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Autore: FelicyaCiccarone    27/08/2016    1 recensioni
Erazî, luogo dominato da due popoli in conflitto fra loro sin dalla notte dei tempi.
Andhakāra, il popolo dell'oscurità al cui vertice vi è Xerab, re del male e di tutto ciò che causa ostilità nell'Universo.
Helder, il popolo della luce, guidato da Abner, re del bene e di ogni cosa giusta.
Ormai la Terra Divisa è distrutta dalle troppe guerre avvenute nel corso dei millenni, la sua sopravvivenza si aggrappa al filo dell'esistenza del popolo Helder, che riesce ad evitare la totale sopraffazione da parte del popolo oscuro.
Ma un giorno qualcosa si spezza, ed è la vita di Abner.
Il popolo della luce è quindi costretto a lasciare tutto nelle mani della diretta ed unica erede: Anais.
Colei che è figlia del re bianco, avrà sulle sue spalle il regno del Bene, e toccherà alle sue inesperte dita muovere i fili del destino di Erazî.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Bondage, Violenza
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Capitolo 1

Ndafatti verranno narrati al passato, questo perché la vicenda si svolge in un'epoca passata.

Anais vagava per il castello, un silenzio inquietante invadeva tutta l'antica costruzione.
Le guardie la osservavano con un sorriso di compassione sul volto.
Sentì loro mormorare "Povera principessa, il padre l'ha lasciata così giovane", ma in realtà la ragazza avrebbe volentieri desiderato calpestare la loro compassione sotto i piedi.
Secondo lei, le persone diventavano improvvisamente buone e caritatevoli quando qualcuno moriva, il che le rendeva mediocri e ridicole.
Molte volte aveva sentito le stesse guardie beffeggiare suo padre, nonostante la sua dedizione nel cercare di salvare il regno. 
Ma l'anima di Abner si era ormai librata in cielo, le cattiverie non lo avrebbero più scalfito, non che lo avessero mai fatto.
Il regno, nel totale sconforto, era fragile e facilmente penetrabile dalle forze nemiche.
Anche Anais avrebbe voluto partecipare alla grande tristezza che in quel momento invadeva Aalainn, ma l'unico desiderio che il Re Bianco le aveva confidato sul letto di morte era quello che lei, sua figlia, combattesse per lui.
E così la fanciulla aveva imbracciato il suo arco e issato in spalla la sacca in cuoio piena di frecce, dirigendosi verso un luogo ben preciso.
Raggiunse finalmente il corridoio che portava alla rudimentale palestra che si trovava nel palazzo, la grande porta in vetro rifletteva il suo corpo:
i capelli bianchi le scendevano mossi fino alle spalle, efelidi chiare le ricoprivano il piccolo naso e una parte delle gote, gli occhi erano motivo di vergogna per lei, grandi e neri. 
Non erano di certo brutti, ma il colore che essi portavano era tutt'altro che normale. Il
Popolo Helder, infatti, era noto non solo per i capelli bianchi, ma anche per i loro splendidi occhi dorati, che li portava a sembrare creature semi-divine, quasi innaturali e di una bellezza stravolgente.
Nessuno della sua famiglia le aveva mai spiegato il perché lei fosse leggermente "diversa" dal resto dei cittadini di Aalainn, nonostante lei lo avesse chiesto una moltitudine di volte.
Scese ad osservarsi le clavicole, un po' sporgenti, il seno che non era poi così prosperoso, l'addome coperto da una maglia verde, sulle spalle poggiava un cardigan grigio perla.
I fianchi erano tondi e fasciati da quelli che erano i suoi pantaloni da "combattimento", bianchi, mai usati in circostanze reali perché le era sempre stato severamente proibito di prendere parte a qualsiasi guerra, era la figlia del Re Bianco e quindi essendo l'erede, c'era bisogno che rimanesse incolume. Continuò a fissare la sua immagine riflessa nello specchio, le gambe slanciate ed infine le sottili caviglie lasciavano il posto ai piedi che scomparivano in semplici stivaletti grigi. Si ritrovò a pensare che di certo nessuno l'avrebbe premiata per il suo "ottimo" stile.
Spinse le porte, la palestra in realtà si presentava come una sorta di arena, le scalinate portavano al centro, dove vi erano bersagli per archi, manichini su cui testare la lama di una spada, e così via.
Anais scese i gradoni in pietra rossa, ogni volta che entrava lì un certo senso di calma la invadeva, per arrivare all'ultimo che lasciava poi spazio ad un pavimento bianco.
La stanza era priva di finestre e dal soffitto pendevano catene, di dubbia utilità, appartenenti alla costruzione originaria.
Si soffermò con lo sguardo al centro della sala: qualcuno era arrivato prima di lei.
Avrebbe saputo riconoscere quei ricci platino ovunque, Jamil, un suo vecchio "amico" che non le era mai andato a genio.
Era il solito Helder, capelli bianchi, occhi dorati, naso perfetto, mascella squadrata, peccato fosse tutto muscoli e niente cervello, troppo pieno di sé.
-Secondo quale criterio hai l'autorizzazione di poterti allenare in questo luogo?- chiese portando le braccia al petto e fissando il giovane, che purtroppo, era di una bellezza disarmante.
Jamil si girò verso di lei intento ad asciugarsi la fronte madida di sudore, fece un sorriso sghembo per poi prendere parola.
-Io ho il permesso per tutto principessa, è bastata qualche mossa con una delle vostre donne in divisa da guardia, ed eccomi qui. La mia bellezza è un pregio unico, non trova?- si divertiva a darle del lei, quando in realtà non l'aveva mai fatto.
Anais inarcò un sopracciglio, era tanto bello quanto stupido.
-Attento- disse sorridendo la ragazza, il riccioluto non riuscì ad afferrare il significato di quel che Anais aveva detto.
-A cosa?- chiese, confuso.
-Al tuo ego, prima o poi ti schiaccerà, non che sia così difficile schiacciare un moscerino come te, Jamil- detto questo l'albina si avviò verso uno dei tanti bersagli e si mise in posizione con l'arco, tese la corda e prese la mira, scoccò la prima freccia che centrò pienamente il cerchio in legno.
-Però, niente male per una ragazza- sogghignò il soggetto dietro di lei.
Se non fosse stato un crimine, avrebbe usato gli occhi di Jamil come bersagli.
-Però, che battuta di classe, per uno col cervello grande quanto una noce- il ragazzo rimase spiazzato mentre colei che aveva pronunciato la frase sorrideva innocente, mentre puntava un altro bersaglio.
L'allenamento continuò per all'incirca un'ora e Jamil, forse stanco di prenderla in giro, se n'era andato via molto tempo prima.
Si gettò sul pavimento, con le mani indolenzite che poggiavano sul ventre, fissava il soffitto e le catene che vi pendevano.
-Padre, sarete fiero di me- disse solamente, mentre le lacrime le rigavano il volto.
Da quando Abner era passato a miglior vita, pochi giorni prima, la ragazza non aveva versato una sola lacrima, non riusciva neanche a comprendere il perché stesse accadendo in quel momento, ma decise che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe pianto.

 

Avrebbe dovuto essere forte, per lei e per il suo popolo.



 

 

Jamil (bello - arabo)

   
 
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