Capitolo Uno – Lìnde
e basta
- Ecco, lo sapevo…
mi sono persa di nuovo… -
Lìnde camminava per le strette vie del paese, non
di certo uno dei centri più grandi del Continente di
Viyila, anzi, probabilmente era il più pidocchioso dei Continenti. Ma non le importava. Dopotutto era lì per
nascondersi, non per stringere nuove amicizie o cose simili.
- Avanti…hai preso una decisione, devi avere il
coraggio di portarla a termine, incurante delle conseguenze… Oh, se
avessi saputo che sarei finita in questo postaccio non me ne sarei
mai andata da Palazzo! -
Continuando a guardarsi intorno, con aria persa,
ripensò a ciò che l’aveva spinta a
fuggire. La sua paura più grande. Il matrimonio. Ma se
almeno fosse stato un matrimonio con un giovane… ma come poteva sopportare
di passare il resto della sua gioventù con un vecchio caprone, di quegli
odiosi mercanti arricchiti, ma sempre rozzi e rudi, che avrebbero sposato un
asino pur di racimolare un po’ di nobiltà. E, per sua somma sfortuna, suo padre, il Conte di Kiyera, avrebbe
fatto sposare a sua figlia un asino pur di ottenere una cospicua dote. Cosa che aveva ottenuto. E sia Lord Frew che il Conte di
Kiyera si erano subito trovati d’accordo. Il
primo avrebbe ottenuto un bel castello ed uno stemma con tre grifoni ed il secondo
almeno ottantamila monete d’oro. Tutti contenti. Tutti
tranne lei, intrappolata in quel patto.
E, se Lìnde, la remissiva
figlia del Conte, non avrebbe mai pensato di fuggire prima, a questa notizia
era impazzita. E aveva fatto quello che aveva fatto.
Il resto, è storia.
- Coraggio Lìnde. Qui nessuno vuole farti del
male… sono solo tranquilli contadini che vogliono vivere in pace, senza
essere disturbati. E tu non li vuoi disturbare, vero?
–
Sorrise ad un paio di contadini
armati di forconi, chiedendosi perché vedesse così tanta gente
armata in giro.
Oh, armati con asce da taglialegna, zappe e picconi, ma pur sempre armi.
Avrebbe volentieri chiesto “perché”, ma capiva
benissimo che li avrebbe infastiditi. Già in molti la guardavano in modo
strano per l’abito di velluto verde, i lunghi orecchini d’oro e la
collana a
forma di grifone.
- Ehi, ragazza! –
Qualcuno la chiamò, facendo seguire a queste parole
un forte fischio di apprezzamento. Lei arrossì
fino alla punta delle orecchie. Sapeva fin troppo bene di non essere bella. Era
una cosa che sua madre e le sue bellissime sorelle le facevano
pesare fin da quando era bambina. Occhi castani e privi di
una qualsiasi luce capace di renderli speciali, capelli lisci che cadevano come
bagnati in tanti ciuffi e che si spettinavano a meno di non pettinarli e
sistemarli ogni dieci minuti. Era snella, questo dovevano
ammetterlo. Ma il suo sorriso non aveva quel qualcosa che rendeva indimenticabile il
sorriso delle principesse delle leggende. Non bella. Graziosa. Passabile. Non da farcisi vedere insieme prima di una festa. Moglie da
rinchiudere in casa e non fare uscire se non in occasioni
molto particolari. E questo lo sapevano tutti. E scuotevano le spalle. Non tutte potevano essere belle e
sempre sorridenti. Non tutte potevano possedere quel fascino che ti colpisce, dalla prima volta in cui posi gli occhi su di lei.
Almeno fosse stata un genio, sentiva spesso lamentarsi
suo padre. Non era stupida. Non le sembrava di esserlo. Solo non era un genio.
Non sapeva fare nulla di particolare. Non aveva capacità che la facessero spiccare e di cui un padre o un marito poteva
vantarsi. Lei era Lìnde. Lìnde e basta.
- Ehi, bella signora, vi serve un tappeto? –
Un mercante le si era avvicinato,
mostrandole merce che lei non aveva soldi per pagare. Tappeti di fine seta
dell’altra parte del mondo. Una donna dagli
occhi castani le mostrava collane dorate, che avrebbero acceso il desiderio di ogni donna. Un bimbo portava una ciotola di datteri che
offriva ad una sola moneta l’uno. E altri
passanti, come lei. Pochi. Anche per questo i venditori le si
erano affollati attorno. Guardandosi intorno si chiese perché in
un paese simile ci fossero tanto mercanti. Sentiva i
piedi dolerle. Avrebbe dovuto fermarsi in una locanda. Ma
non le rimanevano che poche monete e non voleva sprecarle in quel modo. Ma cosa fare altrimenti? Camminare fino a cadere a terra
esausta? Dormire sotto un ponte? No, quello mai. Anche
perché di ponti non ne vedeva nelle vicinanze. Avrebbe potuto
chiedere dove si spendeva poco. C’era di certo un posto adatto a coloro che non potevano spendere troppo. Un mercante. Loro erano esperti di queste cose, viaggiavano per tutta la loro
vita alla ricerca di buoni affari! Un vecchio baffuto sedeva accanto ad una
bancarella, coperta da abiti che strappavano un sospiro a tutti coloro che vi ci passavano davanti.
- Mi scusi…-
Ecco. Stava succedendo di nuovo. Arrossiva. Balbettava.
Non trovava le parole. E si allontanava, in fretta,
tornando nell’ombra da cui era giunta. Solo una volta non si era
comportata in quel modo. Ed era fuggita.
- … Volevo… chiedervi… una
domanda… io…. Certamente… -
Doveva smetterla. Trovare il suo coraggio. Ce
n’è un po’ in tutti. No. Non è vero. Lei non ne
possedeva neppure un po’. Perché altrimenti non
avrebbe sentito la testa farle male. O lo
stomaco fare capriole. Le ginocchia tremare. Non era come le fanciulle
che si sacrificavano per il proprio paese, pronte ad affrontare un drago
terribile o dare la loro vita per nobili cause. Lei si sarebbe nascosta bene. E avrebbe aspettato che tutto si calmasse. Non che non avrebbe voluto assomigliare a loro. A Minn che, morto il padre, era andata in guerra al suo posto per
tenere alto l’onore della famiglia. A Diyen, che
si era sacrificata per salvare la vita a suo marito, famoso guerriero morto in
battaglia. Senza di lui la guerra sarebbe stata persa e così con
un pugnale si era strappata il cuore per donarlo
all’amato. Se fosse stata al loro posto cosa
avrebbe fatto? Loro erano come le sue sorelle, belle e coraggiose, pronte a
tutto per l’onore e l’amore. Lei era scappata, disonorando i suoi
cari. E l’amore? No, una come
lei non lo avrebbe trovato mai. Le sentiva Brindè e Llyan, le sorelle,
parlare dei loro mariti immaginari. Mariti che, la loro bellezza, avrebbe loro portato. Come per le principesse rinchiuse
nelle torri. L’eroe coraggioso andava da loro, per salvarle, colpito
dalla loro bellezza. E lei restava lì, nascosta
sotto le coperte della sua camera, ad ascoltare.
- Voi… conoscete un posto per… dormir senza
spendere… tanto… perché, non che non abbia soldi, ma non vorrei… spendere… troppo… -
Abbassò gli occhi a terra, sentendosi arrossire.
Complimenti, come al solito hai fatto la figura della
perfetta idiota. Perché non possedeva almeno un po’ di
spigliatezza, sufficiente per poter intavolare non una discussione, ma uno semplice scambio di battute con un uomo che non
conosceva?
- Bene. In città, no… le nevi hanno
cominciato a sciogliersi, il passo dei Falchi sarà riaperto tra pochi
giorni e centinaia di mercanti e nobili lo attraverseranno per entrare nella
Valle di Sehy. Oppure, tutti quelli che vedi da questa
parte andranno a Krini, probabilmente per comprare i famosi cavalli…
tornando a noi, per trovare un posto in cui si spende poco dovresti andare al
Villaggio di Hidi. E’ un paesino nascosto nel bosco di Zholtan. Ci vogliono
un paio d’ore per arrivarci… ma se cammini in fretta ce la farai
prima di notte. Devi seguire il sentiero che parte dalla Piazza della
città, quella con la fontana a forma di tritone… Ecco, da
lì segui la stradina che porta verso est. E poi arrivi a Hidi. E’ un posto pidocchioso. Non ci
troverai nulla di interessante… ma se proprio ci
tieni, fa attenzione ai Kyll del Bosco –
Si lisciava i baffi, parlando. Teneva gli occhi socchiusi,
godendosi il calore del sole sulla pelle.
- Kyll? Kyll del bosco? Cos’è un Kyll del
Bosco? –
Aveva paura? Un po’. Ma il tono
con cui lo aveva detto… quelle semplici parole. Tre
semplici parole, ma pronunciate in tono cupo, come quelle che formavano il nome
di un terribile mostro o di un assassino.
- Kyll… ragazza, davvero non sai
cos’è un Kyll? Beh, non fare quella faccia! Sembra che tu
ti stia per mettere a piangere… Sono creature terribili, assassini a
sangue freddo, sempre pronte a spargere sangue. Alcuni
si alzano con il calare delle tenebre, altri solo con il sorgere del sole. Alcuni
non hanno neppure bisogno di dormire. O almeno
così si racconta. Magari sono tutte leggende… ma
sono tanti molti i cadaveri orribilmente sfigurati, trovati lungo quella
strada, proprio in questa stagione… ti conviene fare attenzione… -
Stava sorridendo. Magari scherzava. O magari parlava sul
serio e si immaginava la scena. Un
terribile mostro che attaccava la ragazza inerme. Avrebbe mai trovato il
coraggio di farlo? Di andare a piedi, sola, in un
bosco oscuro. Con un nome che la faceva rabbrividire.
Zholtan. Zholtan. Zholtan.
Doveva trovare il coraggio. Se
solo avesse saputo dove cercarlo! Pensa a qualcosa di positivo.
Si. Probabilmente sono leggende. Chi crede più ai mostri? Sei grande e
hai studiato con i migliori maestri del Continente. Anche loro erano molto scettici riguardo all’esistenza della magia, degli
Elfi, dei mostri… di cose simili, insomma!
Eppure quel tipo sembrava così
serio… credeva davvero in quello che diceva, e questo lo capiva anche
lei. Poteva credere in qualcosa di sbagliato. Però…
Oh, basta con questi “se”, i “ma” e i “però”.
Per una volta nella vita avrebbe fatto qualcosa senza pensarci per un giorno
intero. Si sarebbe buttata così. Anche quando
era scappata dal Palazzo, ci aveva pensato per giorni e giorni.
- Grazie… signore. Seguirò il suo… il suo consiglio! –
Incredibile. Era riuscita a non balbettare… troppo.
Era pur sempre un passo avanti, però. Chinò il capo con grazia,
nel modo in cui le avevano insegnato a rivolgersi ai
potenti. Il mercante sorrise, vagamente divertito. Ovviamente, tra quei rozzi
campagnoli lui, un ricco mercante di Miker, non si sarebbe mai aspettato di
trovare una giovane che sembrava una dama. Eh si, se solo sua figlia Hyme fosse
assomigliata un pizzichino di più a quella strana fanciulla,
invece che essere il maschiaccio che era, ora avrebbe trovato almeno una corte
di spasimanti, invece di doversi accontentare di quel bizzarro Cavaliere, che
passava il suo tempo a girare per le città del Continente a vincere
tornei…
- Bene. Non è andata così
,male. Sei stata brava, Lìnde, e ora basta trovare quella piazza
e… -
Fu interrotta da uno spintone improvviso, che la
mandò a gambe all’aria, in tutti i sensi. Imbarazzatissima, si
affrettò a risistemare la gonna, guardandosi intorno con gli occhi
spalancati. Nessuno, per fortuna, sembrava essersi accorto del suo piccolo
incidente. Un gran numero di uomini armati di forconi,
asce, guidati da uno che portava una lunga spada arrugginita che nessuno si
prendeva la briga di lucidare da almeno una trentina d’anni, correvo per
la via, verso quel bosco che le incuteva tanto timore. Urlavano qualcosa…
no, ti prego, fa che mi sia sbagliando. Che non stiano urlando quella parola… tutto, ma non quella
parola… non Kyll, perché se lo urlavano voleva dire che ne avevano
visto uno… e se ne avevano visto uno dovevano per forza esistere. E le sue speranze di passare senza timore per il bosco
cadevano come un castello di carte.
- Dov’è andato? Lo
avete visto? Era di là, ne sono certo! Cosa dici, non di là, sei cieco? E’
andato verso il villaggio, vuole uccidere le nostre mogli e rapire i
nostri figli! No sta scappando! Attenti è a
cavallo! No, lui si è impossessato del corpo di un cavallo! Ma sei ammattito? Non possono impossessarsi dei corpi degli
altri! Sono già mostri di loro! –
Un coro confuso di voci che le
facevano girare la testa. Ancora seduta a terra, guardava la gente correre per la via,
sprangare le finestre e serrare le porte. Bambini che
piangevano, donne che gridavano… tutto per uno solo di quei Kyll. Dovevano
essere mostri terribili. Per fortuna che era successo tutto quel pasticcio,
altrimenti sarebbe finita dritta nelle loro fauci, allegra e contenta…
Ora nessuno più passava per la via. Le luci erano
spente. Il sole stava tramontando. La luce rossa inondava la strada dando l’impressione
che tutto stesse bruciando. Scattò in piedi,
pulendosi l’abito, impolverato. Grandioso. In meno di tre giorni era
diventato uno straccetto per contadine. Sbuffò, ripensando al suo vasto
guardaroba. Aveva preferito l’eleganza di quel vestito alla
comodità della sua tenuta da equitazione. E
questo era il risultato.
Un problema però rimaneva. Dove
sarebbe andata a dormire? Non avrebbe potuto bussare ad una porta e chiedere un
luogo per riposare. Non si sarebbe mai abbassata a tanto. Sentì un
improvviso singhiozzo, provenire da una sorta di vicolo, posto tra due
abitazioni, che non aveva neppure notato. Si voltò, inclinando il capo. Con
lo sguardo sondò l’oscurità del vicolo. Vide una sagoma,
che si muoveva con lentezza, come se si fosse appena svegliata o fosse ferita. Una
terribile idea nacque nella sua mente. Deglutì sonoramente. Qualcosa le diceva che quella notte non avrebbe dormito affatto.