Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    22/08/2016    12 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 22

Quando Stuart fece ritorno allo Squadron, cosa che avvenne nel tardo pomeriggio, Poynter lo accolse con un signorile silenzio. “Tieniti i tuoi piloti,” fu l'unica cosa che si degnò di dirgli. “Erano talmente preoccupati per te che non si accorgevano nemmeno di quando davo un ordine. Che gusto c'è a fare il comandante in seconda, se poi al momento buono gli uomini non ti danno neanche retta?”
“Mi dispiace,” rispose semplicemente Stuart, e non era chiaro se fosse dispiaciuto per quello che gli aveva riferito il capitano o per essersi fatto abbattere.
“Ah, lascia perdere,” replicò Poynter con un'alzata di spalle. “Piuttosto: cos'è quella fasciatura che hai lì sul braccio?”
Il maggiore fu tentato di nasconderla come un bambino avrebbe nascosto alla madre uno strappo nel vestito nuovo. “Niente, niente.”
Nel corso dell'atterraggio aveva riportato un taglio, se n'era accorto quando si era alzato dal sedile del calessino e l'aveva trovato intriso di sangue. La ferita però non era grave, ed era già stata accuratamente medicata dal dottore del paese. “Posso volare,” soggiunse.
Volare necesse est, vivere non necesse, per parafrasare Pompeo,” rispose Poynter, come se la cosa lo lasciasse del tutto indifferente.
“Adesso cominci anche tu col latino?”
“Sì, per non cominciare con gli insulti.”
Saggiamente, Stuart decise di lasciar perdere. Il capitano si trovava in una delle sue rarissime fasi di furore, e andare a stuzzicarlo avrebbe suscitato una specie di eruzione del Krakatoa.
Senza aggiungere altro uscì dalla baracca del comando e una volta all'esterno rimase a contemplare in silenzio le ombre lunghe del tramonto.
Tornò lo sgradevole senso di colpa che aveva provato poche ore prima. Aveva agito con sconsideratezza, non era andato in volo nelle condizioni adeguate e non aveva dato ascolto ai saggi consigli degli amici. Eppure lui era vivo mentre tanti altri bravi piloti erano morti.
Si sentì disperatamente solo. Quasi senza accorgersene volse allora lo sguardo verso la chiesa, e si trovò a pensare al suo inquilino con un vago senso di calore.
La cosa gli comunicò la consueta fitta di sgomento, che però inaspettatamente si stemperò nella consapevolezza che in tutta la base solo il tedesco sembrava pensarla come lui su certe cose.

Alla sera si ritirò presto con la scusa che era stanco. In realtà non lo era più degli altri giorni, ma aveva un disperato bisogno di stare da solo e possibilmente di riflettere.
Il problema di cui non riusciva a venire a capo era von Rohr.
Era a causa sua che la mattina si era fatto abbattere e ci aveva quasi lasciato le penne.
Per prima cosa, pur con stupore doveva ormai ammettere che provava attrazione nei suoi confronti. Negarlo sarebbe stato come rifiutarsi di riconoscere che il sole sorgeva tutti i giorni, o che il cielo era azzurro. Se pensava a lui sentiva il cuore accelerare i battiti e un brivido di colpevole desiderio gli percorreva la schiena.
Poi c'era la faccenda dell'Intelligence. Entro due giorni sarebbero venuti a prenderlo, e avrebbero messo in atto con lui quella loro ignobile farsa.
Però von Rohr era anche un nemico, ed era chiaro che non sarebbe potuto rimanere presso la base in eterno.
Avrebbe potuto consegnarlo, in questo modo di sarebbe liberato del primo e forse peggiore problema, però poi sarebbe dovuto venire a patti con la sua coscienza per il secondo.
Ma del resto poteva non consegnarlo? Con che autorità, con quale scusa?
Sospirò afflitto. Gli sembrava di essere una volpe con la zampa in una tagliola: aspettare il cacciatore, cercare di sfilare l'arto straziandoselo orribilmente, o troncarlo con un morso e rassegnarsi alla mutilazione?
Così meditando si accorse di essere arrivato davanti alla porta del suo alloggio. Ebbe un sorriso amaro: tutto considerato, andare a pensare lì dentro era come mandare un alcolizzato a riflettere in una cantina.
Entrò adagio, cercando di fare meno rumore possibile. Evitò di accendere la candela e sperò con tutto il cuore che Hans von Rohr avesse di nuovo il suo consueto atteggiamento di sdegnoso rifiuto e gli desse le spalle dal fondo della navata.
“Buona sera, maggiore Stuart,” lo salutò una voce nell'oscurità.
Sulle prime l'inglese sussultò, poi si trovò involontariamente a sorridere e avvertì il piacevole senso di calore che compare quando si incontra un vecchio amico.
“Buona sera a lei, tenente,” rispose dopo un attimo di esitazione.
Fece un po' di luce e vide che von Rohr era riuscito ancora una volta ad afferrare la tenda e a raccoglierla da una parte. “Mi stava aspettando?” non poté fare a meno di chiedere.
L'altro annuì in silenzio.
“Oh,” disse Stuart, mentre tutti i suoi propositi di rigore e meditazione si sgretolavano come edifici durante un terremoto. “Oh. Certo. Ha voglia di intrattenersi un po' con me?”
“Volentieri,” rispose il giovane ufficiale, poi fece un passo avanti spostandosi nell'alone di luce della candela e rimase a fissarlo negli occhi.

Poco dopo erano seduti nel salottino, con una bottiglia di sherry davanti e il candelabro a rischiarare l'ambiente.
“C'è una cosa che ho sempre voluto chiederle, von Rohr,” disse Stuart, cercando di ignorare come la luce delle candele conferisse una tonalità di oro caldo ai capelli chiarissimi del giovane ufficiale.
Il tenente si voltò verso di lui. “Che cosa?”
“Può anche non rispondermi, se preferisce.”
“Se non so la domanda...” rispose il tenente. Sul volto gli aleggiò un vago sorriso.
“Ha ragione,” disse il maggiore. “Perché c'era lei nell'aereo del Cavaliere di Valsgärde?”
Il tenente sembrò sussultare. Aggrottò le sopracciglia e negli occhi gli balenò un lampo dell'antica diffidenza. “Perché lo vuole sapere?” ringhiò.
Stuart bevve un sorso di sherry, si appoggiò all'indietro contro lo schienale e finalmente spiegò: “Non glielo so dire, in realtà. È solo che mi piacerebbe saperlo. Ho letto l'articolo di Signal che parlava del capitano Müller e mi aspettavo di trovarci lui, nell'aereo che ho abbattuto.”
“Lui non lo abbatterete mai!” replicò il tenente ergendosi con fierezza.
“Il mai purtroppo non esiste in guerra,” rispose il maggiore scrollando le spalle.
Il tenente non rispose e fra i due calò un silenzio rotto solo dal lieve crepitare delle candele.
“Non sto cercando di farle l’interrogatorio,” si sentì in dovere di chiarire Stuart al protrarsi del mutismo di von Rohr, “il mio è un interesse personale.”
Vide l'altro fissarlo stupito e subito si pentì di aver usato quell’aggettivo: non voleva che il giovane ufficiale si accorgesse dell’attrazione che provava per lui, perché era una cosa vergognosa e disonorevole.
“Voglio dire, era solo una curiosità,” spiegò abbassando lo sguardo.
Afferrò la bottiglia per riempirsi di nuovo il bicchiere, ma nel movimento la manica della camicia si spostò lasciando intravedere le bende che aveva sul braccio.
“È ferito?” chiese il tedesco.
“Niente di importante,” rispose subito il maggiore ritirando il braccio. Si vergognava a dirgli che quella mattina era stato abbattuto.
“Ma no, aspetti, questa fasciatura andrebbe rifatta.” Von Rohr si protese e gli afferrò il polso. “Vede? È tutta allentata, così non serve a nulla.”
“Davvero, non si disturbi,” si difese il maggiore, ma l’altro sembrava irremovibile. Senza dargli ascolto gli rimboccò la manica, poi cominciò a svolgere la benda con una disinvoltura che denotava una lunga pratica.
Stuart deglutì mentre un brivido gli percorreva la schiena: era la prima volta che von Rohr lo toccava. Come aveva immaginato, aveva una presa salda, ma mani fondamentalmente delicate e lisce.
Abbassò irresoluto gli occhi su di lui: era concentrato sul suo lavoro, così vicino che poteva addirittura sentire il suo odore di pulito. Un pensiero gli attraversò la mente come un lampo: per baciarlo sulla nuca gli sarebbe bastato piegarsi appena in avanti.
Ne fu sconcertato. Come poteva anche solo prendere in considerazione l'idea di baciare un ufficiale nemico – un maschio – sulla nuca?
Mentre era immerso in quelle angosciose considerazioni si fece udire la voce del tenente: “Cosa farebbe lei, maggiore, se non le permettessero di compiere missioni di guerra perché la credono troppo inesperto?”
Aveva parlato come fra sé e sé, continuando frattanto a sistemare le bende sull'avambraccio del suo interlocutore.
“Che intende dire?” gli chiese perplesso Stuart.
“Io ero già istruttore di aliante a sedici anni, e sono uscito dalla scuola di volo primo del mio corso, con il massimo dei voti. Eppure il mio comandante non mi permetteva di partecipare alle missioni di guerra.”
“Avrà voluto rendersi conto di persona delle sue capacità,” ipotizzò l'inglese, intuendo quanto l'argomento stesse a cuore all'altro da come i suoi movimenti si erano fatti improvvisamente nervosi.
“E come, facendomi pilotare un Fieseler Storch pieno di cibarie?” ringhiò il tedesco. Stuart, che non sapeva nulla dell'umiliante episodio, rimase in silenzio.
“È per questo che ho preso l'aereo del capitano Müller,” proseguì allora von Rohr, “volevo dimostrare a tutti quanto valgo come pilota.”
A quelle parole, meravigliato il maggiore chiese: “Quindi quella era la sua prima missione di combattimento?”
“Sì.”
“Forse dovrei chiamarla von Richthofen, allora, non von Rohr.”
“Non mi prenda in giro anche lei,” protestò il giovane rabbuiandosi in volto.
“No, parlo sul serio,” rispose il maggiore, “ho sudato sangue per tirarla giù e mi ha anche abbattuto due aerei.”
Intanto il tedesco aveva finito di sistemare il bendaggio. Controllò un'ultima volta il suo lavoro e con tono sbrigativo disse: “Lasci stare, non so nemmeno perché le ho raccontato tutte queste cose. Comunque adesso il braccio non dovrebbe più darle problemi.”
Stuart sorrise. “La ringrazio, è una fasciatura perfetta. Dove ha imparato a farle?”
“Nella Hitlerjugend.”
“Insegnano anche queste cose?”
“Insegnano tutto.”
Ancora sotto l'effetto del turbamento di poco prima, Stuart si versò un altro po' di sherry. Distolse lo sguardo dagli occhi di von Rohr, che in quella luce soffusa diventavano di uno straordinario blu tendente al viola, e quasi senza rendersene conto disse: “Se quella era la sua prima missione, diventerà un pilota ancora più abile del Cavaliere di Valsgärde.”
E poi realizzò che von Rohr non sarebbe diventato più niente, perché entro pochi giorni sarebbe morto.
Quella brutale epifania lacerò senza pietà il velo di illusione nel quale si era fino a quel momento crogiolato.
Vuotò il bicchiere d'un fiato, con un movimento precipitoso che provocò un'alzata di sopracciglia nel suo interlocutore. Che fare? Dirglielo? Avvertirlo della minaccia mortale che incombeva su di lui? Cosa ne avrebbe ricavato? Tanto in ogni caso non avrebbe potuto influire in alcun modo su ciò che sarebbe accaduto.
“Qualcosa non va?” chiese von Rohr.
“Io volevo dire...” cominciò il maggiore esitante, ma subito l'altro lo interruppe: “So cosa voleva dire: poiché ora sono un prigioniero di guerra, lei pensa che non avrò più occasione di dimostrare la mia abilità in volo.”
Si era di nuovo raddrizzato nella persona. Abbandonata ogni dolcezza, il suo sguardo aveva ripreso la consueta adamantina determinazione.
“Ebbene, che lei ci creda o no, io me ne andrò di qui, maggiore,” gli promise, “e lei non potrà fare niente per impedirlo.”
Vilmente Stuart non lo contraddisse.

Di nuovo nella sua cella, von Rohr camminava su e giù pensieroso.
C'era la luna e chiazze di luce lattea si disegnavano sul pavimento di pietra in corrispondenza dei finestroni sfondati.
Per contrasto il resto era così buio che sembrava scomparso nel nulla.
Avrebbe dovuto sentirsi soddisfatto della serata. Il maggiore cominciava ad abbassare la guardia, a mostrare meno cautela quando lo avvicinava.
Presto tramortirlo e fuggire sarebbe stato facile come rubare le caramelle a un bambino.
Eppure c'era qualcosa di sbagliato in tutta la faccenda, che lo impensieriva e gli conferiva uno strano disagio.
Quello che aveva raccontato a Stuart durante la loro conversazione, per esempio. Per quanto si ripetesse che l'aveva fatto per suscitare la sua fiducia e la sua simpatia, in realtà nell'intimo sapeva che il motivo non era stato quello.
O meglio: sì, forse era stato anche quello, ma c'era qualcos'altro. Il racconto gli era uscito di bocca praticamente senza che lui se ne accorgesse, come se fosse stato in compagnia di un vecchio amico, uno di quelli a cui si può dire tutto. E non era stata solo una mossa calcolata per rendersi 'simpatico' ai suoi occhi. Aveva voluto condividere qualcosa con lui, conoscere il suo parere.
Da quando in qua era importante il parere di un nemico? Forse aveva sbagliato ad accettare con quella leggerezza l'offerta di confidenza del maggiore, perché conoscerne i lati umani lo stava disorientando e distogliendo dal suo obiettivo.
Era una persona affascinante, tanto per cominciare, ed era un ufficiale che sapeva il fatto suo. Si sorprese a pensare che avrebbe accettato i suoi ordini volentieri, se fosse stato un maggiore della Luftwaffe.
E poi c'era un'altra cosa, forse addirittura più preoccupante delle precedenti: quando Stuart lo guardava in un certo modo, sentiva qualcosa di strano dentro. Come un tuffo al cuore, o una specie di brivido.
Quando gli aveva sistemato la fasciatura era rimasto piuttosto turbato dalla sua vicinanza. Turbato in un modo dal quale fino a quel momento aveva pensato di essere immune.
Sospirò fermandosi nel bel mezzo di una chiazza di luce. Forse stava diventando anche lui un anormale.
Sarebbe riuscito ad uccidere Stuart, se quella fosse stata l'unica possibilità di fuggire?
La confidenza era stata un errore, ora lo sapeva per certo.
   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned