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Autore: alessandras03    25/08/2016    9 recensioni
SEQUEL BISBETICA VIZIATA.
Dal Capitolo 1...
"In fondo è l’alba per tutti. E’ l’alba di un nuovo inizio. L’alba che porta con sé la notte, schiarendo il cielo, colei che reca luce e spensieratezza.
E’ questa la mia alba. Guardare avanti e capire che non bisogna fermarsi.
Come il tempo scorre, come la notte passa e arriva il giorno, così i cattivi pensieri svaniscono per dar spazio ad una pace interiore senza limiti. "
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 8
 


POV DYLAN


Un’altra giornata comincia a Santa Monica. Il sole è alto. E’ mezzogiorno. Il mio stomaco brontola dalla fame e dopo essermela spassata in bici, insieme agli altri, giù al molo, ci fermiamo a mangiare un cheeseburger in un locale non molto distante.
Nel pomeriggio faremo un giro in barca, il padre di Gabe conosce molta gente qui, non a caso possiedono una villa con piscina e domestica, in cui alloggiamo noi.

«Dylan sul serio vuoi dirmi che non ti scoperai Megan?» Clay quasi si affoga con la Coca-cola.
«Sì, insomma… merita amico» rincara Ian.
«Ascolta» Gabe poggia i gomiti sul tavolo ed incrocia le dita delle due mani fra di loro, poi mi fissa attentamente «lascia stare Grace, adesso andrai al college…» sottolinea.
Clay mi punta un dito contro, «e dal momento in cui siamo insieme io e te non voglio che tu pensi ancora a lei» dice ammiccando.
Non capiscono. Se non ci sei dentro, non puoi capire. Nonostante tutto, però, hanno ragione.
«Ragazzi, voi state tranquilli» annuisco, «mi passerà, promesso» sospiro.
Sì, magari in un’altra vita.
Quando noto che una ragazza con i capelli mossi neri, mi scruta dal tavolo di fronte al nostro, sbuffo. Non ne posso più di trovarmi occhi fissati contro.
Continua così per tutto il tempo che trascorriamo lì dentro. Mangio, bevo, rido, ma quella ragazza non la smette di togliermi gli occhi di dosso. Ora capisco Grace, quando la osservavo e si infastidiva.

«Sta finendo questa fottuta estate» sbotta Ian, mentre i ricci che tiene sul capo si ribellano, finendo sulla sua fronte. «Voglio tornare al giorno dei diplomi» sbuffa esausto.
«Io… io voglio tornare al penultimo giorno di scuola, quando Felicia mi ha fatto un pompino» ride Clay. «Mostruosamente brava» continua a ridere.
«E allora se proprio dobbiamo dirla tutta, io tornerei al giorno dell’ultimo ballo della scuola. Me ne sono fatto due, non una… DUE» gesticola Gabe. «Dylan, tu?» Si fa serio subito dopo.
Mi massaggio il mento, sfiorando la barbetta leggera. Voglio tornare al giorno in cui Grace si è presentata a me, chiedendomi un’uscita. «Voglio tornare all’inizio dell’estate per non prendere la decisione di lavorare in quel campus… ma invece spassarmela con voi qui» stringo un pugno sul tavolo.
«Grande amico» mi dà una pacca sulla spalla Gabe.

Lasciamo il conto sul tavolo, seguito da una mancia e ci mettiamo in piedi. Sono l’ultimo ad uscire.

«Dylan? Dylan Murphy?» Una voce femminile riecheggia alle mie spalle.
Aggrotto la fronte e mi volto lentamente, «ci conosciamo?»
Lei porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, timidamente. «Non ti ricordi di me, lo capisco. I capelli sono più lunghi, il corpo di una donna, la statura molto aumentata» sogghigna mordendosi le labbra nervosamente. «Nei nostri giardini di casa ci siamo fatti le migliori giocate a palla, poi tu portavi i tuoi giocattolini maschili ed insultavi me e Beth perché avevamo le bambole» ridacchia.
Sgrano gli occhi. Non ci posso credere. E’ proprio lei in carne ed ossa.
«Judy Sullivan» sorrido estasiato. E’ cambiata così tanto dall’ultima volta. Aveva le treccine, le adorava da bambina, un vestito a pois bianco e rosso e delle scarpette da tennis che si illuminavano al buio. Quanto ha pregato affinché gliele comprassero.
La sua famiglia viveva accanto a noi, mio padre ed il suo erano grandi amici. Ricordo ancora i barbecue nelle giornate di sole e di quanto io, mia sorella e Judy fossimo entusiasti di spassarcela a giocare. Eravamo una squadra, solo che io a volte mi stufavo di loro e giocavo in disparte con i miei giocattoli. Abbiamo trascorso un’infanzia da urlo, fin quando si dovettero trasferire in Florida. Non la vidi più.
«Ti ho riconosciuto perché non sei cambiato per niente» annuisce, «sei qui in vacanza?»
«Sì, sono con degli amici» mi volto a guardare fuori dalla vetrata e mi accorgo di loro che fanno strani movimenti, insomma non molto carini. Sembrano dei pervertiti e non posso fare a meno di ridere. Judy se ne accorge e ride anche lei.
«Anche io, qualche giorno di questi ci vediamo… prendiamo una birra, ti va?» Sfrega i palmi delle mani fra di loro.
Porto i capelli indietro e le sorrido. «Sì, perché no… suppongo ci siano tante cose che mi sono perso» dico.
Accenna una smorfia, «sicuramente sì, salutami Beth… lei dov’è?» Corruga la fronte.
Ed ecco che riemerge Grace. Boccheggio per qualche istante e deglutisco.
«Lei lavora in un campus estivo non molto distante da qui» spiego grattandomi il capo.
«Ah, mi sarebbe piaciuto vederla» scrolla le spalle, «comunque ti lascio il mio numero» acchiappa dal bancone un fazzoletto e si sporge rubandogli una penna. Poi mi porge il tovagliolo. «Fatti sentire, se ti va» saluta con un cenno di mano e ritorna al tavolo.
Sventolo il fazzoletto con una mano ed esco fuori. Gabe, Ian e Clay mi saltano addosso.
«Pure il numero di telefono, uh-uh» commenta Ian portando un braccio dietro il mio collo.
«Coglioni è un’amica d’infanzia, ci sono cresciuto» rido scuotendo il capo.
«Meglio ancora» sottolinea Gabe.
«Gran bella ragazza!» Clay mi rivolge il gesto dell’ok e sorride con malizia. «La devi chiamare.» Sentenzia.
Barcollo a causa del peso morto di Ian che si sorregge da me e nascondo il fazzoletto in tasca.

Poco dopo, mentre i ragazzi si stanno rilassando nella piscina di Gabe, io mi prendo il sole sulla sdraio. E’ un orario in cui il sole cuoce sulla pelle, come se non bastasse il colorito che ho già acquistato. Quando avverto la suoneria del mio telefono, mi sporgo ancora ad occhi schiusi e con uno aperto e l’altro no, scorro con un dito sul display per rispondere.

«Pronto» sbadiglio, mentre con l’altra mano mi stuzzico l’ombelico.
«Deficiente» è mia sorella. «Cosa fai?» La sento malinconica.
«Sto beatamente prendendo il sole, ai piedi di una meravigliosa piscina» scandisco ogni singola parola.
Si schiarisce la voce, «ma perché non torni?»
«E’ escluso» decreto serio.
La sento sbuffare. «Non stai facendo cazzate vero?» Il suo tono s’incupisce.
Sospiro, «purtroppo no.» Dico. «Sai chi ho rivisto oggi?»
«Chi?»
«Judy Sullivan» sottolineo con una certa enfasi.
Lei si zittisce per qualche istante, «Judy treccine?» La sento ridere.
Faccio lo stesso anche io. «Esattamente!»
«Oh mio Dio… com’è?»
Osservo la piscina pensieroso, «bella, alta, magra» faccio tranquillo.
«Da trombare» urla Gabe dal bordo della piscina.
«Lui non tromba proprio nessuno» sapevo si sarebbe infastidita.
«Vabbè Beth, chiudo» strofino un occhio e respiro profondamente.
«Ti sento distante e questa cosa non mi piace affatto. Ciao.» Mi riattacca ed io rimango interrotto per qualche minuto.
Gabe mi fissa corrucciato.
«Ha riattaccato» scrollo le spalle.
Ci rimango male quando mia sorella se la prende per qualcosa di inesistente. E’ sempre stato così. Quando da bambini litigavamo, lei era la strafottente, io quello che per giorni ci ripensavo e volevo far pace, chiarire insomma.
E adesso sono sicuro che per giorni mi verrà in mente questo episodio, seppur di futile importanza. Beth è l’unica con cui odio discutere, perché per sistemare tutto poi so che dovrei impiegare troppo tempo, orgogliosa e presuntuosa come sempre.


POV GRACE


Sto facendo la valigia. Beth ha chiesto sul serio dei giorni ad Ethan. Con quel faccino pietosamente dolce e quella deliziosa vocina ammaliatrice capace di sedurre anche l’animo più duro al mondo, è riuscita a convincerlo. Alec verrà con noi a Santa Monica, come se volesse assistere dal vivo allo spettacolo, quando Dylan mi vedrà.
Raggiungo, quindi, i due fuori dal campus. Mi stanno attendendo, poiché un taxi ci porterà a destinazione. Quando metto piede fuori dal mio bungalow osservo a terra e mi trascino la valigia con un po’ di fatica. Scendo il primo scalino e poi soffio per spostare le ciocche di capelli davanti gli occhi. Il mio sguardo si sposta di fronte a me, dove Brian è posizionato, con le mani sotto le tasche del pantaloncino blu. Ha l’espressione da cane bastonato e sembra afflitto all’idea che io stia andando al mare.
Scendo senza preoccuparmi di lui e quando finiamo l’uno di fronte all’altro, respira profondamente.

Non parla e non lo faccio neanche io, così svolto a sinistra, proseguendo per la mia strada.
Aumento il passo e quando noto Beth ed Alec farmi premura dal finestrino dell’auto, scatto in una corsetta e porgo la valigia al tassista. Salgo affianco della mia amica e chiudo la portiera.

Un’ora dopo siamo in mezzo alla folla di gente in costume che passeggia per il molo. Il sole sta tramontando e ne approfitto per fare una foto. Poi ne scattiamo una tutti e tre insieme. Alec fa una faccia buffa, io sorrido e Beth esce la lingua.
«Fammene una così» dice lei mettendosi in posa. Alza una gamba, inclina il capo da una parte ed apre le braccia entusiasta. «Dai vieni qui… voglio fartene una» mi ruba il telefono di mani e mi segue in ogni passo. Credo abbia scattato almeno venti foto al minuto.
Alec non la smette di ridere osservandole. Così riprendo l’iPhone fra le mani e scruto fra il rullino. In alcune rido, in altre ho gli occhi schiusi, in altre ancora sembro una minorata mentale, ma non posso negare che molte sono talmente spontanee da piacermi.
«Non male» ghigno.
Beth respira a pieno ed alza il capo al cielo. «Avevo bisogno di respirare un po’ di aria nuova» fa una giravolta repentina.
«Ragazzi facciamo il bagno, adesso» sbraito mentre corro giù in spiaggia, in quel frangente sfilo la maglia gettandola sulla sabbia. Sbottonò i pantaloncini e corro in acqua non curante del brasiliano che indosso. Mi tuffo e l’acqua è tiepida.
Beth mi raggiunge subito dopo, mentre Alec impiega un po’ più. Lasciamo le valige fra la sabbia, sperando che a nessuno venga la brillante idea di fregarcele.
«Ragazze vi adoro» urla lui e si lancia a bomba in acqua.
Beth sghignazza abbracciandomi, «ti voglio bene» dice al mio orecchio.
«Anche io Beth» mormoro.

E così mentre il sole scompare lentamente alle nostre spalle, all’orizzonte, le nostre anime sono libere, leggiadre come piume al vento.
Per un nano secondo mi perdo fra le onde del mare, il fruscio, il vento leggero sul mio volto, i sorrisi del miei amici e non penso assolutamente a niente. Per la prima volta in tutta l’estate mi sento serena, lontano da tutte le cose negative che hanno rappresentato le mie giornate passate.


Usciamo dall’acqua solo mezz’ora dopo e sgattaioliamo per strada come dei veri e propri zingari.

«Cazzo che culo» qualcuno alle mie spalle, mentre indosso i pantaloncini fa questa vecchia e ripetitiva affermazione. Senza voltarmi alzo il dito medio, poi scompiglio i capelli umidicci, cercando di dargli una forma.
«Dylan!» Beth corre dietro di me con un sorrisone mai visto.
Ed ecco la sensazione di chiusura dello stomaco, dei vasi sanguigni, dell’apparato respiratorio. Rimango di fronte Alec senza muovermi, mentre lui mi mima qualcosa.
«Carino il tipo che ti ha fatto quel complimento» dice a denti stretti.
Fulmino Alec che se la ride e massaggio il viso con una mano.
«Che ci fai qui?» Dylan sembra seccato dal tono di voce.
«Avevamo bisogno di distrarci» dice serenamente la sorella.
«E così per cominciare vi fate il bagno nudi» commenta.
Non posso fare a meno di ridere.
«Beth, perché la tua amica non si volta?» Uno degli amici di Dylan parla con ton malizioso, a quel punto mi volto ed incrocio gli occhi di Murphy. Poi li socchiude con esasperazione e si mantiene quel clima di silenzio maledettamente imbarazzante.
«Ciao ragazzi» alzo tesa una mano.
Li conosco uno per uno, sono tutti ex compagni di squadra di Dylan.
«Mi dispiace l’affermazione» si giustifica Clay, grattandosi il capo. «Non avevo visto fossi Grace» accenna una smorfia con la bocca.
Dylan nel frattempo si massaggia il mento.
«Sono abituata a sentire commenti ignoranti» rispondo acida.
«Era un complimento» ribatte Clay ridacchiando. «Hai un gran bel culo» ripete.
Abbozzo un sorrisetto maligno, «peccato che non possa dire lo stesso di te» dico scattante.
Alec scoppia a ridere insieme a Beth. Dylan abbassa lo sguardo e poi si volta verso l’amico, che alza le spalle confuso.
«Ma dove alloggiate?» Domanda Gabe sfregandosi i palmi delle mani, l’uno contro l’altro.
«Stavamo cercando un albergo» dice Beth alzando i capelli in una coda alta.
«Ma quale albergo, ho tre stanze da me» applaude annuendo. «Ce la spasseremo ragazzi» aggiunge.
«Comunque, piacere sono Alec» dice il mio amico al mio fianco.
Dylan lo fissa ancora in cagnesco, mentre gli altri sorridono forzatamente.


Così ci fanno strada verso la loro villa, non molto distante. Mi sembra di entrare sul set di The O.C, in casa Cohen. Anch’essa ha una casetta in piscina, nella quale alloggerò solo io. Invece nelle camere sopra ci saranno Beth ed Alec. Sembra fatto apposta, isolarmi dal luogo del nemico, per impedirmi di vederlo spesso.
Sistemo la mia roba sul letto ed osservo il panorama intorno a me. Avrei voluto un soggiorno tranquillo, non so quanto lo sarà vista la gente che mi circonda.
Improvvisamente qualcuno bussa alla porta. Dico un flebile “avanti” e Gabe fa capolino dentro.
«Ti ho portato lenzuoli, asciugamani ed una dosa di pazienza» ride in seguito. «So che non vorresti stare qui, mi dispiace» sembra comprensivo.
Abbasso lo sguardo e bagno con la lingua le labbra. «Non preoccuparti, so adattarmi e se c’è da mandare a fanculo ancora meglio» cerco di trarre dell’ironia da questa situazione.
«Per cena ordiniamo una pizza… hai preferenze particolari?» Domanda inclinando il capo di qualche centimetro.
Scuoto il capo, «nessuna preferenza, mangio tutto» incrocio le braccia al petto.
«A dopo allora» saluta ed esce.


Mi spoglio dei vestiti ancora umidi e faccio una doccia calda.
Poi indosso un pantaloncino di jeans ed una felpa. Lascio i capelli bagnati ed esco anche io.
Raggiungo gli altri dentro, sono in un grande salone. Clay ed Ian su due rispettivi divani, Alec affianco di Beth sta friggendo delle patatine.
Gabe sta chiamando per la pizza e Dylan si mangiucchia le unghie, ormai talmente corte da renderle invisibili, poggiato al tavolo.
«Volete una mano?» Mi sfioro il naso con un dito e mi rivolgo a Beth.
Lei sorridente scuote il capo, è felice di stare con il fratello, ma quest’ultimo non molto.
Sicuramente il problema sono solo io.

Quando arrivano le pizze tutti si accaniscono su quei cartoncini per cercare la propria. Dylan si siede sul bracciolo del divano affianco di Beth che a sua volta è accanto ad Alec.
Io mi metto a sedere a terra ed il mio appetito è nullo. Nonostante ciò finisco la pizza, lasciando soltanto i bordi bruciacchiati.
«Giochiamo a poker» propone Gabe.
«Sì» biascica Beth con il boccone ancora fra i denti.
«Buonanotte ragazzi» getto il cartone nel cestino della spazzatura e salutando i presenti mi avvio verso l’uscita.
Noto lo sguardo di Dylan rattristirsi. C’è un minuto di silenzio.
«No, ma perché» dice Gabe.
Giro il capo, «ho mal di testa, buona serata» mi rifugio nella casetta e rimetto tutti i miei vestiti in valigia.
Non ho paura della solitudine, non ne ho mai avuta. Ho sempre pensato fosse un momento da viversi a pieno. Sono una persona abbastanza solitaria, non amo la confusione, i luoghi troppo affollati, mi piace avere intorno a me poca gente. Non mi farà del male trascorrere un po’ di giorni così, senza nessuno fra i piedi, o meglio, preferisco non esser d’intralcio a nessuno, soprattutto se la persona in questione è Dylan. Riesce straordinariamente a farmi sentire colpevole, anche quando non lo dovrei essere.
Così chiudo la valigia e sgattaiolo via. Attraverso il bordo della piscina ed osservo il mio riflesso, grazie alle luci che la illuminano intorno.
«Dove credi di andare» la sua voce mi stringe il cuore.
Sento quella terribile sensazione che odio: quando la gola si stringe e vorrei scoppiare a piangere.
Perché Grace non riesci ad apparire più la dura della situazione?
Un tempo ti veniva così semplice, nascondere le sensazioni, era facile nascondere un sorriso o un pianto disperato. Mi sento così maledettamente e fottutamente fragile, che mi prenderei a schiaffi fino a farmi svegliare da questo incubo.
«Vado… da qualche parte» sussurro tentennando.
Lui avanza verso di me, con le braccia incrociate al petto. «Perché?»
«Perché sei qui?» Dico di rimando, aggrottando la fronte.
Assottiglia lo sguardo, stringe le labbra e mi fissa. «Non lo so.» Scrolla le spalle.
Alzo gli occhi al cielo. «Non ti disturberò più, promesso» riprendo a camminare tenendo rigidamente il manico della valigia.
Ma la sua mano mi serra un fianco da dietro. «Non conosci nessuno» decreta al mio orecchio.
Mi volto ed incrocio i suoi occhi. «So essere socievole se voglio» sospiro.
«Rimani.» La sua voce sembra pregarmi. «Mia sorella è venuta per te» aggiunge.
«Lei è venuta per te» socchiudo le palpebre, «era chiaramente preoccupata» schiarisco la voce.
«E tu perché sei venuta?» Mi guarda negli occhi.
Sbatto le ciglia nervosamente, «forse perché volevo staccare, allontanarmi da una vita che sembra andarmi contro» la mia voce muta a causa del nodo alla gola, «ma le cose ti rincorrono anche quando ti allontani da un posto» acchiappo una lacrima all’angolo dell’occhio, prima ancora che ricada sulle guance.
Mi fissa apprensivo, «non ce l’ho con te, ce l’ho con me stesso» morde il labbro inferiore, mentre il mio trema e non riesco a trattenere le lacrime. «Perché non sono riuscito a dimenticarmi di te, nonostante Alexandra e perché sono stato con una persona senza un’apparente motivo» anche i suoi occhi si fanno lucidi.
Alza gli occhi al cielo e tira su con il naso.
«Mi dispiace» dico con voce flebile.
Lui torna ad osservarmi. «Ti dispiace per essere la cosa più importante della mia vita o per rendermi complicato ogni mio giorno?»
Non fiato, mi perdo nei suoi occhi.
«Pensavo fossi con Brian… pensavo avessi finalmente scelto lui» mormora con voce rauca.
«Non si tratta più di scegliere» scuoto il capo. «Lui crede che io sia innamorata di te» quelle parole mi fanno sentire strana, mi sento tremare le gambe.
«Non sei pronta» aggrotta la fronte, «per amare» conclude, per poi voltarsi. Fa qualche passo avanti.
«Forse amo più di te.» Sbraito esausta alzando le mani in segno di resa.
Lui si ferma.
«Ti amo Dylan.» Scoppio in un pianto disperato, liberatorio. I miei polmoni si riempiono di aria e mi sento crollare. Le gambe cedono ed io scendo lenta verso terra, sorreggendomi dalle gambe.
Nascondo gli occhi con entrambe le mani, poi altre due mi tirano su sorreggendomi le braccia.
Dylan sta piangendo. «Ridimmelo» deglutisce rumorosamente e boccheggia, mentre una lacrima si spinge violenta contro le sue labbra. Gliel’acchiappo, massaggiandogli il labbro superiore con il pollice. «Ti prego» sussurra.
Serro con entrambe le mani il suo volto, «ti amo terribilmente, perché con te non esistono giorni bui, perché mi sento protetta, perché sei il mio porto sicuro, perché so che voltandomi ti troverei sempre dietro di me a seguire la mia ombra» scandisco ogni singola parola, «ti amo quando mi guardi interrottamente, ti amo quando credi che io non lo faccia, ti amo perché sei arrivato e mi hai sconvolto i sentimenti» dichiaro.
Le sue labbra si allargano in un sorriso e le sue braccia mi cingono le spalle spingendomi contro di sé, avvolgo le mie alla sua vita ed alzo il capo per congiungere la mia bocca alla sua. E quando, dopo tutto questo tempo, mi bacia, mi sento rinascere. La sua lingua si intreccia alla mia lentamente, senza aggressione, come per godersi il momento. Le sue braccia si fanno spazio per stringermi i fianchi e le mie mani s’insinuano dietro la sua nuca.
Mi morde succhiando delicatamente il labbro e respira affannatamente.

«L’amore» una voce femminile dice alle nostre spalle.
Entrambi ci voltiamo confusi e quando notiamo tutta la combriccola fuori, divento paonazza, imbarazzandomi come una bambina.
«Siamo qui da un po’» dice Gabe.
«Nascosti lì» aggiunge Ian indicando un angolino al buio.  
«Mi sento in un programma televisivo» commenta Alec grattandosi il capo.
Scoppio a ridere e nascondo il capo tra l’angolo del suo collo e della sua spalla. Le sue braccia mi chiudono completamente a sé.

Probabilmente mi ritroverò a ringraziare la mia innata fragilità che al momento giusto è riuscita a fare esplodere ciò che le mie viscere detenevano  e custodivano segretamente.
  
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