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Autore: serena_sloan    19/08/2016    4 recensioni
Serena ha un sogno: diventare uno dei neurochirurghi più bravi al mondo. Non ha avuto quel che si può definire un passato facile, ma ora è qui, al Seattle Grace Hospital, uno degli ospedali universitari migliori d'America, pronta a specializzarsi e a diventare un chirurgo. Per lei questo è tutta la sua vita, ma che succederebbe se un affascinante dottore che non si è mai innamorato le facesse scoprire che c'è anche molto altro? L'amicizia inaspettata con Alex, George e Izzie la aiuterà a superare le faticose giornate al Seattle Grace, le iniziali incomprensioni con Cristina e l'arrivo di nuovo personale dal Mercy West Hospital, che potrebbe scatenare un vero e proprio inferno. E così Serena, tra tanto divertimento, amore e colpi di scena, vivrà il suo sogno nella Città di Smeraldo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Karev, George O'Malley, Izzie Stevens, Mark Sloan, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
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Cavolo, la treccia è venuta male. Una delle ciocche è più grande delle altre due, mi succede sempre. Ma non può succedere oggi, non nel mio primo giorno di lavoro! Insomma, so benissimo che dovrei pensare prima di tutto a salvare più vite possibili e che fermare un'emorragia è molto più importante di una stupida treccia venuta male, ma voglio fare buona impressione. Non voglio sembrare una semplice ragazza straniera che insegue il sogno americano perchè non le è rimasto più nulla. Ma d'altronde è così, sono io... Mi sciolgo i capelli e decido di raccoglierli in una semplice coda alta non troppo ordinata e ricaccio indietro quei pensieri. Sono le 7.30, manca ancora un'ora e mezza e il mio appartamento non è poi così lontano dall'ospedale, perciò vado in bagno e mi rinfresco il viso prima di spolverare un po' di ombretto marrone sulle palpebre. Mi guardo allo specchio: le sopracciglia sono a posto, gli occhi verdi un po' stanchi dopo la notte passata a preoccuparmi per il mio primo giorno. Per fortuna non ho occhiaie e ho un bel colorito. Sono pronta. "Sono pronta?". Lo spero. Mi sistemo gli skinny jeans e la camicetta rosa presa una settimana fa in un negozio dell'usato. Ora sono pronta. Mi affretto a prendere la borsa e le chiavi dell'auto e mi chiudo la porta dietro alle spalle, pronta per il mio primo giorno da specializzanda al Seattle Grace Hospital.

Sono ferma immobile davanti all’enorme facciata esterna del Seattle Grace Hospital, con il naso all’insù ad ammirarne la modernità delle vetrate e la lunga tettoia sempre in vetro sorretta da quattro enormi pilastri bianchi. Il parcheggio è già pieno, così ho dovuto mettere il mio maggiolino piuttosto lontano, e c’è un gran via vai di medici ed infermiere, ma è normale, sono già le 9 del mattino. “Sono davvero pronta per tutto questo?”. Questa domanda mi ha tormentata da casa a qui, ininterrottamente. Sono sempre stata pronta per tutto. Sono stata pronta a lasciare l’Italia e la mia famiglia, a guadagnarmi da vivere da sola, e ora sono qui. Non voglio mollare tutto ora, non voglio buttare via tutto quello per cui ho lavorato, non ora, non qui, non io. Non sono più quella bambina coi capelli sporchi e un unico vestitino consumato. Sono un chirurgo. Sarò un chirurgo.
 
L’interno dell’ospedale è ancora più stupefacente dell’esterno, cosa che credevo impossibile: l’ambiente è spazioso, luminoso grazie a tutte quelle vetrate, e le sale d’aspetto a sinistra dell’ingresso trasmettono serenità, calma. È tutto così diverso da quello che sono abituata a vedere, dai posti in cui ho lavorato e ho iniziato la specializzazione! Sono le 9.15 ormai, il mio appuntamento con il capo è fra solo un quarto d’ora, non voglio certo arrivare tardi, così estraggo dalla borsa la lettera che mi è stata inviata dall’ospedale poche settimane prima e mi dirigo verso il bancone principale, dove cinque o sei infermiere si occupano di scartoffie varie parlando di quello che hanno fatto la sera prima.
-Mi scusi?- Interrompo senza volerlo la conversazione di due infermiere sulla trentina che mi squadrano dall’alto al basso come se fossi una creatura leggendaria. “Ho qualcosa che non va?”. Controllo velocemente e con molta non-chalance i vestiti e i capelli, e tutto mi sembra in ordine. Una delle due donne si volta continuando il suo lavoro, mentre l’altra alza gli occhi al cielo e finge un sorriso cortese, facendomi cenno di parlare. Ha un ombretto viola scuro sulle palpebre e lunghe ciglia nere, mentre le unghie sono curatissime, ma troppo appariscenti per il lavoro che fa.
-Salve, sto cercando il…- le mostro la lettera ed indico il nome e la firma in basso a destra –il capo Richard Webber, oggi è il mio primo giorno di lavoro e dovevamo incontrarci alle 9.30 per…-
-Il suo ufficio è al secondo piano, deve attraversare quella specie di ponte davanti alle vetrate e recarsi all’ala est. Lo troverà dopo la prima porta, sulla destra.-
Non ho nemmeno il tempo di ringraziare, visto che l’infermiera si volta e continua il suo lavoro come se nulla fosse. Resto lì impalata per qualche secondo per vedere se reagisce, se si gira, ma nulla. Le sue colleghe ridacchiano. “Infermiere.” Giro sui tacchi ed inizio a cercare gli ascensori. Mentre cammino mi guardo intorno, e l’aria è così fresca, ma allo stesso tempo è come se sentissi l’adrenalina scorrere nelle vene ad un ritmo incalzante. Tutti si muovono, rapidamente, scherzano, fanno battute, e un minuto dopo sono così professionali nei loro camici bianchi. “Sì, questo è il posto per me.”
Entro nell’ascensore dopo che alcuni medici sono usciti esaminando delle cartelle. Wow, addirittura gli ascensori sono più grandi di casa mia! Prima che le porte si chiudano del tutto, un giovane dottore corre dentro, sbattendo in modo impacciato contro il muro dietro di me. Mi sposto in tempo perché non mi urti, ma non posso fare a meno di ridere e mi copro la bocca per non darlo a vedere. Il ragazzo si tiene il braccio con cui ha appena sbattuto contro la parete mentre stringe i denti ed emette qualche gemito di dolore. Ha la faccia simpatica. E io continuo a ridere. Non è molto alto, ha i capelli castani leggermente mossi, il naso dritto e le guance paffute, come un bambino. Alza lo sguardo verso di me e i suoi occhi incontrano i miei, traditori, che ridono anche se la mia bocca è seria. Diventa rosso dall’imbarazzo e io pure. Ma sono troppo divertita.
-M-mi dispiace, non stavo ridendo di lei, è che.. tutto bene il braccio?-
-Si direi di sì, non è niente, ho la pelle dura, non si preoccupi per me, e poi non mi arrabbio se stava ridendo, insomma, tutti ridono.. voglio dire, di me, tutti ridono di me, mi capitano sempre queste cose, e per fortuna non sono caduto addosso a lei, avrei potuto farle male, sa, anche per questo ridono di me, molti mi chiamano 007, sa, come James Bond, “licenza di uccidere”, sì… m-mi dispiace, forse parlo un po’ troppo…- finisce lui guardandosi intorno e gesticolando animatamente. Non posso fare a meno di ridere di nuovo. È buffo, e dolce. Sfoggia un tenero sorriso imbarazzato aspettando che gli risponda.
-007? Davvero? Vi date molti soprannomi qui?- gli chiedo sorridendo e guardando la luce dell’ascensore che illumina il numero 2. Le porte si aprono ed io esco senza che lui abbia il tempo di rispondere. Mi segue rischiando di inciampare un’altra volta.
-Sì, in effetti non ci avevo mai pensato ma… sì! Può essere carino a volte. Comunque io sono George O’Malley, lei è venuta a trovare un paziente? Un parente?-
-Una cosa del genere.- rido. –Scusami sono in ritardo, spero di vederti in giro più tardi!-
Mi affretto ad attraversare il “ponte” che sovrasta il primo piano dell’ospedale mentre la voce di George si fa sempre più lontana.
-È stato un piacere, signorina!-

Questa parte dell’ospedale non è molto affollata, riesco ad intravedere da lontano le sale operatorie e alcune infermiere che entrano ed escono preparando gli strumenti e consultandosi con gli anestesisti. Appena oltrepassata la porta che dà sull’ala est dell’edificio, mi trovo di fianco ad una porta in legno marrone con su scritto “Ufficio del primario di chirurgia mr. Webber”. Guardo l’orologio a muro dietro di me: sono le 9.28. Senza pensarci troppo busso alla porta, ma non sento risposta. Busso di nuovo, ma niente. Mi avvicino con l’orecchio al legno chiaro per cercare di capire se c’è qualcuno dentro e riesco a sentire due voci maschili che discutono piuttosto animatamente. “Che cosa faccio?” Guardo di nuovo l’orologio e sono le 9.29. non voglio fare tardi all’appuntamento con il capo, ma non voglio nemmeno fare la figura della ficcanaso. D’altronde, però devo sapere se il primario è in quella stanza o se dovrò cercarlo su e giù per l’ospedale. Così mi decido. Afferro la maniglia, la piego verso il basso e mi sporgo leggermente attraverso la piccola fessura che si crea quando apro la porta.
I due uomini si fermano e mi osservano. Sulla destra, con le mani che stringono lo schienale di una sedia, vedo un uomo alto, con i capelli neri quasi ricci e un camice da chirurgo. Mi guarda come se avessi commesso un omicidio. Poi, però, la sua bocca, stretta in un’espressione di rabbia sicuramente dovuta a quella discussione che ho appena interrotto, si piega in un sorriso gentile, e gli occhi azzurri si rilassano. Dietro alla scrivania, intento a sistemarsi la cravatta, noto un uomo robusto e di colore, che indossa un camice bianco con su scritto “Richard Webber”. “È lui il capo!”. Mi affretto a chiedere scusa per l’interruzione e chiudo la porta alle mie spalle tentando di mascherare l’imbarazzo.
-Oh, ma certo, lei dev’essere la dottoressa De Luca. Molto piacere di conoscerla, io sono il primario di chirurgia, sono stato io a spedirle quella lettera che tiene tra le mani due mesi fa. Si accomodi, ci scusi per l’inconveniente, questioni burocratiche.- Webber mi stringe la mano e mi fa sedere di fronte alla scrivania.
-Continueremo più tardi, Richard, vi lascio parlare.- dice il chirurgo dai capelli neri mentre si avvia verso la porta con un cenno del capo come a scusarsi. Poi, però, l’altro lo ferma. –No Derek, rimani pure, è una cosa che potrebbe interessarti. Accomodati.-
L’uomo (che, a quanto pare, si chiama Derek) ci guarda confuso, ma poi decide di accettare l’invito del capo, si siede sulla sedia di fianco alla mia e mi porge la mano: -Molto piacere, sono Derek Shepherd, il primario di neurochirurgia del Seattle Grace.- “Shepherd! Ho letto tantissimi articoli su di lui, è uno dei neurochirurghi più bravi di tutto il paese!” Gli stringo la mano e mi presento, cercando di mascherare l’emozione di avere di fronte a me uno dei chirurghi più bravi di tutti i tempi: -Serena De Luca, il piacere è mio, dottor Shepherd.-
Webber incrocia le dita sul tavolo ed inizia a parlare: -Vedi, Derek, qualche mese fa ho ricevuto una mail da un mio vecchio amico, il primario di chirurgia di un ospedale in Francia, che mi ha parlato molto bene di una giovane specializzanda in neurochirurgia, chiedendomi di esaminare il suo curriculum. Serena, è vero che ha già eseguito molti interventi da primo, nonostante sia al terzo anno di specializzazione?-
Guardo prima Shepherd e poi Webber prima di rispondere: -Beh ne ho eseguiti alcuni, tra i quali la rimozione di tre tumori nei lobi frontale e temporale.-
-Sta scherzando?- interviene Derek Shepherd guardandomi come se fossi una tela completamente bianca e pronta ad essere dipinta, come se non vedesse l’ora di insegnarmi tutto quello che sa. Lui è uno dei migliori. Ed io voglio essere una dei migliori.
-Ho avuto insegnanti molto bravi, ed è grazie a loro se ora sono qui. Voglio diventare un bravo chirurgo, dottor Shepherd, uno dei più bravi. Se non il più bravo.- Tormento alcune ciocche di capelli chiuse nella coda alta mentre parlo guardando la grande scrivania. Webber si accomoda contro lo schienale della sua sedia girevole. –Ed è proprio per questo che ho deciso di assumerti. Cosa ne dici, Derek? Hai materiale su cui lavorare?-
Il dottor Shepherd guarda Richard Webber con un sorriso compiaciuto: –Credo proprio di sapere a chi verrà assegnato il prossimo Harper Avery, Richard.-
C’è una domanda che mi sorge spontanea, vista la loro sorpresa: -Non avete nessun specializzando in neurochirurgia? È assurdo!-
-Nessuno, è proprio per questo che quando ho saputo di te non ho perso tempo. Shepherd era disperato, ha chiesto addirittura a Babbo Natale un allievo.- Mi metto a ridere. "Parla sul serio?"
-Lo confermo, qua sembrano tutti impazziti per cardiochirurgia. Comunque, questo è un ospedale universitario, per cui dovrai fare di tutto, da pronto soccorso a neonatale a chirurgia ortopedica, solo alla fine sceglierai veramente la specializzazione. Ma nel tempo che passerai in sala operatoria con me, ti insegnerò tutto sulla neurochirurgia. Infilati un camice bianco e prendi in mano una cartella. Benvenuta al Seattle Grace Hospital.-


Ciao a tutti! Questa è la mia prima storia, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate (anche se questo è solo l'inizio!). Lo so, i capitoli saranno un po' lunghi, ma mi piace inserire molti dettagli. Spero vi piaccia! Serena_Sloan
   
 
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