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Autore: SherlokidAddicted    27/08/2016    2 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
- Voglio sapere chi è lei e che ci fa qui. –
- Sono il Dottore! – Dice porgendomi la mano ed aspettandosi che io la stringa, cosa che però non succede. Assottiglio lo sguardo e lo scruto con attenzione mentre, deluso dalla mia mancata stretta, abbassa il braccio e lo riporta lungo il fianco.
– Il suo vero nome. –
- Beh, è questo il mio nom… -
- Non il nome con cui si fa chiamare, ma il suo vero nome, quello che nasconde a tutti da sempre, forse perché ha fatto qualcosa. Oh, allora è così! Ha fatto qualcosa di brutto, qualcosa di inaccettabile di cui si pente, talmente tanto che si vergogna ad utilizzare il suo vero nome e si nasconde dietro un titolo che la fa sentire meno in colpa di quanto vorrebbe, non è così… Dottore? – Gli occhi del mio nuovo conoscente si strabuzzano non appena mi sente pronunciare quelle parole con quel tono indagatore che mette la maggior parte delle persone che mi stanno attorno in soggezione, lui compreso.
- Oh, è proprio bravo come dicono… –
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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Adesso non ti resta che sorprenderlo



Con un leggero scossone, il Tardis atterra, facendomi reggere al corrimano. John, invece, rimane immobile su due piedi, nemmeno il brusco arrivo riesce a farlo traballare.

Dopo aver armeggiato fra i comandi, il Dottore tira fuori da dietro la console una grande borsa a tracolla, che indossa senza alcun problema, poi afferra il suo rivelatore di tempo transitorio e lo accende.

- Allons-y! – Dice poco prima di raggiungere la porta. Sta per aprirla, quando si gira verso di noi e ci guarda preoccupato. Non capisco perché, ma poco dopo riprende a parlare per spiegarci il motivo: - Quello che vedrete appena usciremo da qui potrebbe causarvi… un piccolo shock, quindi mantenete la calma e restate dietro di me, non lasciate il gruppo per nessun motivo al mondo. Sono stato chiaro? – Il suo dito punta verso di me e, poco dopo, anche verso John, che ha aggrottato le sopracciglia senza capire.

- Sei tu l’esperto. – Mormora quest’ultimo portando le mani nelle tasche dei jeans. Il Dottore, quindi, si gira nuovamente verso la porticina cigolante e la apre.

Lo seguiamo fuori, io esco per ultimo. Siamo a Baker Street. Riconosco la facciata del mio appartamento e l’ingresso di Speedy’s… ma non è come mi aspettavo, affatto. Al posto delle auto ci sono grandi carrozze trainate da cavalli possenti, guidate da cocchieri con grandi mantelli neri, le donne indossano lunghi vestiti e strani cappelli con degli ornamenti bizzarri, gli uomini elegantemente vestiti con il panciotto e la bombetta ben ficcata sulla testa. Tutto intorno a me ha assunto quell’aspetto vittoriano che io e Watson avevamo visto ed appreso solo tramite i libri di storia.

- Londra, 1878. Riconoscerete la facciata del vostro appartamento, immagino. – Dice lui distrattamente, concentrato solo ed unicamente sul congegno che teneva in mano.

John ed io non riusciamo a credere ai nostri occhi. Sento che nel mio palazzo mentale si sta per erigere un’altra stanza dedicata ai viaggi nel tempo. Le cose che io credevo impossibili e appartenenti soltanto alla fantascienza e all’immaginazione delle persone stupide e dei bambini, adesso si sta verificando sotto i miei occhi, adesso lo sto vivendo in compagnia di un Dottore strampalato e dell’uomo di cui mi sono infatuato senza alcun preavviso.

John sorride incredulo mentre si guarda intorno. Poi, scosso da qualche moto di eccitazione del momento, mi afferra la manica del cappotto e scoppia in una risata stupita. Io sono immobile, invece. Ormai i miei occhi ne hanno viste di tutti i colori. Sembra quasi che il Dottore si stia divertendo a prendere la mia mente e tutte le cose che ritenevo normali e ordinarie fino a qualche giorno prima, ad accartocciarle e a gettarle via come carta straccia, per sostituirle con delle cose assurde che non stanno né in cielo né in Terra.

Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità.

A quanto pare non avrei più potuto eliminare l’impossibile.

- Oh, trovato! – Esclama il Dottore iniziando a camminare con velocità lungo il marciapiede. Per un attimo io e John rimaniamo immobili, ancora scossi dal viaggio nel tempo che avevamo appena fatto. Poi iniziamo a seguirlo a passo svelto fino ad un vicolo in cui, dopo un ding ben distinto del suo rivelatore, troviamo appoggiato alla parete dell’edificio un uomo con degli abiti completamente contrastanti con l’epoca vittoriana… come noi, d’altronde.

- Joseph! – Il Dottore gli si avvicina a passo svelto. L’uomo è seduto sull’asfalto e si massaggia le tempie con una faccia piuttosto scossa, l’espressione dolorante. Sembra esausto.

- Lei chi è? – Chiede il postino (a giudicare dalla sua divisa), mentre lo guarda con quella leggera punta di fastidio nella voce. Dopo pochi secondi, cerca di alzarsi puntellando le mani sull’asfalto, ma è così stremato che ritorna nella sua posizione iniziale all’istante.

Sento, nel medesimo istante, che l’istinto medico di John si sta risvegliando. So che vuole sapere cosa c’è che non va in quell’uomo, che vuole visitarlo per dargli una diagnosi e consigliarlo sul cosa fare per stare meglio. Infatti, sta per avvicinarsi ma il Dottore solleva una mano, come a dirgli di stare al suo posto. Il gesto lascia John insoddisfatto, ed irrita me per non so quale assurdo motivo.

- No no, Joseph, non muoverti. I viaggi nel tempo senza capsula sono devastanti, sta giù e cerca di riprenderti. – Il Dottore, a quanto pare, aveva già una diagnosi accurata per l’uomo. Era proprio Joseph, il postino che stava consegnando il pacco a Tracy ed Amber, scaraventato nel 1878 da un angelo piangente.

Il restante del tempo lo passiamo ad ascoltare il Dottore che spiega al mal capitato ciò che gli è successo. Quello sembra non crederci all’inizio, ma vedere la gente che lo circonda riesce a convincerlo. Gli viene consegnata dal nostro amico la borsa con cui aveva lasciato il Tardis. Dentro, a quanto pare, c’è tutto l’occorrente che servirà al povero Joseph per adattarsi alla nuova epoca, tra cui documenti per una nuova identità da ricostruire per una nuova vita. Infine, gli dice che avrebbe dovuto informare i suoi parenti nel 2016, e di scrivere perciò una lettera che avrebbe consegnato ai suoi discendenti, fino a farla finire nelle mani della sua famiglia. Avrebbe dovuto aspettare 138 anni perché loro la ricevessero.

Lo lasciamo in un’osteria poco lontana, poi gli auguriamo buona fortuna e ce ne andiamo. Il Dottore sembra turbato e triste mentre camminiamo per tornare al Tardis. Ma non sottovalutatemi, riesco a capire il perché del suo stato emotivo. Deve aver vissuto questa situazione parecchie volte nella sua vita. Forse uno dei suoi compiti era proprio questo: aiutare le vittime degli angeli piangenti quando venivano catturate. Vedere gente a cui veniva risucchiata tutta una vita, gente che non aveva avuto il tempo di salutare i familiari, con la consapevolezza che non li avrebbe mai più rivisti… al Dottore tutto ciò pesava particolarmente perché si metteva nei loro panni, e il fatto che non potesse fare nulla per farli tornare nella loro epoca era forse la cosa più dura da sopportare per uno il cui scopo era solo quello di aiutare e di evitare certe cose.

Oh… aspetta! Quei casi che non sono riuscito a risolvere, quelle strane sparizioni… erano perciò dovute agli angeli?

- Hai parlato di universi paralleli sul Tardis. – Dice John mentre si guarda curioso intorno.

- Già, non avrei dovuto parlarne. –

- Ma lo hai fatto. – Il mio amico solleva un sopracciglio e lo guarda con l’aspettativa di un’imminente spiegazione, che per fortuna non tarda ad arrivare.

- Esistono diversi universi paralleli. Non è possibile passare da un universo all’altro se non per delle fratture nello spazio tempo. Mi è capitato di dover oltrepassare queste fratture per… - il Dottore smette di camminare ed inizia a fissare il vuoto. La tristezza emerge per un attimo dal suo viso. Qualcuno di importante abbandonato in uno degli universi paralleli, eh?

Scuote poi la testa e riprende a camminare, raccontando il resto come se nulla fosse successo.

- Beeeeh, sì, in sostanza è un posto dove esistono altri noi con altre vite o altri caratteri completamente diversi. – Mentre lo dice, il Tardis è già a pochi passi da noi. Basta poco affinché lo raggiunga con un passo e che afferri la maniglia della porticina. – So che magari siete curiosi e vorrete farvi un giro in quest’epoca ma… credo che dovremmo dare la priorità agli angeli. Vi prometto che vi farò fare un giro dove volete qualche volta. -

Qualche minuto dopo ci ritroviamo attorno alla console, il Tardis è già in viaggio mentre John ispeziona il rilevatore di tempo transitorio, seduto sulla panca accanto al corrimano.

- Non hai detto una parola. – Osserva il Dottore mentre si sistema gli occhiali sul naso. Le sue mani sono ben ferme sui comandi.

- Non ho niente da dire. –

- Troppe novità per la tua mente geniale, eh? – Lo guardo leggermente irritato dalle sue parole che, mi duole ammetterlo, sono fottutamente vere. – Beh, come è andata la cena? – Cambia totalmente argomento e l’unica cosa di cui mi premuro è controllare se John sta facendo caso al nostro discorso, dato che si parla di lui. Per fortuna, però, sembra del tutto concentrato su altro e non fa caso a noi.

- Semplicemente, è andata. – Lui annuisce ed indica una leva con il dito, che si trova proprio davanti a me. All’inizio non capisco a cosa voglia riferirsi, poi mi rendo conto che vuole che io la sollevi, e lo faccio senza pensarci un attimo. La navicella atterra ed il Dottore si spolvera per bene le mani prima di raggiungermi.

- Adesso non ti resta che sorprenderlo e poi… buttarti. – Mi lascia due leggere pacche sulla spalla, e dal suo sorriso comprendo che anche lui si era ritrovato in situazioni del genere. L’amore coinvolge gran parte degli esseri viventi, perfino uno come lui… e vista la sua età, avrà avuto tante di quelle esperienze da perderne il conto.

John si avvicina ed io non ho il tempo di dire altro.

- Dobbiamo decidere cosa fare, io ho bisogno di voi e voi avete bisogno di me. Quindi sarebbe meglio che resti nel vostro appartamento per aspettare che gli angeli si facciano vivi. Beeeeeh, sì. Potrebbe sembrare un autoinvito ma è l’unico modo, fidatevi. – John acconsente, senza nemmeno sentire la mia opinione, a patto che lui parcheggi il suo Tardis nella camera di John, in modo da non far prendere un infarto alla povera signora Hudson non appena avesse visto la cabina piombata lì dal nulla.

Quella sera, ognuno decide di dormire nella propria camera. Il Dottore aveva assicurato a John che non sarebbe uscito dal Tardis e che il mio amico avrebbe potuto dormire in tutta tranquillità senza alcun disturbo.

Io non chiudo occhio, non ancora. Ho portato il portatile nella mia stanza, davanti a me c’è la foto della strana roccia che trovai quando Luke scomparve. Apprendo, solo dopo un’attenta analisi, che proviene da uno dei due angeli che ci stanno perseguitando. Il problema è sapere come quel pezzo di roccia si sia staccato dalle creature, visto il loro incredibile sistema di difesa.

Oh, per la miseria, è tutto così affascinante. Non avrei mai detto che questa situazione mi facesse eccitare come un bambino che ha appena ricevuto dei nuovi giocattoli. Imparare nuove cose sembrava dare i suoi frutti. E… mentre leggo con attenzione i libri sul Sistema Solare, mi rendo conto di quanto sia interessante, diversamente da come credevo.

Sono esattamente le 3.17 quando finisco di leggere, ed ormai sono convinto che non riuscirò a prendere sonno per il resto della notte. Mi alzo, avvolto nella mia vestaglia blu, e raggiungo la cucina per preparami del buon tè caldo. Prendo la teiera, la tazza, poggio tutto sul tavolo della cucina e sistemo l’acqua nel bollitore, quando all’improvviso un lamento familiare mi distrae. Proviene dal salotto e si prolunga in un rantolo infastidito. Con cautela mi avvicino alla stanza e, come mi aspettavo, vedo John disteso malamente sul divano. Ha gli occhi socchiusi e le braccia e le gambe sono lasciate andare come capita lungo lo schienale ed il bracciolo. Sopra di lui c’è una coperta troppo piccola per il suo corpo, non lo copre del tutto e lascia scoperti i piedi.

- Che ci fai qui? – Chiedo con un sorriso divertito sulle labbra mentre ritorno in cucina come se niente fosse.

- Quella cabina fa un rumore strano anche quando è ferma. – Mormora con la voce impastata dal sonno.

“Adesso non ti resta che sorprenderlo.”

Lascio che le palpebre si stringano forte mentre immergo la bustina del tè nell’acqua già abbastanza calda.

- Mi rigiravo nel letto ma… non riuscivo a prendere sonno, credevo fosse per il rumore ma appena mi sono sdraiato qui non sono comunque riuscito ad addormentarmi. –

Vai, Sherlock! Non è così difficile, è solo un atto di gentilezza, un gesto per sorprenderlo.

Senza pensarci su un’altra volta, prendo la sua tazza e sistemo il tè, quel poco che avevo fatto per me, all’interno di essa. Metto le sue solite due zollette di zucchero e poco dopo sono davanti al divano a porgergli la tazza fumante, accennando un sorriso ebete.

All’inizio mi guarda come se anche io fossi un alieno, proprio come il Dottore che in questo momento si trova al piano di sopra. È davvero raro che io prepari qualcosa per gli altri, anzi… in realtà non capita mai. John deve reputarmi strano ed insolito dopo la cena che gli ho preparato, e poi quel tè che dapprima era destinato al sottoscritto. Afferra la tazza mentre si sistema seduto sul divano e mi ringrazia con un dolce sorriso che riesce a farmi sentire il latte alle ginocchia. È quasi un miracolo che io non abbia tremato di fronte a lui.

- Non mi sembra che trovi comodo questo divano. – Dico poi, sedendomi accanto a lui che ha già iniziato a sorseggiare il liquido ambrato.

- In effetti è un inferno dormire qui sopra. –

- Puoi dormire nella mia stanza, con me. – Non lo guardo mentre lo mormoro con imbarazzo, tengo gli occhi puntati verso il pavimento e mi torturo nervosamente le mani.

Sto pretendendo troppo, vero? Ho azzardato con questa proposta?

- Non invaderò in alcun modo i tuoi spazi. – Mi affretto ad aggiungere nel sentire il suo silenzio. Poco prima udivo il suo sorseggiare, adesso niente. Le guance mi vanno a fuoco, non capisco perché. Posso solo immaginare cosa stia pensando di me in questo momento, o come mi stia guardando, dato che non ho il coraggio di girarmi verso il suo viso.

- Sherlock, cosa stai cercando di dirmi? – Maledizione ai sentimenti che non riesco a tenere a freno. Errore umano, l’ho sempre detto. Che mi prende?

- Nulla, io… dormirò qui se non vuoi. – Dico senza distogliere lo sguardo dal pavimento. Lui poggia la tazza sul tavolino e sposta il viso di fronte al mio, in modo da potermi guardare dritto negli occhi.

- Non dormirai qui, Sherlock. – La sua mano scivola sulla mia, lasciandoci sopra una tenera carezza con il pollice. Sembra quasi che voglia dirmi qualcosa, ma non voglio illudermi, nonostante la sua reazione mi faccia battere il cuore oltre il limite della sopportazione umana.

- Ma… -

- No, Sherlock. Dormirai con me nel tuo letto. – Non doveva essere lui quello sorpreso, invece che io?



Note autrice:
Ciao ragazzi miei, lo so che sono tremendamente in ritardo con la pubblicazione, ma vi spiego: domani parto e tornerò verso il 13 settembre, quindi in primis ho dovuto prepararmi. Non pubblicherò fino a quel giorno perchè dubito di trovare una connessione wi-fi, però porterò il computer con me e scriverò quando avrò del tempo libero, così al mio arrivo potrò pubblicare subito.
Non volevo lasciarvi senza un aggiornamento prima di partire, quindi eccolo qui.
Un bacio e ci vediamo appena torno!
  
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