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Autore: tatinaj    28/04/2009    0 recensioni
Affrettate il vostro passo e siate cauti più che potete; dato che il pericolo potrebbe esservi vicino non soffermatevi ad ammirare le vetrine scintillanti, guardatevi attorno con circospezione e tuttavia, non illudetevi di essere al sicuro solo perché siete in compagnia. Io potrei osservarvi, trovare il momento giusto per colpire e per voi non ci sarà nulla da fare.
Genere: Song-fic, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non passate la sera per barboun street
Non passate la sera per Bourbon Street

Oggi voglio darvi un consiglio, non passate la sera per Bourbon Street perché per voi potrebbe essere troppo rischioso. Specialmente non andateci a piedi perché potrebbe costarvi la vita. E se state pensando che io vi stia raccontando una frottola, sappiate che non è così; sfortunatamente io so che tutto questo è credibile, perché io vivo in Bourbon Street e soprattutto perché il pericolo vero sono io.

Perciò fidatevi, se ci tenete a vivere, evitate Bourbon Street e tutto il suo circondario; in realtà dovreste evitare di frequentare tutto il quartiere, meglio ancora l’intera città.

A questo punto credo di dovervi dare qualche spiegazione in più perché possiate seguire il mio invito, ma prima devo farvi una domanda: “Avente idea di cosa sia un vampiro?”. Voglio dire un vampiro vero, non quelli dei film che si vedono al cinema con i denti aguzzi e gli occhi cerchiati di sangue; avete presente il conte Dracula con il frac, il papillon, la camicia bianca e il mantello nero che si trasforma in pipistrello? Bene, toglietevelo dalla testa, nulla di tutto questo. Io intendo dire un vampiro reale, tangibile, vivente; uno di quelli che di sera si potrebbero incontrare per strada. Uno di quelli che sembrano persone normali e invece non lo sono. Uno di quelli che possono assomigliare a chiunque e perciò passano inosservati.

Insomma, per farla breve uno come me, perché in ultima analisi io sono un vampiro.

A dire la verità “vampiro” è la definizione migliore cui sono arrivato per rappresentare me stesso e la mia condizione. Probabilmente qualcun altro potrebbe trovarne una più giusta, ma io non sono riuscito a scoprirne un’altra che si avvicinasse di più a come mi sento e a come mi comporto. E poi, per dirla tutta e, in fondo in fondo, questa mia auto descrizione mi intriga anche un po’. Non che io ne sia compiaciuto, ma nel male qualche piccola soddisfazione me la devo pur concedere per poter reggere, senza impazzire, il peso dell’angoscia che mi tormenta.

Perciò provo come un senso di benessere ogni volta che mi ricordo di essere praticamente invulnerabile, anche se ancora non sono riuscito a capire se sono pure immortale. Ora sicuramente penserete che io sia completamente fuori di testa. Pazzo sarebbe la parola giusta. Disgraziatamente non è così.

Ho detto che la definizione che mi si avvicina di più è vampiro, ma se pensate a cose come l’aglio, i paletti di frassino, i proiettili d’argento e le croci siete completamente fuori strada. Non parliamo poi di bare per dormire o di succhiare il sangue perché avete sbagliato indirizzo. Sono tutte balle che vi hanno raccontato nei film o che avete letto in libri per sprovveduti. Vorrei che dimenticaste tutto questo. Per rendervi l’idea di quanto in apparenza io sia normale vi basti sapere che a me piace andare in chiesa e pregare: sapeste quante volte l’ho fatto!

Già, ma allora perché considerarmi un vampiro? Perché per vivere io ammazzo, più precisamente io sono costretto ad uccidere. Come un vampiro.

Badate bene, le mie non sono le elucubrazioni di un pazzo paranoico degno di un manicomio criminale, non sono i vaneggiamenti di un serial killer che cerca di giustificare i propri omicidi, piuttosto sono le riflessioni di chi vorrebbe non vivere in un incubo, ma nonostante tutto, è costretto a farlo. Perché io sono cosciente del dolore che provoco, sono inorridito dalle conseguenze delle mie azioni, ma resta il fatto che in certe sere il mio istinto di sopravvivenza e la bestia che sono in me prendono il sopravvento e mi guidano in gesti atroci che in condizioni normali mai mi sarei sognato di compiere.

In seguito, dopo ogni delitto, subentrano il rimorso e il desiderio di farla finita; vi devo però informare che a suicidarmi ci ho provato in tutti i modi, ma niente sembra funzionare. Infatti, come ho già detto, io sono invulnerabile, inattaccabile, inviolabile. In me qualunque veleno ha l’effetto di un forte purgante, i proiettili mi trapassano senza danni apparenti e le ferite si rimarginano dopo qualche ora, il fuoco sfiora la mia epidermide, ma non riesce a raggiungerla perché un velo invisibile lo respinge. Qualunque incidente, fatale per un normale essere umano, non ha conseguenze su di me. Però provo dolore; ogni volta che tento di uccidermi provo dolore. Un dolore atroce, lancinante disumano che mi fa desiderare di non tentare un’altra volta. E allora piango per il dolore e la disperazione e mentre piango una rabbia feroce mi pervade perché penso che non potrò mai liberarmi da questa maledizione.

Di essere invulnerabile me ne sono reso conto un po’ per volta nel corso degli anni; da bambino non sono mai riuscito a sbucciarmi un ginocchio, provocarmi una piccola ferita o peggio ancora rompermi qualche osso. Ma allora non ci facevo caso e ogni volta che cadevo di bicicletta saltavo di nuovo in sella e correvo via più veloce di prima senza neppure un graffio. Saltare giù dagli alberi era il mio gioco preferito. Una volta un mio compagno si ruppe una gamba cercando di imitarmi. Io invece saltavo a terra senza danni dai tetti dei garage tutte le volte che ci salivo per andare a recuperare un pallone.

Un giorno, quando ero già un ragazzo, fui investito da una macchina mentre attraversavo la strada correndo. Fui proiettato in alto e scaraventato sul parabrezza di un’altra auto parcheggiata lì vicino. L’unica cosa che mi venne in mente, appena mi rimisi in piedi, fu di rivolgere parole irripetibili all’indirizzo del mio investitore che, imbarazzato e incredulo, mi aveva visto rialzare illeso e mi stava osservando esterrefatto.  

Essere invulnerabile può perfino originare qualche complicazione. Ad esempio è difficile tagliarsi le unghie. Già da piccolo mia madre doveva darsi parecchio da fare, ma non è stato un grosso problema fino all’età adulta. Adesso sono costretto a ricorrere ad una grossa lima per consumarle piano piano.

Anche radermi non è mai una cosa semplice. Per farlo sono costretto ad utilizzare lame di qualità extra che costano un’enormità e durano pochissimo. Per buona sorte sono calvo e non ho il problema del barbiere.

Ormai avrete già capito che non sono diventato un vampiro in seguito al classico morso sul collo come ancora oggi viene raccontato in certi romanzetti di serie b, ma che lo sono sempre stato fin da quando ero un bambino, solo che non me ne rendevo conto. Perché credetemi, vampiri si nasce non si diventa. Infatti io credo che la mia sia una mutazione genetica, un’alterazione della struttura del mio DNA, un qualcosa che in me è diverso da tutti gli altri e che forse mi rende unico. Forse.

Sì, forse, perché, anche se io non ne ho mai incontrati, ho il forte sospetto che esistano altri come me. Avete mai sentito di persone che sono uscite illese da incidenti incredibili? Di paracadutisti senza paracadute che si sono salvati o di persone che sono cadute da altezze proibitive e sono sopravvissute senza danni? Forse erano vampiri. Forse.

Il fatto è che, se esistessero altri come me, non vi basterebbe evitare di passare in Bourbon Street di sera. Dovreste infatti schivare molti altri posti, però unicamente durante le notti di luna piena, perché è solo durante il plenilunio che provo l’irrefrenabile desiderio di sfamarmi, che sento la smania di saziare il mio essere, che non sono più padrone delle mie azioni e sono spinto a cercare la fonte alla quale spegnere il fuoco che mi arde dentro e per questo, infine inevitabilmente costretto ad uccidere.

Perciò nelle sere di luna piena non passate in Bourbon Street, evitate di farvi illuminare dai lampioni perché io vi potrei notare e la cosa potrebbe costarvi cara. Sappiate che non avrò scelta, che non sarò veramente io a muovermi nell’ombra, ma solo il mio corpo che, indipendente dalla mia coscienza, reclamerà il suo agognato nutrimento.

Per l’esattezza non è sempre stato così, da giovane non ero obbligato a vagare nella notte in cerca delle mie vittime per procurarmi la sostanza all’origine dei miei tormenti. Perché dovete sapere che io oggi devo assorbire l’energia vitale dal sangue delle persone attraverso il contatto con la loro pelle, fino ad ammazzarle. Questa però è una cosa che si è manifestata a poco a poco col passare degli anni tanto che all’inizio non uccidevo le mie vittime, ma trasmettevo loro una specie di scossa elettrica e le lasciavo senza energie come se avessero appena corso una lunga maratona. Attualmente invece nessuno può salvarsi.

La prima volta è capitato per caso e il ricordo ancora mi tormenta. Avevo vent’anni, stavo baciando appassionatamente la mia ragazza e non mi sono neppure accorto di cosa stava succedendo. Solo quando l’ho sentita immobile fra le mie braccia ed ho visto il suo viso innaturalmente rilassato e sereno ho capito quello che era accaduto. Non potrò mai dimenticarlo. E’ stato allora che ho tentato il suicidio per la prima volta. Mi sono impiccato e sono rimasto appeso per il collo attendendo la morte, purtroppo inutilmente. Ci ho messo più di tre ore prima di riuscire a liberarmi.

Da allora il mio cuore è diventato come di pietra e non posso più permettermi di avere una relazione.

Ho anche rinunciato ad avere delle vere amicizie per paura di far del male alle persone che mi stanno vicino. Perciò vivo solo e occupo il mio tempo libero a leggere, guardare la TV, scrivere, come sto facendo adesso o a riflettere. Qualche volta passo le mie serate allo “Square’s Jazz Club” a bere birra ed ascoltare buona musica.

Spesso torno a pensare al suicidio, ma non è mai una decisione facile perché tutti i tentativi fatti fino ad oggi sono risultati vani e diventa ogni volta più difficile inventarne di nuovi. Immancabilmente lo sconforto che accompagna ogni fallimento è sempre unito ad un tremendo dolore fisico. Immagino che questa sia la punizione che il mio corpo mi infligge per farmi desistere e maledire l’averci provato ancora. Per questo ormai non ci provo quasi più.

Ricordo, come se fosse oggi, tutti i miei primi patetici sforzi di farla finita e quello che ne è seguito. Come ad esempio il mio terzo tentativo quando sono saltato giù dal cornicione di un palazzo ed ho sfondato il tetto di un camper parcheggiato in strada. Dopo qualche minuto mi sono ripreso dallo stordimento e, anche se tutto sofferente, sono uscito indenne dalla porta del pulmino come in un cartone animato di Willy il Coyote. Fortunatamente, data l’ora tarda, nessuno si è accorto dell’accaduto, però il dolore fisico è stato straziante e invece di attenuarsi è andato aumentando col passare del tempo torturandomi per quasi una settimana. E’ una cosa che non auguro a nessuno.

Per evitare di uccidere ho anche provato a rinchiudermi in modo da non poter raggiungere le mie vittime. Malauguratamente trovo sempre il modo di evadere perché, come vi ho già detto, quando la luna risplende piena non sono più responsabile dei miei comportamenti e vivo i miei atti come in un sogno dal quale mi risveglio solo dopo aver spento la sete di fluido vitale che mi assale.

A questo punto qualcuno potrebbe suggerirmi di rivolgermi alla polizia per farmi arrestare. Credete che non ci abbia provato? Il fatto è che non ci riesco; qualcosa, forse l’istinto di conservazione dell’animale che è in me, me lo impedisce e tutte le volte che tento di fare qualcosa del genere, mi risveglio il mattino dopo nel mio letto senza ricordarmi come ci sono arrivato. Sono però sicuro che nella notte un’altra vittima ha pagato il suo debito poiché ho sempre la netta sensazione che il mio corpo abbia acquisito nuovo vigore come dopo ogni mio delitto. E tutto ciò accade anche se non c’è la luna piena, per questo ho smesso di tentare.

Adesso avete capito perché io sono un vampiro? Perché sono intrappolato in questa vita che non ho desiderato? In quale sorta di incubo sono costretto a vivere? Quale condanna mi porto addosso? Io sono pericoloso e tutti coloro che mi stanno vicino corrono continuamente un pericolo mortale.

Voglio darvi ancora qualche indizio perché so che siete tuttora scettici. Non vi siete mai chiesti perché al giorno d’oggi tanta gente muore d’infarto? Nel passato non succedeva così spesso, non si è mai sentito dire che qualche personaggio della storia o quel tale condottiero siano morti per un colpo apoplettico. Giulio Cesare è morto accoltellato, Abramo Lincoln in seguito ad un attentato, qualcun altro impiccato, uno o due in battaglia, ma mai nessuno in seguito ad un attacco di cuore. Invece è questa la diagnosi che tutti i medici fanno ogni qual volta esaminano qualcuno che è stato aggredito da me o da uno come me. Se invece gli esami fossero più approfonditi, si scoprirebbe che i lividi delle vittime sono dovuti alle alterazioni della struttura delle cellule del sangue, perché un vampiro ne ha assorbito l’essenza vitale.

Invece, io so bene che la causa della morte di quelle persone è diversa, perciò il mio dubbio che esistano altri vampiri che vivono in mezzo agli umani è per me quasi una certezza. Ovviamente non posso esserne sicuro, anche se almeno una volta potrei averne incontrato uno.

E’ accaduto durante il mio nono tentativo di suicidio. Normalmente cerco sempre di non coinvolgere altre persone quando tento di suicidarmi, però ricordo che allora non fui abbastanza attento. Quella volta avevo scelto di schiantarmi con un’auto, lanciata a tutta velocità, contro la facciata di un edificio. Cercai con cura il posto adatto, poi attesi pazientemente che in strada non ci fosse nessuno e quando fu il momento ingranai la marcia e accelerai il più possibile. L’impatto contro il muro fu tremendo tanto che la vettura lo sfondò e, oltrepassata la parete, prima di fermarsi contro un altro ostacolo, travolse tutto quanto incontrò sulla sua strada trasformandosi in un groviglio inestricabile di lamiere, macerie e carne umana. Nessuno avrebbe potuto salvarsi da quello schianto tremendo. Nessuno a parte me.

I soccorsi impiegarono qualche ora per raggiungere la carcassa dell’automobile con me dentro per colpa dell’incendio, che si era sviluppato dopo la collisione, causato della taniche di benzina di cui avevo riempito l’abitacolo. In tutto rimasi imprigionato sette ore fra le lamiere fumanti. Quando mi estrassero feci finta di essere svenuto per non destare sospetti. Mentre mi caricavano velocemente su un’ambulanza vidi distintamente in mezzo al fumo che qualcuno si stava affannosamente liberando da sotto i detriti e, non notato da nessun altro, si allontanava barcollando dalla scena dell’incidente. Evidentemente quell’uomo si trovava all’interno del palazzo al momento dello scontro ed io lo avevo investito in pieno insieme a tutto il resto. Solo che nessuno sarebbe potuto sopravvivere ad un simile cataclisma. Nessuno tranne me o meglio nessun altro che non fosse come me. Nessuno tranne un altro vampiro.

La notte stessa scappai dall’ospedale presso il quale mi avevano ricoverato prima che qualcheduno cominciasse a fare troppe domande e soprattutto prima che riuscissero ad identificarmi.

Dopo di allora sono tornato più volte sul luogo del mio “incidente”, ma non sono mai più riuscito ad incontrare quella persona perché in fondo potrebbe essere chiunque e il suo volto sarebbe certamente uguale a quello di chicchessia. Un volto ordinario, insignificante che si guarda per un istante e si dimentica subito dopo, insomma un volto come il mio dietro al quale facilmente si nasconde la maschera di uno spietato vampiro.

Ho detto spietato poiché è possibile, anzi probabile che non tutti si facciamo gli scrupoli che io mi pongo e vivano con maggiore crudeltà la loro condizione di vampiri, fregandosene altamente delle loro vittime e del dolore provocato dalle proprie azioni.
A me invece riesce difficile far finta di niente e, per quanto i miei sforzi siano intensi, il mio carattere non mi permette di vivere come se niente fosse. Per fortuna la mia professione di scrittore di romanzi noir mi aiuta se non a dimenticare almeno a dar sfogo ai rimorsi che m’inseguono. In questo modo tra una Weizenbier ed  una scura Paulaner, nelle sere che passo allo Square’s Jazz Club, prendono vita le storie nelle quali infondo tutte le angosce che mi affliggono e, dato il loro successo, mi permettono se non di essere ricco almeno di vivere agiatamente.

Per questa ragione, mentre con mano tremante scrivo i miei racconti, il mio unico supplizio diventa contare i giorni che ancora mancano alla prossima luna piena, sperando che questa una sera possa finalmente smettere di sorgere e illudendomi, come se mai fosse possibile, che per un inganno dei sensi io stia vivendo in una visione e non nella realtà che mi circonda.  Così, intanto che rimugino queste cose, le trasfondo nei miei componimenti:

...la vita è il sogno e si confondono l’una nell’altro, senza che né l’una, né l’altro si possano distinguere con chiarezza, di modo che non si sappia mai con certezza, se si stia vivendo il sogno o la realtà.

Può ad esempio capitare di essersi trovati in un luogo o in una situazione e chiedersi a posteriori, se quello che si è vissuto, appartenga all’una o all’altro, senza tuttavia potersi pienamente fidare della risposta, non sapendo con chiarezza quale stato della consapevolezza, sogno o realtà, si stia vivendo in quel momento…

Scrivo cercando di ingannare me stesso e prego ogni giorno di avere la forza di non fare qualcosa di sbagliato, ma poi fatalmente, come sempre accade, una sera la luna sorge nuovamente sulla città e sul mio quartiere con le strade dai nomi di titoli di canzoni famose ed io non ho scelta, devo seguire il richiamo e scendere un’altra volta sul marciapiede di Bourbon Street.

Desidero avvertirvi che in quelle notti non mi sentirete arrivare, che alla luce della luna non potrete vedere i miei occhi scintillare sotto la tesa del cappello, né vi sarà possibile vedere la mia ombra o udire il suono dei miei passi. Io osserverò i vostri visi e sceglierò con cura e rapidità, poiché il mio impulso naturale non potrà essere a lungo represso e dovrò con urgenza soddisfare la mia sete.
Sappiate che sarò veloce e anche che, nel momento fatale dell’attacco, il mio non sarà comunque un ghigno di soddisfazione, quanto piuttosto il ringhio della bestia bramosa di poter finalmente raggiungere il proprio sospirato pasto.

Per questo ho scritto questa lettera, perché non ho altro mezzo per avvertirvi e cercare di mettere fine a questa follia. Spero ardentemente che non faccia la fine delle altre che ho scritto in passato e di avere la forza di farla avere a chi possa un giorno fermarmi. Dio voglia che possa essere letta presto.

Intanto però, nelle sere del plenilunio non fatevi notare, affrettate il vostro passo e siate cauti più che potete; dato che il pericolo potrebbe esservi vicino non soffermatevi ad ammirare le vetrine scintillanti, guardatevi attorno con circospezione e tuttavia, non illudetevi di essere al sicuro solo perché siete in compagnia. Io potrei osservarvi, trovare il momento giusto per colpire e per voi non ci sarà nulla da fare.
Per cui vi scongiuro, se desiderate vivere a lungo, seguite il mio consiglio, siate prudenti e soprattutto, nelle sere di luna piena, non passate a piedi per Bourbon Street.

New Orleans, 25 Aprile 2009                                      Alfred Joseph Lyon            

  
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