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Autore: 50shadesofLOTS_Always    22/08/2016    1 recensioni
Seattle. Una città normale come tutte le altre. Una città che come altre nasconde degli esseri sovrannaturali. Frutti di esperimenti genetici non andati a buon fine e che modificheranno per sempre l'umanità.
Samantha Jackson, orfana dalla più tenera età, è ora al secondo anno di università. Tutto nella sua vita è normale fino a che Sean Reeves non le sconvolgerà tutto ciò che credeva di conoscere di sé stessa e del suo passato. Dovrà far luce su esso per scoprire cosa le riserverà il futuro.
Genere: Drammatico, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Autunno 2030
Seattle – Stato di Washington, USA

Pub irlandese 
Una spessa coltre di nubi grigie, che aveva ammantato la città, si tinse di cremisi. Il sole timido fece capolino oltre un ricciolo di nuvola, inondando le acque del Puget Sound che Samantha scorse in lontananza insieme allo skyline della Penisola Olimpica.
La ragazza uscì dal locale, ammirando l’alba mentre chiudeva la porta vetrata con due mandate. Il proprietario Jim si era raccomandato di farlo.
A Samantha non piaceva quel pub, né tanto meno la gente che lo frequentava. Era un lavoretto che sbrigava per mantenersi gli studi alla Washington State. Le piaceva l’indipendenza e per quanto non amasse fare la barista, lo preferiva dal farsi accudire da Carlile.
Aveva già fatto tanto per lei.
Infilò le chiavi nella tasca del proprio zaino per guardarsi intorno. Le macchine passavano sulla strada, come fantasmi. A quell’ora il traffico era pressoché inesistente e le uniche persone, che vedeva passare erano per lo più senza tetto alla ricerca del prossimo cartone in cui dormire, donne che facevano jogging e uomini in giacca e cravatta che fissavano gli orologi da polso, in attesa del mezzo pubblico, perennemente in ritardo. Samantha sollevò sulla testa il cappuccio della felpa rossa che indossava e, spinse dentro alcuni boccoli corvini per evitare l’imminente pioggia. Nonostante ci fosse il sole, il vento umido che spirava da est portava l’umidità della pioggia e l’elettricità di un temporale. Sospirò quando vide una goccia e poi un’altra sul marciapiede, seguite da altre. Osservò per un attimo le persone avviarsi in fretta verso casa o aprire gli ombrelli per ripararsi. Con una mano, cercò gli auricolari nella tasca dei jeans e lasciò partire la musica dell’I-Pod. Con le cuffie nelle orecchie, si avviò sulla strada, consapevole che aveva a disposizione solo un paio d’ore di sonno.
Un lampo squarciò il cielo, seguito pochi secondi dopo dal rombo fragoroso di un tuono che riecheggiò in lontananza. Superò un’anziana donna che passeggiava, portando passo un barboncino che la squadrò con un paio di occhietti scuri e svoltò a sinistra, in un vicolo che serpeggiava fra le palazzine di laterizio.
Il puzzo, che si levava dai cassonetti dell’umido, condensava nell’aria fredda, unendosi al fetore dai tombini, e assumendo la forma di strane nuvolette, come il respiro regolare della ragazza.
Samantha ignorò quel sgradevole odore e si fermò in un punto in cui il vicolo si interrompeva repentinamente con un muro. Si girò per controllare che fosse sola poi tornò a guardare la parete davanti a sé. Chiuse gli occhi e fece riemergere dagli angoli oscuri della memoria, le immagini dolorose quanto rassicuranti, che la perseguitavano anche nei sogni.
Stava per raggiungere il proprio centro interiore, quando un suono attirò la propria attenzione. Qualcuno aveva messo il piede in una pozza d’acqua ridotta più ad una macchia di fango. Riconobbe quei passi e sorrise.
« Non dovreste sbucare alle spalle all’improvviso » esordì la ragazza in tono di rimprovero, ma formale.
L’uomo alle sue spalle sorrise bonariamente.
« Hai ragione, ragazza mia – ammise, sollevando le braccia – Ma sai quanto io sia feticista delle entrate teatrali ». Samantha si girò verso di lui, Carlile. L’uomo che l’aveva salvata, come un valoroso cavaliere.
« Le abitudini sono dure a morire » rispose lei di pari tono.
Era sorpresa di rivederlo, ma non per questo meno contenta. Notò che c’erano delle rughe sul suo volto e i primi capelli bianchi fra l’ordinata chioma castana, che prima non aveva notato. Forse perché viveva con lui da quando aveva memoria.
Nonostante quei dettagli, per Samantha, il Dottor Reeves restava l’uomo più affascinante che avesse mai conosciuto, dopo suo padre. Senza contare l’autorevolezza con la quale l’aveva cresciuta per ben dodici anni, mitigata da un’infinita bontà d’animo.
« Che ci fai in giro a quest’ora? » domandò Carlile.
« Potrei chiederle la stessa cosa, Doc » rispose Samantha, avvicinandosi contemporaneamente a lui.
« Sei arrabbiata, non è così? » chiese, pur conoscendo già la risposta.
« Ero preoccupata… - confessò, nascondendosi col cappuccio – Sei sparito per mesi, senza darmi alcuna spiegazione »
« Salvavo una persona » mormorò lui, lievemente contrito.
« Chi? »
« Un ragazzo speciale come te » aggiunse, cercando un contatto visivo con Samantha, che lo fissò da sotto le ciglia, vagamente incuriosita. Chiunque sarebbe arretrato incontrando quegli occhi d’ametista, ma lui no. Anzi ne era quasi ammaliato. Per un secondo, pensò di potercisi immergere e affogare.
Stentava a credere che quella ragazza, quasi giovane donna, fosse la stessa bambina che aveva adottato nel 2016. La bambina che era diventata un po’ sua figlia.
« Io non sono speciale – mormorò lei, dopo qualche attimo di silenzio – Sono solo maledetta »
« Sam » la rimbrottò, ma lei fece finta di niente.
« Chi è? » chiese con voce dura, cercando di tornare all’argomento principale.
« James Court – Samantha si soffermò un attimo e poi scosse il capo – Devi venire con me » dichiarò lui serio, stemperando le proprie parole con un sorriso.
« Fra quattro ore devo essere a lezione » replicò lei, sperando di poter sviare quell’imprevisto
« Tranquilla, arriverai puntuale » promise lui.
*
Portland – Oregon, USA
Quartier Generale
Samantha seguiva Carlile, camminando con circospezione. Il sole stava ormai nascendo al’orizzonte, quando si fermarono di fronte ad un semplice edificio a tre piani, uguale alle palazzine che la fiancheggiavano. Per tutta la sua vita fino all’anno prima, aveva abitato con Doc – così lo chiamava lei – lì, a Portland. Ma non ricordava quel posto.
« Non ricordo di essere mai stata qui »
« Ci siamo trasferiti da poco » rispose Carlile, chiudendo il cancelletto alle loro spalle.
Samantha si guardò intorno, studiando i passanti e l’ambiente prima di seguire il Dottor Reeves che, nel frattempo, aveva aperto la porta d’ingresso. L’atrio era spoglio e davanti a loro si alzava una rampa di scale in vetro. La percorsero, giungendo ad una seconda porta che si aprì solo quando Carlile appoggiò il palmo di una mano su una piastra di metallo, fissata alla parete.
Entrarono e i battenti scorrevoli sibilarono, chiudendosi immediatamente dietro alla spalle di Samantha, che cominciava ad innervosirsi. Che razza di posto era mai quello!?
Imboccarono un corridoio semibuio e dopo un minuto abbondante, si fermarono di fronte ad un terzo ingresso, simile al precedente. Ma stavolta, sulla porta venne proiettata una tastiera. Doc digitò un codice e i battenti si aprirono e si chiusero altrettanto velocemente. Samantha si ritrovò a pensare di essere finita in qualche set di un qualche film di fantascienza.
Si ritrovarono in un enorme atrio, illuminato da delle luci a led, incastrate nel pavimento, che seguivano dei motivi poligonali e lineari, colorati da un azzurro luminescente, che si intrecciavano e diramavano anche sulle pareti laterali. Le mura, sembravano ricoperte da piastre metalliche blu mentre il soffitto sembrava un'unica placca di vetro nero. Dal centro, si elevava una struttura metallica con un semplice elevatore mentre in fondo all’atrio, si distinguevano altre tre porte.
« Dov’è Spock, Capitano Kirk? » scherzò Samantha, prima di seguirlo verso l’ascensore. Carlile ridacchiò e le diede la precedenza. Vi salirono sopra e in pochi istanti, si ritrovarono di fronte ad un’altra porta.
Scese dall’elevatore mentre lui digitava una seconda sequenza su una tastiera che calò da una botola nascosta nel soffitto. La tastiera tornò a nascondersi e la porta si aprì.
L’ambiente mutò drasticamente.
Samantha si ritrovò all’ingresso di quello che appariva come un normale appartamento. Davanti a lei, si apriva un salotto ultra moderno, con una finestra che occupava l’intera parete di fondo, affacciandosi sulla città. Riusciva a vedere le sponde del fiume Columbia e in lontananza, la vetta del Monte Hood oltre lo schermo dei grattacieli. Una vista mozzafiato.
Scese i due gradini ed accarezzò la pelle del divano nero, sovrano indisturbato della stanza, a forma di semicerchio insieme ad un tavolino circolare di vetro. Al centro del soffitto, era fissato un semplice lampadario moderno, in linea con l’intero ambiente. Le pareti bianche erano foderate per due terzi della loro altezza da pannelli di legno d’acero, che contrastavano con il parquet di una tonalità più scura.
Ai lati, oltre a scaffali pieni di libri, vi erano due porte. Una quella di destra, dava sulla sala da pranzo, unita ad una cucina, anch’essa ultra moderna. Quella di sinistra invece dava su un secondo salotto più piccolo con un televisore al plasma.
Avvertì un lieve disorientamento e  compì qualche passo esitante verso Doc, in piedi con una spalla appoggiata allo stipite di sinistra.
« Ragazzi, scendete! » esclamò con un sorrisetto furbo.
Samantha arcuò un sopracciglio. Non capiva a chi si stesse riferendo.
Stava per tempestarlo di domande quando udì altre voci, provenienti da una rampa di scale che non aveva notato. Saliva a chiocciola dietro una parete di cartongesso, che prolungava l’ingresso dell’appartamento.
La prima persona che vide fu una ragazza, che Samantha giudicò coetanea. Dopo aver sceso i gradini, si fermò accanto Carlile, fissandolo meravigliata.
« E’ lei, Dottor Reeves? » chiese e quando lui annuì, la ragazza si girò verso Samantha. Era dieci centimetri più bassa,ma decisamente magra. Il viso, che ricordava quello di un dispettoso ma grazioso folletto di una fiaba celtica, era contornato da una folta massa di ricci rossi, come il fuoco e, completato da una leggera nebbia di lentiggini sugli zigomi e da un paio di occhi verdi.
Dietro di lei, si erano fermati anche due ragazzi.
« E’ più carina di come ce l’aveva descritta » osservò uno, con malcelata malizia. Aveva i capelli corti e gli occhi scuri, come il cioccolato.
L’altro invece, ancora silenzioso, aveva i capelli ambrati con delle ciocche lunghe, che gli coprivano la fronte ed un paio di occhi color nocciola.
Samantha li fissò confusa per poi rivolgersi direttamente a Carlile.
« Doc, mi sono persa qualcosa? » domandò, arcuando un sopracciglio.
« Tranquilla, Sam –la rassicurò, abbassandole il cappuccio della felpa, ancora sulla testa – Loro sono altri ragazzi speciali ».
« Mi avevi parlato di uno solo… » borbottò lei infastidita mentre lo fissava in cagnesco, pettinandosi i boccoli neri. Carlile la guardò indulgente e guardò il primo ragazzo che aveva parlato. Le si avvicinò con un atteggiamento borioso e fingendosi cavaliere le prese la mano.
« Io sono James Court, madamigella – si presentò, imitando un baciamano e sfoderando un sorriso ammiccante mentre tornava dritto – Ma lei può chiamarmi Jam, se lo desidera ».
Samantha imitò un sorriso cortese, afferrando la mano del ragazzo con forza. Senza preavviso, gli torse il braccio, costringendolo a voltarsi di spalle.
« Io mi chiamo Samantha Jackson, ma tu sei obbligato a chiamarmi Sam » lo ammonì, accostandosi all’orecchio del ragazzo prima di lasciarlo andare sotto gli occhi divertiti di Carlile.
La ragazza scosse il capo e con un passo in avanti, allungò una mano che Samantha strinse educatamente.
« Il mio nome è Katherine White – assentì con un sorriso così caloroso, che lei non riuscì a non ricambiare – Ma puoi chiamarmi, Kath come tutti ».
« Sam » ribadì gentilmente mentre James era ancora intento a massaggiarsi la spalla indolenzita.
Infine, anche il secondo ragazzo le porse una mano e, lei notò che fra lui e la ragazza c’era una certa somiglianza fisionomica.
« Sono Logan White, sono suo fratello – disse e sorrise – Benvenuta »
« Grazie per l’accoglienza, ma io ho già una casa » rispose, abbassando il tono sulle ultime parole mentre rivolgeva un’occhiataccia a Doc.
« Sam, più tardi ti spiegherò tutto quello che devi sapere – le posò una mano sulla spalla – Ho già avvertito il rettore che oggi non sarai presente, non agitarti » disse assumendo un’espressione che a Samantha non piacque affatto. Il proprio viso invece si ridusse ad una maschera imperscrutabile.
Era arrabbiata. Molto.
Non le piacevano quei giochetti e lui lo sapeva benissimo.
Un vaso vicino tremò per un momento e tutti lo fissarono attoniti. Samantha prese un profondo respiro ed il vaso smise di muoversi.
« Vieni, ti mostro la tua stanza » intervenne Katherine, prendendola cautamente per un braccio.
« Io torno stasera – annunciò Carlile, senza smettere di guardarla – Devo sbrigare alcune faccende » aggiunse ed i ragazzi annuirono mentre Samantha si lasciò trascinare dalla ragazza.

Angolo Autrice: Salve Lettori! Volevo scusarmi con voi per il ritardo nella pubblicazione di questo capitolo (causa: problemi di connessione).
Spero, anche se è un po'presto, che la storia sia di vostro gradimento ed aspetto le vostre opinioni per sapere se mi sto muovendo bene su questo sconosciuto terreno del thriller ^^
Al prossimo capitolo!
50shadesofLOTS_ALwayl
   
 
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