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Autore: Old Fashioned    20/08/2016    12 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 21

Il mattino dopo c’era un tempo perfetto per volare: non una nuvola in cielo e nemmeno un filo di vento. Tutti erano ansiosi di decollare e persino gli aerei allineati sembravano impazienti di staccarsi da terra.
Sullo sfondo di tanta euforia, il volto cupo e teso del maggiore Stuart appariva fuori posto come una macchia su un vestito.
Poynter, che stava facendo gli ultimi controlli al suo aereo, gli si avvicinò e disse: “Mi chiedevo se per caso quel tuo tedesco ha degli antenati in Transilvania.”
“Non sono in vena di scherzi, John,” rispose Stuart bruscamente. Aveva dormito sì e no due ore, tormentato da incubi raccapriccianti, e l’ultima cosa che desiderava al mondo era ascoltare le arguzie di Poynter.
“Parlo sul serio, George, perlomeno sul serio a mio modo. Da quando ce l'hai in casa, ogni mattina sei più sbattuto. Non è che di notte si trasforma in pipistrello, esce dalla sua prigione e ti succhia il sangue?”
“Piantala!” rispose asciutto il maggiore. “Non succede proprio niente, di notte.”
Il capitano si strinse nelle spalle. “Visto che è nobile, magari è un parente del conte Dracula, va a sapere.”
Stuart stava per ribattere, ma l’altro gli posò una mano sul braccio e facendosi di nuovo serio disse: “Fa un favore a te stesso e ai ragazzi stamani: non andare in volo.”
Il maggiore lo fissò con tanto d’occhi. “Che intendi dire?”
“Sei troppo stanco, non sei concentrato, hai la testa altrove. Se vai in volo così, sai come va a finire.”
“Smettila, sto benissimo. E smettila anche di farmi da balia, ci stanno guardando tutti.”
“I ragazzi sono preoccupati, George.”
Il maggiore dardeggiò tutt’intorno uno sguardo sospettoso: i piloti apparivano ostentatamente assorti nelle più svariate attività. C’era chi controllava i flap, chi ripiegava con cura la mappa, chi infine si accertava che le armi fossero caricate a dovere.
A momenti si mettono anche a fischiettare, pensò il maggiore indispettito, constatando che ancora una volta il suo amico aveva ragione.
“Beh, non hanno motivo di preoccuparsi,” tagliò corto, “e se non sbaglio abbiamo del lavoro da fare, quindi mi aspetto che lo Squadron sia in volo al completo entro tre minuti.” Fece qualche secondo di pausa, quindi aggiunse: “E poi cosa dovrei dire? Scusate ma oggi non mi va di fare le missioni di guerra?”
“Potresti marcare visita.”
“Ma figurarsi. Se tutti quelli che dormono male dovessero marcare visita, qui non si alzerebbero più in volo neanche i piccioni.”

Poco dopo, ai comandi del suo aereo, il maggiore rifletteva sulle parole dell’amico.
I ragazzi sono preoccupati.
Per la prima volta ebbe la sensazione che la faccenda del prigioniero stesse sfuggendo al suo controllo. Fino a quel momento aveva pensato di essere riuscito a mantenere tutto ammirevolmente privato e di non aver fatto trapelare nulla dei suoi turbamenti per il destino di von Rohr e per altre cose, ma se Poynter gli parlava in quel modo, se persino i suoi piloti si preoccupavano per lui, era segno che in realtà quello che aveva cercato con tanto impegno di nascondere non era poi così nascosto.
Angosciosamente si chiese cosa sapessero, e quasi senza rendersene conto fece girare lo sguardo a destra e a sinistra, scrutando gli aerei in volo attorno a lui.
In quel momento, qualcuno gridò in frequenza: “Formazione nemica a ore due, quota duemila o duemila e cinquecento!”
Immediatamente Stuart accantonò le sue preoccupazioni e fissò lo sguardo nella direzione indicata: sulle prime vide solo dei puntini neri, che però in breve assunsero le sembianze spigolose di altrettanti Messerschmitt 109.
“Prepararsi ad attaccare!” ordinò, stringendo le cinghie che lo assicuravano al sedile come faceva sempre nell’imminenza di un combattimento.
I caccia della Luftwaffe si separarono in gruppi di quattro e poi si divisero ulteriormente in coppie, segno che anch'essi erano intenzionati a combattere.
Poi le due formazioni si scontrarono. Il cielo divenne un unico susseguirsi di duelli furibondi, Messerschmitt e Hurricane si passavano talmente vicino da rischiare collisioni in volo e l’aria era attraversata in ogni direzione da raffiche di traccianti.
In breve cominciarono a cadere aerei da una parte e dall’altra, lasciandosi dietro dense scie di fumo, mentre i fiori bianchi dei paracadute scendevano con assurda indolenza attraverso quella mischia infernale.

E poi Stuart lo vide: era il Cavaliere di Valsgärde. Arrivava a tutta manetta sul pelo dell’acqua, così basso che sembrava fondersi con la superficie verdastra delle onde.
Se n'era accorto troppo tardi: capì che il tedesco l'aveva sorpreso. Aveva già cabrato e gli stava arrivando addosso da sotto, come una specie di orca assassina.
Tentò una manovra evasiva in extremis buttandosi tutto da una parte con una scivolata d’ala, ma già le raffiche del Messerschmitt gli avevano bucato un serbatoio e centrato in pieno il motore.
In un attimo di bruciante consapevolezza, il maggiore realizzò che il Cavaliere di Valsgärde l’aveva appena abbattuto, che rischiava di precipitare in mare e che si era fatto fregare come l’ultimo dei novellini.
A motore fermo, le pale dell’elica in bandiera, l’aereo stava cadendo come un sasso. Gli strumenti sembravano impazziti, l’avvisatore di stallo fischiava, l’altimetro indicava una frenetica perdita di quota e l’abitacolo era ormai invaso da un fumo denso e acre che faceva lacrimare gli occhi. Il maggiore spinse la barra in avanti con tutte le sue forze, obbligando lo Hurricane a buttare il muso verso il basso. Dopo qualche tentativo riuscì a recuperare una parvenza di assetto, l’avvisatore di stallo tacque e in qualche modo l’aereo riprese goffamente a planare.
Una volta sicuro di averlo più o meno sotto controllo, Stuart cabrò leggermente e diede qualche grado di flap riducendo la velocità mentre guardava fuori alla ricerca di un posto dove atterrare. Era riuscito ad arrivare alla costa, e inclinando il velivolo vedeva già le onde infrangersi sulla battigia.
Valutò che una bella striscia di sabbia umida era l'ideale, considerando che sarebbe dovuto atterrare sulla pancia. Il carrello non funzionava, e anche se fosse stato integro non avrebbe avuto tempo di azionarlo: il suolo si stava avvicinando con una velocità decisamente sgradevole.
Ebbe solo il tempo di staccare i contatti e chiudere i serbatoi della benzina, poi con un fracasso da fine del mondo l'aereo toccò terra.
Sbalzato in avanti con violenza dall'impatto, trattenuto unicamente dalle cinghie di sicurezza, Stuart si trovò a lottare contro un velo nero che gli oscurava la vista.
Scosse bruscamente la testa per schiarirsi le idee: non era il momento di abbandonarsi ad uno svenimento. Fece saltare la capottina di plexiglas mentre l'aereo continuava a strisciare scavando un solco nella sabbia.
Poi finalmente il caccia, ormai ridotto a una carcassa informe, si fermò e sulla scena calò un silenzio spettrale, rotto solo dal lieve sibilo del vapore che usciva ancora dal radiatore sfasciato.
Il maggiore si guardò intorno attonito, realizzando di essere a terra e probabilmente tutto d'un pezzo. Vide che dal motore si levava ancora fumo, e questo lo convinse ad abbandonare immediatamente il relitto. Sganciò le cinture di sicurezza, uscì dall'abitacolo e si lasciò cadere su quello che restava dell'ala, quindi si allontanò rapidamente per portarsi fuori dal raggio di eventuali esplosioni.
Quando fu ad una distanza di qualche decina di metri da quello che restava del suo Hurricane si sedette sulla sabbia e si concesse di guardare in alto. La battaglia stava ancora infuriando, ma da lì gli riusciva difficile capire se stessero vincendo gli inglesi o i tedeschi.
Chissà se Poynter l'aveva visto cadere? C'era da scommettere di sì. Sembrava distratto e perso nel suo mondo, ma in realtà non gli sfuggiva mai nulla.
Respirò profondamente adagiandosi sulla sabbia, e guardando il cielo attraversato dalle strisce di condensa assaporò la sensazione inebriante e al tempo stesso vagamente colpevole di essere scampato per un pelo alla morte.
Si chiese se l'avesse provata anche von Rohr quando si era trovato nella stessa situazione.
Non fece in tempo a darsi una risposta: un clamore di persone in avvicinamento lo distrasse dalle sue elucubrazioni.
Arrivò un gruppetto di civili che subito lo circondò vociando. Erano per la maggior parte abitanti del vicino paese e apparivano tutti assai soddisfatti di poter dare aiuto a un eroico aviatore. Tra pacche sulle spalle e giri di fiaschette di whisky, sordi alle sue proteste lo sollevarono praticamente di peso e lo caricarono su un calessino, che subito partì al trotto alla volta del centro abitato.

   
 
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