivo.

Oh, a proposito di John! Ha ripreso a scrivere sul suo blog dopo mesi e mesi. Ovviamente non racconta nulla di queste assurde avventure. Ha parlato del caso Jefferson, tralasciando tutti questi stranissimi elementi che avrebbero potuto far nascere il sospetto dell’esistenza di qualche creatura aliena. Poco fa l’ho letto. Il modo in cui mi ha descritto mi ha fatto sorridere come un ebete di fronte allo schermo del portatile. Il modo in cui ha cambiato il corso degli eventi per far sembrare che io avessi già la soluzione in tasca, per non farmi apparire come l’idiota senza alcuna delucidazione che sono realmente stato sulla scena del rapimento.

È bello sapere che tu mi veda così, John…

Quando è rientrato a casa dopo il suo turno in ospedale, mi è sembrato più rilassato e contento del solito. Fischiettava come quella volta in cui preparava il tè quando tutto è cominciato.

Mi sono soffermato a guardarlo a lungo, pensando all’ultima frase che il Dottore mi aveva detto prima di andare via:

“Io inizierei con una bella cenetta.”

Non sono ancora del tutto sicuro, neanche dopo la nostra chiacchierata sul Tardis, di volerne parlare con John. La paura di perderlo per colpa mia mi attanaglia e mi costringe a mantenere il silenzio, a continuare a farlo andare avanti con la sua vita, mentre io me ne sto in disparte ad osservare.

Ma ho anche analizzato la possibilità di potergliene organizzare una. Non avrei dovuto per forza dirglielo. Magari sarebbe stata un’occasione per non fargli pensare a nulla.

Al diavolo, ora o mai più.

- Il latte è finito. – Mormoro a bassa voce mentre scorro la mail di Lestrade con le foto del giardino dei Jefferson.

- Ero sicuro di averne comprato due confezioni, ieri. –

- Le ho finite. – Il suo silenzio mi fa intuire che sta cercando ogni modo possibile per non mandarmi a quel paese o picchiarmi.

- Le hai finite? – Mi chiede con notevole stupore nella voce, dopo qualche secondo di silenzio.

- Un esperimento. – Lui sbuffa contrariato. Molti dei miei comportamenti sono esasperanti, ma so che è una parte di me che adora, nonostante io lo faccia impazzire. Se no perché sarebbe ancora qui con me?

Lo vedo afferrare la giacca ed infilarsela velocemente, mettere il portafoglio in tasca insieme alle chiavi e raggiungere a passo svelto la porta delle scale, mormorando maledizioni incomprensibili e facendomi sbucare un leggero sorriso divertito sulle labbra mentre lo sento uscire in strada.

Solo quando mi sono assicurato che se n’è andato, mi alzo dalla sedia quasi di scatto, come se fossi stato lanciato all’improvviso da una molla collocata sulla sedia. Richiudo velocemente il portatile e a passo spedito raggiungo il piano di sotto fino ad arrivare all’appartamento della signora Hudson. Busso alla sua porta con insistenza e sbuffo per la sua lentezza nel raggiungerla.

- Sherlock caro, ho una certa età! – Dice in tono stupito mentre si fa da parte per farmi passare. Sul tavolo c’era la spesa che lei aveva fatto per me. L’avevo pregata di comprare tutti gli ingredienti di cui avevo bisogno e di tenerli nascosti nel suo appartamento fino al mio arrivo. Quando mi ha chiesto il perché di quello strano favore, ho risposto soltanto che dovevo cimentarmi in un esperimento… ma la mia padrona di casa sapeva essere un tipo abbastanza curioso.

Sbircio all’interno e analizzo con lo sguardo tutti gli ingredienti, rendendomi conto che erano proprio quelli giusti… il latte di cui mi ero liberato e che avevo usato come scusa per far uscire il mio coinquilino era proprio lì in mezzo a tutte quelle leccornie.

- Hai bisogno di una mano? – Mi chiede con quella voce da madre dolce e gentile, mentre io afferro le buste per portarle al piano di sopra.

- Non ce n’è bisogno. – Detto ciò, con considerevole fretta, raggiungo le scale ed inizio a salirle, raggiungendo in poco tempo il piano di sopra e sbuffando nel sentire le raccomandazioni della signora Hudson che ha osservato curiosa e preoccupata il mio tragitto verso il mio appartamento.

- Mio caro, se devi cucinare qualcosa, cerca di non far incendiare l’edificio! –

Per l’amor del cielo, sono un ottimo cuoco! Beh, almeno ci provo… d’accordo, è una cosa che nessuno sa, ma anche io ne sono capace. Mi è servito per un caso: Il killer che cercavo quella volta (successe molto prima di conoscere John) stava progettando di uccidere il suo insegnante di corso. Io lo avevo capito tramite degli indizi molto evidenti che Lestrade e tutti i suoi poliziotti al seguito non avevano intuito. Sapevo che si sarebbe iscritto a quel corso di cucina, ma non avevo ancora idea di chi tra tutti gli allievi era il nostro assassino. Quindi mi iscrissi anche io, sotto il nome di James Foreman, e partecipai a tutte le lezioni di cucina, in attesa di un’eventuale mossa da parte del misterioso omicida.

Accadde nell’ultima lezione, il giorno della prova finale. Ognuno di noi doveva preparare un pasto completo e presentarlo ad una giuria di fama internazionale. Io ero l’ultimo che si sarebbe dovuto presentare… il primo era un certo Troy Dorn, uomo di cui avevo sospetti fin dal primo momento in cui lo vidi, ma dovevo aspettare una prova tangibile e mi arrivò proprio quando stava entrando nella sala a presentare agli chef la sua portata culinaria. Il carrello in cui la trascinava era molto sospetto. Sotto la tovaglia, infatti, vi era nascosto un fucile da caccia che l’uomo non esitò a tirare fuori quando fu davanti all’organizzatore del corso. Per fortuna, alle lezioni portavo sempre con me una pistola e, quando mi accorsi del pericolo imminente, la tirai fuori e lo centrai sul polpaccio, facendogli cadere l’arma dalle mani mentre si accasciava per il dolore. In poco tempo arrivò la polizia e lo arrestò… di solito Scotland Yard non era così veloce, per questo chiamai Lestrade molto prima che il danno accadesse, convinto al cento per cento che avrei fermato il signor Dorn.

Come mai voleva uccidere l’organizzatore? Indovinate un po’! Problemi di cuore. A quanto pare la donna di Troy era finita nel letto del professore del corso, nonché organizzatore, e Dorn sentiva l’imminente bisogno di vendicarsi. Quindi, si informò sul suo conto e scoprì che avrebbe tenuto delle lezioni di cuicna, un ottimo scenario per poter mettere in atto il suo piano che, sotto il mio punto di vista, era del tutto scontato e stupido.

Ebbene, quel corso è stato molto utile perché ho imparato qualcosa… anche se, effettivamente, non avevo mai mostrato queste mie capacità né a John, né alla signora Hudson… né a nessun altro.

Ovvio che per cucinare avrei sprecato molto più tempo di quanto pensassi, e John avrebbe dovuto comprare soltanto due confezioni di latte, impiegandoci al massimo 45 minuti, data la distanza del supermercato. Ma avevo calcolato tutto. Con una telefonata avevo chiesto a Mike Stamford di raggiungere il supermercato e di fermarsi a chiacchierare e bere qualcosa con il mio amico, così da fargli perdere tempo, e Mike è stato felice di aiutarmi.

In poco tempo, tiro fuori ogni cosa dalle buste e mi do da fare. È vero che il giorno della prova finale al corso di cucina non ebbi il tempo di far assaggiare le mie preparazioni alla giuria, ma sono convinto che quei piatti fossero venuti a regola d’arte, perciò avevo deciso di riprepararli per l’occasione: Ravioli ai gamberetti e filetto in salsa di funghi… i due piatti che, non per vantarmi, sapevo preparare meglio.

Quando ho finito di cucinare, preparo la tavola meglio che posso, sistemando le posate, i piatti ed i bicchieri, cercando di imitare John quando lo faceva. Sarebbe stato felice di poter mangiare finalmente in cucina e non in salotto per colpa dei miei strumenti scientifici che ogni volta occupavano il tavolo.

Sistemo tutto nei piatti e poggio la bottiglia di vino bianco al centro del tavolo appena in tempo, perché cinque minuti dopo John ha già aperto la porta al piano inferiore.

- Scusa se ci ho messo tanto! – Dice a voce alta per farsi sentire mentre io mi poggio soddisfatto al ripiano della cucina. – Fuori dal supermercato ho incontrato Mike Stamford e ci siamo fermati per una birra a… - Sembra sconvolto e sul punto di svenire quando vede la tavola apparecchiata con le pietanze pronte per entrambi. Il suo sguardo si alterna dal piatto a me che verso il vino nei due bicchieri, noncurante della sua espressione sorpresa.

- Lo so, John. Adesso perché non metti le confezioni a posto e non ti siedi? – Mi guarda come se fossi ubriaco, o strafatto. Ammetto di aver sentito la mia voce tremare leggermente quando ho pronunciato quella frase… ma poco importa. Spero solo che non se ne sia accorto, che la smetta di fissarmi in quel modo così sconcertato e che si sieda per mangiare. Non credevo che la sua reazione potesse essere così snervante.

- Hai ordinato del cibo da qualche parte? – Mi chiede mentre poggia la busta sul pavimento accanto alla porta.

- Ho cucinato io. – Mormoro mentre poggio la bottiglia sul tavolo e porto le mani dietro alla schiena.

- Ok, che ci hai messo dentro? A cosa devo fare da cavia? – Si avvicina con fare indagatore al suo posto ed ispeziona con lo sguardo e con l’olfatto ciò che io avevo preparato. Quando i suoi occhi sono su di me, poco dopo, lo vedo improvvisamente cambiare espressione, e so anche perché. Le sue parole mi avevano ferito. Beh, era vero che io sperimentassi delle soluzioni per poi fargliele ingerire, ma non questa volta.

- Volevo solo essere gentile. – Il mio tono ferito diventa grave e infastidito, mentre mi allontano a passo pesante dalla cucina per afferrare in modo poco carino il mio violino. John mi segue preoccupato e poggia una mano sulla mia spalla, notando la mia evidente rabbia.

- Sherlock, non volevo. Mi dispiace, è che non avevo idea che sapessi cucinare. È stata una reazione… spontanea. – L’archetto del violino rimane immobile sulle corde mentre lo guardo dal riflesso della finestra. È veramente dispiaciuto.

- Davvero? –

- Davvero. – La sua risposta riesce a calmarmi e metto giù sia il violino che l’archetto. – Allora… mangiamo? – John annuisce ed insieme ci accomodiamo al tavolo. Lui guarda curioso il piatto ed afferra la forchetta.

- Devo dire che ha un profumo fantastico. – Quando, poco dopo, assaggia il primo boccone, il suo stupore è così tanto che sono convinto abbia trovato qualcosa che non va nei ravioli, quindi ne assaggio un po’ e lo mastico con attenzione.

- Non mi sembra faccia così schifo, John! – Lui pare risvegliarsi da un momento all’altro e scuote la testa ridacchiando.

- No, no, è che… è davvero eccellente, non credevo sapessi cucinare! Non lo hai mai fatto… - Sorride, in quel modo così bello che adoro e che mi ripaga di tutta la fatica sprecata ai fornelli. Gli sorrido anche io, senza nemmeno rendermene conto. Le azioni e le reazioni spontanee nei suoi confronti sono aumentate così tanto ultimamente che mi stupisco di me stesso.

Iniziamo a parlare del più e del meno, gli racconto di come ho imparato a cucinare, del caso che mi aveva spinto a seguire il corso, del modo in cui avevo catturato l’omicida. Durante le mie spiegazioni lui mangia con piacere ciò che ho preparato e noto con mio grande stupore che gradisce ogni singolo boccone fino alla fine.

Poi i nostri discorsi si spostano su altro. Mi parla dei suoi pazienti, della sua chiacchierata con Mike ed infine di ciò che ha provato quando ha visto l’universo seduto con le gambe a penzoloni su una cabina della polizia. Sono quasi affascinato da come descrive i suoi sentimenti, ed il sorriso non abbandona le mie labbra nemmeno per un secondo, e nemmeno il suo lo fa. Sembra così felice. Soprattutto quando nota le confezioni di latte che io avevo nascosto sul ripiano della cucina. Ha capito che era una scusa bella e buona per la riuscita della mia sorpresa, ma da un certo punto di vista ne è felice, perché non mi rimprovera come al solito, ma sorride e fa finta di nulla, grato di ciò che ho fatto per lui.

Grazie Dottore.

La serata finisce con quantità eccessive di vino bianco, e posso dirlo perché in questo momento stiamo ridendo senza alcun motivo, e ridiamo così tanto da sentire le lacrime agli occhi.

Non ricordo cosa è successo dopo, ma mi sono risvegliato sul divano, con la testa poggiata sulle gambe di John. Mi alzo di scatto, quando me ne accorgo. Non ricordo come sono finito ad addormentarmi sulle sue gambe, la mia mente è ancora confusa. Lui sta dormendo profondamente. La testa all’indietro e poggiata allo schienale, la bocca semiaperta. Sento ancora il sapore del vino bianco in bocca e mi metto in piedi con fatica. La testa mi gira e sono costretto a toccarmi le tempie e massaggiarle per cercare di ritrovare un minimo di lucidità e di alleviare il dolore.

Quando ho messo a fuoco per bene la stanza e i suoni attorno a me, a parte il respiro profondo di John, la suoneria del mio cellulare, forte ed insistente, mi fa strizzare gli occhi. Il mio amico si sveglia di soprassalto e viene sopraffatto immediatamente dal mal di testa. Lo capisco dai suoi lamenti sommessi e dalle sue dita sulla fronte.

- Sh… Sherlock Holmes! – Mormoro quando rispondo alla chiamata senza neanche controllare il nome sullo schermo… mentre cado seduto sulla sedia.

- Sherlock, abbiamo un problema. –

- Riguarda il caso Jefferson? – Dico, improvvisamente interessato al suo tono preoccupato.

- Devi venire in obitorio, abbiamo un cadavere che dovresti controllare. –

- Mh… di che si tratta? – John si alza traballante dal divano e cerca di raggiungermi senza inciampare nei suoi piedi. Arriva proprio di fianco a me, tenendo le mani ben ferme sul tavolo mentre mi osserva curioso.

- Tracy Jefferson è morta. -



Note autrice:

Mi perdonate il ritardo vero? In fondo è solo un giorno. Stavo per pubblicare ieri ma ho avuto un guasto al computer e non ho potuto.
Ma eccolo qui, spero vi piaccia, a presto!
  
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