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Autore: Bellamy    28/08/2016    1 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
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Erano ritornate le solite giornate noiose, vuote, cariche di solitudine. Il palazzo dei Priori era ritornato ad essere vuoto. I Volturi se ne erano andati tutti via. Bella, ancora aveva il mio medaglione. O almeno speravo l’avesse ancora lei. Senza mi sentivo completamente vuota, come se una parte molto importante del mio essere fosse stata spazzata via. Ad essere  sincera, aspettavo di rivedere Bella solo per riavere il mio medaglione. Ma mi mancava, come mi mancava Andrew.
Fece un lavoro strabiliante con la mia cicatrice, quasi alla pari di Carlisle. Non mi faceva più male e non avevo più perdite di sangue. Quello di Andrew fu un gesto molto carino, inaspettato allo stesso tempo. Insomma, non aveva nessuna ragione di dovermi aiutare. Lui era il nemico, lui, in pratica, mi aveva picchiata. Mi salutò dicendomi di perdonarlo. E lo era. Davvero era tutta questione di perdono?  SI era davvero pentito?
Oltre ad essere sola a Volterra, pochi giorni dopo da quando Andrew mi lasciò, accaddero degli eventi degni di un film horror.
Una sera, tutti nello stesso preciso istante, si registrarono cinque suicidi: un uomo si gettò dalla finestra della propria casa, al secondo piano; un cuoco si tagliò la gola davanti a dei commensali in un ristorante di fronte alla piazza; due giovani si schiantarono con la macchina contro un muro di cinta ed una donna, trovata impiccata con una corda da accappatoio nel proprio appartamento, di fronte al Palazzo.
Volterra sembrava non esistere più, aveva perso la sua vitalità, i turisti non venivano, le strade erano vuote, le persone non si azzardavano ad uscire di casa, salvo per andare ai funerali delle cinque vittime o per andare a fare la spesa (fuori Volterra).
Le uniche anime vive che padroneggiavano le strade della cittadina erano gli agenti della Polizia. Erano appostati ovunque, armati fino ai denti, e qualche giornalista alla ricerca di tirare anche la più insignificante  parola dalla bocca dei cittadini che proprio non volevano parlare. Il caso era aperto e ancora non si era capito il movente.  Cosa aveva indotto cinque persone normali, sconosciuti tra di loro, ad uccidersi nello stesso preciso istante? Perché?
Mi morsi il labbro e l’inquietudine mi pervase tutta e scacciai immediatamente un pensiero insistente dalla testa.
I poliziotti erano anche appostati davanti alla entrata della dimora dei Volturi. Ogni giorno provavano a chiedere di qualcuno, ma i portoni non si aprivano mai. Sospettavano di loro? La Polizia era a conoscenza  del segreto dei Volturi?
Neanche la mia porta si aprì, era stata chiusa dall’esterno. Non sapevo da quando. Mi avevano rinchiusa.
Era notte, ero più sveglia che mai e pronta ad andare all’azione. Ero completamente sola. I Volturi erano così talmente sicuri di loro stessi da lasciare il loro territorio completamente scoperto? Davvero nessun vampiro si azzardava ad irrompere e a ribellarsi a loro?
Io, comunque, ero pronta a fuggire via. Ero determinata e intenzionata ma allo stesso tempo ero anche poco sicura di me stessa: quando ripresi il mio zaino da dietro il caminetto i miei cellulari e il mio portatile erano spariti via. Qualcuno me li aveva rubati. Ma chi? Andrew? Bella? Solamente loro potevano sapere del mio bagaglio. Arrivai alla conclusione che forse Aro voleva tagliare qualsiasi ponte tra me e i Cullen e man mano che il tempo passava ne ero più convinta. Ma tutto questo non mi fermava un attimo di più a Volterra.
Uscire dalla finestra, purtroppo, era fuori discussione. Proprio sotto la mia finestra, cinque metri più a sinistra, si trovavano appostati due agenti. Come potevo spiegare la mia comparsa? Non mi andava di essere rinchiusa in qualche cella o che sapevo io. Mi era bastata quella dei Volturi.
Così mi avvicinai alla porta della mia camera e accarezzai il legno liscio ma ruvido allo stesso tempo con la mano destra fino a falla cadere verso il pomello.
Lo strinsi con forza e con uno scatto brusco ma fermo sentii i cardini e la serratura della porta rompersi e questa si aprii con un cigolio da farmi rizzare i peli della nuca.
Il cuore batteva freneticamente, uscii fuori verso il grande corridoio: tutto era buio, freddo e silenzioso. Rimasi per un attimo ad indugiare mentre decidevo da dove parte andare mentre cercavo di regolare il mio respiro pesante e i battiti del mio cuore.
Alla fine decisi di prendere la strada che percorsi quando trovai Andrew nei sotterranei. Scesi al primo piano, anch’esso vuoto, le candele spente, e camminai alla ricerca di una via di uscita notando con angoscia che le porte erano tutte chiuse. Per i miei occhi umani era difficile vedere al buio e per questo avanzavo arrancando, con passi più leggeri dell’aria, stretta al muro che grattava contro la mia schiena, con il cuore in gola e il respiro corto e pesante.
Gli unici suoni udibili erano quelli del vento e l’ironico sbattere d’ali di pipistrelli. Trattenni una risata isterica.
Feci quasi tutto il giro dell’atrio quando venni fermata da una mano che si posò sulla mia spalla.
Mi girai violentemente di scatto emettendo un ringhio animalesco. Una figura illuminata da una torcia cadde a terra e imprecò in italiano, spaventata.
Presi da terra la torcia rimasta accesa e la puntai verso la figura.
“Alessandra!” urlai e mi misi in ginocchio aiutandola ad alzarsi. Era visibilmente spaventata: aveva gli occhi lucidi e gonfi e stringeva i denti come a trattenersi dal piangere. Aveva i capelli raccolti da una coda, era struccata e indossava una tuta blu scuro.
Lei non mi rispose, così la tenni per le spalle sorreggendola e la feci sedere su una panchina sotto il portico in cui ci trovavamo.
Alessandra fece dei respiri profondi e disse “Scusami.” sorridendomi imbarazzata.
“Scusami tu. Pensavo fossi da sola qui.”
Scosse la testa “No. Io sono sempre qui. A badare a te.” Violentemente stava trattenendo i singhiozzi ed io non sapevo come comportarmi. Mi sentivo male e avevo la nausea dalla troppa adrenalina.
Le strinsi una mano , ma non usai il mio dono perché pensavo la potesse spaventare. “Non era mia intenzione spaventarti. Come ho detto pensavo fossi sola.” Le dissi.
Annuì “Ho sentito un rumore provenire dalla porta della tua stanza così sono corsa a vedere. Hai rotto la serratura.”
“Tu vivi qui?”
Alessandra si strinse a sé “Quando i miei Signori non ci sono ma è così difficile certe volte!”
Al Signori rabbrividii. Come accettava di farsi comandare da mostri come i Volturi?
“Chi ha chiuso la porta?” domandai io allora.
Alessandra mi guardò, colpevole. “Scusa, io non lo avrei mai fatto.”
L’abbracciai prendendola alla sprovvista “Stai tranquilla. Non è colpa tua.”
Quando ci staccammo le feci un’altra domanda: “Dove sono tutti?”
Alessandra tentennò a rispondermi e prese del tempo, poi: “Mi dispiace ma non posso risponderti.” Si morse il labbro inferiore, ancora spaventata “Potrei soffrire delle conseguenze se rivelassi qualcosa.”
“Oh andiamo!” sbottai io alzandomi e mettendomi davanti a lei, gli occhi di fuoco  “Alessandra, sei una giovane ragazza, perché vai dietro a questi mostri?! Non rovinare la tua vita così!”
Sbatté gli occhi, scioccata, e aprì la bocca senza dire nulla. Dopo balbettando disse: “Io voglio essere bella e immortale, come voi. E i miei Signori  me l’hanno promesso. Diventerò una vampira e farò parte della Guardia.”
Ero scioccata: “Davvero… Davvero vuoi questo? Puoi puntare al meglio Alessandra, non a questo! Non vedi cosa sono in grado di fare? Sono malvagi! Quelli della Guardia… la loro consideri vita?”
Non rispose subito, mi guardava fisso negli occhi però “Se solo sapessi…”
Mi portai le mani ai capelli, la piega che aveva preso quella notte mi stava facendo impazzire. “Cosa?!”
 Alessandra scosse la testa, più decisa: “Voglio essere come voi.”
Le volevo dire che io ero per metà umana ma preferii mettere a freno la mia lingua e andai al contro attacco: “Io ho intenzione di andarmene da qui. Puoi venire con me.” Dissi stringendo le cinghie del mio zaino praticamente vuoto.
Alessandra scattò in piedi “No! Non puoi!” urlò.
Fui impassibile e non mi mossi neanche di un centimetro. “Non ho la minima intenzione di perdere altro tempo qui. Sono stata usata abbastanza e non voglio neanche sapere lo scopo di questo. Voglio solo dimenticare questi terribili giorni ed inizierò da stanotte.” Continuai “Alessandra, sei una ragazza giovane e puoi avere tutto dalla vita. Vai via da qui, via dall’Italia. Creati una nuova vita. Non condannarti a questo!”
Alessandra mi guardava come se fossi pazza, sembrava spaventata più delle mie parole che altro. “No! Ho promesso che ti avrei sorvegliata! Non puoi andare! Te la faranno pagare! Non solo a te!” Ora era più che terrorizzata. Gli occhi sbarrati e una smorfia d’orrore nel volto. Una mano era stretta alla mia spalla destra. I suoi occhi andavano verso destra e sinistra e poi verso di me, paurosa che io potessi scappare da un momento all’altro. Cosa che potevo fare?
Sentivo la testa terribilmente vuota e non riuscivo a seguire ciò che diceva. Captavo la sua voce come se fossi sotto acqua, a molti metri di profondità dalla superficie.
La mano di Alessandra cadde dalla mia spalla e si voltò con tutto il corpo verso la nostra sinistra. I suoi occhi ancora più spalancati dalla paura.
Io caddi a terra, ma non potevo fare nulla per fermarmi o attenuare la caduta. Avevo perso il controllo.
Caddi andando incontro al pavimento di marmo colpendo la testa in pieno.
Mille frecce incandescenti iniziarono ad infilzarsi dentro la mia schiena mentre pugni di acciaio colpivano infiniti il mio petto.
Iniziai a divincolarmi e ad urlare pregando qualcuno di far smettere il supplizio. Era indescrivibile, insostenibile.
Aprii gli occhi dove iniziarono a sgorgare delle lacrime. Alessandra era sparita e al suo posto c’erano Aro, Marcus e Caius, ma non riuscivo a focalizzare i loro volti, e altre giubbe rosse indistinguibili.
Tutto ad un tratto la tortura terminò lasciandomi in uno stato di totale dolore. Non vedevo né sentivo nulla. Il fuoco mi pervadeva.
Le mani, come prese da una autonomia propria, si allacciarono alla mia gola ed  iniziarono a stringere, a stringere forte. Mi stavo strangolando con le mie proprie mani e non potevo fare nulla per potermi fermare, il mio cervello non rispondeva.
Sbattei le palpebre e chino davanti a me trovai Aro, seriamente dispiaciuto, mentre le mie mani stringevano con più  forza il mio collo facendomi arrancare l’aria.
“Gita notturna?” domandò, affranto. “Non ti aggrada più la nostra ospitalità, Renesmee?” domandò di nuovo vedendo che io non gli rispondevo. I miei occhi lacrimavano e la bocca era spalancata all’inverosimile, cercando anche la minima bolla d’aria. Le mani, intorno al collo, continuavano a stringere.
Una sua mano liscia e fragile come la filigrana mi accarezzò una guancia ed io cercai di allontanarmi dal suo  tocco, stringendo i denti. Le mie stesse mani mi tenevano ferma, piantata a terra.
“Non hai idea di quanto tu sia legata a noi.” Sussurrò guardandomi negli occhi con senso di rammarico e tristezza. Si alzò e mi oltrepassò insieme ai suoi fratelli e agli altri.
Le mie autonome mani lasciarono la presa. Iniziai di nuovo a respirare e i miei polmoni si riempirono come palloncini, bruciavano e il collo mi doleva.
Aprii gli occhi e davanti a me inginocchiata si trovava Bella, con gli occhi lucidi, le braccia tese per alzarmi il capo e mettermi seduta sul pavimento.
“Mi dispiace tanto.” Sussurrò velocemente, mi fece appoggiare la testa nel suo grembo e pose con delicatezza le sue mani nel mio collo credevo per vedere se fosse tutto okay. Fu una bella idea perché il freddo delle sue mani in qualche modo andava contro il dolore. Respirai profondamente e richiusi gli occhi.
“Riesci ad alzarti?” domandò “Ti prendo in braccio?”
“No…No… Ce la faccio.” Farfugliai mettendomi in piedi, le gambe molto traballanti. Sudavo freddo. Bella venne subito in mio aiuto cingendomi la vita con il braccio esile ma possente, mi strinsi a lei. Ci muovemmo.
“Bella.” La voce glaciale di Edward apparve dietro di noi. Era così talmente vestito di scuro che era difficile distinguerlo dal buio della notte. Avanzò verso di noi e sembrò non accorgersi di me, aveva gli occhi esclusivamente per Bella, illuminati da una strana luce, venerazione e rimprovero misti insieme.
Bella, dal canto suo, fece finta di non vederlo e continuò a camminare tenendomi stretta a sé. Io volevo sparire, eclissarmi.
Edward era rigido come la pietra e guardava con ira Bella mentre la seguiva di fianco. Prendendo tutte e due alla sprovvista, scansò Bella via da me con un gesto brusco,lei  fece per inveire contro di lui ma si fermò vedendolo prendermi in braccio e camminare a passo spedito.
“No!” urlai, la gola era secca, raschiata dalle corde vocali. Mi divincolai ma la sua stretta era troppo forte. Guardavo Bella accanto, mi teneva una mano e mi rassicurava con gli occhi. Io guardavo davanti a me. Ero spaventata, spaventata da Edward che in quel momento mi stringeva fra le sue braccia. Non ci potevo credere. Ero tra le braccia di Edward, mai l’avrei immaginato. Volevo correre via.
“Contenta ora?” domandò con quella sua voce di fuoco. Io non mi voltai, tremavo al solo ascoltare la sua voce appena sopra la mia testa, ma capii che si riferiva a Bella dallo sguardo che lei gli aveva lanciato.
Edward continuò: “Hai smesso di insultarmi…? Oh! Ora incominci il gioco del non farmi più leggere i tuoi pensieri.” Sorrise, beffardo e sicuro di sé stesso.
I nervi stavano cedendo, io stavo cedendo. “Lasciatemi per favore, posso andare da sola. Lasciatemi vi dico!” I miei nervi non stavano reggendo più.
Bella mi strinse più forte la mano “Tranquilla Renesmee, ti ospitiamo nella nostra camera. Noi non la usiamo mai e lì sarai al sicuro.”
Cosa? Nella loro stanza? Erano pazzi? “No! Io devo andare via! Non posso stare un attimo di più qui!”
Loro fecero finta di non ascoltarmi mentre li pregavo di lasciarmi andare e di dimenarmi tra le braccia di Edward. Arrivammo alla fine di un corridoio e Bella aprì una porta uguale a quella della mia camera, si fece da parte per fare entrare prima me ed Edward, poi si chiuse la porta alle sue spalle.
Mi pareva di essere passata dal Palazzo dei Priori ad una suite di un hotel extralusso. Era diversissima e grandissima dalla camera a cui mi ero abituata e molto più arredata. Era un vero e proprio appartamento.
Rimasi a bocca aperta. Quanto era grande il Palazzo?
Anche quando entrammo nell’appartamento Edward non mi lasciò, entrammo in un corridoio totalmente illuminato da fari incavati sia nei muri che nel pavimento, passando da porte chiuse. Ci mostrava la strada Bella, aprì delle porte scorrevoli ed entrammo in una camera matrimoniale. Arrossii dalla punta delle dita dei miei piedi fino alle punte dei capelli.
Edward mi fece sedere sul letto soffice e candido e si mise da parte, dall’altro lato della camera, appoggiato al muro, furioso, fissava ardentemente sia me che Bella.
Bella si sedette accanto a me e mi abbracciò ma io non la ricambiai. “Mi dispiace tanto.” Mi sussurrò all’orecchio, provata. Perché?
“Devo andare via. Per favore.” Dissi io, la voce rotta da un pianto che minacciava di sfociare.
“Non puoi.” Rispose Edward.
“Non m’importa!” sbottai io.
Bella mi posò una mano nella spalla “Renesmee, per favore, è troppo rischioso.”
Mi scrollai violentemente di dosso la sua mano e mi alzai – Edward fece dei passi avanti verso di me – “Il mio medaglione? L’hai ancora tu?!”  le domandai, cambiamo argomento.
Bella rimase ferma seduta a letto, la mano ancora sollevata in aria, annuì “Sì.” e con le mani si portò tutti i lunghi capelli su un lato del volto per poi prendere il mio medaglione appeso al suo collo. Me lo porse.
Aveva il mio medaglione agganciato al suo collo.
Lo presi subito e lo indossai di nuovo stringendolo a me. “L’hai… aperto?” domandai.
Prima di rispondermi Bella mi fissò a lungo “No.”
Aveva ragione: il medaglione era come l’avevo lasciato.
Non dissi nulla e mi stesi in quel letto accanto a Bella facendo finta di essere sola. Di nuovo prigioniera in una nuova cella.
“Lo facciamo per il tuo bene.” Fece Edward, da qualche parte all’infuori dal mio campo visivo. Continuò: “Uscire fuori da Volterra è troppo pericoloso per te in questo momento. “
“Qui non sono in pericolo?” mi domandai tra me e me.
“Credimi, non lo sei.” Mi rispose Edward in tutta la sua spavalderia e sicurezza.
Bella riavvicinò la sua mano alla mia e la strinse brevemente  “Andai via di qui. Te lo prometto.” mi sussurrò. Si alzò e si avvicinò ad Edward che le cinse la vita con un braccio. Si chiusero la porta alle spalle lasciandomi nuovamente sola.
“Perché fanno questo per me?” mi domandai e sperai ardentemente che quella volta Edward non stesse leggendo i miei pensieri perché in quel momento una pesante consapevolezza stava prendendo piede nella mia mente.  Strinsi più forte il mio medaglione.
 
 
  
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