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Autore: SherlokidAddicted    21/08/2016    2 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
- Voglio sapere chi è lei e che ci fa qui. –
- Sono il Dottore! – Dice porgendomi la mano ed aspettandosi che io la stringa, cosa che però non succede. Assottiglio lo sguardo e lo scruto con attenzione mentre, deluso dalla mia mancata stretta, abbassa il braccio e lo riporta lungo il fianco.
– Il suo vero nome. –
- Beh, è questo il mio nom… -
- Non il nome con cui si fa chiamare, ma il suo vero nome, quello che nasconde a tutti da sempre, forse perché ha fatto qualcosa. Oh, allora è così! Ha fatto qualcosa di brutto, qualcosa di inaccettabile di cui si pente, talmente tanto che si vergogna ad utilizzare il suo vero nome e si nasconde dietro un titolo che la fa sentire meno in colpa di quanto vorrebbe, non è così… Dottore? – Gli occhi del mio nuovo conoscente si strabuzzano non appena mi sente pronunciare quelle parole con quel tono indagatore che mette la maggior parte delle persone che mi stanno attorno in soggezione, lui compreso.
- Oh, è proprio bravo come dicono… –
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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John, devo confessarti una cosa



Il corpo è steso sul tavolo dell’obitorio, ricoperto solo da un lenzuolo bianco. Molly si sta avvicinando per rimuoverlo e farci controllare il cadavere. Quando ne abbiamo la piena visibilità, John emette un mugolio infastidito e decisamente scioccato alla vista di quel volto. Tracy ha gli occhi sbarrati ed il terrore dipinto in faccia. Perfino Molly sembra turbata da quell’espressione perché fa di tutto per evitare di incontrare quello sguardo terrorizzato.

- Lo avete portato adesso dal luogo in cui è morta? – Lestrade annuisce accanto a me, tenendo gli occhi fissi sul cadavere con una nota di dispiacere evidente nello sguardo. – Dottor Watson? – Mi rivolgo al mio amico, che è ancora turbato. Lui capisce all’istante e si avvicina al corpo per ispezionarlo.

- Non c’è nulla che faccia capire che sia stata uccisa da una seconda persona… e a prima vista è evidente che sia morta di paura. – Comunica John, dopo aver controllato per bene il corpo. – Soffriva di attacchi di panico, probabilmente. –

- Deve aver visto qualcosa di… - Non finisco la frase perché… non so proprio come continuarla. Adesso che so dell’esistenza di alieni e creature sovrannaturali, le possibilità possono essere infinite. – Qualcuno ha assistito? –

- La sorella Amber, è qui fuori ma è troppo spaventata per parlare, non ha emesso un suono da quando siamo partiti. – Dice Lestrade mentre io mi avvicino e con la mia piccola lente d’ingrandimento inizio a cercare qualche traccia utile… non noto nulla di rilevante.

- Andiamo a parlare con Amber. – Dico mettendo di nuovo la mia lente in tasca. Riesco ancora a sentire il sapore del vino bianco e la testa girare ma sono abbastanza lucido da capire ogni cosa.

- Sherlock, è molto scossa e dalla paura non ha emesso un fiato. Ti prego di non turbarla ancora di più. – Faccio un gesto noncurante con la mano e, seguito da uno John rassegnato dal mio solito comportamento, raggiungiamo con passo spedito la giovane che si trova in sala d’aspetto.

Il suo viso bianco come un lenzuolo non promette bene. Non piange, non ha nessuna espressione. Sta fissando un punto indefinito della parete che ha di fronte. Accanto a lei è seduta un’infermiera che le accarezza la spalla per incoraggiarla, mormorandole parole dolci e, se posso dire, inutili. Non si può far sollevare il morale ad una ragazza così distrutta in quel modo. Che odio quell’infermiera, è completamente inutile lì, perché non va via?

- Ciao Amber. – Lascio che sia John a parlare per primo. Lui è capace di utilizzare un tono ed un modo di comunicare adatto alla situazione… io no.

Lui è il cuore e tu la mente, Sherlock!

Io avrei semplicemente chiesto l’accaduto, rischiando di traumatizzarla ancora di più… che complicazione parlare con gli essere umani normali!

- Che ne dici se ci alziamo e camminiamo un po’? Possiamo anche uscire dall’ospedale, se ti va. – Noto che l’infermiera ha lanciato uno sguardo di rimprovero rivolto a John. Io faccio lo stesso verso di lei. Per l’amor del cielo, se ne vada e lasci che lui faccia il lavoro che lei non è in grado di fare. – Ti va? In questo momento non mi sembra che l’ospedale sia un luogo adatto al tuo stato d’animo. – Detto ciò, allunga la mano verso di lei ed attende, sotto lo sguardo contrariato della donna che ancora prova a sollevare Amber con delle stupide carezze sulla spalla.

Poco dopo, quest’ultima solleva lo sguardo verso John. Nei suoi occhi vedo il vuoto, il trauma ed il dolore. Afferra la mano di John e senza dire altro si alza. John le sorride, ma lei per risposta si porta una ciocca di capelli dietro all’orecchio… poi lo segue ed insieme ci avviamo verso l’uscita.

Durante il tragitto riesco a percepire i passi dell’infermiera che ancora ci segue, convinta di poter essere utile al cambiamento d’umore della mia cliente. Scocciato mi giro all’improvviso, facendola fermare con un sussulto.

- Perché non va a fare il suo lavoro, invece di perdere tempo? – Mi guarda come se avessi appena bestemmiato. Poi i suoi occhi furenti mi squadrano dalla testa ai piedi, ed infine indietreggia e si allontana. Faccio un sorrisetto soddisfatto e raggiungo i due all’esterno.

Mi ritrovo dietro di loro a guardare come Amber si aggrappa al braccio di John. Noto che le ha trasmesso sicurezza, che il mio amico ha più capacità di quella sciocca infermiera.

- Adesso, Amber… so che per te è stato difficile, che vorresti cancellare tutto, ma noi abbiamo bisogno di sapere cosa è successo a Tracy. Sei l’unica testimone oculare, e vedrai che appena racconterai tutto sentirai un peso in meno sullo stomaco. – Dal completo silenzio e l’inespressività, la ragazza è passata al pianto disperato per il quale John ha dovuto abbracciarla per un minimo di conforto.

Com’è possibile che riesca a far esternare i sentimenti di chiunque?

- Non ho potuto fare nulla, è successo tutto in un attimo, mi creda. – Esordisce tra le lacrime incessanti.

- Ti crediamo, Amber, non preoccuparti. Devi solo spiegarci. – La ragazza si stacca dall’abbraccio e si passa le dita sotto gli occhi per asciugare le lacrime e cercare di riprendersi, così da poterci raccontare l’accaduto.

Pochi minuti dopo, ci ritroviamo seduti su una panchina, lei è in mezzo, tra me e John. Sta ancora giocherellando con i lembi della sua maglietta quando decide finalmente di cominciare a parlare.

- Ci trovavamo a casa. Stavamo aspettando un pacco importante contenente alcune delle cose di mio padre, ce le siamo fatte spedire da
una nostra zia che viveva nel mio stesso quartiere a Cardiff. Mia sorella era ancora molto scossa, non potevo tornare a casa per prendere gli effetti di papà e lasciarla sola, avrebbe potuto fare qualche pazzia… conoscendo il suo passato di depressione e i suoi attacchi di panico continui. Così ho contattato zia Maggie e ce li siamo fatti spedire.

Il pacco è arrivato in poco tempo e Tracy era uscita fuori a ritirarlo, mentre io sono rimasta sul divano per inscatolare le cose di nostro padre che avremmo donato in beneficienza. Quando mi sono girata verso la porta d’ingresso, mia sorella ha urlato così forte e in modo così straziante che un moto di paura mi ha investita. Il postino era sparito, al posto suo c’era la statua di un angelo terrificante. Teneva le braccia protese in avanti, la bocca spalancata e quei denti… quei denti, dottor Watson, erano così appuntiti. Mia sorella era stesa sul marciapiede, priva di sensi. Quando sono uscita, la statua sembrava essere svanita nel nulla. Ho cercato di rianimare mia sorella in tutti i modi ma era troppo tardi. La paura, alla fine, l’ha uccisa. – Io e John ci guardiamo. Dai suoi occhi capisco che ha avuto il mio stesso pensiero riguardo agli angeli e alla fine che il postino ha probabilmente fatto.

Dopo quel racconto, passiamo un altro po’ di tempo con la ragazza, poi John le raccomanda di tornare a casa a Cardiff il più presto possibile, dopo i funerali della sorella. Non avremmo voluto sicuramente un’altra vittima.

- La vista dell’angelo alle spalle del postino deve averla proprio terrorizzata tanto! Hai visto in che stato era la faccia del cadavere di Tracy, no? Povera ragazza. – Io e John ci troviamo da Angelo, adesso. Prima di tornare a Baker Street abbiamo deciso di fare un veloce pranzo fuori. La cosa che John ha trovato buffa è stato il fatto che invece del solito vino, ho ordinato una semplice bottiglia d’acqua, ancora tormentato dalla sbronza della sera prima. Ma posso dire che ne è grato anche lui.

Io non rispondo. Mi limito a battere nervosamente le dita sul tavolo e a guardare fuori dalla vetrina, sperando di vedere da qualche parte quella dannata cabina blu. Il mio piatto è ancora pieno, non ho toccato neanche un boccone di cibo.

- Sherlock! –

- Mh? – Mormoro senza smettere di controllare ogni angolo della strada, in attesa di sentire il suono stridente della sua nave.

- A che pensi? – Chiede poggiando le posate sul piatto quasi vuoto, con un tintinnio che riesce a risvegliarmi dalla mia distrazione.

- Lui dovrebbe essere qui. Dovrebbe impedire tutto questo. – All’inizio sembra non capire a chi o cosa mi riferisco, poi emette un sospiro ed incrocia le braccia al petto, puntando lo sguardo sulla strada.

- Lo sai che sono veloci, sfuggono sempre. Li hai visti anche tu. – Con una forza quasi disumana, afferro e infilzo la forchetta nella mia bistecca, tagliandola con uno sbuffo rabbioso e portandola subito dopo alle labbra. John mi guarda con un sopracciglio alzato. Forse non mi ha mai visto così nervoso, e i sensi di colpa si accumulano in fretta perché posso capire che per una persona come lui, vedermi in questo stato potrebbe risultare come un peso.

Prima non sapevo nemmeno cosa fossero i sensi di colpa.

Per un attimo mi viene in mente il nostro viaggio con la cabina, quando abbiamo visto parte del Sistema Solare in tutto il suo splendore. Tornati a Baker Street, ho aspettato che John si addormentasse, poi ho chiamato Mycroft. Gli chiesi se potesse procurarmi alcuni libri che parlassero proprio dell’Universo, dei pianeti, della Terra. Per poco non mi prese per pazzo, mi chiese a cosa mi servissero e come al solito fui molto vago. Decise poi di non insistere oltre e me li procurò in pochissimo tempo.

Di solito li leggevo quando John non c’era, o durante la notte quando il sonno non voleva saperne di arrivare.
Dovetti ricredermi dal fatto che conoscere qualcosa su un argomento simile non potesse essermi utile per dei casi… e poi è un argomento che John adora.

Possibile che io stia facendo tutto questo per lui?

Il pensiero di quell’esperienza mi tranquillizza per un attimo, ma un’improvvisa voglia di parlare, di esprimere tutto ciò che sento inizia ad attanagliarmi e parlo quasi senza pensarci su un attimo.

- John, devo confessarti una cosa, una cosa che non ti ho mai detto. – Solo dopo mi rendo conto di quello che la mia bocca ha fatto uscire fuori. Lo vedo guardarmi incuriosito ed io mi immobilizzo lì, con le labbra semiaperte e la forchetta ancora infilzata al boccone che di lì a poco avrei mandato giù.

Per un attimo mi sembra di tornare indietro a quella volta in cui ci siamo salutati in aeroporto, quella volta in cui avrei voluto parlare ma… alla fine ho cambiato idea.

“John, c’è una cosa che dovrei dirti. È tanto che volevo dirtela e non l’ho mai fatto. Dato che è improbabile che ci incontreremo di nuovo sarà meglio dirtela ora.”

Il pancione di Mary mi fece cambiare idea.

- Che cosa? – Mi incalza, mostrando la sua improvvisa preoccupazione per il mio cambio totale di espressione.

Sherlock, inventati qualcosa, e in fretta!

- Io… ho capito che… che il Dottore è l’unica persona che potrebbe risolvere questo caso. – Mi ero salvato, sì… ma ero riuscito a sminuirmi con una sola frase, a farmi sembrare un incapace, una persona non in grado di lavorare senza l’aiuto di un esperto.
Lui sorride e porta il boccone alle labbra. Dopo averlo mandato giù, emette una leggera risata.

- Lo avevo già capito. –

No John, non hai capito nulla. Grazie al cielo non hai capito nulla.

Arrivati al nostro appartamento e varcata la soglia del salotto, davanti a noi si erge la cabina blu che tanto speravo di vedere in strada.

- Dovremmo abituarci a questa cosa? – Chiede John con un pizzico di sarcasmo nella voce. Io sollevo leggermente l’angolo delle labbra, formando un sorriso sghembo di cui lui, per fortuna, non si accorge.

La porticina si apre con un cigolio fastidioso, da essa sbuca la testa buffa del Dottore che ci squadra da capo a piedi. Questa volta non porta gli occhiali e posso benissimo vedere quanto quegli occhi anziani contrastino con la sua eterna giovinezza esteriore.

- Oh, avete già saputo, immagino. – Dice con tono grave. Poi sospira e si fa da parte, invitandoci ad entrare. – Povera Tracy, povera povera Tracy. – Dice mentre io richiudo la porta alle nostre spalle. Lui è già ai comandi del Tardis ad armeggiare fra tutte quelle leve.

- Perché sei qui? – Chiedo mettendo le mani nelle tasche del mio lungo cappotto.

- Gli Angeli mi sfuggono in continuazione, sono troppo veloci per me. Ho pensato che, dato che sembrano attratti da voi e dal vostro appartamento in modo particolare, potrei usarvi come esca… e poi la tua mente geniale potrebbe essermi d’aiuto. – Tutto questo lo dice mentre si cimenta a tirare una delle leve, facendo stridere rumorosamente il Tardis.

Non so se sentirmi onorato per aver definito geniale la mia mente, o offeso per il fatto dell’esca…

- Hai seguito il mio consiglio, ho visto. – Mormora a bassa voce per fare in modo che solo io capissi a cosa si stesse riferendo. Avrà visto i piatti sporchi ed ancora in disordine in cucina. Guarda prima John e poi me, con un leggero sorrisetto ad increspargli le labbra, poi ridacchia e non mi dà nemmeno il tempo di poter dire qualcosa, perché inizia a parlare ininterrottamente:

- Sherlock Holmes, il grande detective. Lo sai che in un universo parallelo sei il protagonista di un libro ambientato nell’ottocento? Oh, sì. Li ho letti tutti. Il mio preferito è quello del Mastino dei Baskerville. Non immagini che ammirazione ho per i tuoi metodi, sono un tuo grande fan… - Io e John ci guardiamo senza capire nulla, stupiti e sconcertati. Universi paralleli? Di che diamine sta parlando?

- Che cosa? – chiede John sorpreso.

- Oh… oh, giusto, forse non avrei dovuto dirvelo. Sono cose che non posso rivelare, in effetti. Oh beeeh, fa niente. Fate finta che non abbia detto nulla. Meglio andare. – Decidiamo di tralasciare quella discussione (anche se, devo ammetterlo, mi ha parecchio lasciato incuriosito… e lo stesso John), adesso sono più curioso di sapere dove stiamo andando.

- Dove andiamo? – Lui accenna un sorriso triste, sembra che la sua euforia lo abbia abbandonato in un istante.

- A parlare con Joseph. –

- E sarebbe? – Chiede John, al posto mio.

- Il postino! – Risponde lui guardandoci come se la risposta fosse la più ovvia del mondo.




Note autrice:
Nulla da dire, a parte che ho scritto questo capitolo in una sola giornata e di fretta, quindi mi scuso se ci sono errori o "orrori" (anche se ho riletto, ma non si sa mai).
Un bacio a tutti e grazie a voi, che sopportate e supportate questa storia!
  
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