Anime & Manga > Ranma
Segui la storia  |       
Autore: InuAra    19/08/2016    5 recensioni
ULTIMO CAPITOLO ONLINE!
Con due bellissime fanart di Spirit99 (CAP. 4 e 13)
------
Cosa succede se il mondo di Ranma incontra il mondo di Shakespeare? Rischia di venirne fuori una storia fatta di amori, avventura, amicizia, gelosia, complotti. Tra fraintendimenti e colpi di scena, ne vedremo davvero delle belle!
DAL CAPITOLO 2
Ranma alzò lo sguardo verso il tetto. “Akane. Lo so che sei lì” “Tu sai sempre tutto, eh?” A Ranma si strinse il cuore. Ora che era lì, ora che l’aveva trovata, non sapeva cosa dirle. Soprattutto, non poteva dirle nulla di ciò che avrebbe voluto. “Beh, so come ti senti in questo momento” “No che non lo sai” “Si può sapere perchè non sei mai un po’ carina?” “Ranma?” “Mmm…”  “Sei ancora lì?” “Ma certo che sono qui, testona, dove pensi che vada?” Fece un balzo e le fu accanto, sul tetto. “Sei uno stupido. So benissimo che sei qui perchè te l’ha chiesto mio padre” “E invece la stupida sei tu”, si era voltato a guardarla, risentito e rosso in viso, “E’ vero, me l’ha chiesto, ma sono qui perchè lo voglio io! Volevo… vedere come stai…ecco…”
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 
Cowards die many times before their deaths;
The valiant never taste of death but once.
(…) Death (…)
Will come when it will come.
 
I vigliacchi muoiono molte volte prima della loro morte;
L’uomo coraggioso non ha l’esperienza della morte che una volta sola.
(…) La morte (…)
Arriverà quando deve arrivare.
 
Julius Caesar - W. Shakespeare
 
 
Pleasure and revenge
Have ears more deaf than adders to the voice
Of any true decision.
 
Piacere e vendetta
sono più sordi delle bisce alla voce
di una decisione giusta.

 
Troilus and Cressida - W. Shakespeare
 
 
 
 
 
Nella luce del pomeriggio filtrata dagli abeti, tre figure si stavano incamminando verso casa.
 
L'uomo sulla cinquantina era tarchiato e portava un paio di occhiali tondi, da cui guardava il sentiero, distratto. Le due ragazze al suo fianco, Kasumi e Nabiki (1), l'una docile, l'altra fiera, portavano rispettivamente una cesta carica di bucato fresco di ruscello e della selvaggina appena catturata.
Entrambe ignoravano il loro vero nome, entrambe ignoravano di essere le figlie perdute di Soun Tendo.
Ed entrambe ignoravano che, avvicinandosi verso casa, in quel momento, si stavano in effetti avvicinando alla sorella minore che, sotto mentite spoglie maschili, si stava rifocillando con la loro cena dopo aver intrapreso da ormai due giorni la strada della libertà, patendo le intemperie e soffrendo le pene del cuore e dello stomaco.
 
"Hitomi, Misaki… non muovete un muscolo", Genma si era bloccato, tutti i sensi all'erta, "C'è qualcuno in casa"
 
Lo zio era un esperto di arti marziali e se aveva percepito la presenza di qualcuno, di certo non si sbagliava.
 
Mentre senza un rumore si avvicinava cautamente alla porta di casa, a dispetto dell'avvertimento Nabiki inforcò rapida il proprio arco, pronta all'assalto.
 
Kasumi li guardò leggermente preoccupata. Non sapeva dire se in casa ci fosse davvero qualcuno, ma se qualcuno ci fosse stato, non avrebbe avuto scampo.
 
Genma spalancò la porta, contando sul fattore sorpresa. Ma immediatamente trattenne l'impulso di avventarsi contro l'impostore. Davanti a lui c'era un ragazzo, poco più che un bambino, che lo guardava spaurito con enormi occhi scuri da cerbiatto, braccato. Stupito, quasi paralizzato, lo guardava come se non sapesse cosa fare o cosa dire.
 
Lo vide deglutire e rendersi improvvisamente conto della situazione, per scattare in una posizione di difesa, che a suo modo accennava allo stesso tempo l'assetto che precede l'attacco. Possibile?
 
Lo stomaco scaldato da una cena inaspettata, Akane aveva abbassato la guardia.
 
In quella frazione di secondo in cui si era trovata a fronteggiare quell'uomo, la mente azzerata dalla paura, la ragazza ripercorse rapida gli ultimi istanti: la casa le era sembrata vuota e priva di pericoli. Chiunque l'avesse abitata non doveva essere troppo lontano, era vero, ma si era anche detta che la fame era tale che in pochi minuti si sarebbe saziata, avrebbe voltato le spalle a quel focolare e se ne sarebbe andata per la sua strada, non prima di aver lasciato qualche moneta per ripagare quel pasto benedetto dagli dei. Così -stupida, stupida!- aveva smesso di stare all'erta e si era lasciata ammaliare dal profumino della zuppa che sobbolliva sulle braci. Si era rilassata e non aveva percepito quell'uomo avvicinarsi.
 
Forte.
 
Doveva mostrarsi forte! Ma la sorpresa e la paura la stavano facendo da padrone.
 
Con uno scatto nervoso timidamente si fece schermo con gli avambracci, come per difendersi.
 
O attaccare, se necessario.
 
Pregò che non ce ne fosse bisogno. Avrebbe voluto spiegarsi ma le sembrava di non avere fiato a sufficienza. Dannazione, quella situazione era così nuova… Beccata a rubare in casa d'altri!
 
L'uomo non accennava a muoversi, preferendo guardarla perplesso.
 
Gli occhi di lei sgranati e fissi intercettarono due figure sullo sfondo dietro di lui: una ragazza ferma a guardarla e un'altra pronta a scoccare una freccia.
 
Avrebbe saputo difendersi, ma davvero sarebbero arrivati a quello? E ce l'avrebbe fatta?
 
I nervi tesi come fasci, si chiese se realmente avrebbe avuto abbastanza energia per combattere.
 
Ritrovò, non si sa come, il fiato.
 
"Vi prego, le armi no!"
 
La voce! Andava camuffata, resa simile a quella di un uomo…!
 
"Le armi no…", continuò con la voce ingrossata, un po' roca, "Chiedo perdono per la mia intrusione… Ma non c'era offesa, ve lo giuro!"
 
Tremava ma non doveva darlo a vedere. Cosa le avrebbero fatto?
 
"La fame… la fame mi ha spinto a entrare… ma vi avrei ripagati per la vostra ospitalità…  Non rubo mai, lo giuro! Ho dei soldi qui con me! Li avrei lasciati qui, per la cena…"
 
Si affrettò a tirare fuori dalla bisaccia alcune monete che Ryoga si era premurato di lasciarle insieme al cibo e le posò con un gesto goffo sul tavolaccio di legno accanto a lei.
 
"Soldi?", Nabiki alzò un sopracciglio. Quel ragazzo beccato di soppiatto non solo non sembrava rappresentare per loro il minimo pericolo, ma si preannunciava anche un diversivo curioso e molto divertente.
 
"Che l'oro e i soldi vadano all'inferno... Non danno alcun conforto", decretò Genma brusco, ma con ben poca convinzione, più per intimorire il ragazzo che altro. Mentre si intascava distrattamente le monetine, aggiunse, per cambiare discorso: "Dove stavi andando, ragazzo?"
 
"A… A Hakata, signore! Ho lì dei parenti che mi aspettano… Ma non conosco bene la strada e temo di essermi perso…"
 
"Come ti chiami?", intervenne Nabiki, facendo capolino da sopra la spalla dello zio, l'arco ormai abbassato.
 
"Ak… Akira…! Il mio nome è Akira! (2)", presa alla sprovvista, Akane si meravigliò di come in certe circostanze la paura sia in grado di allargare la mente in pochi istanti, così da correggere gli errori e indirizzare verso risposte celeri.
 
"E' un bellissimo nome", a parlare era stata la ragazza più grande, che si stava avvicinando rivolgendole un sorriso. Un sorriso! A lei che aveva depredato la loro cena! "Lasciatelo stare", continuò in un tono dolce e materno ma che non ammetteva repliche, "Non vedete che è stremato e ha paura? Non temere, non ti faremo del male"
 
"M-ma certo ragazzo", aggiunse Genma, intenerito, rendendosi conto che non se l'era presa davvero a male. Erano i tanti anni trascorsi nel bosco che l'avevano invero indurito, almeno apparentemente. "Sei il benvenuto! Puoi passare qui la notte"
 
"Ti preparo subito un futon con un po' di paglia!", si intromise Nabiki, euforica, "Se… se non ti dispiace… Sembri un tipo delicato", cinguettò mentre armeggiava con delle lenzuola, facendo l'occhiolino.
 
Akane arrossì d'imbarazzo, ma non riuscì a trattenere un sorrisetto di gratitudine: "No, la paglia va benissimo"
 
Si sentì inspiegabilmente a suo agio in mezzo a quelle persone.
 
Avvertì i muscoli rilassarsi e l'aria calda della capanna entrarle nelle narici. Aveva bisogno di cibo, di calore, di un posto sicuro dove dormire. E li aveva trovati. Ma aveva trovato anche qualcosa di più.
 
Mentre la stanchezza le calava lungo la spina dorsale e le gambe cominciavano a tremarle ribelli, si volse, forse un po' rallentata, a osservare "la ragazza dell'arco" che ammiccava complice mentre preparava il suo giaciglio e "quella dal bel sorriso" che si inchinava appena, le metteva in mano un bicchiere di tè bollente e le diceva qualcosa, qualcosa che non riusciva a decifrare in quel momento, ma che doveva essere dolce, tanto dolce. Forse avrebbe dovuto inchinarsi anche lei…
 
L'uomo aggiunse un paio di parole e le chiuse con una pacca sulla spalla un po' rude, seguita da una fragorosa risata.
 
Mentre lo stomaco si distendeva satollo e la testa cominciava a girarle, Akane si convinse che nessuno al mondo era più felice di quelle persone e che avrebbe volentieri voluto essere davvero il ragazzo che si fingeva e vivere per sempre lì con loro.
 
Mentre le palpebre le si abbassavano traditrici e le forze la abbandonavano, ebbe appena il tempo di formulare: *Tanto per Ranma non esisto più*, che si lasciò cadere tra le braccia del sonno, dell'oblio e di un Genma allarmato che la prese al volo, poco prima che toccasse terra. Avrebbe giurato di aver visto per un attimo un'ombra di tristezza sul bel volto di quello strano ragazzo.
 
 
 ***
 
 
 
Due giorni prima.
 
 
 
L'aria era ancora frizzante sulla sua pelle sudata e il sole non ancora alto in cielo.
 
Era arrivato in tempo.
 
Se la fortuna lo aiutava ancora un po', nessuno si sarebbe accorto della sua escursione notturna.
 
Era passata da poco l'alba e Ryoga ansimava per la corsa. Aveva lasciato i cavalli poco lontani dalle mura, li avrebbe recuperati nel viavai di mezzogiorno.
 
Era arrivato che la grande casa ancora si stava svegliando.
 
Ce l'aveva fatta.
 
Fu allora che la vide, mentre si stringeva nelle spalle, sulle mura, in attesa di lui, sola grazie a un espediente simile a quello che la sera prima aveva permesso la fuga.
 
Gli parve più piccola e più scarna la sua Ukyo, quella mattina.
 
Ma anche lui era diventato un po' più maturo quella notte, e stanco e infreddolito, di un freddo di quelli che ti si appiccicano alle ossa e nemmeno il caldo estivo riesce a estirpare del tutto.
 
Lei lo aspettava da ore, gli occhi segnati di viola fermi a scrutare prima il buio, poi il chiarore dell'alba e infine ogni indizio che all'orizzonte parlasse di lui e del suo ritorno.
Paziente, aveva lasciato che lo scorrere del tempo la sfinisse, come una sanguisuga di cui si ignora la presenza, che prosciuga le vene goccia a goccia, lentamente, meticolosamente.
 
Era rimasta ferma, ma la certezza era venuta sempre meno in quel corpo che tentava di reggersi in piedi, la testa alta sul collo sicuro. Gli occhi gonfi, i denti stretti e una piccola ruga tra le sopracciglia tradivano un nervosismo ormai al limite.
 
Con pochi balzi studiati le fu accanto e la guardò colpevole, senza dire niente.
 
Ukyo, dapprima sorpresa nel vederselo comparire lì davanti, scattò contro di lui assalendolo con una forza che non credeva di aver accumulato, in quelle ore.
 
"Dimmi la verità!", gli sibilò tra i denti, tirandolo per la camicia, "La verità!"
 
Fu un tutt'uno l'abbraccio che la bloccò e con cui se la tirò dietro in un balzo giù dalle mura dove di lì a poco sarebbero tornate le sentinelle, in una corsa silenziosa e rapida verso un angolo remoto del palazzo, in uno dei giardini più interni e meno battuti.
 
Si ritrovò lì, Ukyo, all'ombra di una grande magnolia che cresceva a ridosso della casa, schiacciata tra il muro freddo e il petto di lui, che la stringeva forte. "Ucchan, scusami… scusami se puoi", le sussurrava in un orecchio.
 
Perché si stava scusando?
 
Perse il conto di quanti battiti le partirono in quell'istante.
 
Si stavano forse realizzando le sue paure della notte precedente? L'incubo che aveva fatto corrispondeva forse a realtà?
 
Perché, perché non riusciva a decifrare nulla che le fosse di risposta in quel tono così stanco e così triste?
 
Erano passati solo pochi secondi dal loro incontro, ma lei non poteva aspettare.
 
Si divincolò dall'abbraccio per guardarlo negli occhi nella speranza di leggervi ciò che non riusciva a carpire dalle parole, e lo allontanò da sé con due mani pigiate contro il suo petto, nel tentativo di mantenere la lucidità e trovare a tutto ciò un senso di cui aveva disperatamente bisogno.
 
Ma ciò che trovò furono invece delle piccole macchie e degli schizzi di sangue sulla camicia di lui, lì, davanti al suo sguardo spalancato, di un bel rosso ancora vivo.
 
Immobile, solo la voce le tremava visibilmente.
 
"La verità… voglio la verità… Che diamine è successo là fuori, nel bosco?"
 
Fu solo allora che lui si rese conto della gravità del malinteso e che la sua Ukyo stava fraintendendo le scuse per averle omesso un piano tanto difficile, con la crudezza di quell'atto che aveva lottato per evitare.
 
"Che idiota che sono! Non è come credi, Ucchan!", si affrettò a spiegarsi. Possibile che fosse stato tanto ottuso, e lei così sveglia? "Akane-san sta bene, è salva e… e io non le torcerei mai un capello! Perdonami per non averti detto niente…! La verità è che…"
 
E mentre le parole di Ryoga si rincorrevano veloci per raggiungerla in qualunque posto si trovasse in quel momento la ragazza, per tirarla fuori dal terrore in cui era caduta, Ukyo sentì l'aria farsi nuovamente spazio nel polmoni e, a poco a poco, ritrovò la calma, la verità e il significato di ogni azione, paura e macchia di sangue.
 
 
 
Ancora scossa, Ukyo tirò su col naso, appoggiandosi a Ryoga.
 
"Hai capito, Ucchan? Ora bisogna stare attenti"
 
La ragazza annuì debolmente, con gli occhi gonfi che tentavano di farsi fieri. Il magone si era sciolto in singhiozzi quando aveva scoperto non solo che Ranma non si era presentato all'incontro ma che anzi fosse del tutto impazzito e avesse preteso di ordire una trappola mortale attirando Akane fuori dal palazzo.
Insieme al dolore era saettata la rabbia e Ryoga aveva pregato che non urlasse, attirando così orecchie indiscrete. Si era morsa il labbro, facendolo sanguinare e inghiottendo l'amarezza dell'impotenza.
 
"Un demone si è impossessato di lui, non c'è altra spiegazione!"
 
Ryoga sembrava soprappensiero. "Tutta questa storia è strana e giuro… giuro che vi andrò fino in fondo in un modo o nell'altro"
 
Lo guardò in un misto di amore e risentimento. Le aveva taciuto ogni cosa. Lui solo aveva voluto portarsi il fardello dell'intera faccenda.
 
In qualche modo lo capì.
 
"Cosa dobbiamo fare adesso?", si risolse di chiedere, pratica.
 
"Comportarci come se la principessa fosse ancora qui. Col vecchio Happosai lontano e la vecchia chissà dove… dobbiamo temporeggiare. Soun-sama non le ha rivolto la parola ormai da giorni e questo giocherà a nostro favore. Non sarà difficile far credere che se ne stia barricata in camera. Inoltre tutto questo trambusto terrà impegnati i fratelli Kuno ancora per un po'"
 
Ci fu un timido silenzio.
 
"Sta per cominciare una guerra, Ryoga"
 
"Sì", sospirò lui, "E dobbiamo credere che vedremo la sua fine, anche perché la nostra… è già cominciata"
 
"Vuoi dire che…?"
 
"E' solo questione di tempo… ma scopriranno che Akane-san non è più al palazzo e non oso immaginare cosa…"
 
Gli tappò la bocca con un bacio.
 
Non c'era bisogno di aggiungere altro.
 
Sapeva a cosa stavano andando incontro. Lo sapeva dalla notte in cui aveva sistemato sul capo della principessa quel velo da sposa improvvisato che aveva confezionato di nascosto solo per lei. Lo sapeva e non aveva avuto paura. E, senza rinnegare in ogni caso una buona dose di prudenza, non ne avrebbe avuta neanche adesso.
 
 
 
***
 
 
 
Nessuno in effetti si accorse dell'assenza di Akane Tendo.
Ryoga e Ukyo furono abili a mostrarsi sempre impegnati, a farsi vedere in giro, disponibili ogni volta che c'era bisogno di braccia, e al contempo a non allontanarsi mai troppo dall'ala dove si presumeva si chiudesse la principessa in un ostentato silenzio. Soun-sama non chiese mai di lei, limitandosi a domandare se qualcuno le portasse un vassoio con due pasti al giorno, cosa che furbamente l'ancella non tentò di nascondere. Da parte sua Kuno era febbrilmente impegnato con le reclute, riversando su di loro la rabbia della sconfitta e l'odio della vendetta.
 
Il primo giorno scivolò via veloce senza che nessuno parve notare nulla di strano, e poi quello dopo, e quello dopo ancora. Passarono così alcuni giorni. Ogni sera Ukyo si chiedeva se la sua padrona fosse salva, ovunque si trovasse, ogni mattina Ryoga ringraziava i kami di non essere ancora stato scoperto.
 
Un altro giorno era passato. Mentre si affrettava a sellare i cavalli di un importante vassallo in partenza, Ryoga si ritrovò a pensare che forse stavano davvero riuscendo a farla franca.
Era passata un'ora dal tramonto. Una strana agitazione serpeggiava da quel pomeriggio nella guarnigione e neppure l'ultimo tra i servi della grande casa era estraneo alle voci che volevano la battaglia ormai imminente, praticamente dietro l'angolo.
 
Kuno si aggirava inquieto nell'aria della sera.
 
Si ritrovò a fissare feroce le finestre buie della camera della fidanzata. Akane Tendo doveva essersi coricata già da un pezzo.
 
"Che c'è fratellino? Aspetti che la tua bella esca dalla stanza?"
 
Melliflue, le parole di Kodachi avevano tagliato il silenzio, insinuandosi come olio bollente nelle orecchie di Tatewaki.
 
Lui si voltò di scatto verso di lei, come una bestia che tenti di scacciare un tafano, ma senza riuscirci.
 
"Va' a divertirti con altri trastulli, sorella. Tempo non è per me di ascoltare le tue perfide ciarle", tagliò corto, infastidito per essersi lasciato cogliere di sorpresa.
 
Immobile, nell'ombra, Kodachi non si fece intimidire. Le sue labbra scure ripresero a muoversi, ipnotiche.
 
"Non trovi strano che non si sia fatta vedere da giorni?"
 
Lui rimase in silenzio, guardando la finestra di lei e di nuovo fisso davanti a sé.
 
"Non lo pensi anche tu? Va bene essere testarde, ma così, mio caro, è troppo"
 
Kuno cominciò ad annuire lentamente.
 
"Suo padre è troppo tenero con lei", continuò la giovane donna, "Io dico che è giunto il momento di farle capire chi comanda. Sei un uomo, fratello. O mi sbaglio? E futuro padrone di questo palazzo e queste terre. E' nel tuo pieno diritto entrarle in stanza e…"
 
"Fa' silenzio", la fermò tentando di mantenere il suo contegno ma bruciando di desiderio. E le parole che vennero dopo lo confermarono: "Non ho ulteriore bisogno che tu prosegua. Riscontro una saggezza nelle tue parole che ho in animo di cogliere. Convengo, sorella, convengo. Avrei dovuto entrare in quella stanza da tempo"
 
E lasciandola a gongolare per la riuscita, si diresse a passi pesanti verso la camera della principessa, soffiando tra i denti: "Al diavolo…! Akane Tendo, preparati!"
 
Fu questione di pochi secondi.
 
La porta fu spalancata con folle determinazione.
 
La stessa determinazione vacillò quando Kuno si rese conto che la stanza era vuota.
 
E allora venne rimpiazzata da un insano presentimento.
 
Un solo urlo: "Sasuke!", e dopo poco il viscido ninja si materializzò col capo chino davanti a Kuno.
"Mio signore, al vostro servizio"
"Cercala. Cercala in ogni angolo della casa. E vieni a informarmi immediatamente"
Non c'era bisogna di nominarla. Il servo comprese e sparì così com'era comparso.
 
Kuno non pensò a nulla, gli occhi chiusi, in attesa, concentrandosi unicamente sulla rabbia che gli friggeva le viscere e che si sforzò di trattenere minuto dopo minuto.
 
Non passò troppo tempo che Sasuke riapparve. Bastarono quattro parole: "Di lei nessuna traccia"
 
E una furia omicida si impossessò di lui.
 
La buona sorte volle che né Ryoga né Ukyo si trovassero in quel momento a incappare in Kuno Tatewaki. E nessuno per fortuna parve fare collegamenti di sorta e pensare a loro, che, ignari, erano stati trattenuti altrove.
 
Come un tornado piombò nelle stanze di Soun Tendo e fu nuovamente una fortuna che nel percorso ritrovò quanto bastava della sua lucidità per gettare in faccia al sovrano tutta la sua inettitudine, certo, ma almeno non una violenza cieca e distruttrice.
 
"Fuggita! Fuggita da sotto il nostro naso", tuonava Kuno incombendo sul principe che lo guardava atterrito, incapace di mandare giù la notizia appena ricevuta.
 
"A-Akane", balbettava tra sé e sé, "Perché..? Figlia mia… Cos'ho fatto?!…", si chiese con orrore.
 
La giovane moglie gli stava accanto, accarezzandogli una spalla, segretamente compiaciuta che il tarlo che aveva messo nella mente del fratello coincidesse davvero con la realtà.
 
Il destino le era benevolo: con la figliastra fuori dai giochi la sua ascesa al potere era sempre più vicina. E poco importava dove fosse finita. Se si fosse ripresentata l'avrebbe uccisa con le sue mani.
 
Soun continuava a scrollare la testa e a sussurrare: "Fuggita…"
 
A trarlo d'impaccio venne un problema maggiore.
 
Senza essere stato annunciato irruppe nella stanza un messaggero, affannato, bagnato di sudore e col volto stravolto.
 
"Mio signore…! Le… le truppe cinesi stanno… stanno avanzando… La guerra! La guerra è cominciata…!"
 
Kodachi si coprì la bocca con una mano leggiadra, soddisfatta fin nel midollo.
 
Il ragazzo, stremato, fu per accasciarsi, ma Kuno glielo impedì, afferrandolo per le spalle e scuotendolo come un burattino, più per sfogare la propria ira che per una genuina reazione alla terribile notizia.
 
"I dettagli! Dacci tutti i dettagli!"
 
E mentre coscienziosamente il messo si sforzava di fornire le informazioni richieste nonostante la sete e la stanchezza, Soun si fece da parte e, suo malgrado, si riebbe.
 
Inspirò profondamente e sollevò il capo.
 
"La guerra. Moglie mia, ciò che più temevamo è infine avvenuto"
 
Kodachi inclinò il capo affranta, con un guizzo mal celato nello sguardo.
 
"Le truppe che sono già partite hanno bisogno di me", continuò grave il principe. "Parto subito, con la mia guarnigione. Mia figlia…", la voce gli tremò sensibilmente, "Spero per lei che sia già ben lontana da tutto questo. Devo confessarti che la rabbia che provo per il suo atto di ribellione è nulla in confronto al terrore di saperla non più al sicuro. Non posso immaginarmela là fuori, in mezzo a tutti quei pericoli… alla mercè del nemico. E perciò ecco cosa ho deciso", proseguì facendosi forza, "Verrà annunciata pubblicamente la sua morte"
 
Kodachi trattenne in ghigno.
 
"… una morte per malattia improvvisa. Se dovesse trapelare che è fuggita, i Cinesi potrebbero trovarla e tenerla in ostaggio per trattare la nostra resa… o peggio. Non posso permettermelo"
 
Congedato il ragazzo, Kuno si era avvicinato e aveva ascoltato con interesse le ultime parole.
 
"E' col cuore gonfio che vi chiedo di non fare parola con nessuno della realtà dei fatti. Kuno, ragazzo mio, lascio a te il compito di diffondere questa falsa notizia. Infine mi raggiungerai in battaglia con le ultime truppe. Kodachi, ti occuperai della gestione della casa e delle mie terre. So che saprai amministrare con parsimonia e saggezza durante la mia assenza e voglio sperare che la battaglia non arrivi fino a qui. E spero di vedere giorni migliori, riunito a voi... e ad Akane"
 
Li guardò con un sorriso mesto: entrambi i fratelli annuirono solenni.
 
"Vi chiedo solo di non abbandonarmi al mio destino. Non ancora. La notte non è poi così lunga e bisogna organizzare la partenza e… avvisare il palazzo che la guerra è cominciata"
 
Uscendo dalla stanza ognuno di loro pigiò in fondo al proprio cuore ciò che realmente stava provando in nome delle contingenze che avevano la priorità, rimandando al giorno dopo chi il dolore, chi la vendetta, chi le macchinazioni.
 
Fu per questo che anche quella notte, almeno nella prima parte di essa, Ryoga e Ukyo dormirono sonni tranquilli. E quando  vennero svegliati di soprassalto con la notizia di essere in guerra e si tuffarono nella frenesia della casa come tutti gli altri, neanche potevano immaginare cosa realmente stava incombendo su di loro.
 
 
 
***
 
 
 
Kasumi provava un segreto piacere ad alzarsi prima degli altri, quando ancora il sole non osava affacciarsi al mondo, ma i primi cinguettii già lo salutavano. Senza fare alcun rumore anche quella mattina si mise uno scialle sulle spalle infreddolite e sorrise al giorno che stava per arrivare, cominciando con grazia a preparare l'acqua calda per il tè.
 
La capanna era molto piccola e dormivano tutti nello stesso spazio. Da dove si trovava riusciva a scorgere quel ragazzo, Akira, mentre dormiva rannicchiato. La inteneriva guardare quell'espressione rilasciata e serena. Sembrava ancora più un bambino, il viso liscio e imberbe, le lunghe ciglia nere.
 
Non aveva conosciuto molte persone in vita sua e non sapeva cosa lo teneva sveglio la notte e gli incupiva lo sguardo di giorno.
 
Quello che sapeva era che le piaceva vedere come si sforzasse di essere forte, di sostituire la tristezza coi sorrisi, di prodigarsi in mille modi per ringraziare dell'ospitalità.
 
Da quando era arrivato nelle loro vite i giorni erano volati. Ogni mattino si alzava deciso a congedarsi, ma le rimostranze di lei, della sorella e sì, anche di zio Genma, lo trattenevano. E puntualmente ogni sera Nabiki gli preparava il futon.
 
Aveva intuito che anche lui fosse orfano di madre.
 
Sapeva bene, lei, cosa significasse crescere senza una mamma che ti conforti e ti abbracci quando avresti solo voglia di piangere. Non che fosse mai stata sola. O davvero triste. Ma comprendeva con una saggezza innata la sua condizione.
Ci avrebbe pensato volentieri lei ad abbracciarlo, e si era permessa una carezza sul capo ogni tanto. Il ragazzino sorrideva, scosso dalla timidezza e dalla sorpresa.
 
Guardandolo, le sembrava di avere davanti un pentolone su fiamma viva, un pentolone di emozioni che bolliva impazzito, facendone di tanto in tanto schizzare via qualcuna in tutta la sua interezza.
Nessuno, da dove veniva, doveva avergli insegnato a celarle.
 
Di contro, era di poche parole. Non gli avevano fatto domande, non ancora, e lui li guardava con gratitudine per questo.
Era evidente che si portasse un macigno dentro e che non avesse voglia di parlarne.
 
La sorella fremeva, voleva chiedergli tante cose, ma era stato poco bene, fiaccato dal freddo e dalla fame e aveva avuto bisogno di riprendersi. Lei gli aveva preparato i suoi piatti migliori, per rimetterlo in salute; Genma l'aveva portato nel bosco a prendere aria e sole e persino la sorella non gli toglieva gli occhi avidi di dosso.
 
Quella Misaki… Aveva patito più duramente di lei l'imposizione a restare lontano dalla società e ora ambiva carpirne qualche informazione, ma aspettava il momento più opportuno.
 
Forse quello sarebbe stato il giorno giusto, chissà?
 
Guardò fuori dalla finestrella.
 
La bruma stava salendo placida dalla terra, rendendo lattiginosa la visuale.
 
Kasumi non si fece intimorire. Si sistemò meglio lo scialle e con un sussurro che poteva essere accolto o allontanato nell'eco di un sogno, sentenziò: "La colazione è pronta!"
 
 
***
 
 
 Un'insana nebbiolina copriva la radura dove erano schierate le truppe di Soun-sama.
 
Il loro sovrano si stagliava davanti a quei volti giovani che lo guardavano in attesa di una parola, una mossa, un comando, mentre dalle loro bocche piccole nuvole di vapore ricordavano quanto fosse freddo il giorno che doveva iniziare.
 
Li scrutò a sua volta, bardato nella sua armatura, e realizzò che quella radura presto sarebbe diventata campo di battaglia. Che molti di quegli sguardi si sarebbero spenti di colpo, tra schizzi di sangue, e vedove, e orfani.
 
Come era arrivato a quel punto?
 
Non osò neanche cercare una risposta o le forze l'avrebbero abbandonato e la sconfitta sarebbe stata una certezza.
 
Aveva ancora qualcosa per cui lottare. Una vana speranza, a cui tentò di uncinare i propri pensieri, scacciando il resto. E in nome di quella speranza doveva millantare una realtà ben più cupa, pur restando fedele a se stesso.
 
"Amici. Non vi chiederò di lottare per qualcosa che non conoscete. Vi chiedo anzi di lottare per le vostre terre, le vostre madri, le vostre mogli, le vostre figlie. Io oggi ho perso la mia"
Un mormorio stupito si impadronì delle fila, ma svanì subito in un rispettoso e angosciato silenzio.
"Una malattia sconosciuta me l'ha strappata. Con la morte nel cuore… non smetterò di lottare. Lotterò per la terra che l'ha vista nascere. Lotterò per il mio e il suo popolo"
 
Uno strano silenzio gonfio di compassione seguì quelle parole.
 
Poche asciutte parole di un condottiero segnato dalla sofferenza.
 
Girava voce che ci fossero dei dissapori tra Soun Tendo e la sua unica erede.
 
Ma quella era senza ombra di dubbio la voce di un padre distrutto dalla morte della propria bambina.
 
Nell'urlo di guerra che divampò urgente vi era un misto di fratellanza, orgoglio, onore, ma soprattutto una sincera reverenza nei confronti del principe e un omaggio sentito alla bellissima e dolcissima principessa Akane, morta troppo presto e in circostanze troppo tristi.
 
 
 
***
 
 
Il palazzo era circondato dallo spettro del silenzio.
 
Seduto immobile sul masso di un cortile ormai deserto, Kuno masticava livido la propria bile.
 
L'alba era ancora lontana e sapeva che avrebbe dovuto inviare verso le quattro direzioni il messaggio della morte della Akane Tendo. Avrebbe dovuto anche fare un annuncio ufficiale nel palazzo, a ben pensarci.  Ma non riusciva a muovere un muscolo.
 
Paralizzato dal rancore.
 
A dispetto di ogni apparenza, strategia o etichetta, lei era là fuori che se ne scorrazzava libera.
 
Sentì il sangue schiumare nelle vene.
 
Da quanto tempo era sgattaiolata fuori dal castello? Si era forse già riunita a quel suo amante? Quel vile scarto umano?
 
Scacciò l'ipotesi con stizza.
 
Se l'avesse avuta tra le mani non si sarebbe fatto remore a torcerle finalmente quel collo bianco e sfacciato. Non prima di essersi preso con la forza ciò che aveva bramato sin dal primo istante.
 
Ma lei era chissadove, lontana, inagguantabile.
 
"Cosa credi, mica se ne è uscita dal palazzo da sola… E' stata chiaramente aiutata"
 
Ancora una volta in quella lunga notte la voce della sorella lo colse di sorpresa. Ma questa volta non se ne meravigliò troppo. Si voltò anzi a guardarla accigliato, in attesa che lei andasse avanti.
 
"Non riesci a immaginarlo?"
 
Una mezza idea cominciò a farsi strada nella sua testa. Lei gliela confermò.
 
"Quei due bastardelli. L'ancella che si prende cura della tua sciocca fidanzata e il servo con la bandana che le fa da cagnolino"
 
Si sentì uno stupito a non averlo realizzato prima. Al diavolo anche loro.
 
Kuno si alzò di scatto e fece per andarsene.
 
"Pare che…", si sentì artigliare da Kodachi, ma a ben guardare, la sorella non lo stava nemmeno toccando, "… pare che ci sia del tenero tra i due"
 
Registrò l'informazione e, senza dire nulla, si dileguò.
 
 
 
 
C'era una strana tensione nell'aria.
 
Persino gli uccelli del mattino non stavano cinguettando come di consueto. Che sentissero l'odore della guerra?
 
Ryoga scosse il capo. Non si sentiva tranquillo.
 
Ukyo aveva preparato il vassoio della colazione e si era diretta risoluta verso le stanze delle principessa. Come sempre.
 
Eppure qualcosa non gli tornava.
 
Non era strano che Soun-sama non avesse chiesto della figlia prima di abbandonare il palazzo forse per sempre? Era in rotta con lei, certamente, ma una guerra è sempre una guerra…
 
Lì per lì non aveva avuto il tempo di pensarci, sconvolto dalla notizia e impegnato dai preparativi.
 
In quel momento realizzò che il palazzo era in mano ai fratelli Kuno.
 
Sentì un brivido scorrergli lungo la schiena.
 
C'era troppo silenzio e Ukyo non era con lui.
 
Strinse i pugni e cominciò a correre.
 
 
 
 
"E' commovente come vi ostinate a coprire il suo egoismo"
 
Ukyo sussultò e il vassoio quasi le cadde dalle mani.
 
Nell'ombra del corridoio antistante la camera di Akane, non riuscì a distinguere i contorni dell'uomo che le aveva fatto la posta, ma ne riconobbe con orrore la voce.
 
"Mio signore, non vi avevo visto"
 
"Di questo sono certo"
 
Giurò che ci fosse un sorrisetto dipinto sul volto di Kuno.
 
Lei era lì, col fiato sospeso, gli occhi dilatati. Il leggero tintinnio provocato dalla piccola teiera di ceramica al centro del vassoio contro il bicchiere da tè, ne tradiva un tremito crescente.
 
Osservò compiaciuto la sua preda. Ma non indugiò oltre. Era lì per arrivare al punto.
 
"Stavo dicendo che siete testarda almeno quanto lei nel promuovere questa sua reclusione"
 
Ukyo non sapeva cosa dire. Non riusciva a pensare.
 
Kuno volle facilitarla. Indicò con mano elegante la porta chiusa tra di loro.
 
"Sto parlando di Akane Tendo"
 
La ragazza annuì debolmente.
 
"Il padre è partito e nemmeno una lacrima, un saluto?"
 
Come Ukyo aprì la bocca lui le fu addosso, la mandibola sottile di lei stretta tra le dita rudi.
 
"Mi sembra un po' strano, non credete?", le alitò sul volto pallido.
 
L'eco del vassoio schiantatosi a terra fu l'unica risposta a quella domanda.
 
La lasciò di scatto e per un attimo le diede le spalle, come per raccogliere le idee di fronte a tanta passività.
 
"Fo…forse", azzardò Ukyo, "Forse la signorina è in un'altra parte del palazzo… io non…"
 
Si voltò furente e il gesto fu un tutt'uno con la voltata. Lei non lo vide nemmeno arrivare, ma sentì il volto girarsi e le sembrò che l'occhio schizzasse via per l'impatto.
 
Si ritrovò a terra, scaraventata violentemente dallo schiaffo di Kuno, mentre lui se ne stava ancora con la mano alzata.
 
"Mi si crede così stupido da credere a simili sciocchezze?", tuonò.
 
Lacrime di rabbia e frustrazione le bruciarono sul volto che si stava gonfiando. Avrebbe voluto reagire, ma non poteva in quel momento, o tutto sarebbe stato perduto.
 
Ma non era ancora finita.
 
La afferrò per il colletto della veste e la tirò su con una facilità disarmante. Lei si sentì soffocare. Iniziò a salirle in gola la paura di non uscirne viva e si dibattè come una trota fuori dall'acqua, boccheggiando.
 
"Ora! Voglio sapere ora dove è andata quella sgualdrina di Akane Tendo!"
 
Fece per scaraventarla contro la parete di carta di riso, che sicuramente sarebbe crollata per l'urto, ma fu qualcos'altro che urtò violento contro di lui, facendogli perdere la presa su Ukyo, che cadde a terra tossendo, sgomenta di fronte alla scena che le si presentò.
 
Ryoga era spuntato dal nulla e si era gettato brutale contro Kuno, placcandolo alla vita e spingendolo via con una forza disperata e un grido inumano: "Lasciala stareeee!!"
 
Stordito dalla situazione inaspettata, Kuno non ebbe il tempo di riprendersi che fu atterrato da un pugno e si ritrovò Ryoga cavalcioni. Il ragazzo lo teneva per la stoffa del kimono ed era pronto a concedersi una raffica di buone ragioni sul viso di quello psicopatico, ma lottava allo stesso tempo con il buon senso che lo aveva trattenuto fino a quel giorno, fino a quel momento, il momento in cui aveva visto la sua Ucchan tra le mani del nemico.
 
Kuno seppe cogliere la crepa nel comportamento del suo assalitore e vi si insinuò immediatamente nel modo più vigliacco che poté. Con un urlo furibondo: "Guardieeee!!!"
 
Ryoga si gelò, turbato, senza capire davvero ma senza mollare la presa.
 
"Ukyo, scappa…", fece appena in tempo a dire, che Kuno lo freddò trionfante: "Non farà in tempo. Verrà acciuffata e uccisa sotto i tuoi occhi. Ma non preoccuparti. La seguirai subito dopo. A meno che…"
 
Ryoga tremava di rabbia.
 
"A meno che non mi diciate dove se ne è andata la vostra principessina"
 
"Questo mai!", ringhiò Ukyo, che non aveva ormai più nulla da perdere.
 
Ryoga sentì un tafferuglio scomposto in cortile. Delle sentinelle stavano cercando di capire da che parte fosse venuto il grido del loro padrone.
 
"A te la scelta", lo incalzò Kuno, "Vuoi forse farti trovare così?"
 
Il ragazzo con la bandana guardò Ukyo, rannicchiata a terra, scomposta e furente. E cominciò ad allentare la presa.
 
"Chi mi garantisce che non saremo comunque perduti?"
 
Ukyo sussultò. Cosa aveva in mente Ryoga?
 
"Kuno Tatewaki mantiene le sue promesse", rispose lui sprezzante.
 
Con uno scatto si scrollò di dosso il ragazzo con tutto il suo peso. Sfilò la katana.
 
In una frazione di secondo a Ryoga si azzerò la salivazione.
 
Ma gli occhi folli di Kuno non mentivano.
 
La katana fu lanciata lontano.
 
Erano altre le motivazioni che lo muovevano, al di sopra di loro due e della misera vendetta consolatoria che avrebbe avuto sfogandosi su di loro.
 
"Guardie!", Kuno attirò la loro attenzione sporgendosi personalmente dalla finestra dopo essere entrato nella camera vuota di Akane.
 
"Perdonatemi, uomini solerti! Il buio dell'ora accompagnato alla stanchezza degli ultimi eventi ha invero ingannato la mia persona. Mi parve di vedere ombre nella casa, ma non di Cinesi si trattava. Soltanto di ombre. Andate con calma ritrovata. Nulla qui è fuori posto"
 
Un po' confusi ma incapaci di controbattere alle stramberie che non di rado si alternavano alla violenza del loro padrone, gli uomini si dispersero volentieri dopo aver fatto il saluto militare.
 
Kuno si voltò.
 
Aveva fatto la propria mossa.
 
Ora toccava allo straccione e a quella sua insulsa concubina, che lo guardavano incapaci di comprendere davvero la loro fortuna, come se ancora si stessero chiedendo come agire.
 
Sciocchi.
 
Conficcò lo sguardo in quello di Ryoga.
 
Le farò del male, diceva quello sguardo. La sentirai urlare e piangere, e a cosa sarà valsa tanta sofferenza? Lo sai bene: non la mollerò finchè non parlerai.
 
Ukyo non capiva, si sentiva venir meno la terra sotto i piedi. Qualcosa stava accadendo e lei non avrebbe saputo dire cosa.
 
Kuno conficcò lo sguardo in quello di Ryoga. E lui non riuscì a sostenerlo oltre.
 
"E sia", concesse, e non diede alla ragazza il tempo di fermarlo, "Akane Tendo è scappata da oltre una settimana in direzione di Hakata, nella speranza di trovare una nave che la portasse in Cina dal… dal marito"
 
A quell'odiata parola Kuno reagì dandosi un pugno di stizza contro la coscia e lo sguardo perso nel vuoto.
 
"Questo è tutto da vedersi", gli sentirono mordere tra i denti prima che li lasciasse come nulla fosse stato, dimentico di loro e del loro ridicolo destino.
 
Erano solo mosche sul suo cammino, e non avrebbe sprecato tempo a liberarsene.
 
Altri progetti l'immediato futuro riservava a Kuno Tatewaki.
 
Doveva fare presto. Raggiungerla, scovarla, e…
 
 
 
Lo vide sparire nel buio del corridoio, ne udì i passi lontani e non gli parve vero.
 
Erano salvi.
 
LEI era salva.
 
Subito le fu accanto.
 
Una mano le strinse dolce la schiena, l'altra le trovò il viso tumefatto e ne carezzò appena le guance bagnate.
 
"Ryoga", singhiozzò lei, "Ryoga… Cosa… cos'hai fatto?"
 
Ma a dispetto delle parole che riuscirono a farsi strada e del rimprovero e della paura, voleva solo dirgli grazie.
 
Lui capì.
 
"Ucchan…"
 
Furono le sue guance allora a bagnarsi.
 
E sperò solo che Akane fosse già in salvo da tempo, che ci fossero Hiroshi e Daisuke a proteggerla, che con un po' di fortuna la mezza bugia che aveva detto a Kuno l'avrebbe portato fuori strada. E che se davvero era ormai impazzata, ci avrebbe pensato la guerra a impedire a Kuno di procedere, bloccandolo tra i due fronti.
 
Così almeno sperava, stretto a Ukyo, mentre pregava in silenzio.
 
 
 
***
 
 
 
Akane, le maniche rimboccate fin sopra i gomiti, cercava di dare una mano come poteva. Mentre Kasumi pelava delle carote per il pranzo seduta davanti all'uscio e Nabiki ne rosicchiava indolente una già pronta, Akane spaccava la legna da una buona mezz'ora a mani nude, sfruttando le proprie capacità di esperta nelle arti marziali così da impegnare allo stesso tempo il corpo e lo spirito e allontanarli dai pensieri cupi che la scovavano non appena si fermava.
 
"Akira, ma dove hai imparato?", chiese Nabiki che non gli toglieva gli occhi di dosso.
 
"Mi ha… mi ha insegnato un Maestro delle mie parti"
 
"Anche zio Genma è capace", aggiunse Kasumi per smorzare con un sorriso il tono indagatorio della sorella.
 
"Mmm… terrei questo ragazzo qui, per sempre", si stiracchiò Nabiki in tutta risposta, senza neanche tentare di abbassare il volume della voce. Anche se Akira era di poche parole, rappresentava un succulento diversivo a quella vita monotona che conduceva. E non se lo sarebbe fatto scappare.
 
"Misaki, smettila! Non vedi che Akira è a disagio? Non essere impudente"
 
"Ma dai, Hitomi, sto scherzando! lo sai anche tu che sto scherzando, vero, fratellino?"
 
Akane sussultò di piacere di fronte a quell'appellativo carico di affetto e confidenza. Certo quella Misaki l'avrebbe fatta impazzire, ma la verità era che avrebbe dato tutto per avere due sorelle come loro.
 
"E' che qui ci annoiamo a morte e tu invece sei stato in giro... nel mondo… Dai, basta coi musi lunghi… Dimmi, com'è là fuori? E il palazzo? L'hai visto? I nobili che lo abitano?"
 
Akane volle ricambiare quella ragazza che si mostrava così amichevole e sfacciata. Volle darle ciò che voleva, in fondo a lei cosa costava? E per un attimo si dimenticò anche della sua condizione.
 
"Sono stato per un po' a servizio in casa Tendo, e ho avuto modo di frequentare il palazzo"
 
Si era creata una piccola storia, ispirandosi a Ryoga e a Ukyo e… sì, un po' anche a Ranma, e facendo del suo Akira un miscuglio di tutti e tre.
 
"Davvero?!", Nabiki le si avvicinò senza pudore. E nell'attesa della risposta si beò della vicinanza con quel ragazzino. Poteva scorgerne il rossore e annusarne l'imbarazzo. Non era in sé interessata al giovane Akira, ma non aveva mai visto altri uomini all'infuori dello zio e di qualche vecchio pastore. Non che fosse attratta in particolare dagli uomini… Dal loro potere, più che altro, e dalla posizione che avevano nel mondo.
 
"S-sì…", le sorrise Akane, sperando che la ragazza non fosse abbastanza scaltra da smascherarla in quattro e quattr'otto.
 
"Allora hai conosciuto Soun-sama?"
 
"L'ho visto solo da lontano", puntualizzò subito Akane, mettendo a tacere la piccola fitta al cuore.
 
*Papà…*
 
"Avevo una posizione davvero molto bassa e non mi sono mai avvicinato a lui"
 
"E la principessa l'hai vista?", si intromise timidamente Kasumi, "Dicono che sia una fanciulla molto bella"
 
"Sì, l'ho vista", sospirò Akane.
 
"E allora? E' bella e svenevole? O fredda e distaccata con tutti?", chiese Nabiki, avida di qualunque tipo di informazione.
 
"No!", si scaldò un po' troppo Akane, per poi ricomporsi, "Non è nè svenevole nè fredda. Bella… non saprei, dicono che lo sia, ma lei non se e cura poi troppo. Avventata, direi, è una principessa un po' avventata, sì"
 
"E da cosa l'hai dedotto?", la incalzò subito Nabiki.
 
Ma questa volta Akane non si fece sorprendere.
 
"Oh, ma non cerca di nasconderlo in nessun modo. E' testarda e ne va fiera. E' insofferente a ogni tipo di etichetta, si allena e va a cavallo. E tiene testa a chiunque non le porti rispetto"
 
"Sembra una tipa piuttosto in gamba", ridacchiò Nabiki, sentendosi non troppo diversa da una donna di rango.
 
"Dev'essere molto simpatica", decise Kasumi.
 
"Sì, lo è", accordò Akane di buon umore.
 
E le due sorelle si compiacquero, ognuna a modo suo, di aver strappato un sorriso genuino a quel ragazzo che, tra un ciocco di legno e una carota, si era aperto un po' di più.
 
 
 
***
 
 
 
L'alba era in procinto di fare capolino sul mondo e sulla grande sala di Palazzo Tendo. Presto la luce si sarebbe impadronita di quel luogo, illuminandone il silenzio in tutta la sua vastità. Ma ancora per qualche istante sarebbe stata solo lei a troneggiare nel vuoto della stanza. Un stanza che rappresentava il potere di Soun-sama.
 
Kodachi si guardò intorno calma ed eccitata allo stesso tempo.
 
Il marito era partito da meno di un'ora.
 
Tagliò il buio con gli occhi.
 
*Addio maritino, a mai più rivederci*
 
Sfiorò le pareti con la punta delle dita.
 
Suo.
 
Tutto quello ora era suo.
 
Aveva fatto bene ad aspettare, a ingoiare, a sopportare. Fu grata alla propria capacità di osservare e di muovere le persone come pedine di una scacchiera. Partita dopo partita era arrivata fin lì, ma il gioco vero e proprio cominciava in quel momento.
 
Un suono sinistro tra il gutturale e il nasale cominciò a nascerle in gola. Stava per concedersi alla risata della vittoria, a una di quelle risate che tanto aveva represso in quei mesi e che ora poteva liberare, sguaiata e raffinata.
 
Ma anche allora non le fu possibile.
 
Fu il fratello a sorprendere lei, per una volta.
 
Kuno entrò in malo modo, lei nè registrò la presenza, un po' seccata e vagamente curiosa. Aspettò che iniziasse a parlare, e lo ascoltò con attenzione.
 
"Sei qui, finalmente. Avevi ragione, sagace di una sorella. Su tutto. E questa volta non mi fermerò. Lascio a te il compito di informare i bifolchi del palazzo e delle terre tutte della morte di quella piccola meretrice. E davvero, ovunque sia, farebbe bene a invocare subito la morte…"
 
Kodachi sussultò.
 
Non per la minaccia nelle parole del fratello, ma perché il primo raggio di sole entrato nella stanza ne aveva rivelato di colpo gli abiti. Alla giovane donna parve per un attimo di vedere Ranma sotto quella luce.
 
Si avvicinò a lui e mise una mano sul suo petto, giocando con i risvolti della casacca rossa smanicata e sdrucita che era appartenuta al ragazzo esiliato.
 
"Hai in mente un qualche piano, suppongo"
 
Come darle torto?
 
Con un gesto schifato indicò la giacca e i pantaloni che si era messo.
 
"Ho racimolato questa roba nella stanza pulciosa di quello scarto umano che ha avuto l'ardire di sfidarmi sposandola"
 
"Ranma!", precisò Kodachi senza che ce ne fosse affatto bisogno, ma per il piacere di pronunciarne il nome mentre si inebriava del suo odore che ancora impregnava i vestiti.
 
Il fratello annuì grave.
 
"Quella svergognata ha osato dire una volta che 'il peggior straccio' che ha indossato quel villico le è più caro della mia illustre persona"
 
Ingoiò il ricordo di quell'umiliazione.
 
"Benissimo. Con questi stracci addosso io la prenderò"
 
Accarezzò la katana da battaglia, che teneva al fianco.
 
"La scoverò e le farò ingoiare tutto il rispetto che mi ha mancato in questi mesi. E se anche lui si trovasse già con lei, glielo sgozzo davanti agli occhi. Giuro, sorella, che sazierò ogni mio istinto, e lo farò con questi stracci addosso, che lei tanto apprezza. E poi la riporto a palazzo per i capelli. E me la sposo. Che non si dica che non sono un gentiluomo. Si divertiva a disprezzarmi. Io mi divertirò così"
 
 Kodachi in tutta risposta gli diede un buffetto di approvazione. Peccato solo per Ranma, ma in fondo era solo una delle pedine che aveva perso, e delle meno importanti nell'economia del tutto.
 
"Va' pure fratello, e non voltarti indietro. Qui penso a tutto io, non temere"
 
"Tatewaki Kuno mantiene le sue promesse. Ho detto che l'avrei avuta e l'avrò. E avrò la mia vendetta. Akane Tendo, preparati. Sto arrivando", e senza aggiungere altro si dileguò, con la mente già a Hakata, al sole ormai alto e alla pelle immacolata che avrebbe violato.
 
Rimasta sola, a Kodachi non restò che abbandonarsi finalmente e più fortemente che mai alla propria risata, che risuonò folle e acuta nell'alba di quel nuovo giorno.
 
 
 
***
 
 
 
Impaziente, Ranma balzò giù dalla barca, percorrendo con l'acqua fino alle ginocchia gli ultimi metri che lo separavano dalla riva e inspirando a pieni polmoni l'aria della sua terra.
 
Un solo pensiero lo muoveva.
 
*Sto arrivando, Akane. Sto arrivando*
 
Era pomeriggio inoltrato.
 
L'esercito cinese non aveva ufficialmente conquistato la piccola città portuale ma si era comunque riversato copioso nelle sue stradine, in attesa del trasferimento.
 
Avrebbe trovato il modo, in quel trambusto, di disertare la guarnigione e allontanarsi a tutta velocità da Hakata in direzione di Palazzo Tendo. Forse Hiroshi e Daisuke avrebbero potuto aiutarlo procurandogli un cavallo. Ma prima avrebbe dovuto trovarli. Chissà se erano ancora lì o avevano preferito allontanarsi da una situazione decisamente critica.
 
Fu mentre rimuginava su queste cose che lo vide per la seconda volta.
 
Un gruppo di soldati si aprì davanti a lui, e nella luce del pomeriggio apparve il generale Shinnosuke, alto e pallido. I suoi occhi chiari erano rassicuranti e al contempo segnati dalla gravità di una guerra da combattere.
 
 
*A chi vuoi darla a bere, amico? Guardatelo, lì, tutto moine…*
 
Mentre Shinnosuke dispensava umili sorrisi ai suoi sottoposti, Ranma lo scrutava con astio. Non sapeva perché gli stesse così poco simpatico. In fondo non gli aveva fatto nulla… 
 
*Ecco cos'è… Mi ricorda quel tale… quel damerino da strapazzo che faceva il cascamorto con Akane… Come diavolo si chiamava? Sanzenin-qualcosa-Mikado… Lei se ne stava lì, tutta sorridente, mentre lui se la divorava con quegli occhi da pesce bollito e le diceva tutte quelle smancerie…*
 
I ricordi ti acchiappano alle spalle quando meno te lo aspetti. Quando non li stai cercando, arrivano di soppiatto e si insinuano nella mente intenta a fare altro.
 
E quando te ne rendi conto, ti ritrovi ormai stretto nell'abbraccio delle loro spire.
 
E ti lasci andare ad essi.
 
 
Il sangue aveva cominciato a sfrigolargli nelle vene e le palpebre gli si erano strette di fronte a quella scena patetica in cui la principessina era tutta compiacente nei confronti dell'ospite di suo padre.
 
"Cosa c'è? Sei geloso forse?", l'aveva sfidato lei poco dopo, di fronte al suo broncio indifferente.
 
"Io geloso? E di chi, scusa?"
 
"Di quel damerino da strapazzo, e di chi sennò?"
 
Aveva sorriso segretamente: anche lei lo considerava un 'damerino da strapazzo', allora!...
 
"Ma figurati! E' solo che io odio quelli che credono di avere tutte le donne ai loro piedi"
 
"Scemo! Cosa credi? Se non ci fosse stato mio padre nella stanza accanto gli avrei dato un pugno in faccia e rotto la mascella!"
 
"Sei davvero romantica tu, accidenti! Però davanti a lui cos'erano tutte quelle faccette?"
 
"Ma ti senti? E allora tu, con Ucchan?"
 
"'Con Ucchan', cosa?"
 
"Sei sempre tutto gentile con lei…"
 
"Ma piantala, Ukyo è una sorella… E poi che vuoi farci? Lei è così carina… al contrario di te, che non hai un briciolo di fascino, e…"
 
Era davvero uno stupido. Lo era sempre stato.
 
Non ricordava come ma la lite era degenerata e si era ritrovato scaraventato contro i ciottoli del cortile.
 
La ricordò poi sotto la pioggia, quella sera…
 
*Akane…*
 
…che lo cercava perché non l'aveva trovato nella sua stanzetta né in palestra.
 
Lui l'aveva apostrofata scorbutico, dal tetto.
 
"Cosa vuoi? Fare la pace?"
 
"No. Dirti quanto sei stupido"
 
"La stupida sei tu che te ne stai sotto la pioggia e poi finisce che ti ammali"
 
"Sei tu lo stupido che non si fa trovare da nessuna parte…"
 
Lo guardava, lì, ostinato a stare sotto la pioggia sottile e grigia.
 
"Mai più pensavo di trovarti qui con 'sto tempo… Tu odi l'acqua fredda"
 
"E' vero, la odio, ma mi ci sono anche dovuto abituare. Uno come me non può mica avere l'acqua calda quando vuole…"
 
"Basta chiedere", aveva sorriso lei.
 
E a lui era bastato quel sorriso per sciogliersi.
 
"Vieni, scemo, che ora ti fai un bel bagno caldo"
 
Lui era arrossito e lei si era resa conto della troppa confidenza, ai limiti del pudore; era arrossita pure lei, l'aveva vista, ma aveva fatto finta di niente.
 
Quella sera aveva pensato a lei mentre era a mollo nella tinozza bollente che Akane gli aveva fatto preparare nella sua stanzetta.
 
Versandogli sgarbatamente in testa l'acqua calda di una grossa teiera di metallo, Ryoga aveva borbottato qualcosa sulla sua ingratitudine e su quanto fosse fortunato, e poi l'aveva lasciato a cuocere nella sua brodaglia.
 
Quella 'brodaglia' era un regalo di Akane e lui, pensando a quel caschetto bagnato, a quegli occhi spalancati e brillanti, si era arreso alla verità che da quel momento in poi, volente o nolente, sarebbe sempre stato geloso di lei. Infinite altre volte.
 
 
Distolse lo sguardo dal generale Shinnosuke.
 
*Posso davvero incolpare solo Mousse e Shan-Pu?*
 
Il filtro doveva essere stato molto potente se gli aveva fatto fare una cosa così folle e terribile. Ma così potente da scatenare una gelosia sconsiderata?
 
*La gelosia… Quella era mia*
 
Perché aveva voluto credere a tutte quelle fandonie?
 
Fece per darsi un pugno sul mento, ma qualcuno gli mise una mano sulla spalla e lo voltò.
 
"Ranma?"
 
"Hi-Hiroshi! Daisuke!"
 
Ma la sorpresa gli si smorzò sul volto.
 
Non gli piacque quello che vide negli occhi dei due amici.



 
FINE PARTE I

 
---
(1)
Spero di non aver creato confusione con i nomi delle due sorelle. Mi permetto un breve riassunto. Si tratta di Nabiki e Kasumi, ma non conoscono i loro veri nomi (l’unico a conoscerli è Genma). Pensano di chiamarsi rispettivamente Misaki e Hitomi. Durante la storia mi riferisco prevalentemente a loro con i loro veri nomi. Talvolta però nella narrazione viene considerato il punto di vista di qualche personaggio che li conosce col loro falso nome, pertanto uso anche quelli. Ma non è una regola che ho seguito sempre. Insomma sono stata forse un po’ arbitraria, non me ne vogliate, ma sono certa che mi seguirete senza problemi!
 
(2)
Cercavo un nome da uomo che calzasse bene per Akane e cercando su internet ho trovato “Akira”, che oltre alla consonanza (almeno in italiano), si accorda bene alla nostra eroina e al suo animo retto e fedele, dal momento che significa “luminoso, pulito”. Senza farlo apposta Akane si dà un nome amaramente carico di significato.
 
 
---
 
 
Ciao a tutti!
 
Sono riuscita finalmente a pubblicare! Eccomi qua con il capitolo più lungo (e controverso) di tutta questa storia, talmente lungo (e controverso) che ho deciso di dividerlo in due parti (e anche così risulta ancora lunghissimo!).
Vi chiedo scusa per l’attesa, ma avevo bisogno di portare avanti un’arcata un po’ più ampia per capire dove diavolo stavo andando a parare.
Questa prima parte è un po’ taaaanto lunga ma era necessaria per creare un buon trampolino per la seconda.
La buona notizia è che anche se vi ho lasciato un po’ in medias res, pubblicherò la seconda parte molto prima di sempre, dato che è già scritta e necessita giusto di qualche correzione qua e là.
 
Perciò… state connessi! ;-)
 
E soprattutto fatemi sapere cosa ne pensate! Sapete bene quanto è importante per me.
 
Un abbraccio a chi continua imperterrito a leggere questo polpettone e un monumento a chi mi fa il regalo di recensirlo!
 
Un bacione a voi tutti e un saluto particolare alle mie amiche Ladies!
 
InuAra
 
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Ranma / Vai alla pagina dell'autore: InuAra