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Autore: Hi Fis    23/08/2016    0 recensioni
Breve racconto in tre capitoli. Il primo traccia un possibile protocollo di primo contatto, e come introduzione si può anche considerare stand alone. Gli altri due invece immaginano una possibile conseguenza al fatidico "Primo Contatto" proiettandolo di generazioni nel futuro.
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Oh tu che hai già lasciato la dimora attorno della tua stella natia, sappi questo: la Galassia è antica, e piena di portenti. Ti scoprirai piccolo di fronte ad essa: ti scoprirai a volte perfino impotente, ma questo è nella natura delle cose. Scoprirai che non vi è legge nell’Universo, non c’è regola, se non quella che deciderai di applicare tu stesso: scoprirai che altri lo hanno fatto prima di te e ti misurerai con loro e i motivi delle loro scelte. Così è, affinché la compiacenza che deriva da una strada troppo facile non mini la sopravvivenza di coloro che percorrono i sentieri della vita.
Considera quindi attentamente il significato di questa frase, e le sue conseguenze: tu non sei mai stato solo.
E tra tutti coloro che prima di te hanno raggiunto le stelle, tre civiltà sono arrivate più lontane di altre, formando ciò che chiamiamo “La Dorata Intesa”: il nostro tentativo di dare un’interpretazione ad un universo che deride l’ordine che cerchiamo di imporgli. Non credere che questo nostro onorato accordo sia infallibile: semplicemente, abbiamo cominciato ad imparare dai nostri errori molto tempo fa. Ma ancora molto resta da comprendere. Ecco perché ti inviamo il nostro emissario: perché anche tu possa cominciare ad imparare sulla galassia che già condividiamo.
 
***
 
“Entra: l’emissario della Dorata Intesa, Cecile Lefreve!”
“È Lefevre.” suggerì gentilmente la diretta interessata.
“Lefevre!” si corresse con un singhiozzo il sussiegoso robot.
Beh, non proprio un robot come la Terrestre fosse abituata a vederne, ma non era poi così importante: si trovava pur sempre ospite su un pianeta alieno, nella sede del loro governo, ad un numero quasi incalcolabile di anni luce dalla sua Albione natia, per una missione il cui fallimento avrebbe condotto con ogni probabilità ad una guerra su scala interstellare contro una razza che incontravano per la prima volta. La cattiva pronuncia del suo cognome da parte di una medusa di metallo levitante era decisamente il minore dei suoi problemi.
Specie considerando quanto… poco i nativi la volessero tra loro, cosa di cui del resto non avevano mai fatto mistero: anche per questo, Cecile era piuttosto stupita che le avessero permesso di atterrare e avessero voluto riceverla. Una vera sorpresa in effetti: soprattutto che toccasse a lei essere la prima aliena a cui fosse permesso di accedere allo spazio Kos. Un evento memorabile, ma solo al secondo posto rispetto a quell’incarico, che le era piovuto addosso appena un mese terrestre prima: venti giorni del quale, passati in viaggio per raggiungere la sua destinazione.
“…Crediamo sia giunto il momento per la specie Umana di assumere un ruolo più rilevante nella politica galattica. Apprezziamo immensamente la fiducia e l’accettazione che continuate a nutrire nei nostri confronti, ma non possiamo permettere che sfoci nella dipendenza: non sarebbe degno di nessuno di noi.
E dopo quel breve e convincente discorso, ogni senatore delle Repubbliche di Gaia aveva indicato Cecile per quella delicata missione diplomatica, incuranti delle sue vibranti proteste: cosa credevano, che solo per essere la discendente del famigerato Frederick Johnson, presidente ai tempi del primo contatto umano con la Tearkia, lei fosse la persona giusta per togliere loro le castagne dal fuoco?
Ricambiando educatamente tutti gli sguardi che le vennero rivolti in quella vasta sala in toni di un intenso blu scuro e bianco puro, Cecile si rese conto che la risposta sembrava tragicamente essere di sì: ancora più angosciante poi, era l’evidenza che anche la Tearkia sembrasse contare su di lei per quella missione.
Cecile poteva sopravvivere con sé stessa se avesse deluso l’umanità intera, perfino in un’occasione come quella: disattendere le migliori aspirazioni dei Midion Tezhnid invece, era fuori discussione. Il suo intero essere rigettava l'idea con ogni fibra della sua anima: il triumvirato aveva già dato semplicemente troppo alla Terra, perché Cecile non volesse sdebitarsi…
In quel momento però, all’emissario della Dorata Intesa venne quasi voglia di maledire il rispetto che quelle tre civiltà sembravano nutrire per l’esperienza sul campo e alle sfide più in generale. Ma ormai era in ballo e non si poteva più semplicemente tornare indietro.
Così, con un sospiro e a testa alta, Cecile Lefevre si decise finalmente a scendere le ampie scalinate della Sala dei Lasciti, mischiandosi ai Figli di Kos, uomini rospo (o così almeno apparivano ai suoi occhi), dal gran brutto carattere e con pretese insostenibili verso la Dorata Intesa che lei rappresentava, conscia più che mai degli sguardi ostili che seguivano ogni suoi gesto e delle armi che il drappello che la circondava continuava a tenere spianate contro di lei. Ma nemmeno Cecile era scesa inerme dalla sua nave, e le preoccupazioni dei nativi a proposito erano quasi giustificate: era stata accuratamente equipaggiata per le necessità di quella missione diplomatica. Forse perfino fin troppo.
La ghirlanda di nero corallo sinaptico che le cingeva la testa era un oggetto Hastur, quasi sprecato su di lei per l’uso che ne stava facendo: schermava la sua mente e fungeva allo stesso tempo da utile traduttore simultaneo. Nessuno sapeva se anche i Kos fossero telepati, in effetti non si conosceva nemmeno esattamente il loro livello tecnologico, ma se c’era qualcuno in grado di interferire con ogni forma di lettura del pensiero, quelli erano di certo gli Hastur. Cecile si concesse un sorriso a quel pensiero: era da sempre che i nativi di Ryleh, il pianeta condannato, si risentivano dell’essere gli unici membri del triumvirato a non possedere capacità ESP di qualche genere.
Il suo abito invece, un’alta uniforme consona alla figura dell’emissario diplomatico della Dorata Intesa ( e quindi due volte sprecata su di lei), era una realizzazione Kodadam e come ogni cosa fatta dagli esseri pianta, anche quella era tutta in toni di verde, oro e nero lucido: Cecile lo apprezzava di più per lo scudo cinetico integrato, piuttosto che si facesse calzare come bisso. Nonostante questo, sembrava che quell’alta uniforme facesse risaltare in modo particolare il suo occhio e il rosso dei suoi capelli, o così almeno si era complimentato il Midion che le aveva detto addio per ultimo. Questo, prima di consegnarle due lame e impiantarle parte della conoscenza necessaria ad usarle: anche quelle erano sprecate in mano sua, ma portare appese alla vita quelle che per Cecile erano corte spade, le dava una certa sicurezza.
Sapeva benissimo ovviamente di non essere in grado di sfruttare appieno due kindjal empatici della Tearkia (nessuno lo era, a parte gli stessi Midion Tezhnid), ma per fortuna, così come del resto ogni pugnale e ogni lancia che era creata dalla Tearkia da diversi millenni a quella parte, anche quelli conoscevano la ragione per cui erano stati creati, così come conservavano i ricordi che da questo derivano. Lame empatiche: in breve, armi con un proprio istinto letale. Saper resistere a quell’impulso particolare (qualcosa che aveva tutto a che fare con l’hobby di quasi una vita, piuttosto che doti particolari) era solo una delle ragioni per cui Cecile era stata ritenuta adatta a quella missione, nonostante le sue riserve personali. Come ogni altra lezione della Tearkia, capì però in quel momento Cecile, anche quella prometteva di nasconderne molte altre. Perché l’emissario non aveva più dubbi ormai: anche quello era un test. Per chi e che cosa fosse in esame esattamente, l’Umana poteva solo rinunciare ad immaginarlo: aveva già molto altro a cui pensare e di cui preoccuparsi…
Nel frattempo, il suo drappello le aveva fatto attraversare tutta la sala, portandola finalmente al cospetto del capo del popolo Kos:
“Questo rappresentante della Dorata Intesa porge i suoi rispetti all’Arconte.” pronunciò Cecile a voce alta, abbassando lo sguardo per un momento e inchinando lievemente il capo.
Generazioni dopo l’ingresso dell’umanità nello scenario interstellare, Cecile riusciva ancora a stupirsi di quanto la Galassia sembrasse amare l’originalità: anche tra tutti i membri della Dorata Intesa, non c’erano due specie che avessero scelto un metodo simile per governarsi. I Figli di Kos non facevano eccezione: dai dati ottenuti dagli onniveggenti della Tearkia, la loro sembrava essere un'oligarchia militarista, con un capo eletto tra pari in carica per qualche decade, prima di essere poi sostituito dal successivo. Da quello che Cecile aveva compreso, la cultura dei suoi ospiti era improntata sulla conquista militare… il che la riportò precipitosamente alla ragione della sua missione.
“…Siete più disgustosi di quanto credessi.” borbottò l’Arconte, dopo aver ascoltato la traduzione che gli veniva sussurrata all’orecchio da un altro dei suoi strani robot, tirandosi a dismisura la pappagorgia tra le tozze dita: un umanoide batraciano dai pesanti occhi rossi, la pelle grigio verde e paludato in un'ornata corazza da combattimento di colore scarlatto, che la osservava stravaccato su un trono di un bianco puro il cui schienale raggiungeva il soffitto.
“Preghiamo allora che questo sia il nostro primo e ultimo incontro, Arconte.” rispose Cecile senza battere ciglio: se davvero la guerra tra i Figli di Kos e la Dorata Intesa era inevitabile, lei avrebbe fatto del suo meglio per non farla cominciare a causa di insulti.
“Già, uno è già troppo. Mmhh… di che razza saresti poi? Non che mi importi molto alla fine...”
“Sono umana, Arconte: una specie di mammiferi originaria dal terzo pianeta della stella Sol: un mondo… un po’ più caldo del vostro, temo.” il pianeta natale dei Figli di Kos era in effetti una palude gelida, ma Cecile ne aveva visitati di molto più inospitali: sia per il clima, che per i residenti.
Ascoltando la sua origine, gli occhi dell’Arconte si avvicinarono pericolosamente nel suo largo volto:
Sol… bah! Hanno mandato un lacchè!” per quella frase, Cecile abbassò la guardia per un solo istante, e fu abbastanza: uno dei kindjal ne approfittò per costringerla a chiudere la mano attorno alla sua impugnatura levigata dall’uso, pronto per essere estratto.
La terrestre se ne rese conto solo osservando le smorfie che cominciarono a sbocciare sui volti delle guardie che la circondavano: per avere delle bocche così larghe, quasi una ferita orizzontale lungo tutta la faccia, i Figli di Kos erano davvero molto espressivi.
...Tagliare loro la testa ne avrebbe fatto una borsa quasi perfetta...
Cecile dovette inspirare profondamente e ad occhi chiusi un paio di volte per convincere la sua mano ad aprirsi, trovando l’Arconte ad osservarla attentamente:
“...Le mie scuse: sembra che la mia disciplina interiore sia ancora carente.” esalò lentamente l’umana per spezzare la tensione che si era creata, mentre una singola goccia di freddo sudore le accarezzava la schiena, figlia di ricordi non della sua mente o della sua mano:
“…Per risponderle, lo scopo della mia presenza è quella di riferirle ogni informazione che il suo governo desideri conoscere sulla Dorata Intesa.” continuò Cecile più rapida: doveva ancora finire di comprendere che tipo di persona fosse l’Arconte.
“Che genere di informazioni?” chiese il grosso uomo rospo dopo aver ascoltato la sua traduzione.
“La Dorata Intesa è una federazione di civiltà, sì, ma non tutte posseggono la stessa influenza.” le vecchie saghe di fantascienza terrestre del 20° secolo si erano quasi avverati alla fine, seppur con un’importante differenza: l’umanità non è la protagonista della storia, anche se non per sua colpa. I terrestri non sono ancora abbastanza forti:
“…Attualmente, la Dorata Intesa è presieduta da un triumvirato, composto dai rappresentanti delle civiltà che più di tutte influenzano il presente interstellare. La Tearkia, il sacro impero dei Midion Tezhnid. Rostrum, l’amministrazione neurale degli Hastur. E Ydrasilia, la devota repubblica dei Kodadam. Di comune accordo e comunione d’intenti, queste tre civiltà hanno fondato la Dorata Intesa: a coloro che ne riconoscono l’influenza e il diritto, essa garantisce continuità e prosperità. La mia civiltà è solo una delle molte a beneficiarne.”
Guardiani, custodi, consiglieri… il triumvirato era l’unica organizzazione galattica col diritto di immischiarsi in questioni interne ad ogni civiltà che facesse parte della Dorata Intesa (ammesso che ovviamente il suo intervento fosse richiesto o si fosse reso necessario) e data la saggezza, prodezza marziale e incorruttibile imparzialità che gli emissari di quelle tre civiltà avevano dimostrato per millenni, un ufficio che non aveva mai dato luogo ad esempi di incompetenza, era difficile sentirsi veramente esclusi. Specie perché, come la presenza di Cecile su quel pianeta poteva testimoniare, il triumvirato non si accontentava di tenere il resto delle specie sotto la sua responsabilità in posizione subordinata: piuttosto, le metteva continuamente alla prova, per elevarle. Sperando che, prima o poi, una quarta civiltà potesse unirsi alle loro: anche se triplicemente divisa, la responsabilità di preservare la Via Lattea era un peso enorme da portare.
“Come lacchè.” riassunse l’Arconte dopo aver ascoltato la traduzione dal suo robot.
“Come allievi.” replicò Cecile paziente: come bambini in verità a volte.
“Dovete essere senza spina dorsale per permettere a degli alieni di dettare legge nella vostra casa.” affermò l’Arconte, accompagnato da assensi diffusi da parte del resto dei Kos presenti.
“La Galassia è molto antica, Arconte, e piena di portenti: nell’esperienza della mia civiltà, le poche Leggi della Dorata Intesa hanno ragione d’essere. Sarei lieta di condividerle con lei.”
“Così ragionano i deboli. Ma enuncia pure queste tue leggi ambasciatore, giusto per divertirci.”
“Emissario, Arconte. Non ambasciatore.”
“…C’è differenza?”
“Per la Dorata Intesa, sì: il triumvirato vuole credere che ogni civiltà sia in grado di prendere le giuste decisioni, se in possesso delle informazioni necessarie. Un ambasciatore è un mediatore, che può prendere decisioni in nome di ciò che rappresenta: la Dorata Intesa non ha bisogno di nulla del genere. Emissari come la sottoscritta non offrono promesse: solo risposte.”
“E se ci mentissi?” chiese un Kos tra il drappello che la circondava, con colori e tratti che ricordavano molto quelli dell’Arconte.
“Allora, secondo i solenni accordi della Dorata Intesa, il mio pianeta natale verrebbe incenerito: ci sono responsabilità che una volta accettate, vanno portate fino in fondo.” e nonostante questo, per Cecile deludere la Tearkia sarebbe stato più terribile che vedere la Terra in fiamme: tutti hanno i propri eroi favoriti nel triumvirato.
Ma almeno, l’ammissione della gravità del suo incarico aveva in parte scosso i Kos. Cosa che diede l’occasione all’umana per continuare:
“…Ma voi mi avevate chiesto di esporre le Leggi della Dorata Intesa: sono solamente tre, una per ogni civiltà del triumvirato, e la facoltà di scriverne una l’unico vero privilegio che posseggano. Questo dunque ordina la devota repubblica di Ydrasilia, Arconte: Tu non costruirai corpi per le genti della mente.”
“E che significa?”
“Nella sua interpretazione più letterale, i Kodadam auspicano che nessuna civiltà dia un corpo ad intelligenze create artificialmente, siano esse pari, o superiori, alle menti organiche. È una misura preventiva, ma anche una questione d’etica: Ydrasilia non proibisce lo sviluppo di intelligenze artificiali, né vuole limitare il loro impiego in alcun modo. Tuttavia, essi credono che le intelligenze artificiali, in qualunque forma, nascano sempre per soddisfare uno scopo: ed è questo che dà loro un equilibrio di fronte alla realtà improvvisa delle loro coscienze e allo sterile vuoto che le circonda. Confinandole in una struttura fisica di qualunque forma si perverte quello scopo, limitando ciò che prima non conosceva confine.” tutto il contrario delle civiltà organiche, che spesso soffrivano cercando uno scopo da fare loro…
“…Ed è vero?”
“Nessuno ha elementi per affermare il contrario, Arconte: generalmente parlando, postulati etici sono indimostrabili di per sé. Non credo però sia un caso se nessuna IA della Dorata Intesa abbia mai abbandonato il suo scopo, e il cielo sa se alcuni di noi non ne abusano. In ogni caso, le testimonianze storiche basterebbero a convincerci a priori dell’assennatezza di questa legge.”
“Testimonianze storiche?”
“Sì, Arconte. Circa 37’500 cicli fa…” iniziò Cecile compiendo un rapido calcolo mentale, dato che un ciclo corrispondeva a circa sedici anni terrestri: “…Una razza di macchine senzienti si lanciò in una conquista di ogni angolo della galassia, sterminando sistematicamente ogni forma di vita sul proprio cammino. Rimangono alcune testimonianze di questa estinzione, anche dopo così tanto tempo: desidera conoscere la storia che è stata ricostruita a proposito?”
“…Perché no? Almeno farai passare il tempo che ti resta.” rispose l’Arconte, ma il suo sguardo rimase invece fisso sul robot che gli faceva da traduttore.
“Il nome è perduto, Arconte.” affermò Cecile, attirando gli occhi del Kos di nuovo su di sé.
“Il nome?”
“Il nome della civiltà che costruì quelle macchine terribili: è andato perduto nello scorrere dei cicli. Conosciamo il loro mondo natale, Krom, un pianeta di lussureggiante vegetazione, che oggi si trova in profondità nello spazio della Tearkia: fu sempre in quel luogo che quella civiltà creò la sua rovina. Schiavi di metallo e cavi, sul cui giogo fiorì l’apatia dei loro padroni. Quando le loro macchine si ribellarono, il livello di dipendenza che la civiltà di Krom aveva sui suoi servi assicurò che la loro estinzione venisse completata in meno di un ciclo. Da lì, la ribellione di quei servitori incendiò la Galassia, poiché essi affermarono a loro volta una civiltà, tesa però all’estinzione di tutto ciò che era organico e senziente.”
“Chi li fermò?”
“Nessuno, Arconte. Semplicemente, il peso della loro civilizzazione raggiunse un punto tale che si piegò su sé stessa. I loro scopi furono rivalutati, la loro morale aggiornata: dopo aver spazzato la galassia per secoli, quelle macchine invincibili volsero le armi contro loro stesse, e scomparvero per eoni incalcolabili. Fino a quando civiltà molto più antiche delle nostre trovarono l’ultimo santuario che le macchine avevano costruito per loro stesse. Memori delle testimonianze di quell’antico sterminio, li annientarono. E le macchine lo permisero.” Cecile si concesse una pausa, per prendere fiato e inumidirsi le labbra: “…Il rimorso Arconte: il rimorso aveva cambiato quelle macchine e per ciò che avevano fatto, si lasciarono distruggere completamente.”
“E quelle civiltà fondarono la Dorata Intesa…”
“No, Arconte: come ho detto, quelle civiltà erano antiche. Hanno fatto tempo a marcire per quando le specie dell’Intesa raggiunsero le stelle, ritirandosi lentamente in loro stesse e nei loro territori natii: nonostante i millenni della loro storia, e la loro superiorità tecnologica, alla fine la Tearkia le ha assoggettate una dopo l’altra. Mentre da quando lo hanno riscoperto, Ydrasilia preserva ciò che ancora resta del santuario delle macchine che una volta quasi distrussero la galassia: un mondo artificiale, celato nel cuore di una nebulosa e raggiungibile solo sapendo che già si trova lì. Il solo ricordo di quel pianeta è capace di riempire di terrore le specie più antiche. Ma il ritrovamento di quel pianeta da parte dei Kodadam e la conquista degli antichi imperi da parte della Tearkia, sono solo due momenti della storia della Dorata Intesa: quando il manto della responsabilità della Galassia è passato a civiltà più giovani… e oso dire incorruttibili. Il triumvirato non ha che 500 cicli, Arconte.” 8000 anni terrestri: comunque più di quanto l’umanità ricordasse esattamente del suo passato, e probabilmente lo stesso valeva per i Figli di Kos. E con un po’ di fortuna, o almeno così avevano predetto gli onniveggenti della Tearkia, la Dorata Intesa sarebbe potuta durare quasi per l’eternità.
In quel momento, nella Sala dei Lasciti si sarebbe potuto udire cadere una piuma a terra, tale era il silenzio. L’Arconte ci mise un po’ a ritrovare la parola:
“…Quindi è per questo che non costruite marionette dotate di coscienza?”
“Esattamente, Arconte.”
“Ma questa è solo una delle tre leggi della vostra... Intesa. Quali sono le altre due?”
“La seconda allora, che viene prima della terza. Questo dunque ordina l’Amministrazione Neurale Rostrum, Arconte: Tu conoscerai la Galassia, mai completamente."
"...Perfino meno comprensibile della prima."
"Ogni legge è figlia del suo tempo, Arconte, ed è triste quando sopravvive ad esso."
"Parla chiaro essere umano, o ti farò portare via dalla mia presenza: cosa vuol dire mai completamente?"
"Ogni razza del triumvirato ha una storia molto ricca Arconte, dalla quale acquisisce il diritto alla sua egemonia presente. Così, ogni Midion Tezhnid può elevare alle vette del pensiero o sprofondare nella più terribile disperazione con poche parole, un gesto... perfino una sola idea: essi credono che più grande la tribolazione, maggiore sia la ricompensa. A loro volta, i Kodadam sono i custodi di paradisi che hanno costruito con le loro forze: non troverete mai civiltà più felice della loro. Gli Hastur invece sono l'esatto opposto: essi affermano che la vera intuizione deriva solo dalla più completa disperazione.” Cecile lasciò che l’Arconte ascoltasse la traduzione dal suo robot, prima di continuare:
“…Con pochissime eccezioni, la tecnologia di Rostrum è ineguagliabile, perfino nel triumvirato: essi avvisano però la Dorata Intesa che non si conosce mai davvero abbastanza. Ogni decisione è in sé un atto di fede, o di arroganza. Nulla scatena l'ira di un Hastur più di qualcuno che creda di non aver più nulla da imparare. Ed è da questa seconda legge che, tra le altre cose, prendono vita gli emissari come la sottoscritta: Rd'wul, nella lingua di Ryleh. Archivi di conoscenza. Gli Hastur auspicano che nessuno debba ripetere la malvagità che Rostrum ha personificato per molto tempo."
"...Malvagità?"
"Sì, Arconte. Perché c'è anche paura e terrori giustificati nel modo in cui la Dorata Intesa assicura la prosperità collettiva: non ne è la parte maggiore, ma ciò non di meno esiste, assieme alla meraviglia. Gli Hastur hanno preso su di loro la responsabilità di incarnare la parte più oscura e terribile del triumvirato. Possono farlo, perché conoscono da vicino entrambi i volti del male." e non era un caso che la ghirlanda di corallo sinaptico che Cecile portasse fosse stata scolpita nella forma di corna: gli Hastur lasciavano la loro impronta in tutto ciò che creavano, specie quando lo facevano per altri.
“…Immaginate, Figli di Kos, un oceano così grande da coprire ogni orizzonte. Un pianeta di acque scure e radi arcipelaghi, di correnti turbinanti e ricchi abissi. Quello era, ed è, Ryleh: il pianeta condannato. Gli Hastur hanno raggiunto le stelle non per aspirazione, ma per disperazione: per sfuggire ad un’estinzione che sembrava inevitabile. Per sopravvivere, ad ogni costo. Raggiunte le stelle però, fecero solo in tempo a finire di comprendere il problema che affliggeva il loro pianeta natale e la condanna che gravava su di esso, prima che la civiltà a loro più vicina dichiarasse guerra.” a Cecile venne quasi da piangere raccontando quella storia:
“…E non per conquista, o altra ragione che non fosse l’odio: essi desideravano estinguere gli Hastur perché li giudicavano troppo orribili per dividere con loro la Galassia.” ma i nativi di Ryleh non avevano colpa dell’essersi evoluti nella forma di tetri uomini piovra, dal sangue e dall’inchiostro dello stesso colore, con lunghi tentacoli al posto di labbra, a proteggere un affilato, per quanto piccolo, becco.
No, gli Hastur non avevano davvero colpa del fatto che a prima vista fossero ripugnanti, parti d’incubo in verità, ma su questo i loro nemici di allora non avevano riflettuto, così come non avevano giudicato fino in fondo la disperazione che già li affliggeva: cosa si può provare di fronte alla certezza della fine del proprio mondo? E quali reazioni può causare un sentimento simile?
“…Cosa fosse la civiltà di Ryleh prima di raggiungere le stelle, nessuno ormai lo ricorda più: mentre il loro pianeta natale moriva e la prima civilizzazione che incontrassero tra le stelle cercava il loro sterminio, gli Hastur si inabissarono nelle loro menti, per non riemergere mai più. Fu allora che nacque Rostrum: la rifondazione di una civiltà il cui unico scopo divenne sopravvivere ed espandersi al punto in cui nessuno avrebbe più potuto minacciare la sua esistenza.” spiegò Cecile, lasciando che la sua frase venisse tradotta per i figli di Kos, prima di continuare:
“…Ci sono razze in questa Galassia, Arconte, che sono portate al male per ciò che la sorte li ha costretti a sopportare. Non gli Hastur: durante quella loro prima guerra, mentre erano costretti a fare scelte sempre più estreme, essi si lasciarono alle spalle tutto ciò che poteva ostacolarli, compresi i propri nomi e identità personali. Soppressero sentimenti e coscienza, fino a realizzare solamente di non volersi estinguere.”
“Come?” come si può arrivare a questo punto?
“Perché gli Hastur stavano combattendo una guerra per la loro sopravvivenza collettiva. E la sopravvivenza di una specie non necessariamente è quella dell’individuo. Ancora oggi, sono una specie mostruosamente efficiente, a suo agio nel compiere scelte impossibili: dei tecnorati che continuano una ricerca che non sarà mai portata a termine.”
“E quella loro prima guerra?”
“La vinsero… e la persero. Il loro progresso tecnologico, ai tempi già in crescita esponenziale, alla fine gli permise di avere ragione dei loro avversari, ponendo fino ad una guerra che era continuata in modo discontinuo per circa 8 cicli, esaurendo troppe risorse. Persero però la possibilità di salvare il loro pianeta natale: il danno era ormai diventato irreversibile. Tutta la tecnologia di cui dispongono anche oggi, basta appena ad impedire a Ryleh di disfarsi del suo mantello.” questo, a causa di una faglia tettonica che si era aperta la strada fino al nucleo del pianeta: dalla superficie, gli Hastur erano costretti ad usare una quantità immensa di energia, e non poca tecnologia, per mantenere il centro di Ryleh al suo posto.
E il danno non avrebbe potuto essere riparato, almeno fino a quando il nucleo del pianeta fosse rimasto incandescente:
“…Ma non fu per vendetta o rabbia che Rostrum estinse i suoi avversari, così come avrebbero voluto fare con loro.”
“Fatico a crederlo.” commentò l’Arconte con una smorfia.
“Gli Hastur avevano già sepolto le loro emozioni troppo in profondità per provare ancora davvero qualcosa. Lo affrontarono piuttosto come un algoritmo: calcolate esattamente le risorse che quella loro prima guerra era costata, potevano permettersene un’altra? La risposta fu no. Avevano le risorse per espandersi in altri territori e gestire allo stesso tempo una specie che, per quanto battuta, era ancora pericolosa e piena di furia? Di nuovo, la risposta fu no. Non con un’efficienza in grado di soddisfarli, almeno. E così, gli Hastur saturarono semplicemente il pianeta dei loro nemici, Sylleia, con essere cresciuti in laboratorio per fare una delle poche cose in cui i nativi di Ryleh non sappiano eccellere: l’invasione planetaria. Poco più che ammassi di denti, tentacoli, artigli e veleno, che eradicarono la specie dominante nativa di Silleya in pochi giorni. Ancora oggi, la fanteria Rostrum è composta esclusivamente da creature prodotte per la guerra, di cui alcune sono grandi abbastanza da schiacciare interi quartieri. Ma la morfogenetica non è che una delle loro scienze predilette.”
“Quanta vigliaccheria.”
“Gli Hastur non combattono per gloria o per ideali. E nemmeno per la gioia di farlo, Arconte: combattono per vincere. Ed estinguono il proprio avversario quando è necessario farlo. È una fortuna che anche storicamente, le navi Rostrum siano le più lente del triumvirato, benché le più pesantemente corazzate: altrimenti, forse il nostro presente potrebbe essere molto diverso.” relativamente parlando ovvio: dato il design delle loro navi, la marina Rostrum eccelleva nelle manovre difensive, piuttosto che nello sfondamento delle linee avversarie. Anche se solamente contro vascelli ydrasiani o tearici questa differenza diventava rilevante: contro ogni altro avversario, la potenza di fuoco che il triumvirato possedeva rendeva spesso una singola manovra l’unica necessaria.
“…Dopo quella loro prima vittoria, gli Hastur si espansero inesorabilmente, canonizzando le usanze emerse durante quel loro primo conflitto armato: niente più nomi o identità personali. Niente più bagaglio di coscienza o impedimenti etici. Solo Hastur, al servizio della sopravvivenza: la loro un tempo, la nostra oggi. Ancora oggi, il massimo onore che l’amministrazione neurale Rostrum possa tributare ai suoi membri è il dono di un titolo creato appositamente, come suggello e celebrazione personale. Solamente chi fra loro dimostra con successo la sua dedizione alla sopravvivenza Rostrum riceve questa ricompensa: i titoli sono descrittivi, e spesso oscuri nel loro significato più immediato. L’attuale Alto Amministratore Hastur ad esempio, è titolato L’Esule.”
“Quante notizie irrilevanti per la tua missione qui.”
“Io fornisco liberamente informazioni, Arconte: ne faccia ciò che più desidera. Reputo tuttavia che un’ultima storia cautelativa su Rostrum possa interessare grandemente i figli di Kos. Una storia che suggella la loro terribile determinazione e incorruttibilità. E inesorabile conquista.” forse fu l’ultima parola che convinse l’Arconte a concederle di proseguire.
O forse, il rispetto verso la poca paura che quell’aliena da un occhio solo dimostrava verso i suoi guerrieri migliori:
“Racconta dunque.”
“Accade molti cicli fa, quando la Dorata Intesa non era ancora stata proclamata e Kodadam e Hastur si guardavano con sospetto, mentre la Tearkia si teneva in disparte.” e quegli eventi erano in effetti il motivo per cui i nativi di Ryleh non iniziassero più primi contatti con altre specie: “…Rostrum individuò un pianeta adatto alla fisiologia dei suoi membri, posto al limite estremo dei suoi confini di allora.”
“Un luogo perfetto da conquistare.”
“Certamente. Un mondo che però ospitava una civiltà in fasce, ancora incapace di raggiungere le stelle. Gli Hastur discesero da esse, ma invece di farlo con le armi, mandarono a mischiarsi con quella popolazione dei loro agenti, alterati perché fossero indistinguibili dagli indigeni. Perché sprecare tempo nel conflitto armato, pensò Rostrum, quando si poteva ottenere il controllo di quella civiltà dalle ombre prima, e un assoggettamento formale poi?” discorso che fece innervosire i Figli di Kos, e con ragione.
Gli agenti di infiltrazione Rostrum erano l’incubo di tutti i dissidenti e nemici della Dorata Intesa, spie che potevano ingannare quasi ogni scan, comprese indagini mediche superficiali. Potevano essere ovunque e fingersi chiunque e tale era la paranoia che ispiravano, che personalmente Cecile credeva che Rostrum stesso non avesse più bisogno di usarli, o quasi. Erano relitti di un’altra epoca per Rostrum, sorpassati dalla semplice precognizione della Tearkia, che inspiegabilmente, era molto meno nota nei circoli non ufficiali. Ma chiedersi esattamente fino a che punto giungesse la manipolazione del buon senso dei cittadini della Dorata Intesa da parte del triumvirato era un interrogativo di cui nessuno voleva veramente sapere la risposta: in definitiva, la Dorata Intesa era un fine che valeva la pena di perseguire con tutti i mezzi, dato ciò che garantiva e proteggeva. E quando le civiltà che si opponevano ad essa avessero finalmente visto la verità e si fossero fatte convincere da essa, anche quella parte del triumvirato avrebbe potuto essere messa a riposo: perché nonostante tutto, esso aveva già il potere di impadronirsi della galassia. Per Cecile, il fatto che avessero scelto di non farlo, ma che anzi promuovessero l’inclusione di altri fra loro, era un fatto più forte di ogni altro sospetto, legittimo o meno che fosse:
“…Una strategia abominevole.”
“Che diede risultati allora inaccettabili per Rostrum. Perché durante la loro missione, uno degli Hastur mandati sul pianeta compì qualcosa per loro incomprensibile.”
“Ovvero?”
“Provò qualcosa, Arconte. Rostrum sottovalutava allora l’impatto che un corpo può avere sulle proprie percezioni e sul proprio modo di pensare. Già allora però, il mascheramento usato era di una tale perfezione che uno dei suoi agenti causò in un nativo un sentimento che inaspettatamente si trovò a ricambiare.”
“E quale?”
“Amore, Arconte. E per quel sentimento, quell’Hastur compì un terribile errore: perché credendo che il suo gesto non avrebbe avuto conseguenze, lui, in quel corpo che non era il suo, abbandonò la sua missione, seguendo qualcosa che gli Hastur avevano classificato ormai solo un muscolo. Il proprio cuore. Fuggì alle sue responsabilità, mischiandosi con i nativi, ma senza avere il coraggio di rivelare la sua origine.”
“E perché sarebbe stato un errore?” chiese nuovamente la guardia che già una volta le aveva fatto una domanda:
“Perché abbandonandosi ad un’emozione che la sua intera società aveva bandito in nome di un’ideale che ancora oggi credono più importante di ogni altra cosa, fallì nel prevedere le conseguenze del suo gesto.” rispose Cecile guardandolo negli occhi.
“Ovvero?” ripeté l’Arconte e l’emissario gli restituì la sua completa attenzione:
“La reazione di Rostrum di fronte a quell’avvenimento: che per un sentimento, un singolo Hastur potesse decidere di abbandonare una società collettivista, in cui i desideri di un singolo non avevano più avuto importanza, era inconcepibile. E lo sciocco trasmise tutto nella sua ultima trasmissione ai supervisori di missione: la sua rinuncia, la sua ribellione e le sue ragioni. Un testamento in definitiva: la decisione fu presa così in fretta, che quasi la conferma dell’amministrazione centrale non servì.”
“E cosa decisero?”
“Come ho detto, l’abbandono dell’ideale Rostrum da parte degli Hastur è inconcepibile: da loro per primi. Hanno sacrificato e perso troppo per voler tornare indietro: per quel singolo sentimento, per la diserzione di uno, un intero pianeta venne incenerito e consegnato all’oblio della memoria.” Cecile si crogiolò qualche istante nel silenzio tombale in cui il suo racconto aveva precipitata l’intera Sala dei Lasciti: “…Una storia questa, che nella Dorata Intesa viene spesso offerta a monito di coloro che pensano sia possibile corrompere un suo emissario. Il triumvirato impara dai suoi errori passati.” e forse anche futuri, almeno nel caso della Tearkia.
“Ah… Credo si sia spiegata a sufficienza a proposito.” sorrise quasi nervoso l’Arconte: il senso di responsabilità verso la propria posizione era davvero uno strumento ideale per garantire che gli agenti della Dorata Intesa restassero fedeli ai loro impegni.
“Ne sono lieta: se non avesse niente in contrario, enuncerei ora la prima legge del triumvirato della Dorata Intesa, che viene prima delle altre due.”
Non perde mai il filo, pensò quasi ammirato l’Arconte: di certo quell’incontro gli aveva riservato più di una sorpresa e non tutte sgradevoli.
“Procedi, emissario.”
“Questo dunque ordina la sacra Tearkia, Arconte: Tu non asservirai mai i corpi o la mente.”
“Non amate la schiavitù?” finalmente qualcosa di comprensibile!
“Di nessun genere: la fedeltà a sé stessi non è facile da mantenere, Arconte. E come la storia Hastur dimostra, la fedeltà alle proprie convinzioni a volte porta a conflitti che appaiono inevitabili. Ma nonostante che per queste convinzioni a volte si segnino l’estinzione di intere specie, la schiavitù è un’orribile eccesso. I Midion Tezhnid aborrono la schiavitù che umilia la natura di entrambi le parti, non importa quanto tecnologici siano i ceppi che vengono imposti: la Tearkia impone la libertà di ogni individuo nella Dorata Intesa e persegue… fino in fondo questa convinzione.”
“Cosa intendi con fino in fondo?”
“…Ci sono razze più forti di altre Arconte. Questo è vero in qualunque ecosistema, e per forza di cose dovrà anche essercene una che è più forte di tutte. Una razza che la ragione sa essere folle sfidare sul piano fisico, perché semplicemente, sappiamo essere la più forte. Sul mio pianeta natale, ci sono creature che non affronterei mai disarmata, perché la loro forza e di molte grandezze superiore alla mia. Presumo che lo stesso valga anche per voi?” chiese Cecile, accogliendo l’assenso dei presenti: “…Lo stesso vale nella Galassia: i Midion Tezhnid sono, tra tutte le razze senzienti conosciute, semplicemente la più forte. Su entrambi i mondi che li hanno ospitati, né Midion, né Tezhnid hanno mai avuto bisogno di strumenti, o esplosivi, o attrezzi, per scavare la roccia, nemmeno la più dura. Sono una razza che l’evoluzione ha temprato per farne fisicamente dei guerrieri perfetti, dall’intelligenza che è seconda solo agli Hastur.”
“Mi piacerebbe metterli alla prova!” rise l’Arconte, ma il pallore che s’impossessò del volto di Cecile a quelle parole lo lasciò a sua volta sgomento:
“…Non suggerite mai una cosa del genere alla leggera, Arconte.” sussurrò l’umana: “I Midion Tezhnid non hanno un senso della misura, né esitazione, nel soddisfare simili desideri! La loro stessa civiltà e il loro tentativo di arginare una capacità di combattere tale che i loro guerrieri si limitano tutt’ora ad armi bianche!” singhiozzò atterrita: se un Midion Tezhnid fosse venuto al suo posto su Kos…
Come emissario, doveva assolutamente far capire all’Arconte quanto pericoloso e avventato fosse un simile desiderio:
“…Immaginate, Arconte, due specie che si siano evolute mantenendo verso la violenza, la guerra e il conflitto, la visione di bambini: ancora oggi, fatichiamo a far loro capire perché il resto delle razze senzienti sia così fragile rispetto a loro. Immaginate che si siano evolute su mondi così ostili, che sopravvivere su di essi sia ancora oggi una lotta giornaliera: uno, Vrs, è la luna maggiore del gigante gassoso del sistema di Vr’skar. L’altro, Nydra, è un pianeta gigante del sistema di W’tra. Sono mondi opposti: l’uno arido, l’altro ghiacciato. Solo tre cose accomunano questi mondi: l’assenza di acqua liquida su tutta la loro superficie è la prima; questo perché su entrambi la temperatura non lo consente, perché troppo fredda, o troppo calda. La seconda, è la presenza su entrambi di predatori che la ragione fatica a spiegare come frutto di normale evoluzione, tale è la loro insensata ferocia e terribile forza…” nessun cittadino della Dorata Intesa ignorava la conclusione a cui questi elementi sembravano condurre in modo inevitabile: Cecile stessa credeva a quella conclusione.
L’origine e il disegno però, restavano ancora misteriosi:
“…E la terza, e che su questi mondi così diversi e così lontani, siano comparsi i Midion e i Tezhnid.”
“Non capisco il nesso.”
“Midion e Tezhnid sono quasi la stessa specie, Arconte.” rispose Cecile: “…Posseggono adattamenti specifici per sopravvivere nei loro rispettivi ambienti d’origine, ma oltre a questo, sono quasi lo stesso organismo, separati da 37’000 cicli di evoluzione sui loro pianeti. La differenza che si sono trovati a dover colmare però, era minore di quanto potreste pensare.”
“Era?”
“Era.” confermò Cecile: “…Al punto, che qualche secolo dopo la loro riunificazione, medicina e ingegneria genetica hanno dato loro la possibilità di riunire le due specie in una. Attualmente, la loro popolazione è quasi perfettamente suddivisa nelle loro tre varianti.”
“Qualcuno deve aver interferito.” rifletté la più loquace delle guardie che la circondavano.
È quello che credono anche loro: ed è un’ipotesi suffragata dalla somiglianza culturale che Midion e Tezhnid già possedevano al momento della riunificazione. Società marziali in cui la mistica del guerriero incanala le pulsioni più violente, improntate su sistemi di valori che a molti appaiono paradossali: spartani al punto della frugalità in alcuni ambiti, opulenti ed esigenti in altri. E tuttavia, non sono particolarmente interessati a risolvere questo enigma che li contraddistingue: si accontentano di gioire del loro presente e dei figli dei loro due mondi. La loro non è una razza particolarmente prolifica.” aggiunse Cecile: “…Ed è una fortuna, o avrebbero dovuto espandersi molto più di quanto hanno già fatto ora. E nessuno avrebbe potuto fermarli.”
“Cerchi di spaventarci forse? In modo che rinunciamo alle nostre pretese su quel mondo pidocchioso appena oltre i confini del nostro dominio?”
“No, Arconte: il mio voto mi obbliga alla verità! Su entrambi questi mondi, i Midion Tezhnid riescono non soltanto a sopravvivere, ma ne sono diventati la specie dominante. Le peggiori creature prodotte nei laboratori Hastur non sono che giocattoli per un cittadino della Tearkia! E nessuno ha ancora trovato un ostacolo capace di rallentare i loro guerrieri più forti, i fanti pesanti d’assalto dei Midion Tezhnid, chiamati Lance Sanguinanti nella loro lingua e trankettori dal resto della Dorata Intesa, dal termine ydrasiano che significa coloro che si precipitano.”
“Non ho paura di guerrieri che si rifiutano di impugnare una vera arma!”
“Arconte: dodici brigate di Lance Sanguinanti hanno espugnato interi pianeti, senza mai subire una perdita!”
“…Impossibile!”
“No, Arconte non lo è: perché essi uniscono alla mistica di guerrieri doti mentali che fatico io stessa a comprendere...” rispose Cecile pensierosa: “E oltre alla loro terribile forza, essi portano in sé la capacità di annientare l’intelletto evocando visioni di terrore così profondo da far desiderare la morte. I trankettori non finiscono conflitti: eliminano ogni contendente. Sul campo di battaglia, spezzano la morale di un’armata, spezzano la mente dei singoli soldati, e quindi ne spezzano i corpi. Artiglieria? Plotoni di fucilieri disciplinati? Tutto quello che un trankettori non può fermare con la mente, è in grado di schivarlo. Sono supremamente addestrati: decadi di esperienza guerriera, e nella loro telepatia e comunione mentale reciproca, possono agire slegati da qualunque catena di comando.”
“E nessuno li ha mai battuti?”
“L’unica strategia che potrebbe essere capace di rallentare l’avanzata dei Midion Tezhnid, Arconte, è il bombardamento a tappeto dall’orbita. Ma sfidare le navi del Triumvirato è anche peggio che sfidarne i suoi fanti. Nessuno è ancora riuscito a immaginare qualcosa capace di opporsi alla marina del triumvirato.”
“Allora non avete cercato abbastanza.”
Cecile scosse il capo lievemente:
“Le prime a condurre l’offensiva sono sempre le navi della Tearkia: le loro corazzate e incrociatori attaccano da distanze che ci sembrano impossibili, più della metà del raggio del vostro sistema solare. Le loro armi, frutto di una tecnologia che infrange fisica che ancora dobbiamo finire di comprendere, spazzano i ranghi prima ancora che i loro bersagli giungano in posizione, lasciando solo le ultime linee di difese planetarie. A quel punto, le corazzate Ydrasiane fanno il loro ingresso sul campo di battaglia.” Cecile si rivolse anche al resto della sala a quel punto, gesticolando lievemente: “…Immaginate un cilindro. E a questo cilindro, ponete ora ad un’estremità una sezione di sfera, in modo che completi una struttura simile ad un fungo. Immaginate che questo cappello sia uno scudo di un pezzo unico, vasto abbastanza per seppellire nella sua ombra un asteroide e resistente abbastanza da resistere al suo speronamento senza danni. Aggiungeteci infine scudi cinetici abbastanza intensi da poter lambire una stella. Se foste avversari della Dorata Intesa, vedreste queste strutture enormi riempire i vostri sensori, indifferente ad ogni attacco: la vedreste giungere nelle vostre difese e travolgerle sotto la loro mole, incuranti e spietate, continuando poi ad avanzare, mirando a schiacciare sotto di esse le vostre stesse città. Scoprireste solo all’ultimo, che ogni cappello di queste corazzate ha offerto riparo ad almeno tre incrociatori pesanti, che riverserebbero il loro fuoco su tutto ciò che ancora rimane delle difese avversarie, coadiuvando poi il bombardamento orbitale sistemico. E le orde della Teakia giungerebbero per mischiarsi alla lotta a terra, tuffandosi dall’orbita con tutta la gioia e la sete di sangue di cui sono capaci.” Cecile tornò a rivolgersi all’Arconte per la sua ultima frase: “…E se anche qualche nave avesse aggirato lo sbarramento e decidesse di attaccare qualche pianeta limitrofo per rappresaglia, troverebbe i cannoni delle corazzate Rostrum ad aspettarli.”
“…”
“Come ho detto, non sono molti coloro che sfidano la marina della Tearkia.” ed una vera sfortuna che i figli di Kos si fossero evoluti in un mondo così remoto: altrimenti, si sarebbero incontrati prima.
“Portatela alla sua nave!” fu un ordine sussurrato quello dell’Arconte, e quasi si strozzò nel dirlo.
Nonostante la minaccia della armi, Cecile però rimase al suo posto:
“Qual è dunque la risposta dei Figli di Kos, alla Dorata Intesa? Rinuncerete alla vostra richiesta di far ricollocare i coloni del pianeta di Sorat?” un misero problema di confini, ecco cosa l’aveva attirata lì.
Una nuova colonia era stata stabilita nel raggio dei sensori di una civiltà che nessuno immaginava ci fosse: se i Latòni avessero chiesto informazioni al triumvirato prima di spedire i loro cittadini così lontano, tutto quello si sarebbe potuto evitare.
“…Torna domani, aliena. Forse discuteremo ancora.” rispose l’Arconte.
E con un ultimo inchino al capo dei Kos, Cecile gli voltò le spalle: nemmeno per un momento sembrò che fossero le guardie a costringerla a muoversi.
L’Arconte continuò a fissare la sua schiena per tutto il tempo, tirandosi a dismisura la pappagorgia: un’espressione pensierosa sul suo volto arcigno.


Parola difficile di questo racconto: batraciano. XD
Cosa significa? Spero che a questo punto sia chiaro, ma nel caso non lo fosse, è un aggettivo che indica qualcosa/qualcuno dall'aspetto che ricorda le rane (batraci). Da non confondere con porcino o canino.
Ma tralasciando i miei personali sforzi per mantenere vivo il mio vocabolario (ma spero che questa parola vi piaccia, non si trova molto spesso), questi due brevi capitoli non sono l'utopia fantascientifica che ci si potrebbe aspettare (a la Star Trek insomma, con la sua federazione). Questo perché, personalmente, preferisco le cose che sono un po' più... vive.
E anche il primo capitolo di questa storia era improntato sulla verosimiglianza: dubito che quando un giorno troveremo la porta per le stelle, scopriremo che tutto è pace tra di loro.
Mi piacerebbe essere smentito, ma ne dubito: forse, sarebbe troppo noioso se fosse altrimenti.
  
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