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Autore: stefanvox94    26/08/2016    2 recensioni
Ricca, egocentrica, sicura di sé: Adelasia, una ragazza che si distingue soprattutto per gli atteggiamenti che assume nel rapporto con gli altri, specialmente con coloro che lei crede si trovino a un livello inferiore rispetto a lei e alla sua "gente". Eppure la sua personalità, la sua famiglia e il suo passato nascondono qualcosa che può riemergere soltanto grazie a chi è capace di capire a fondo una persona, senza fermarsi alle apparenze. E così si va alla scoperta non solo del suo mondo, ma anche di coloro che le stanno intorno (per scelta o meno): ragazzi e ragazze con le proprie insicurezze e i propri sentimenti conflittuali...
Genere: Comico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è stato male parlare con la cicciottella. Stranamente mi è sembrata simpatica. Ha molti lati negativi, su questo non ci piove. Primo fra tutti l'abbigliamento.
“Se ci tieni tanto ad avere gente con stile intorno a te, allora modifica l'ambiente che ti circonda”.
“Cosa vuoi dire?” le ho domandato.
“Comincia da me: portami nei negozi che tu tanto elogi, fammi vedere cos'è la classe per te, e, se mi piace tutto ciò, magari posso intervenire sul mio aspetto”.
“Sei veramente disposta a farlo?”.
“Ma certo”.
“Guarda che quelli non sono negozi da quattro soldi”.
“Già. Questo forse è l'unico problema. Non ho di certo denaro da sprecare in quantità di vestiti che non ho mai visto in camera mia”.
“Non si tratta di sprecare, mia cara. Comunque, sì, capisco che non sei ricca quanto me… ma, vabbé, magari la tua forza di volontà sarà talmente convincente che sarò io a comprarti qualcosa”.
“Questo mi piace” ha ammesso.
Non potevo credere che stesse accadendo veramente. Quella ragazza mal sistemata voleva impegnarsi ad apparire migliore soltanto per non farmi sentire a disagio.
Oppure la sua unica intenzione è quella di provare l'esperienza (e l'ebrezza) di vestire come me.
“Ma non dimenticarti che devi anche puntare alla perdita di peso, altrimenti non serve a nulla” le ho fatto presente.
“Sono soltanto cinque chili al di sopra del mio normopeso”.
“Non mi interessa. Per me questo è essere in sovrappeso e quindi devi mangiare di meno, oppure andare in palestra”.
“Tu vai in palestra, vero?”.
“Sì, ma se ti ci vuoi iscrivere già da adesso soltanto per stare con me, ti dico che stai correndo troppo. Prima pensiamo ai vestiti, al cibo da ridurre e poi, quando sarai un pochino più decente e pronta a mostrarti accanto a me in pubblico anche al Fitness Time, ne riparleremo”.
“L'unica pecca di quella palestra è la gente che la frequenta” si è lamentata.
“Di che gente parli?”.
“Gente come te. Antipatica… mmmm, o forse più antipatica di te”.
“Quelle persone ti sembrano antipatiche soltanto perché non conosci ancora molto bene il loro mondo. Persino io, se allargo i miei orizzonti ed esploro l'universo dei tuoi hobby da sfigata, potrei cambiare leggermente idea su quelli come te”.
“Sì, ma parliamo di stupide galline come Luisa Rinaldi… insomma, dai...”.
“Confermo, Luisa Rinaldi è una stronza”.
“Ahhh, ecco, su di lei sei d'accordo allora?”.
Ho annuito.
Poi ha cominciato a fare la sua imitazione e io sono scoppiata a ridere. Nel bagno sono piombati Federico e Fulvio, comprensibilmente allarmati dai nostri schiamazzi.

Torno a casa dopo una giornata decisamente migliore al centro dei giovani disabili. Mi auguro di trovare il mio paparino, che è sempre pronto a scherzare un po' con me. Ma trovo soltanto mia madre che sfumacchia sigari sul sofà.
“Ciao” la saluto.
“Sai per caso dov'è tuo padre?”.
“Ehm… no. Forse… lavora?!”.
“Non lo so”.
“Oggi è il suo turno mattutino in ospedale?”.
“Non lo so”.
Ma cos'è che sai tu, vorrei dirle.
“È tornata Antonietta, per caso?” domando, notando la casa pulita e mia madre che se la spassa.
“Sì. Ora è andata a pagare le bollette. Per fortuna la banca chiude alle 15:30, altrimenti il cuore di quella povera disgraziata non avrebbe retto in una sola mattinata tra le faccende di casa, la spesa e anche le uscite per pagare tasse o roba simile”.
Non commento. Chiudo per un secondo gli occhi, alzo il sopracciglio e mi dirigo in cucina per mangiucchiare qualcosa. Purtroppo, però, quella figura femminile magra e dai capelli rossi a caschetto che a volte addirittura penso di odiare mi raggiunge nella sala cottura.
“Cosa c'è?” le faccio, mentre mi accingo a preparare un piatto di tonno e maionese biologica. Il modo in cui mi guarda mi preoccupa, e non poco.
“Ho già preparato qualcosa per pranzo, perché fai sempre di testa tua?”.
“Tu? Hai preparato qualcosa? Semmai Antonietta...”.
“Le ho detto io cosa fare, è la stessa cosa”.
“Certo”.
“Mangia queste friselline con la salsa bernese… e magari anche uno di questi hamburger”.
“Innanzitutto si dice salsa béarnaise, e comunque quelle friselline mi fanno schifo. Al massimo assaggerò un po' di hamburger, ma solo se trovo un po' di insalata per accompagnare quella carne”.
“Sei tu che fai schifo, con tutte queste manie”.
Mi alzo in piedi, sbuffo e sbotto: “Ascoltami bene, abbiamo già affrontato questo discorso, mammina. Fammi mangiare come mi pare e piace, io non ti rompo le scatole sul tuo stile di vita, e tu devi fare lo stesso con me. Togliti questo vizio di infastidirmi durante i pasti con le tue frottole, ci siamo intese?”.
“Bene, allora se vuoi che io rispetti le tue abitudini alimentari… d'accordo… dividiamo questo hamburger a metà, altrimenti penserai che è pericoloso assumere troppe proteine animali” mi cita, facendo riferimento a uno dei nostri precedenti battibecchi sull'argomento. E così prende un coltello e dimezza uno degli hamburger di pollo preparati dalla domestica. “Così va bene? O hai da ridire su qualcos'altro?” sussurra, puntandomi contro il coltello. Per fortuna si trova a qualche passo di distanza da me, non sto morendo dalla paura, ma… la cosa mi inquieta.
“Non sono io quella che ha da ridire su tutto” ribatto.
“Attenta, ragazzina. Porta un po' di rispetto per l'autorità di questa casa, o saranno guai”.
Da un lato, mi viene quasi da scoppiare a ridere per la terminologia che sceglie di usare durante questo tipo di minacce. Dall'altro… sono seriamente preoccupata. Non è la prima volta che mi rimprovera, ma non si è mai rivolta a me in questa maniera… stavolta sembra molto più seria e… pericolosa. Un brivido mi percorre la schiena.
Dopo altri venti secondi in cui mi fissa, immobile, con l'arma da cucina rivolta in direzione della mia faccia, si gira verso il lavandino, posa l'oggetto in una delle vaschette e torna nel salotto.
Deglutisco, sospiro, rilasso le spalle e mi rimetto seduta.

Sono pronta per il fatidico pomeriggio di shopping con Angela.
Mentre passo il burro di cacao sulle labbra, sento un'ansia apparentemente inspiegabile. Non sono mai andata a braccetto con una grassottella dai capelli arruffati: probabilmente questo mi sta facendo salire un'angoscia che ho provato soltanto il primo giorno di tirocinio nel centro disabili.
Di cosa ho paura? Della reputazione? Del giudizio degli altri che assistono a un qualcosa di mai visto prima? Del notevole dislivello che c'è tra me e questa mia nuova compagnìa? Oppure ho paura di farmi vedere vestita a colori e non di nero dopo pochi giorni dalla morte del mio ragazzo?
In alcuni momenti ho pensato di disdire l'appuntamento e di fare qualcos'altro, del tipo, boh, chiamare Manuel e stare un po' col mio amico apatico che mi racconta di come anche oggi ha snobbato le critiche altrui col suo tipico atteggiamento impassibile.
Ma poi ritorno in me, mi ripeto che ce la posso fare. Mi faccio forza e scendo la scalinata in marmo che porta sul viale alberato. Seduta su una delle panchine color pesca c'è lei, Angela, a cui mia madre ha aperto il cancello elettrico dopo aver sentito il campanello e aver annunciato: “C'è una tipa con la faccia gonfia, gli occhiali di Maria De Filippi e i capelli cianfrusagliati… è venuta per te?”.

Il pomeriggio con Angela procede bene, tutto sommato. Le ho consigliato un po' di magliette e shorts. Indosserà alcuni di questi quando sarà dimagrita perché se li indossa ora si spacca tutto il ben di dio che ho scelto per lei. Sono stata io a pagare, e lei mi ha ringraziato, ma senza scomporsi più di tanto. I suoi modi a volte mi ricordano un po' Manuel, ma rimangono comunque due mondi totalmente differenti. Entrambi hanno in comune soltanto una minima dose di snobismo, poiché in questo il mio amico è sicuramente superiore.
Camminiamo per i corridoi del mio centro commerciale preferito, reggendo le shopping bags. Probabilmente ci fermeremo a un bar, ma per ora continuiamo a guardare le vetrine.
Quando passiamo vicino all'entrata della sezione tabacchi, una pubblicità attira la nostra attenzione: si tratta di un manifesto di un nuovo gratta e vinci che, in poche parole, ti invita a giocare perché col nuovo metodo si può vincere facilmente e perché i soldi ti rendono felice.
“Tzé, che roba” commento, voltando lo sguardo dall'altra parte.
Angela non tarda a dire la sua.
“Non mi serve la ricchezza materiale per sentirmi felice. Dunque, non ho bisogno di soldi”.
“Neanche io ho bisogno di soldi, perché ce li ho già”.
Dopodiché, davanti a un bel frappè (che stavolta riesco a concedermi perché il corpo di Angela ha accresciuto la mia autostima e la mia sicurezza), avendo ascoltato l'elenco delle sue passioni inerenti a cose tipo la play-station, comincio a domandarle qualcos'altro per conoscerla meglio.
“Tu frequenti il liceo…?”.
“Pedagogico. Tu il linguistico, vero?”.
“Sì” confermo.
“Federico Valli viene in classe tua?”.
“Esatto”.
“E l'altro tuo amico… com'è che si chiama…?”.
“Manuel?”.
“Sì”.
“Lui va in un professionale”.
“Non sapevo avessi amici non liceali!” esclama, comprensibilmente sorpresa.
“Mmmm… capisco il tuo sbalordimento”, le confesso. “Manuel è molto intelligente, ma ha preferito andare in una di quelle scuole in cui ti assegnano i compiti per casa al massimo una volta alla settimana”.
“Allora lui… sta con gente della città che… insomma… tu preferisci evitare?”.
“Non credo. Va, sì, in un professionale, ma è una scuola privata e costosa”.
“Capisco” fa lei, ingurgitando avidamente il suo frappè alla fragola.
“E tu… sei brava a scuola… vero?”.
“Certo”.
“Oltre ad interessarti della roba nerd, sei anche un'appassionata di cultura” provo a dedurre.
“Già, proprio così. Sono brava. Ho ottimi voti. E mi basta poco tempo per divorare venti pagine di un libro”. Ti basta poco tempo per divorare qualsiasi cosa, vorrei aggiungere. “Ho molti tipi di memoria, tra cui quella visiva”.
“Non hai mai… sgarrato in qualcosa?!”. Storco il sopracciglio.
“Una volta ho fatto una figuraccia durante un'interrogazione di storia. Il prof mi ha chiesto di parlare della guerra civile americana, e io, presa dall'argomento, ho finito per parlare di Via col vento”.
“Beh, se non sbaglio c'entra qualcosa con quella guerra civile, no?”.
“Certo che c'entra”.
“Beh, scusa, non sono un'esperta, e tra l'altro io devo cominciare il quinto anno… non ho ancora studiato quegli eventi… quindi tu… ti sei diplomata?”.
“Sì. Per ora mi tocca uno stage presso il centro giovani disabili. A ottobre mi iscriverò alla facoltà di scienze sociali”.
“Interessante” rispondo, giusto per dire qualcosa. Cambio subito argomento. “Che shampoo usi?”.
“Ehm… che c'entra, adesso?”.
“Ho pensato di fare un salto nell'erboristeria qui vicino, magari ti interessano i miei stessi prodotti”.
“Uso il Life Breathe”.
“Oddio”.
“Che c'è?” mi chiede, notando la mia espressione disgustata.
“Roba da supermercato… mmm, vabbé, sempre meglio della sottomarca...”.
“Ogni volta che lo uso, non lo applico due volte come tutte le pubblicità dicono di fare”.
“Cosa?!”.
“Vogliono soltanto che noi consumiamo prima il prodotto per poi acquistarne di più. Io non ci casco, in queste strategie di marketing”.
“Gesù santo… Dove l'hai letta 'sta cosa? Su uno di quei forum che pullulano di gente come te?”.
“No, l'ho scoperto grazie a Ethan Craft, un personaggio di Lizzie McGuire”.
“Sei anche una tipa da serie-tv...”.
“Sì, da quando sono piccola. Ricordo puntate di programmi che ormai non vengono trasmessi”.
“Bene…”, mi alzo in piedi, sospirando, “andiamo a prendere un ottimo shampoo erboristico, e magari anche una buona crema corpo… devo rifornirmi di cosmetici nuovi. Sento che ci sono dei cambiamenti in corso nella mia vita… E bisogna sempre partire dalla propria beauty routine”.

Ho appena cenato e avverto una voglia irrefrenabile di incontrare il mio amico Manuel dopo aver visto una sua foto su Instagram che lo ritrae disteso sul letto, con un insolito mezzo sorriso abbozzato, gli occhi socchiusi e sognanti e una decina di scatole di Xanax sparse su di lui e sulle lenzuola.
È proprio la serata ideale per stare col mio amico apatico.
“Che tempo meraviglioso” esclama, allontanando dagli occhi il ciuffo scuro come la sua anima e guardando le nuvole che hanno inaspettatamente invaso il cielo estivo.
“Non male questo venticello” aggiungo io, indossando una giacchetta color blu mare. “Nemmeno io adoro l'estate. Il caldo e l'umidità non fanno per me”.
“Fosse solo quello il problema. C'è anche la gente che suda facilmente e puzza come la morte”.
“Pensavo che la morte fosse qualcosa di affascinante per te, mio caro amico, tenendo conto della musica satanica che ascolti”.
“La morte come concetto esoterico, non come processo biologico che porta alla cessazione delle funzioni biologiche di un essere vivente che non è più vivente ma un cadavere puzzolente”.
“Credevo che avresti terminato la spiegazione formale con un linguaggio altrettanto scientifico… o… almeno poetico”.
“Allora diciamo… un ammasso di materia morta che emana un aroma ripugnante”.
“C'è da notare che hai pronunciato tutto ciò con un tono decisamente terrificante” ammetto, imboccando insieme a lui una delle strade del centro, illuminate dalla luce giallognola dei lampioni.
“Questo per me è un magnifico complimento. Grazie, tesoro”.
Attendiamo in Via Roma il trenino panoramico che porta in giro per la città. Manuel, vestito come al solito di nero, ha comprato due bottiglie di birra da sessantasei centilitri e non esita, cominciando a sorseggiare la sua bevanda preferita, a sottolineare nuovamente quanto il tempo di stasera si avvicini al suo ideale di perfezione atmosferica, nonostante sia il diluvio universale a rappresentare per lui il top del top.
“Il cielo ha il tuo stesso aspetto, Ade”.
“… Cosa?!”.
“L'aspetto di una che è in lutto per la morte dell'amore della sua vita”, ironizza, il simpaticone.
“Giuro che quando sto sola in casa ogni tanto mi metto a piangere”, cerco di giustificarmi.
“Ah, sì? Ti scappa la lacrimuccia?” domanda lui, perennemente freddo, e quando il trenino giunge, si volta verso il bigliettaio. “Ciuff, ciuff” gli fa, “che bello, si parte, yahoo”.
Paghiamo per tutti i dieci posti dell'ultimo vagone, così nessuno siederà con noi e avremo tutto lo spazio a nostra disposizione.
Manuel non esita però, prima di salire, ad esporre le sue osservazioni sui disegni del trenino.
“Lupin, Hulk, Goku… e tanti altri inutili personaggi qui rappresentati… insomma, cartoni animati seguiti dai neoadolescenti maschi in piena crisi ormonale… vorrei fare un appello a tuo padre”.
“Del tipo?” chiedo, prendendo posto e appoggiando la borsetta rosa sul sedile di fronte.
“Se salirà nuovamente come sindaco dovrà sostituire questi disegnini. Troppa roba scontata”.
“Parlane direttamente con lui… hai un'idea in particolare riguardo a queste modifiche da te desiderate?”.
“Non saprei, ma ci mediterò su. Dunque… parliamo di te, amica mia. Un fidanzato volato in cielo (dopo esser volato prima per terra), un ex corteggiatore che ti ritrovi di nuovo tra i piedi, tirocini in posti per te insoliti… insomma, un bel po' di novità… ma occupiamoci della più interessante… adesso esci con le ciccione?”.
Gli spiego in quattro e quattr'otto cosa penso di ottenere da questa situazione.
“Non male come piano” risponde. “Spero solo che tu riesca a trasformare una così. Sempre pezzente nel cuore, però, rimarrà”.
“Non lo so” gli dico con tutta onestà. “Magari servirà a qualcosa, sempre meglio provarci”.
“Se hai la pazienza di farlo, ben venga”.
“Tu… ti sei trovato il ragazzo?” cerco di curiosare un po' nella sua vita.
“Ma non essere sciocca. Secondo te, mi va di impegnarmi? Per ora non se ne parla proprio. Sono gay, ma non praticante. Almeno per il momento. Eppure ci sono individui che mi chiedono di andare a letto con loro”.
“Perché non accetti?”.
“Perché d'estate non mi va di fare sesso. Quando arriverà l'autunno riprenderò a consumare i miei soliti rapporti sessuali con gli etero che mi chiedono di soddisfarli e di non dire niente a nessuno”.
“Ogni tanto ti invidio” ammetto.
“Preferisco non chiederti il motivo” dice lui.
“Ehm… come mai?”.
“Mi piace il mistero. Quella dose di ignoto”.
Vedo che la birra comincia a fargli effetto. Non capisco bene in cosa sia più disinibito, forse nella scioltezza del linguaggio e nella prontezza della risposta, perché gli atteggiamenti sono sempre gli stessi.
“Sei un tipo tutto da scoprire” gli faccio io, sentendomi un po' brilla.
“Spero non in quel senso”.
Ci guardiamo negli occhi per due secondi e poi scoppiamo a ridere come due oche giulive.
Pensavo che pian piano avremmo finito per parlare in modo sconclusionato o di cose insignificanti. Invece lui sembra voler trovare a tutti i costi una soluzione per i miei casini.
“Comunque potresti accettare anche il suo avvicinamento”.
“Parli di Fulvio?”.
“Sì. Alla fine… che male c'è? Se fosse veramente un pericolo e se tu, nonostante ciò, continuassi a essere una ragazza sicura di sé, non dovresti proprio aver paura”.
“Non capisco”, ammetto.
“Mettiamo caso che lui sia un tipo pericoloso, come tu sospetti. Se rimani una tipa intoccabile, non può avere in alcun modo un'influenza negativa su di te, anche se ti apri leggermente a lui… ovviamente parlo di semplice comunicazione, non di altri tipi di rapporti”.
“Beh, se lo dici tu, che raramente parli di instaurare relazioni con la gente, mi fido”.
“D'altronde si tratta soprattutto della tua sopravvivenza. Pensa alle settimane che devi trascorrere in quel posto. Non puoi avere sempre Federico sotto i piedi e non scambiare neanche una parola con gli altri”.
“Tu faresti così?”.
“Lo dico a te che devi vivere questa situazione. Io non mi ci immagino proprio in un luogo gremito di persone con cui collaborare… quindi… non ti so dire cosa farei in quel caso, personalmente”.
Dopo una trentina di minuti termina il giro della città. Siamo tornati al punto di partenza.
Manuel scende prima di me e io, appena poggio il piede su uno dei due scalini d'uscita, mi ritrovo quasi faccia a faccia con Fulvio. Sento il suo profumo. È leggero, ma caldo. I suoi capelli sono più sistemati ma pur sempre sbarazzini. Porta una camicia grigia e dei jeans corti. Dei bracciali e un orologio pesante abbelliscono il suo braccio sinistro.
Con lui ci sono Angela, con cui mi scambio rapidamente un saluto, e altri due amichetti, pronti per salire dopo di noi.
Io mi blocco. Non so cosa mi sia preso, ma non riesco a distogliere lo sguardo da Fulvio, che abbassa gli occhi per due secondi e poi tende la mano verso di me.
“Forza, scendi, ti reggo io”.
Afferro la sua mano e, messi i piedi a terra, gli accenno un “Grazie”.
Lui mi sorride. Io abbottono la mia giacchetta e vado verso Manuel.
Non ho potuto trattenermi. La sua gentilezza mi ha leggermente destabilizzata poco fa. E credo si sia meritato una parola di gratitudine, assassino o non.

   
 
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