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Autore: ten12    24/08/2016    1 recensioni
Curare qualsiasi malattia con un infusione. Ciò è possibile a Yharnam, la città dei Grandi Antichi e del sangue curativo, e stranieri da ogni dove giungono alla città dalle lunghe guglie portando con loro i propri demoni. Perciò sappi questo: a nessuno, a Yharnam, interessano gli orrori che hai commesso tu o quelli di qualunque altro viandante. Forse può sembrarti un bene fintantochè non arrivi durante una notte di caccia.
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La caduta di Yharnam'
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Gli facevano male i polmoni. Aveva difficoltà a respirare. Era una tortura piuttosto comune. Stavano andando leggeri con lui in fin dei conti. Testa sott'acqua fin quasi allo svenimento e poi fuori. Qualche secondo di boccheggiamenti e poi dinuovo a combattere per tenere i polmoni chiusi. "Smettila di pensarci" si disse. "Più ci pensi più il petto fa male". Perciò Finch si concentrò sul tramonto che intravedeva attraverso la piccola finestrella della cella rettangolare davanti a lui. Era steso sulla brandina nell'angolo. Cercò di rilassarsi e prendere sonno. Il polso sinistro era dolorante, pobabilmente mentre combatteva per liberarsi dalla stretta degli aguzzini si era storto. Il torpore iniziò a cullarlo. 
"Finch" la voce, debole e dolorante, veniva da destra. Finch spostò lo sguardo da quella parte. Gaenoph era per terra, con qualcosa che lo sosteneva e gli elevava leggermente il torace in avanti. Aveva una lama che gli spuntava dal petto. Le labbra esanimi ripetevano il suo nome senza emettere più suoni. Entrambe le mani erano serrate intorno alla lama ed il sangue bagnava tutti i vestiti dividendosi in mille rivoli lungo gli avambracci. Dalla punta della spada, che era rivolta verso l'alto, sgorgava copioso il liquido cremisi. Finch aprì gli occhi nel buio pesto della cella. La luce della luna entrava dalla finestrella. "Ti sei svegliato finalmente" disse una voce proveniente dall'altro lato delle sbarre. Per un millisecondo, l'attimo prima che il cervello registrasse la voce, Il cacciatore polveriera sperò che fosse Gaenoph. Passato l'attimo di trepidazione capì chi era.
 
A furia di rimanere in ginocchio su quel tetto si era addormentata, per l'ennesima volta, la gamba sinistra. Sbuffò e si massaggiò la coscia. Le ginocchia, diversamente dalla gamba, ormai non le sentiva proprio più. Posò il monocolo nella saccoccia ed osservò il cambio della guardia. Le sentinelle si rompevano le palle tanto quanto lui ad osservarle. Gaenoph guardò il sole e si appuntò l'ora. Il Lunarium, la torre orologio(e non solo) di Yharnam, non aveva rintoccato. Scrisse sul taccuino "tra le 18 e 45 e le 19". Era il terzo cambio della guardia solo durante quel pomeriggio. Era un problema serio. I cambi erano troppo veloci. Non avrebbe fatto in tempo a fare tutto che la sentinella successiva sarebbe subentrata ed avrebbe trovato la prima tramortita. Aveva fatto un paio di conti. Persino correndo avrebbe impiegato mezz'ora a raggiungere la zona in cui tenevano Finch e intorno ai dieci minuti a trovare la cella. Questo ipotizzando che le piante trovate fossero ancora valide e lui non si perdesse. Aveva bisogno di qualcuno che lo lasciasse entrare senza causare allarmi. Gli venne da ridere per quanto era grottesca l'unica opzione che aveva.
 
Jogo accarezzò la fronte del figlio. Un lenzuolo bianco copriva dal collo in giù nascondendo i tentativi fatti di tenerlo in vita. Sapeva cosa c'era sotto quel velo candido. Non mosse un dito, non inarcò un sopracciglio, non contrasse le palpebre per ricacciare le lacrime. Accarezzò la fronte del suo bambino in silenzio stigmatizzandosi per non essersi mosso prima. Il medico da campo, un cacciatore bianco, non era riuscito a chiudere gli occhi del ragazzo, che ora fissavano vuoti e dilatati verso l'alto. Jogo avrebbe giurato che, di tanto in tanto, quegli occhi gli tiravano sguardi di disapprovazione. Il comandante dei cacciatori della chiesa rimase fermo ad accarezzare la fronte del figlio per la mezz'ora che lo separava dall'inizio della notte della caccia. Mancava poco.
 
Non fu sicuro di aver ritrovato la strada fino a quando non vide il portone e il lampione. Yharnam è piena di vicoli ciechi. Gaenoph bussò gentilmente. Non era abituato a bussare, tendenzialmente c'era un maggiordomo dove andava. Stava per battere di nuovo le nocche sul portone laccato in noce quando sentì qualcosa che non gli piacque.
 
"Chi sei. Perché sei qui" chiese scontroso Finch. Lo sconosciuto stringeva tra le mani una bottiglia di sangue d'alce. Era seduto su uno sgabello che probabilmente aveva ricevuto da una guardia. Aveva un bicchiere nella mano sinistra e la schiena appoggiata al muro. Era vestito con un cappotto lungo simile ad un impermeabile ed un cilindro era posato in basso a destra. Portava delle scarpe eleganti e pantaloni neri lunghi in tessuto fine. "Se le guardie te lo chiedono io sono tuo nipote" disse il visitatore con un sorriso e visibilmente brillo "Ho i miei dubbi" rispose freddo il cacciatore polveriera. Il visitatore, quasi sicuramente un sognatore, smise di sorridere e si ingrugni. "Ho capito. Be, se la cosa ti tira su di morale, non c'era niente di personale. Era solo per il denaro"
 
Viggo non voleva guardare. Hilda, legata ed imbavagliata sulla sedia accanto alla sua, aveva smesso di rantolare. Viggo voleva piangere ma non aveva più lacrime ne voce. Aveva smesso persino di sputare il fazzoletto che l'aggressore si divertiva sadicamente a ficcargli nuovamente in gola. "Te lo chiedo ancora e se non mi rispondi in modo soddisfacente comincio a lavorarmi la tua gamba destra" disse l'assassino con la sua voce limpida e piena. Era vestito come un nobile: camicia, con merletti al posto del colletto, corpetto come secondo strato e per terzo una giacca color zaffiro con sopra una fantasia floreale. Sembravano gigli. I pantaloni invece erano braghe leggermente larghe sulla coscia e aderenti sul polpaccio. Una finta coda di cavallo come tocco finale. Un classico dell'aristocrazia. Viggo aprì gli occhi. Gaenoph era in piedi alle spalle del "nobile" assassino senza che questi se ne fosse accorto e guardava con tristezza il volto immobile, esangue e disperato di Hilda. L'aggressore, chino su Viggo, aveva il volto a pochi centimetri da quello del capitano della ronda. "Hai capito cosa ho detto plebeo?" Viggo lo fissò di rimando, silenzioso. Alla fine disse "Si ho capito. Non lo ammazzare per favore".
   
 
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