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Autore: sister_of_Percy    20/08/2016    9 recensioni
STORIA INTERATTIVA || ISCRIZIONI CHIUSE
In tutti i distretti c'è un gran tumulto. La mietitura dei tributi per i Diciassettesimi Hunger Games si avvicina inesorabilmente.
Famiglie disperate, amici, orfani soli che non hanno più niente per cui vivere... Tra chi di questi verranno scelti i tributi?
Chi sarà il fortunato che verrà ricoperto di gloria e onore?
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mietitura

(Parte due)

MEI HU, DISTRETTO 5

 

Mei si sistemò nervosamente i capelli dietro un orecchio.

La capitolina, Julienne Dehui, sembrava divertirsi nel vedere i giovani ragazzi e le loro famiglie sudare freddo per l'ansia.

La donna sorrideva nel vedere lo sguardo spaventato di quei poveri ragazzini.

Mei non capiva come una persona potesse essere così crudele: gli abitanti di Capitol non si limitavano a utilizzare le loro vite come intrattenimento, ma provavano piacere nello scrutare i loro volti pieni di paura.

Studiò attentamente Julienne: quell'anno era vestita completamente di giallo, compresa l'enorme parrucca che ricordava un ammasso di paglia.

Mei storse il naso: odiava quel colore.

Con l'avvicinarsi del momento decisivo Mei sentiva anche l'ansia aumentare.

La ragazza cercò di rassicurarsi, pensando che c'erano molte più probabilità che uscissero i più grandi, anche per via del maggior numero di tessere richieste.

Quante probabilità c'erano che l'estratta fosse proprio lei?

La capitolina lesse il nome sul biglietto: "L'estratta per questi Diciassettesimi Hunger Games è... Mei Hu!"

Mei sentì la terra mancarle sotto i piedi.

Non poteva essere vero, probabilmente stava sognando. Sì, doveva essere così.

La vista le si annebbiò mentre le gambe tremarono.

"Non ti illudere. Non apparire debole." Si disse cercando di concentrarsi su cose superficiali: il vento freddo e pungente sulla faccia, il fastidio che le dava l'apparecchio nella sua bocca.

Mei si concentrò e l'ambiente intorno a lei divenne più nitido. Qualcuno l'aveva fatta uscire dalla folla. Deglutì non senza difficoltà e raggiunse il palco.

Incrociò lo sguardo preoccupato delle sorelline: avevano tutte gli occhi arrossati, anche se cercavano di apparire forti.

Mei cercò di sorridere loro, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu una smorfia.

Come avrebbero fatto senza di lei? Suo padre non era in grado di mantenerle tutte.

Scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri.

Raggiunse la capitolina che, nel frattempo, aveva chiamato il tributo maschile: "Marcus Benjamin Moore."

Un ragazzo alto uscì dalla folla. Mei si aspettava di vederlo almeno un po' preoccupato, ma il suo volto non tradiva emozioni. Raggiunse in silenzio la capitolina e la sfortunata compagna di distretto mentre una ragazza piangeva disperata.

Mei non lo conosceva personalmente, ma le voci nel suo distretto giravano velocemente: sua sorella era diventata una senza voce quando aveva tentato di fuggire dal distretto, mentre suo padre era morto per una grave malattia.

Mei non potè fare a meno di provare compassione per quel ragazzo così solo.

"No. Negli Hunger Games non c'è spazio per la pietà." Si disse cercando di convincersi che, da quel momento in poi, quella sarebbe stata la sua unica verità.

 

TOBIAS MALONE, DISTRETTO 6

 

Toby non riusciva a stare fermo. Prese a giocherellare nervosamente con il colletto della sua maglietta.

Si studiò il tagli nell'interno del braccio: appena prima di riunirsi in piazza lui e il suo migliore amico, Daniel, erano andati a rubare nella casa del sindaco e, scappando, si era graffiato con una pianta.

Lui e Daniel non erano cleptomani, semplicemente le loro famiglie non riuscivano ad andare avanti.

Toby, al contrario di quasi tutti gli abitanti del suo distretto, si era rifiutato di mettersi in tiro per quei vermi e aveva preferito passare un po' di tempo con il suo migliore amico.

Guardò con odio la capitolina che avrebbe condannato due di loro.

A Capitol la gente vomitava per riuscire a mangiare più cose, mentre nei distretti morivano di fame.

E, come se non bastasse, avevano creato delle differenze tra i distretti, facendoli odiare a vicenda.

La donna, con il suo solito sorriso falso, augurò a tutti loro buona fortuna.

La capitolina infilò la mano nell'ampolla dove erano contenuti tutti i nomi dei possibili tributi femminili.

"Bethany Everdeen."

Toby non la conosceva molto bene. Sapeva solo che era una ragazza divertente e tremendamente impulsiva.

Bethany sbarrò gli occhi per la paura, ma nascose subito le sue vere emozioni dietro un sorriso sicuro.

Un ragazzo qualche fila dietro di lui prese a gridare e cercò di raggiungere la ragazza.

La bionda appena estratta lo guardò e con tono sicuro disse: "Tyler, no. Non puoi fare niente, perciò almeno evita di finire nei guai."

Tyler seguì con sguardo d'impotenza la sua ragazza, temendo che non sarebbe più tornata.

Bethany riprese il sorriso e raggiunse la capitolina.

Quest'ultima annunciò il nome del secondo sfortunato: "Tobias Malone."

Toby si irrigidì. Vide la capitolina aspettare che un ragazzo si facesse avanti.

Li mandavano a morire e nemmeno sapevano i loro nomi. Toby sentì la rabbia montare dentro di sè e si fece spazio a spallate.

Si posizionò al centro della piazza, dove poteva essere visto da tutti e gridò: "Beh, eccomi. Vi conviene stare lontani, perchè appena ne avrò la possibilità vi ucciderò con le mie mani! Vi siete portati via mio fratello e adesso volete anche a me. Il prossimo anno a chi toccherà? Mia sorella? Dite che questi giochi servono a mantenere l'ordine, ma il loro unico scopo è tenerci buoni, affinché possiamo riempire le vostre pance."

Toby sentì dei pacificatori sollevarlo e portarlo via.

Riempiendo di calci le guardie riprese il suo discorso: "Non importa quanti di noi moriranno, un giorno arriverà qualcuno che vi farà pagare per tutto ciò che avete fatto e allora saremo noi a guardarvi morire!"

Toby continuava a divincolarsi, nel tentativo di liberarsi, ma qualcuno lo colpì, facendolo piombare nel buio.

 

AMON RAENAR, DISTRETTO 7

 

Amon scambiò per l'ennesima volta uno sguardo con la sua ragazza, Shandra.

Si conoscevano da quando avevano tredici anni e da allora non si erano più separati.

Amon capiva che era nervosa, ma cercava di nasconderlo. Non avrebbe voluto Shandra cercasse di fingere con lui, ma non poteva biasimarla. Amon si trovava nella stessa situazione.

Venne distolto dai suoi pensieri dalla voce squillante della capitolina: "Come sempre, prima le signore."

Amon sentì l'ansia salire dentro di sè, mentre la donna compiva movimenti fluidi all'interno della boccia, alla ricerca del nome della prescelta.

Amon strinse convulsamente i pugni, cercando di concentrarsi sui suoi muscoli e non dalle immagini che lo tormentavano nella sua mente: continuava a vedere Shandra estratta, lei che lo abbracciava, lo baciava e che moriva sotto i colpi di qualche favorito.

Cercò di convincersi che non le sarebbe successo niente. Anche se fosse stata estratta le sue abilità con Ascia e coltelli avrebbero potuto salvarla.

"Cinger Elspet!" Annunciò la capitolina.

Amon vide una ragazza dai crespi ricci rossi e le lentiggini raggiungere il corridoio.

La ragazza fece un inchino con fare teatrale ed estrema lentezza.

Amon non potè far a meno di sorridere nel vedere qualcuno prendersi così deliberatamente gioco di Capitol.

Amon sospirò, sollevato che Shandra si fosse salvata anche quell'anno.

 Cercò lo sguardo della sua ragazza, ma non la vide affatto sollevata.

Era preoccupata per lui, intuì il ragazzo.

Lui sorrise e rischiò un occhiolino che la fece ridere.

Il cuore di Amon si riempì di felicità.

Riportò lo sguardo sulla capitolina che, intanto, si era diretta verso l'ampliamento maschile.

"Amon Raenar." Disse lei con una voce che sembrava quasi uno squittio.

Amon sentì la paura prendere possesso del suo corpo. Per un attimo si sentì come un condannato a morte che si avvicinava al patibolo dove sarebbe avvenuta l'esecuzione.

Il ragazzo riprese coscienza del fatto che tutti lo stavano guardando, compresa Shandra.

Forzò un sorriso sicuro, quasi divertito, e raggiunse Cinger.

Si posizionò vicino alla sua compagna di distretto con in mente un solo pensiero: sarebbe tornato per Shandra.

 

NORMAN PATTON CODD, DISTRETTO 8

 

Patton non si curava di niente. La capitolina aveva proiettato il solito video che ormai vedeva da diciotto anni. Non si era nemmeno sforzato di apparire vagamente interessato.

Patton lanciò uno sguardo verso il gruppo di adulti.

Come si aspettava, sua madre non si era presentata. Probabilmente era troppo impegnata a cercare un nuovo modo per suicidarsi. Nonostante questo, Patton non provava rancore. Non sentiva niente.

Si guardò di nuovo intorno. Vedeva i suoi compagni di distretto cercare di affrontare la paura a modo loro.

Anson, al suo fianco, non tradiva emozione.

Si limitava a guardarsi intorno, cercando di concentrarsi su cose superficiali per ignorare la paura.

Patton si voltò di nuovo verso il gruppo degli adulti, dove vide Sefton.

Il ventiduenne gli sorrise con fare rassicurante.

Patton si chiese di cosa volesse rassicurarlo. Lui non aveva paura. Da tempo non provava più niente.

"Jennifer Parrish!" Proclamò la capitolina. Patton non si era nemmeno reso conto che fosse cominciata l'estrazione.

Patton si voltò verso la sfortunata. Era una comune ragazza del suo distretto. Non si era mai curato di conoscerla, come con la maggior parte della gente.

Jennifer sembrava inchiodata al suolo, aveva gli occhi sbarrati e i pugni serrati.

La ragazza deglutì a fatica e fece un passo.

"Mi offro volontaria!" La ragazza di fianco a Jennifer gridò quelle parole.

"Sid, no!" Jennifer cercò di fermare l'amica, ma questa la ignorò e raggiunse il palco.

"Come ti chiami, cara?" Chiese la capitolina.

"Come se davvero le importasse" pensò Patton sbuffando.

La ragazza rispose con sguardo sicuro che non lasciava trasparire un minimo di paura: "Sidney Nina Graham."

La capitolina le indicò lo spazio destinato al tributo femminile, poi si concentrò di nuovo sulle ampolle.

"Anson Rivera." Annunciò la donna.

Sentì Anson irrigidirsi al suo fianco.

No, non l'avrebbe permesso. Anson aveva ancora una vita da vivere, mentre la sua era finita da tempo ormai. Ciò che viveva poteva essere definita solo come un'opprimente esistenza priva di qualsiasi emozione.

Prima che l'amico potesse fare anche solo un passo si fece avanti e sussurrò: "Mi offro come tributo."

Anson gli afferrò il polso e disse con fare perentorio: "Patton, non lo fare."

Patton guardò l'amico e, senza dire niente, riprese la camminata.

"Qual è il tuo nome?"

"Patton Codd." Rispose freddo il ragazzo.

Da lì riusciva a vedere casa sua.

Con un sorriso pieno di rabbia dipinto in volto pensò: "Vediamo come sopravvivi senza di me, madre."

 

 

   
 
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