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Autore: The Custodian ofthe Doors    23/08/2016    2 recensioni
Come si definisce l'importanza di un eroe? Le sue sole imprese possono dirci quanto esso sia stato grande?
Dalle azioni di un uomo si delinea il suo successo ed il ricordo che il mondo terrà di lui, le folli gesta di chi è stato designato come eroe ed è destinato all'immortalità.
Loro non sono altro che mezzi eroi invece, nessuno li ricorderà mai, non saranno i protagonisti di leggende fantastiche e racconti mozzafiato, nessuna canzone verrà composta e cantata alla vivace fiamma di un falò nelle notti stellate, nessun bambino desidererà mai esser come loro, ripercorrere i passi di chi ha lottato, ha sofferto ed è morto come semplice soldato senza poi ricevere la corona d'alloro.
Perché loro erano lì, ma questo non conta.
Loro erano solo Mezzi Eroi e sempre tali sarebbero rimasti.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Half Heroes


16. Clarisse La Rue- La Guerra non finisce.


Quando era piccola, nella sua bella cameretta celeste, le storie di guerra erano solo fiabe della buona notte, in cui il soldato “sconfiggeva” il nemico, lo “mandava al tappeto”, ma non lo uccideva mai. Suo nonno era seduto sulla sua sedia a dondolo con il sigaro spento tra le labbra e le raccontava le sue avventure durante la guerra, quando era un ragazzino nella vecchia Europa nazista ed il mondo era grigio, ma dove alla fine arrivavano sempre i Ribelli, mai gli Alleati, e salvavano la situazione.
Aveva otto anni quando, per la prima volta, un soldato polacco morì per salvare una donna, la prima volta in cui la guerra portò via la vita di un uomo lo fece in modo coraggioso ed ammirevole, degno di un eroe. Il soldato sarebbe sempre stato ricordato da tutti per la sua azione e tanti ragazzi si sarebbero arruolati nell'esercito spinti dalla sua storia.
Aveva sempre otto anni quando suonarono alla porta di casa e lei andò ad aprire tranquilla: un marine in divisa di tutto punto voleva parlare con il Signor La Rue, Clarisse era sua nipote e il nonno non c'era, ma lei era brava a ricordare tutto e avrebbe riportato il messaggio. Quando il colonnello si era tolto il cappello, piegandosi sulle ginocchia, e le aveva chiesto sorpreso se non fosse la figlia di Vittoria, Clarisse aveva scoperto che la guerra non finiva sempre bene, che chi moriva non lo faceva solo per salvar innocenti, che il convoglio di sua madre era stato attaccato dai Ribelli che nei racconti del nonno erano buoni e che dopo ben quattro mesi Vittoria La Rue e la sua squadra erano dati per “dispersi in battaglia”, almeno quelli di cui non era stato recuperato il cadavere e tra questi non rientrava la sua mamma.
Quando il nonno era tornato Clarisse gli aveva chiesto com'erano davvero le guerre, cosa dovesse aspettarsi sul serio, de poteva sperare che sua madre ritrovasse la strada di casa.
Aveva otto anni, un nonno che con sguardo lontano le diceva tante verità che forse un bambino non dovrebbe sapere, una mamma dispersa ed un papà in missione e quindi al momento irrintracciabile.
Ne aveva compiuti nove da tre mesi quando un cargo riportò tanti soldati e suo padre in America – il suo vero papà, non gliene importava una mazza se non lo era per i dottori-, ne erano passati altri due prima che sua madre tornasse ammaccata, stanca ma viva, pochi giorni prima che scoprisse ancor di più com'era la guerra dalle stesse labbra che le baciavano la testa e le dicevano che andava tutto bene.
Quando ad undici era arrivata al Campo era convinta di avere una marcia in più degli altri, perché se Gleeson aveva ragione, sarebbe andata anche lei in missione prima o poi e a differenza degli altri già sapeva quanto fosse spietata la lotta per la vita.
A diciassette di era data della stupida silenziosamente, senza che nessuno lo sapesse tranne il nonno che le aveva dato ragione, perché col cazzo che lo sapeva com'era: un conto era sentirlo raccontare, un altro era viverlo. La Battaglia del Labirinto, la missione nel Labirinto e ancor prima quella nel Mare dei Mostri erano solo il preludio di una guerra che avrebbe lasciato solo fuoco, cenere, dolore e morte alle sue spalle; solo sangue e rimpianti tra le sue mani.
Clarisse aveva sempre amato la guerra, lo scontro fisico, il dolore del pugno quando impatta l'osso dello zigomo, il sapore ferroso del sangue sputato tra le bestemmie le imprecazioni e le promesse di più dolore di quanto non fosse umanamente possibile sostenere. Ma quando il ghiaccio si era sciolto ed era caduta a terra senza che nessuno la fermasse – Chris sapeva che le avrebbe prese se solo c'avesse provato- un senso di vuoto ed incompletezza l'aveva attanagliata, stretta sullo stomaco, come quando si trattiene il fiato nell'attesa di qualcosa. Cos'era successo? Avevano vinto? Si, ma a quale prezzo? Silena e Michael erano solo due dei centinaia di cadaveri di quel giorno, Marcus e Lara due dei suoi fratelli che solo lei era riuscita ad identificare nei pupazzi scheletrici e corrosi dall'acido che erano stati rinvenuti, l'unica a mettere fine alle speranze di chi li dava per dispersi da qualche parte a combattere ancora.
Non era riuscita neanche a piangere, non ne aveva avuto la forza.
Quando poi un lampo blu aveva colorato il cielo, aveva lasciato per un momento i cadaveri dei suoi compagni ed era salita sull'Olimpo. Ma neanche le lodi di suo padre erano servite a tanto, neanche la consapevolezza di essere la prima figlia di Ares ad aver ricevuto la benedizione del dio; poco dopo era di nuovo a vegliare quei corpi che non si sarebbero mai più alzati, a dire a Malcom che era stato un degno figlio di Atena; a dire a Will che sarebbe stato un ottimo capo-cabina, per Michael, per Lee; a curare in silenzio la mano bruciata dall'acido di Drew; a stringere quella di Chris. Sola pur in mezzo a tanti suoi compagni che non sapevano se festeggiare o disperarsi, sola con quello strano groviglio di sensazioni che non capiva, di aspettativa di non sapeva cosa.
Suo nonno le disse che doveva solo imparare a conviverci, che non si dimentica mai, ancor di più se gli orrori della guerra avevano coinvolto la tua gioventù, avevano intaccato con la realtà un mondo che doveva essere solo di sogni e futuro. Non avrebbe mai voluto questo, le disse in uno dei suoi rarissimi slanci di sentimentalismo, né per lei né per sua madre, perché la guerra è la medicina per un malato terminale, è la droga che non ti lascerà neanche dopo che ti sei disintossicato. Ma forse era anche colpa sua, per un figlio della guerra com'era lui era impossibile non contaminare anche la sua progenie.
Clarisse aveva pregato e solo Chris lo sapeva. Pregato in ginocchio, con le mani giunte ed il capo chino nel grande tempio del Campo, quando Jackson era comparso e lei sapeva che stava per arrivare un'altra guerra, che sarebbe giunta quando nessuno era ancora guarino se non, paradossalmente, chi era stato al centro di tutto e si era preso le peggio botte.
Aveva pregato perché non voleva scendere in guerra, non potevano reggere un altra guerra, che questa volta sarebbe stata più sanguinosa della precedente, che avrebbe fatto più male e coinvolto più persone, che lei se lo sentiva perché era figlia della guerra, ne era figlia tre volte e pure nipote, perché era l'unica che sapeva e non si illudeva che tutto sarebbe passato, che l'avrebbero dimenticato.
Forse era assurdo, ma Clarisse odiava aver ragione e lo odiava ancor di più se si trattava di guerre, perché su quelle neanche l'oracolo la batteva.
Ma, come ovvio, aveva ragione e la Guerra contro Gea, preannunciata dalla Grande Profezia dei Sette era arrivata in tutto il suo terrificante dolore ed aveva mietuto più vittime della precedente, aveva lasciato più ferite e le aveva lasciate più profonde. Non aveva fatto altro che affondare le unghie affilate su cicatrici ancora aperte o appena rimarginate, percorrendo quelle venature rosate e sputandoci sopra il suo veleno. Ovunque si girasse Clarisse vedeva morte e dolore, la guerra che danzava su note stonate di colpi e lamenti, la morte che accorreva da ogni dove ad afferrar corpi inermi, e ancora una volta, per assurdo, odiava la guerra con la stessa forza con cui l'agognava.
Voleva solo uccidere quanti più mostri, vendicare i caduti, sfogare la rabbia e la paura che per mesi l'avevano infettata, lei, la sua casa, la sua famiglia. Era una bestia che sente l'odore del sangue, un drogato in astinenza che scoppia alla disperata ricerca di una dose.
Non sarebbe mai finito, era un circolo che si sarebbe ripetuto per sempre.
Clarisse aveva diciannove anni appena compiuti quando l'esplosione sancisse la fine della guerra, di Leo Vandez, del sogno di Beckendorf, del drago, degli scontri tra Romani e Greci, della Profezia dei Sette, la fine di troppe cose, troppe vite, ma non di tutto, non abbastanza.
Aveva diciannove anni, tante ferite di cui una veramente brutta sull'addome, quando fu la prima a scavalcare le macerie e raggiungere Jason Grace mezzo morto, quando portò il suo corpo e quello di tanti altri feriti nell'ospedale da campo, quando un Will pallido, tremante, stanco e determinato le chiese come stava e lei rispose “incazzata e occupata”, quando il suo ragazzo la trovò tutta intera e avrebbe solo voluto baciarla, ma lei aveva appena preso dalle braccia di Thanatos un suo fratello, lo teneva in braccio malgrado pesasse il triplo di lei con tutta l'armatura e Clarisse non voleva parlare perché sapeva che se avesse aperto bocca lo avrebbe fatto solo per urlare e piangere disperata e non se lo può permettere, non ora, non davanti a tutti, non davanti a chi non ce l'ha fatta o non ce la farà più a breve.
Clarisse è l'unica che non usa le lettighe, che prende in braccio ogni corpo esanime per poter un attimo chinare la testa e chiedergli scusa per non averlo salvato, per dirgli che è stato un eroe e che verrà sempre ricordato, che lei lo farà, che non sarà un altro soldato polacco, che ora ci penserà lei ai suoi cari, sarà lei l'ufficiale in divisa a suonare alla porta di sua madre.
Lo fa per non pensare al dolore, per non doversi rendere conto davvero di quanti fratelli si sono trucidati tra di loro per non si sa quale motivo, per non pensare che i “dispersi” lo saranno per sempre, che domani tutti cercheranno di dimenticare, di soffocare il dolore, il rimpianto, la morte.
Gliele grida la Guerra tutte queste verità, mente Thanatos cerca di tappargli le orecchie con le mani sporche di sangue, mente Demios cerca di arrotolare tutti i fili che ha lanciato su quei ragazzi, di riprendersi il terrore il più velocemente possibile.
Clarisse è cresciuta con le storie di guerra come favole della buona notte, nessuno moriva ed i Ribelli, non gli Alleati, erano i buoni come i Jedi contro l'Impero. Aveva otto anni quando è morto il primo soldato, dal nome che sempre verrà ricordato, come un eroe. Sempre otto quando ha scoperto che non sempre i Ribelli sono buoni, che possono esserci “dispersi in battaglia”, che un ufficiale in divisa alla tua porta non è mai un buon segno e che neanche “i nostri ragazzi” sono sempre buoni, che loro sono i cattivi di qualcun altro. Aveva otto anni quando le era stato detto che poteva “sperare” ma che le speranze sono spesso vane. Ne aveva nove quando aveva scoperto com'erano le guerre, che si facevano troppo spesso -quasi sempre- per il potere e quasi mai per la pace, che i nomi dei soldati nessuno se li ricordava, che il soldato polacco era morto invano perché poi la donna era stata fucilata.
A undici credeva di sapere cosa l'aspettasse, a diciassette tutto era crollato nella spirale oscura del dolore ed aveva imparato che le guerre ti portano via tutto, anche la forza per piangere chi hai perso. Quella era l'età in cui aveva cominciato a capire la guerra.
I morti non l'avrebbero lasciata, neanche quando a diciotto anni la vita sembrava bloccata in uno stato di stallo, di stasi, che preannunciava la più rovinosa delle tempeste.
Clarisse aveva diciannove anni quando la sua odiosamente amata guerra aveva stretto di nuovo le mani attorno al suo collo cercando di soffocarla, quando aveva pensato che quella volta non ce l'avrebbe fatta e creduto che la lama entrata nel suo addome sarebbe stata quella fatale, la morte, il riposo del guerriero, la fine.
Ma era ancora viva, incapace di star ferma, obbligata a sfogare il tormento del suo animo burrascoso con la ricerca dei corpi, perché in pochi avrebbero sopportato il ritrovamento dell'ennesimo cadavere, perché solo lei l'avrebbe abbracciato e poi consegnato all'ultimo calore della pira, promettendogli di non dimenticarlo, di vivere anche per lui
Derideva chi sperava fosse tutto un sogno, lo faceva con l'ironia cinica e impietosa di chi soffre e sapeva già in precedenza che sarebbe successo, con la forza di chi è ferito e rinuncia alle cure perché ci sono cose più importanti da fare. Si faceva cieca allo sguardo triste di Chris, quello ferito dei suoi fratelli, quello preoccupato di Will ed andava avanti per cercare di non pensare all'orribile verità di cui sembrava l'unica tesoriera.
Clarisse aveva diciannove anni, tante cicatrici addosso quanti ricordi dolorosi, una ferita che sembrava essersi calmata da sola e non gli vomitava più sangue ad ogni movimento, un amico insopportabilmente stressante che le gridava che prima o poi anche lei si sarebbe dovuta far curare, un ragazzo preoccupato che sapeva essergli vicino, che comprendeva il suo dolore come solo un folle comprenderebbe un altro folle, dei fratelli che volevano già alzarsi dal letto, lo sguardo scintillante come il sangue e come l'aura che l'avvolgeva; un padre dio della Guerra, due genitori Marines ed un nonno con il sigaro spento che cercava di fargli capire com'era la guerra, la vita, senza farcela entrare.
Aveva una casa distrutta e tanti amici a cui dire addio, tanti nomi marchiati a fuoco nella testa e vergati d'inchiostro sul costato sinistro. Tanto, troppo, dolore per una persona sola e tanta, troppa, speranza che sapeva essere vana. Aveva un “milite ignoto” tatuato tra i nomi di tutti i suoi compagni caduti ed una terribile verità che, sperava con tutta se stessa, i suoi amici non avrebbero mai scoperto.
Perché la forte ed inarrestabile Clarisse dentro era solo frantumi, rimorso, testardaggine e dolore, ma una cosa l'aveva ormai accettata da anni: La Guerra non finisce.
Mai.




Salve lettore, è da un po' che non mi affaccio su questo “angolo autore”, ma di questo giro mi tocca farlo per esprimere al meglio ciò che ho provato a scrivere: Per prima cosa io adoro Clarisse, l'ho amata dalla prima riga che la citava, così, a buffo. Nella mia testa Clarisse è sempre stata figlia della guerra su tutti i fronti, anche nella sua famiglia mortale e anche se fa la dura e la strafottente sono convinto che sia di quelle persona che pensano troppo e parono la bocca per dire il contrario e far vedere a tutti che è forte. Sempre secondo la mia testa, Clarisse ha sofferto molto la morte di tutti quei ragazzi perché si sente in parte colpevole, sono morti per la guerra e la guerra è suo padre, e lei non è riuscita a proteggerli. In ultimo, me la immagino amica di Will perché...niente, sono diversi e mi fa ridere pensare che siano amici. Rifiuta le cure perché “è forte” e non le serve niente e Chris, povera anima, la segue in silenzio consapevole di non poter far nulla per aiutarla.
Oh, questa me la stavo dimenticando! Clarisse ha dei tatuaggi, ne ha tanti perché è una tosta che butta giù le porte a calci e rutta in faccia alla gente a sfreggio e tra i tanti, sul costato sinistro ha tutti i nomi dei ragazzi morti nelle battaglie e nelle missioni, tutti i suoi compagni, gli amici, per non dimenticare.
Detto ciò, ho finito davvero. Non so se questo è l'ultimo capitolo perché tecnicamente la storia è dedicata ai mezzi eroi e nella mia lista figurano un figlio di Efesto e una di Afrodite che però tutti ricordano come eroi, e quindi non so se possa infilarceli in mezzo, bha, e un certo figlio di Apollo che mi dicono dalla regia sia diventato piuttosto popolare e quindi, che ne so, lo reputate un mezzo-eroe come questi sedici, pardon, diciassette, sfigati?
Se ha qualche buon diavolo viene l'illuminazione divina, parli. O taccia, a discrezione sua. In qualunque caso, Yo lettore, alla prossima, forse.
TCotD.
   
 
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