Serie TV > The 100
Segui la storia  |       
Autore: Clexa_XXX    25/08/2016    6 recensioni
Clexa!Au [ Mini Long 2/4]
Lexa e Clarke sono sposate da due anni e stanno insieme da nove. Sono felici e si amano, ragione per cui Clarke sente il bisogno di passare allo step successivo: avere un bambino. Ma cosa succede se Lexa, invece, non si sente ancora pronta a questo grande passo?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 
I love you. Isn't that enough?
 
 
 
 
Capitolo I
 
 Cene con gli amici e discussioni non troppo prolifiche.
 
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
 
 
Era una calda Domenica di Settembre.
L'orologio segnava poco più delle undici e l'aria fresca di Chicago refrigerava l'afosità di quella sera di fine estate. La finestra del soggiorno spalancata sul terrazzino dell'appartamento non faceva che confermare quanto quel pomeriggio, come d'altronde quasi tutti i giorni da un mese a quella parte, fosse stato caldo. A quell'altezza, più o meno il quinto piano, un leggero venticello però faceva svolazzare la leggera tenda del salone.
Casa Griffin-Woods , così come in ogni circostanza, appariva grande e spaziosa. Accanto al muro quattro scaffali , dove più che altro si trovavano libri di Lexa di ogni forma e dimensione, componevano il semicerchio della stanza, nel quale, al centro, si trovava il divanetto a tre posti color panna e la piccola poltrona pouf, posta a terra, poco più avanti, sul tappeto bianco e nero.
Dall'altra parte della stanza, oltre a diverse mensole sparse qui e là, più che altro adornate da qualche foto e ricordo di viaggio, l'immancabile set da disegno di Clarke, che , nonostante avesse una stanza vera e propria da dedicare alla sua passione, era più che solita a lasciare le sue cose sparse per l'intera casa. Nell'angolo, oltre ad un'adorabile piantina dalle foglie verdi e brillanti, un orologio a pendolo dai motivi antichi. Da quelle parti, a qualche metro da terra, appesa alla parete, si trovava la foto del matrimonio. Era grande e circondata da una cornice dorata. Per il resto, le pareti erano abbellite da dipinti, qui e là, tutti opera della bionda, ovviamente.Al centro della stanza , appena sulla destra, il grande tavolo in legno era quella sera circondato da cinque persone, sei se un piccolo esserino di appena cinque mesi potesse essere contato.
Era una delle loro solite serate, quelle in cui si ritrovavano a bere e chiacchierare. Anni prima praticamente si ripetevano più volte a settimana, poi solo nei Week-end con l'aumento dei turni di lavoro. Ora che Octavia e Lincoln erano diventati genitori, quelle serate erano diventate oro puro. Non si vedevano, praticamente, da quasi due settimane.
Avevano mangiato molto bene, d'altronde aveva cucinato Lexa, anche se non troppo contenta di farlo, e soprattutto per un'intera squadra di calcio. Ma non era certo facile dire no al pasticcio di pollo della mora.
Per questo , ora, se ne stavano appollaiati ai loro posti, rigenerati da quell'aria fresca proveniente dall'esterno e con lo stomaco che brontolava.
Octavia , per l'appunto, stava seduta in avanti, all'estremità della sedia, fra le braccia un piccolo fagottino dalla pelle olivastra e gli occhi , solitamente color nocciola, chiusi. Gli accarezzava i capelli , ancora radi e di un colore scuro, cullandosi sul posto, ormai in un gesto automatico. Per oltre un'ora , dopo la poppata serale, aveva cercato di far addormentare il piccolo Thomas Forrest, ma solo da dieci minuti il bebè aveva smesso di emettere lamenti e si era effettivamente appisolato.
Al suo fianco suo marito Lincoln aveva un braccio intorno alla sua spalla, con un dito si sfiorava le punte dei capelli neri, legati in una coda alta.
“Credo siano 2 mesi che non facciamo una dormita che possa essere definita tale” commentò la donna, osservando il bambino con sguardo grave, anche se non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un dolce sorriso.
“Sembra che sappia perfettamente quando stiamo per andare a dormire. Praticamente scatta come una molla” aagiunse Lincoln, con un largo sorriso sulle labbra, ancora giocando con i capelli della moglie.
Clarke, dall'altra parte del tavolo, in una postura tutt'altro che corretta, sedeva di lato, con le gambe poste sopra alle ginocchia di Lexa, alla sua destra. Guardò il bambino con aria sognante “Ma guardate che faccino, come potreste non perdonarglielo?”
Octavia roteò gli occhi “Certo, Griff, facile parlare con una buona dormita alle spalle. Torneremo sulla cosa quando avrai sonno, le tue palpebre chiederanno pietà, ma questo faccino griderà come un pazzo”
Lexa sorrise sotto i baffi alla smorfia che fece Lincoln, in accordo con le parole di Octavia.
Anya , a capotavola, proprio accanto a suo cugino, modellò le labbra in un sorriso a labbra strette “Volete davvero dirmi che non c'è un bottone per spegnere quel bel marmocchio?”
“Se esistesse, Anya, Maggie l'avrebbe usato molto tempo fa con te” Lexa stuzzicò la sorella maggiore, rivolgendo uno sguardo di approvazione a Lincoln. La ragazza era leggermente distante dal tavolo, i gomiti appoggiati sulle gambe di Clarke, mentre le loro mani erano allacciate una all'altra. Il pollice di Lexa stuzzicava in piccoli movimenti l'unghia dell'indice di Clarke, prima sfiorandolo e poi accarezzandolo.
Lincoln, così in realtà come anche Clarke e Octavia, seguì Lexa in quella risata. Gli scherzi fra i tre erano all'ordine del gioco, anche se di solito, l'artefice ne era soprattutto Anya. Era lei , fra i tre, quella che prendeva di mira il cugino o la sorella minore.
“Molto divertente, piccola stronza” commentò Anya, alzando le spalle “Scusa tanto, se non sono io la preferita di mamma”
“Questo è vero” Lincoln intervenne e diede una pacca sulla spalla ad Anya “Qui l'unica cocca di zia Maggie sappiamo tutti essere Lexa”
Lexa scosse la testa, alle risate dei presenti che si moltiplicarono. Clarke , accanto a lei, la sfiorò con sguardo apprensivo, conoscendo a memoria l'espressione infastidita che colorò il viso della moglie.
“Clarke, vuoi davvero fare felice tua suocera?” continuò Anya, ridendo “Datevi da fare e rendetela nonna un'altra volta”
Lincoln alzò le braccia “Un nipote dalla nostra Lexie? Sarebbe un perfetto regalo di Natale, pensateci, non manca molto a Dicembre”
Clarke rise, così come Octavia. L'unica che non era molto divertita era la diretta interessata. Era abituata alle prese in giro per essere la “preferita” di Maggie, anche se non era affatto vero. Maggie era la madre biologica di Anya, sua madre adottiva e la zia di Lincoln e li aveva accuditi, amati e coccolati allo stesso modo fin dall'infanzia. L'unica differenza era che l'essere piuttosto chiusa e taciturna, aveva posto Lexa al centro delle preoccupazioni di Maggie, al contrario degli espansivi Anya e Lincoln.
“Fatela finita” tagliò corto Lexa, sentì gli occhi azzurri di Clarke addosso. Le accarezzò ancora la mano “Non è divertente”
“Scusa Lex, in realtà lo è”
Lexa socchiuse gli occhi “Sempre la stessa storia da quando abbiamo dieci anni. No, Linc, credimi, non lo è più”
Clarke rise ancora, piegando di lato la testa, le lasciò un piccolo bacio sulla guancia, all'angolo della bocca “Non lo è per te, perché sei tu quella presa in giro”
“Tu non dovresti stare dalla mia parte?” commentò Lexa, fingendosi infastidita. Clarke sorrise ancora, spingendola verso di sè e rafforzando la stretta delle loro mani, tirò fuori il labbro inferiore, in un espressione di tenerezza, per farsi perdonare. Lexa borbottò qualcosa sottovoce, scuotendo la testa.
“In salute e in malattia...” recità Octavia a quella scena, lanciando un'occhiata a Lincoln.
“Beh, non ricordo vengano citate le prese in giro da parte della sorella stronza” la interruppe Clarke, ricevendo una gomitata da Lexa, ma un segno di grande approvazione da Anya. La bionda le schiacciò l'occhio, appoggiando i gomiti sul tavolo davanti a lei “Finalmente, dopo nove anni, inizi a piacermi Clarke Griffin”
 
____________
 
Nella camera di Lexa e Clarke, la luce accesa della abajur illuminava il letto matrimoniale, nel quale il piccolo Thomas era sdraiato a pancia all'aria. Questa volta gli occhi erano spalancati, osservavano il soffitto, mentre i pugnetti chiusi si muovevano avanti e indietro. Un sorriso gli colorò le labbra, quando Clarke , seduta accanto a lui, si portò le mani davanti agli occhi e poi le scostò, di scatto, facendo la linguaccia.
La bionda sorrise a sua volta a quella reazione, portò una mano al pancino del bambino, muovendo le dita per fargli il solletico. Il piccolo rise di gusto, muovendo i pugni ancora una volta, ma più energicamente.
Clarke lo osservò ancora. Era diventata “zia” da ormai cinque mesi e non passava giorno in cui non si innamorasse un po' di più di quell'adorabile pargoletto. Le erano sempre piaciuti i bambini, ma negli ultimi mesi sentiva sempre un sorriso spontaneo, quando ne vedeva uno. E anche un po' di invidia, in effetti.
D'un tratto il telefono di Octavia, che si trovava alle sue spalle, alle prese con pannoloni e salviettine, squillò, facendola sbuffare sonoramente.
“Puoi cambiarlo tu, Clarke? Sto cercando il d-dannato cellulare e...” le chiese Octavia, era intenta a rovistare dentro la sua borsa, così piena di cose, da renderle quell'operazione impossibile. Imprecò appena, poi, finché non riuscì a trovarlo e a tirarlo fuori.
Clarke annuì, ovviamente, mettendosi in piedi davanti a Thomas. Sentì i passi di Octavia, uscire dalla stanza alle sue spalle e si voltò, per prendere il borsone nel quale la sua amica doveva aver lasciato i pannoloni. Lì trovò , poco dopo, ritornando ad accarezzare il bambino che, nel vederla di nuovo, rise ancora di gusto.
“Vieni con la zia Clarke, forza” sospirò, tirandolo verso di sé per le gambine con estrema delicatezza. Thomas emise un piccolo gemito e si portò le manine alla bocca, mentre Clarke gli slacciava i lacci laterali del pannolino. Effettuò tutte le operazioni necessarie, prima con le salviettine umidificate e poi con il nuovo pannolone, con estrema disinvoltura. Ricordava ancora la prima volta in cui Octavia le aveva insegnato, in realtà anche lei un po' impacciata, cercando di farle capire quale fosse la parte posteriore e quella anteriore. In quel mesi, però, aveva fatto pratica e si definiva una zia eccezionale. La migliore , visto la concorrenza: Anya... che beh, era Anya, Bellamy e Raven che abitavano rispettivamente a New York e a San Francisco, e Lexa. Non sapeva bene come definire Lexa, perché , in realtà, non era mai stata una grande amante dei bambini. Di sicuro gli voleva bene, era il figlio di Lincoln, una delle persone più importanti della sua vita, ma non si era mai davvero relazionata con lui. L'aveva tenuto in braccio soltanto una volta probabilmente, per circa cinque minuti e poi l'aveva subito restituito a Clarke, non appena aveva potuto. Era come si sentisse a disagio, in realtà. Ed era strano, perché aldilà della corazza esteriore che Lexa costruiva, era la persona più dolce che Clarke conoscesse la mondo.
Una volta finito, Clarke si sedette ancora una volta sul letto, questa volta prendendo fra le braccia il piccolo Thomas. Lo tirò su per la ascelle, poi appoggiandolo sulle sue ginocchia. Il bambino teneva ancora le mani alla bocca, ma questa volta succhiandosi avidamente il pollice destro. Clarke gli accarezzò dolcemente la testa, lasciandovi anche un piccolo bacio “ Sei l'ometto più bello dell'intera Chicago, sai?” sussurrò piano, al suo orecchio “E non lo dico solo perché sono la tua zia preferita”
Restò ad osservare le semplici mosse del bambino per diversi minuti. E , per l'ennesima volta, lo realizzò.
Le sarebbe piaciuto più di ogni altra cosa, diventare mamma.Era sempre stato nei suoi piani, ma ora.. beh, ne sentiva quasi il bisogno fisico. In fondo, aveva quasi ventisette anni
In quel momento, Octavia rientrò nella stanza, prendendola alla sprovvista. Clarke quasi sobbalzò, immersa nei suoi pensieri, stava ancora accarezzando Thomas, mordendosi il labbro inferiore con gli incisivi.
“Era l'ospedale. Mi hanno cambiato il turno, domani” Octavia le si sedette accanto, scostandosi i capelli dal viso. Erano al primo anno da specializzande, in uno degli ospedali di Chicago ed era piuttosto faticoso. Per tutti gli anni precedenti di duro studio avevano creduto che la parte peggiore fosse passata, una volta sul campo. Beh, lavorare effettivamente in ospedale era decisamente più stancante. Più eccitante , certo, ma decisamente molto più provante della pura e semplice teoria.
Clarke annuì piano, ancora avvolta in quei pensieri. Octavia sorrise, accarezzò il piedino nudo del figlio, che si muoveva qui e là, ogni tanto. Osservò l'amica, tirando su con il naso “Dovresti chiederlo a Lexa. Dovreste parlarne”
“Come?” chiese Clarke, presa alla sprovvista.
“Di avere un bambino. Di adottarne uno” rispose Octavia, alzando un sopracciglio, come se fosse ovvio. La bionda non provò neanche a negare, semplicemente si limitò ad un piccolo sorriso, non stupendosi di come la sua migliore amica le leggesse nel pensiero. Si leccò le labbra, alzando lo sguardo verso la porta, da dove provenivano i rumori delle altre stanze, in cui Lexa, Anya e Lincoln ancora si trovavano.
Mai come in quel momento, Clarke sentì il desiderio di farlo davvero. Non ne aveva mai avuto il coraggio, perché se n'era sentita sempre un po' impaurita. Il lavoro, le spese, il sentirsi sempre un po' piccoli e impreparati.
Ma ora, Lexa lavorava da quasi un anno per un giornale, piccolo e poco conosciuto, ma del quale era praticamente una delle articoliste di punta . Clarke , invece, era una specializzanda, certo, ma aveva una paga per lo meno. Erano sposate da quasi due anni, si conoscevano da nove. Poteva essere il momento giusto, doveva esserlo.
“Penso che lo farò” rispose all'amica e un sorriso le nacque sulla labbra. Sentì il petto gonfiarsi da quell'eccitazione “Gliene parlerò”
Octavia sorrise entusiasta, avvicinandosi accarezzò Thomas, così come Clarke stava continuando a fare. Poi le schiacciò l'occhio, dandole una leggera gomitata “Non vedo l'ora di diventare zia, Griff”
 
 
 
___________
 
Clarke e Lexa si erano conosciute al College “Polis” di Chicago. Il primo anno, il primo giorno, si erano viste di sfuggita, fuori dalle loro camere del dormitorio, che si trovavano a poche porte di distanza. Lexa aveva un singola, Clarke una tripla, insieme alle sue migliori amiche, Octavia e Raven.
Era stato come un colpo di fulmine, il modo in cui i loro occhi si erano inevitabilmente scontrati, rifiutati in primo momento, ma cercati in quello immediatamente successivo.
Avevano scoperto , poi, nei giorni seguenti che frequentavano lo stesso corso di fotografia. Il destino, forse, ci aveva messo la zampino. Fatto sta che avevano iniziato ad uscire di lì a poco. Si erano scambiate il loro primo bacio davanti ad un film in bianco e nero, in un vecchio cinema all'aperto, al loro primo vero appuntamento. E, da quel momento, non si erano più lasciate. Erano divenute inseparabili, nonostante fossero diverse e provenissero da due città differenti come Chicago e New York. Nonostante Lexa fosse sempre stata taciturna , mentre Clarke parlasse sempre un po' troppo. Nonostante Lexa fosse maniacalmente ordinata, mentre Clarke in completo disastro.
Passavano le serate davanti a Netflix o passeggiando al lago, che si trovava appena fuori dal campus. Lexa lavorava in un cinema per aiutare Maggie a pagarle il college e Clarke spesso le faceva compagnia dietro al bancone, quasi facendola licenziare, quando la corrompeva per ottenere popcorn e caramelle gommose all'arancia gratis. La parte migliore delle loro serate , però, era il sushi. Lexa ne era sempre stata una grande fan e l'aveva fatto scoprire all'altra, che , sebbene fosse un po' scettica sul nascere, se n'era completamente innamorata. Così, anche a tarda notte, spesso si ritrovavano a cercare un ristorante, piccolo o grande che fosse, che potesse saziare i loro appetiti.
Per il loro primo Natale, Clarke aveva regalato un piccolo maialino di peluches rosa a Lexa, mentre Lexa le aveva preso un set da disegno completo, spendendo metà dei suoi risparmi.
Nel Marzo Clarke aveva conosciuto Maggie, la madre adottiva di Lexa, e aveva visitato la loro libreria a gestione familiare da generazioni, in cui la mora aveva imparato ad amare la letteratura e aveva passato metà della sua infanzia. Due mesi dopo, all'inizio della pausa estiva, era stata la mora a raggiungere New York e conoscere Abby Griffin e Marc , il patrigno di Clarke. La donna non era stata particolarmente entusiasta di quel rapporto, anche se con il tempo Marc era riuscito a convincerla ad apprezzare la fidanzata della figlia.
La loro prima gita, sempre quell'estate, era stata con la macchina con la macchina di Abby, concessa con non poche difficoltà, con la quale erano arrivate fino alla California. Si erano fermate vicino a Long Beach, in una camera d'albergo decisamente scadente, con un solo letto singolo, che comunque era bastato alle due.
Litigavano spesso, era una caratteristica del loro rapporto, nonostante fossero piccole dispute, dati da due caratteri fondamentalmente molto orgogliosi.Quasi sempre quelle liti iniziavano e finivano qualche minuto dopo, con baci e carezze a sancire la pace.
L'unico vero e proprio periodo nero fu al terzo anno. I voti di Lexa erano insipiegabilmente calati e come risposta la ragazza si era immersa nei libri. Cosa che , inevitabilmente aveva tolto molto tempo al tempo insieme. Un 'incomprensione aveva tirato l'altra e le due a fine Maggio, avevano definitivamente rotto. Una decisione che aveva ferito entrambe, presa da Clarke, ma che aveva portato Lexa, due mesi dopo, a riavvicinarsi alla vecchia fiamma del liceo, Costia.
Ma , naturalmente, non ci era voluto molto, prima che le due facessero pace e tornassero insieme, per non lasciarsi più.
Dopo la laurea, si erano trasferite a Chicago, nello stesso appartamento, in periferia, dove Clarke aveva inziato la scuola di medicina, mentre Lexa una scuola per giornalisti. Non era certo una reggia, ma negli anni l'avevano resa speciale, aggiungendovi particolari che l'aveva resa completamente loro. Inoltre Clarke aveva iniziato a vedere i suoi quadri, Lexa a lavorare in una tavola calda in periferia per arrotondare le spese.
Due anni dopo, dopo cinque anni dal loro primo bacio, Lexa le aveva chiesto di sposarla, Clarke aveva detto sì. Lexa era diventata una giornalista, proprio come aveva sempre desiderato, Clarke un chirurgo, come sua madre.
Il loro rapporto , in tutti quegli anni, non era cambiato di una virgola. Litigavano, ma bastava un sorriso per perdonarsi. Bastava uno sguardo, per capire quello che l'altra stava pensando.Anche con la madre di Clarke, le cose si erano più o meno sistemate. Si poteva dire che Lexa quasi stesse simpatica ad Abby.
Non c'era nulla, nei loro pensieri, o in quella dei loro amici, che potesse far pensare ad un mondo in cui Lexa e Clarke non stessero insieme.
 
 
_____________
 
Erano quasi le due, quando , finito di sparecchiare e di riordinare la casa, Clarke poté finalmente infilarsi sotto le coperte, dal suo lato del letto, il sinistro. Sentiva ogni fibra del suo corpo tesa, mentre seduta con la schiena contro la spalliera, infilava le dita fra le ciocche dei capelli, a creare una lunga treccia. L'aveva fatta e risfatta almeno tre volte, ma almeno questo la aiutava a calmare i nervi. Eppure non vedeva l'ora di parlare con Lexa, di esprimerle finalmente quel desiderio, di condividere quella gioia con lei.
Lexa era sotto la doccia, Clarke poteva sentire l'acqua scrociare a terra. Di solito ci metteva almeno mezz'ora, perché per la mora la doccia era quasi un'ossessione. Era una sorta di oasi felice, dove si rilassava, dove abbandonava ogni stress della giornata trascorsa. Glielo ripeteva sempre, quando erano in ritardo e lei ci impiegava un'eternità.
Quella sera , però, in una tortura lenta e dolorosa, Lexa uscì dal bagno in meno di un quarto d'ora. Si presentò nella camera da letto con solo un'asciugamano bianco legato all'altezza petto, i capelli mori legati in una coda bassa. Clarke ancora stava cercando le parole giuste che avrebbe voluto usare, quando la vide e deglutì nervosamente.
Lexa le rivolse uno sguardo distratto, stupendosi di quella reazione, ma non indagando. Aprì il cassettone, prendendovi la biancheria e poi ne aprì un'altro, dove si trovava una semplice t-shirt bianca e dei lunghi pantaloni a quadrettoni, che utilizzava come pigiama.
“Mi hanno cambiato il turno all'ospedale con quello di Octavia, domani mattina sono libera” disse Clarke, giusto per riempire quel silenzio, mentre Lexa lasciava cadere a terra l'asciugamano. La bionda osservò le curve del suo corpo nudo, che conosceva a memoria, non smettendosi di mordersi il labbro inferiore.
Lexa , dopo aver allacciato il reggiseno, si voltò nella sua direzione, ora solo in intimo “Starò attenta a non svegliarti” le rispose, rivolgendole un sorriso. Lexa non sorrideva a tutti, anzi, di solito era difficile guadagnarsi un suo sorriso, ma per Clarke era diverso. Sorridere a Clarke, per Lexa, era totalmente una storia diversa... semplicemente, era naturale.
Clarke annuì. Osservò ancora il corpo della donna, mentre infilava gli ultimi indumenti e si scioglieva la coda, lasciando i capelli mossi liberi sulle spalle. Ancora non le tolse gli occhi di dosso, quando si infilò sotto le coperte con un piccolo balzello, al suo fianco.
“Era davvero tanto che non ci vedevamo come ai vecchi tempi” Clarke parlò in automatico, mentre allungava il braccio nella sua direzione. Le sfiorò il dorso della mano, con la punta dell'indice. Lexa annuì, stringendo le dita di Clarke “ Octavia e Linc sono sempre molto occupati”
“Beh, hanno un figlio” considerò Clarke, cercando , in qualche modo, di pronunciare quella parola. Figlio. La guardò, nei suoi occhi verdi, ma Lexa non sembrava nemmeno aver sentito. Si era avvicinata e con le labbra le aveva sfiorato il collo, con estrema lentezza. Le lasciò un bacio, che quasi sembrò un succhiotto, ma poi salì lentamente, lasciando una scia umida di piccoli baci, fino al suo orecchio.
Clarke sentì il suo autocontrollo vacillare, quando l'odore del bagnoschiuma preferito di Lexa le invase le narici e l'altra si lasciò andare ad un sospiro, al suo orecchio. Ma avrebbero dovuto rimandare il sesso a dopo, almeno a dopo che lei le avesse parlato, come si era prefissata poco prima.
Le labbra di Lexa si era spostate lungo la mascella, ora alle sue labbra, rilasciandole un casto bacio a stampo. Clarke ansimò appena, quando una delle mani della mora le sfiorò la coscia.
“Lex'...” sospirò, cercando ancora di mantenere il controllo. Ma la ragazza non la ascoltò ancora o , almeno, prese quello come un gemito di piacere. Perché nell'istante successivo rese quel bacio più profondo, permettendo alle loro lingue di toccarsi e alla mano di entrare all'interno dei suoi pantaloni. Le dita di Lexa si muovevano con lentezza, ma , come la solito, con estrema maestria. La sfiorava, appena, ma la faceva impazzire ad ogni minimo tocco.
Lexa fece poi pressione sul braccio sinistro, per permettersi di alzarsi e salire a cavalcioni su Clarke. Quello fu il campanello di allarme per la bionda, per decidersi a fermarsi, prima che accadesse l'inevitable.
“No, Lexa, aspetta...” mormorò, allontanando le loro bocche da quel bacio.
Lexa la guardò leggermente confusa. Si rimise al suo posto, ma non le lasciò la mano “Va tutto bene?” domandò, aggrottando le sopracciglia.
“S-sì” rispose subito la ragazza “D-devo solo parlarti di una cosa importante”
Lexa non sembrò rilassarsi affatto. Abozzò un sorriso, però, nonostante le sue spalle rimasero tese “Devo preoccuparmi?” domandò.
Clarke prese un sospiro a pieni polmoni. Strinse la mano di Lexa, le rivolse uno sguardo veloce, disegnando piccoli semicerchi sul suo palmo.
“No,è una cosa...” prese una pausa “...bella”
Questa volta Lexa sembrò davvero incuriosita “Di cosa si tratta?”
Clarke osservò la ragazza negli occhi. Quegli occhi verdi di cui si era pazzamente innamorata quando aveva diciotto anni e che ancora non riusciva a guardare senza sentirsi maledettamente fortunata. Perché quegli occhi, guardavano lei, come non guardavano nessun altro al mondo. Si sentì subito meglio a quel pensiero, nulla poteva davvero andare storto, pensò. Non con Lexa. Prese finalmente il coraggio di parlare, con decisione.
“Stavo pensando che stiamo insieme da tanto tempo, siamo sposate ci amiamo e... ” disse, con una velocità così elevata da poter distinguere le parole a malapena “... E che potremmo pensare a ...” deglutì, vide Lexa stringere le labbra, forse capì proprio in quel momento, in quei tre secondi precedenti, cosa volesse dire “ ...ad avere un bambino”
Lexa rimase in silenzio, semplicemente. Lasciò la presa sulla mano di Clarke con uno scatto, questa volta fu lei a deglutire.
“So che è un passo importante, che è una cosa grande, insomma... diventare genitori” continuò Clarke, non ottendendo una vera e propria reazione dall'altra “Ma siamo sposate da due anni, stiamo insieme da otto e potremmo passare allo step successivo. Vorrei davvero, davvero... essere mamma, insieme a te”
Lexa deglutì ancora. Si sistemò leggermente sul posto, sbattè le palpebre, ma non aprì bocca. I capelli mori le ricadevano in maniera disordinata davanti al viso, che era diventato di un colorito roseo. Passarono lunghi istanti. Clarke sentì il petto stringersi a quella reazione “Non dici nulla?”
“Non ne abbiamo mai parlato, Clarke”
“Ne stiamo parlando adesso”
“Ora non conta, se li vuoi nell'immediato futuro” il tono di Lexa sembrò duro. La distanza fra le due , in quel momento, era di qualche centimetro, così in contrasto con la vicinanza di qualche secondo prima.
Clarke si grattò la testa. Tutto il nervosismo positivo accomulato prima, era diventato negativo. Non era più accompagnato da eccitazione, l'eccitazione di condividere quel desiderio enorme e bellissimo con la donna della sua vita. Era diventato frustrazione, quasi rabbia, per quell'indifferenza, quel muro che Lexa aveva costruito non appena le aveva detto quelle parole.
Passarono minuti interminabili, senza che nessuna delle due dicesse nulla.
“Puoi dire qualcosa o vuoi giocare tutta la notte al gioco del silenzio, Lexa?” chiese, ora Clarke spazientita.
Lexa incrociò le braccia al petto, strinse la mascella “Cosa dovrei dirti?”
“Cosa ne pensi, magari. Perché ti sei irrigidita così, solo al pensiero di avere un figlio con me”
La mora scosse la testa vistosamente. Si stava raggomitando sempre più su sé stessa, con le ginocchia raccolte e vicine al petto. Clarke aspettò invano una sua risposta, che non arrivò, Lexa sembrava completamente nel panico, completamente fuori di sé. Raramente Clarke l'aveva vista così.
Provò ad avvicinarsi, le posò una mano sulla spalla. Non doveva innervosirsi o avrebbe peggiorato quella situazione.
“Lex', lo capisco che è un passo importante. Però pensa ad un bambino, nostro, nostro figlio” le accarezzò la guancia e la sentì respirare più affannosamente “ Siamo giovani e ...”
“No, non è il momento giusto” mormorò Lexa , alla fine, interrompendo le parole di Clarke. Sembrava lo ripetesse a sé stessa, oltre che all'altra.
“Perchè, no?”
“Perché nessuna delle due ha un vero lavoro, ad esempio. Tu sei una specializzanda, io lavoro in un giornale che potrebbe chiudere da un momento all'altro, dato il numero di lettori all'attivo. Un bambino costa un patrimonio e non abbiamo tutti quei soldi. P-perché non abbiamo una casa o … u-un'auto adeguata. E poi...”
Clarke sentì la rabbia davvero divamparle all'interno , adesso. Era tornata la Lexa di sempre, quella razionale, quella che lascia spazio soltanto alla testa. Non sembrava più spaventata, come poco prima, sembrava soltanto decisa.
“Sono stronzate” Clarke si portò in piedi, al bordo del letto. Doveva camminare, quando si sentiva nervosa, non riusciva a stare ferma “Sono stronzate”
“Non sono affatto stronzate” la corresse
“Sì, invece, lo sono!” Clarke le puntò il dito, in tono grave “Sono solo le stronzate di una codarda! Hai paura!”
Lexa alzò il tono della voce, un po' troppo per i suoi standard “Non ho affatto paura, Clarke. Sono realista. Potremmo entrambe perdere il lavoro e a quel punto, cosa faresti? Lasceresti tuo figlio morire di fame?”
Clarke strinse gli occhi. Le veniva da piangere. Questa era una delle poche volte da quando la conosceva in cui non riusciva a non odiare Lexa e la sua dannata razionalità. O la sua codardia. Lexa nascondeva la paura, cercando di camuffarla, di renderla un qualcosa di razionale “Nessuna delle due perderà il lavoro”
“Non puoi saperlo questo”
“E tu puoi? Puoi dire che finiremo senza un soldo? No, non puoi” Clarke si morse la lingua, camminò ancora avanti e indietro “Questa è solo una scusa. Non vuoi avere un figlio, perché non lo ammetti semplicemente. Dimmi la vera ragione per cui non lo vuoi”
Lexa non rispose, rimase in silenzio qualche secondo. Nella casa gli unici rumori erano quelli dell'orologio a pendolo che , in salone, rintoccava ogni secondo, uno dopo l'altro, costantemente.
“Ti stai comportando da bambina viziata” fu l'unica risposta di Lexa. Fredda, distante, fissava un punto davanti a sé, senza incontrare lo sguardo di Clarke “Come sempre”
Da bambina viziata. Quella era la scusa per eccellenza di Lexa, finire ogni discussione a suo favore, semplicemente dicendole che si comportava da bambina viziata.
“E tu da stronza. Tutto come al solito, a quanto pare” Clarke questa volta cercò di innervosirla, di ferirla, come aveva fatto lei, con quel dannato commento. Come aveva fatto lei da quando avevano iniziato a parlare.
“Non dovrei comportarmi da stronza, se tu non battessi i piedi ogni volta che qualcuno ti dice di no” Lexa alzò un sopracciglio “ E , tra l'altro, non ti ho detto di no. Ti ho detto non ora”
“E quando, per la precisione?” domandò, stringendo i denti.
Lexa ci pensò. Sembrò indecisa, come se non si aspettasse quella domanda “Fra qualche anno”
In quel momento, ogni singola parte del corpo di Clarke semplicemente esplose. La rabbia la fece quasi gridare, avrebbe gridato se non fossero state ormai le tre “Qualche anno” mormorò tra sé e sé, mentre guardava Lexa, che ancora però la ignorava bellamente. Gli occhi verdi erano infatti fissi sulla coperta, sulle sue dita, sullo specchio... ma mai, avevano incontrato i suoi.
Clarke prese il cuscino, in uno scatto di rabbia “Vaffanculo, Lexa. Vaffanculo” ringhiò, prima di uscire dalla stanza, a passi pesanti. Sbattè la porta dietro di sé, fregandosene dell'orario. Lexa non rispose nemmeno, o almeno, Clarke non la sentì dire nulla.
La bionda attraversò il soggiorno buio a piedi nudi, il freddo di Settembre iniziava a farsi sentire. Si lasciò cadere sul divano, gli occhi le bruciavano dalle lacrime di rabbia, che però non volle lasciar scappare. Aspettò qualche minuto, prima di chiudere gli occhi, in cuor suo sperò che Lexa ci ripensasse e le venisse a chiedere scusa. Che potessero festeggiare insieme quella decisione, che potessero fare l'amore, come avrebbero dovuto. Ma Lexa non arrivò. E Clarke si addormentò, alla fine, sconsolata, con la faccia immersa nel cuscino.


 _____________________________________________________________________________________________________________
 
Angolo Autrice:
 
Eccoci qui. Prima di tutto vi ringrazio, per essere giunti fino a qui, alla fine del primo di quattro capitoli di questa piccola cosina che , un giorno, è piombata nella mia mente e non se n'è mai andata. L'idea di Clarke e Lexa mamme è assolutamente adorabile ( E prima o poi, lo esplorerò a dovere!) , ma prima di fare questo “passo”, ho voluto esaminare un po' il prima. Come si è arrivati a ciò. Abbastanza traumatico, no? Soprattutto per la nostra Lexuccia. Pensate stia esagerando? O la sua paura è giustificata? Fatemi sapere nelle recensioni, naturalmente! Vedremo un po', come la cosa si evolverà nei prossimi capitoli.
Per il resto, ho da anticiparvi che mi sono divertita molto a creare , negli ultimi tempi, questo “mondo” clexa. Insomma, un sacco di background dei personaggi, della loro storia, ma anche di chi li circonda ( Ho in mente piccoli racconti di Baby!Clarke e Baby!Lexa , ma anche della relazione Lincoln-Octavia … e di alcune ancora a sorpresa, che non posso svelarvi ancora u.u. Ma anche , appunto, raccontini fluff tutti clexa...che non vedo l'ora di scrivere). Per ora, ho provato ad iniziare con questa mini long, per vedere un po' come affacciarmi a questo mondo che sto provando a creare e per capire anche cosa ne pensano gli altri.
Bene, pippone a parte, posso ancora ringraziarvi e chiedere di lasciarmi una piccola recensione, magari per farmi sapere cosa ne pensate. Ve ne sarei molto grata.
Al prossimo capitolo!
 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The 100 / Vai alla pagina dell'autore: Clexa_XXX