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Autore: Walpurgisnacht    30/08/2016    1 recensioni
Allora ragazzi, vi capita mai di avere idee folli su cui vi sale un hype incontrollabile e che DOVETE mettere per iscritto? Ecco, se vi è successo sapete cosa è passato per la testa mia e della mia socia. Spiegazioni sul crossover e altri tecnicismi nel primo capitolo.
Aggiornamenti settimanali, due a botta. Numero finale di capitoli: ventuno.
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Un aereo cade. Nove ragazzi ammaccati si leccano le (piccole) ferite e cercano di capire come andarsene da quel posto dimenticato da chiunque.
Sul serio, non c'è nessun tizio psicopatico che vuole farli giocare alla sua personalissima versione de La Ruota della Fortuna.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aoi si sentiva un po’ a disagio.

Non c’era un reale motivo per quel suo stato d’animo. Non erano in pericolo, la situazione veleggiava verso una conclusione tutto sommato soddisfacente e l’unico punto in sospeso era decidere definitivamente quanto del materiale portarsi appresso. E sperare di riuscire a lanciare un SOS dall’aereo.

Forse, banalmente, la sua inquietudine derivava dal fatto che tutti e otto avevano in mano una torcia e ciò le dava l’impressione di far parte di una delle classiche folle da film che sta per andare a linciare il mostro brutto e cattivo.

Non era esattamente un pensiero allegro, ecco.

Oh, d’altronde Togami ha dovuto per forza staccare la luce. Meglio non prendersi rischi gratuiti con pozze d’acqua e neon penzolanti dal soffitto.

“Va bene” si sollevò la voce di Kyouko “a questo punto direi che possiamo seriamente pensare di andarcene. A meno che non ci sia qualcosa di cui mi stia dimenticando…”.

“I supereroi non si dimenticano mai nulla, Kirigiri-san” commentò sarcastico Ishimaru. Aoi si mise a ridere, memore del discorso che il Prefetto le aveva fatto giù nella sala comandi in tema di mantelline e montagne spaccate a pugni. Peraltro fu felice di vederla sorridere al rimarco, per un attimo aveva temuto che potesse volerlo prendere a calci.

Venne fatto un breve giro di domande per appurare che fosse tutto sotto controllo, e quando arrivò il suo turno…

“Beh, in effetti io un dubbio ce l’ho”.

“E sarebbe, Asahina?”.

“Nulla a cui si possa rispondere al momento, temo. Pensavo solo all’eventualità peggiore, cioè al fatto che la radio dell’aereo possa non funzionare. In quel caso… che facciamo?”.

Era un’ipotesi che, nonostante le rassicurazioni di Sakura, non voleva sapere di andarsene dalla sua testa. Il quesito esposto ad alta voce contribuì a seminare la sua incertezza anche negli altri.

“Hai ragione, non possiamo rispondere adesso. Tanto vale appurarlo il prima possibile. Naegi, tieni questo fascicolo. Io penso a portare l’altro”. Glielo consegnò, intimandogli di prestarci la massima attenzione.

“Un momento!” intervenne Fukawa “Prima di andare… Kirigiri, v-vorrei che tu facessi una cosa”.

L’interpellata strabuzzò gli occhi, evidentemente non si aspettava una richiesta: “E cosa dovrei fare?”.

“Chiedere… chiedere s-scusa a Naegi-kun…”.

Eh? Kirigiri doveva chiedere scusa a Naegi… per cosa?

“Touko-chan” sì inserì anche lui “non ora, non è il momento”.

“Sì che è il momento. N-Non è mai troppo tardi”.

“Ok, ma per cosa? Si può sapere?”.

“P-Per quando… hai avuto la b-brillante pensata… di crederlo Zero… e lo stesso vale per Byakuya-sama, c-con cui ho già parlato di questa cosa...”.

“Sentite” cercò di imporsi lo stesso Naegi “adesso non è davvero il caso. Siamo al buio con solo delle improvvisate torce a farci luce, possiamo occuparcene quando saremo usciti da questo postaccio. Fermo restando che ti ringrazio davvero molto per il pensiero, Touko-chan”.

Aoi non disse nulla, non era cosa che la riguardasse e non riteneva opportuno ficcarci dentro il becco. Si limitò ad osservare incuriosita l’espressione di Kyouko, la quale non mostrava il minimo segno di emozione.

In effetti posso capire perché Fukawa-san insista per questa cosa, è stato davvero un colpo basso da parte loro. Sospettare di un pezzo di pane come Naegi-kun… è come se sospettassero di me, che la cosa più terribile di cui posso vantarmi è stata l’inseguire chi mi aveva preso un morso di ciambella brandendo un coltello di plastica. Mi sarei sentita offesa al posto suo, devo dire. Però anche le obiezioni di Naegi hanno senso, questa è una cosa che può essere sistemata in un secondo momento. Non mi sembra così urgente.

“Concordo con Naegi-kun” sentenziò la Detective ”al momento la nostra linea d’azione migliore è uscire di qui. Al resto possiamo pensarci dopo”.

“Non sarà… mica che n-non vuoi… scusarti con lui?”.

“No, non è quello. Naegi-kun” disse voltandosi nella sua direzione.

“D-Dimmi, Kirigiri-san”.

“Hai la mia parola: ti porgerò le mie scuse”.

“Lo stesso vale per me” confermò Byakuya.

Serpeggiava fra tutti loro un senso di stupore generalizzato. Non tanto perché i due rei avessero accettato di scusarsi (da Kirigiri tutto sommato ce lo si poteva aspettare, e dati gli ultimi sviluppi anche la rapidità con cui Togami aveva accettato non risultava poi così impossibile), quanto per la forte presa di posizione di Fukawa. Evidentemente tutto l’impegno, la costanza, la voglia che Naegi aveva investito su di lei stavano dando i loro frutti. Bei frutti.

Non c’è niente da fare, Naegi-kun saprebbe tirare fuori il meglio da una scatola di scarpe. E comunque potevate anche essere un po’ meno orgogliosi voi due, dargli le scuse che si merita e non pensarci più.

“Avanti, andiamo”.

E andarono.

Il tragitto fu piuttosto veloce e piuttosto tranquillo, salvo il momento in cui Mondo rischiò di inciampare e di travolgere tutti loro come una palla da bowling travolge i birilli durante uno strike. Con un infastidito Togami che, per ripicca, cercò di appiccare fuoco al suo pompadour.

Poi arrivarono finalmente all’esterno, un pallido sole a illuminarli. Difficile dire se fosse mattina presto, pomeriggio tardo o sa il diavolo quale momento della giornata.

Spensero le torce e lasciarono i pezzi di legno nascosti dietro un cespuglio vicino al portone d’entrata (suggerimento di Kirigiri in caso decidessero di tornare nell’edificio per prendere altro cibo o cercare una radio funzionante).

Poi, mentre con lo sguardo provava a ritrovare la direzione da cui erano arrivati (sperando di ricordarsela, era passato un bel po’ di tempo), ebbe un mancamento.

Nulla di grave, neanche cadde a terra. Riuscì a puntellarsi con le braccia e a non perdere l’equilibrio, ma tanto bastò perché Sakura le saltasse addosso per assicurarsi delle sue condizioni.

Poi mi si chiede perché mi sono presa una cotta per lei.

“Tranquilla Sakura-chan, tranquilla. Non è nulla. Sono solo un po’ debilitata… come immagino tutti voi”.

“Ok, siamo tutti stanchi. Ma a questo punto suggerirei di continuare fino all’aereo per assicurarci di poter lanciare un SOS” disse Kyouko, “così nel caso ci servisse anche una radio torneremo indietro una volta sola.”

“E poi possiamo fare uno spuntino con gli snack dell’aereo! Magari nel cucinino di bordo sono rimaste delle ciambelle” pigolò Aoi, suscitando l’ilarità generale: “Ma se ci siamo strafogati solo venti minuti fa!” scherzò Mondo.

“Bene, direi che è deciso. In marcia” comunicò Kyouko, e tutti la seguirono.

Ridete, ridete! Ma io nelle ciambelle ci spero sul serio scherzò tra sé e sé e al primo che le tocca stacco le mani!

Il tragitto durò meno dell’andata, quando avevano vagato a vuoto per ore prima di trovare l’edificio casualmente: Kyouko aveva confermato di ricordare alla perfezione il percorso fino all’aereo, cosa che aveva accorciato notevolmente i tempi.

Finalmente, semi nascosto da alcune palme, lo videro.

Aoi trattenne a stento qualche lacrima: non avevano ancora la certezza di poter comunicare con qualcuno, eppure in quel momento quell’aereo mezzo accartocciato le sembrava la cosa più bella e sicura del mondo.

Tutto è meglio di quel posto orribile!

Istintivamente si mise a correre verso quella malandata ancora di salvezza, e poco dopo si accorse che il resto della classe la stava imitando (persino i più posati come Kirigiri e Togami). Ma l’entusiasmo si spense una volta arrivati nei pressi dell’aereo, come se una barriera invisibile li separasse dalla loro meta. Aoi si guardò attorno, osservando i compagni che le restituivano occhiate altrettanto confuse. Una domanda in particolare sembrava albergare nei loro occhi, ma nessuno aveva il coraggio di esprimerla ad alta voce.

E se la radio non funzionasse?

Ikusaba aveva mentito su così tante cose che la sua affermazione sul danno dell’aereo poteva essere tanto vera quanto falsa, per non parlare del suo stato mentale alterato.

Scambiò un’altra occhiata coi compagni, quando finalmente Mondo decise di smuovere le acque: “Ragazzi, dubito si metterà in moto con la forza dei nostri sguardi penetranti. Se non saliamo a bordo non sapremo cosa ci aspetta, e in ogni caso non voglio rimanere qui tutto il giorno!” annunciò, dirigendosi verso la scala anteriore, e facendo attenzione sparì dentro la cabina di pilotaggio.

“Credo sia il caso di seguirlo” sbuffò Togami, “io non mi fido a lasciargli toccare le apparecchiature senza la supervisione di un adulto.”

“Non che tu lo sia” chiosò Kyouko, e lo superò dirigendosi all’aereo.

Il resto della classe decise di tirar fuori i propri bagagli e recuperare qualunque cosa potesse rivelarsi utile. Aoi stava controllando il cucinino, arraffando qualche snack (nulla che somigliasse a una ciambella, purtroppo per lei), quando si sentì la voce di Oowada urlare: “MAYDAY! MAYDAY! MAYDAY!”

Allora funziona?

Corse fuori, ritrovandosi incastrata tra i sedili insieme agli altri (che avevano giustamente avuto la sua stessa idea), ma anche bloccata dov’era riusciva a sentire Ishimaru chiedere informazioni: “Siete riusciti a far funzionare la radio?!”

“Apparentemente” spiegò Togami, “sembrava accesa, stiamo mandando un segnale d’emergenza nella speranza che ci rispondano.”

La scena si ripeté per qualche minuto, ma che ad Aoi sembrarono interminabili.

Kami, che ansia!

Quando tutto sembrava ormai perduto vide Ishimaru sporgersi di nuovo dentro la cabina.

“Ci hanno sentiti?!” lo sentì urlare, e in cuor suo sperò avesse ragione.

“MAYDAY! MAYDAY! MAYDAY! Ci sentite?”

Aoi non riuscì ad afferrare un’eventuale risposta, ma la frase successiva di Oowada diede speranza a tutti loro: “Volo JA-001A. Ripeto, JA-001A!”

Gli scambi di informazioni andarono avanti ancora un po’, quando finalmente li videro uscire dalla cabina. Togami si autoproclamò portavoce e cercò di placare gli animi: “Allora, come avrete sentito siamo riusciti a lanciare un SOS. L’audio era disturbato, ma da quello che abbiamo capito erano già sulle nostre tracce e manderanno qualcuno a recuperarci. Quindi, ragazzi… non ci resta che aspettare. Siamo salvi.”

Aoi non riuscì a trattenersi: scoppiò a ridere e allo stesso tempo le venne da piangere. Le emozioni imbottigliate in quegli ultimi giorni si stavano sgomitando per venire in superficie tutte assieme: felicità per la fine dell’incubo; dolore per la questione con Sakura, che nonostante tutte le loro buone intenzioni qualche danno lo aveva e lo avrebbe ancora fatto; compiacimento… e perché no, un pizzico di soddisfazione nell’aver visto due persone così fedeli a se stesse come Fukawa e Togami cambiare in modo inaspettato ma positivo; tristezza e nel contempo risentimento nei confronti di Ikusaba, vittima come loro e carnefice di tutti loro. Insomma, era un gran bel calderone ribollente la cui fiamma era appena stata vivacizzata dall’annuncio, e soprattutto dalle ultime parole, dello Scion.

Attorno a lei gli altri reagirono in maniere simili. Alcuni si scambiarono un sonoro cinque fuori di sé dalla gioia, ci fu qualche abbraccio senza pensarci troppo, Oowada dovette fare il di più mettendosi a urlare come una sirena dell’ambulanza. Chissenefregava, erano tutti troppo ubriachi per star lì a rimproverarlo.

Poi, dopo circa un minuto di festeggiamenti che manco quando la Kibougamine FC aveva vinto il campionato inter-scolastico di calcio, l’adrenalina la abbandonò. Si lasciò scivolare sul sedile più vicino, la faccia ancora bagnata di lacrime che non smettevano di uscire, osservando i suoi compagni comportarsi più o meno allo stesso modo.

“Cacchio. È stata una vacanza memorabile” disse ridacchiando, consapevole del fatto che in quel momento poteva affermarlo a cuor tutto sommato leggero.

“Lo puoi dir forte, Asahina-san” venne dalla fila dietro di lei la voce di Makoto. A cui si aggiunsero quella di Fukawa, di Ishimaru e via via di tutti gli altri.

“Bene gente. Non so voi, ma io sono a pezzi e vorrei dormire un po’ se non vi spiace” annunciò Mondo, che trenta secondi dopo prese a russare come un’intera divisione di panzer.

Sante parole, Oowada-kun. Certo, se non fossi esausta fino al midollo il tuo dolce ronfare mi guasterebbe il sonno… ma ‘sticazzi. Ops, devo ancora disimparare il suo vocab…

ZZZZZZZZZZZZZZ.

 

*

 

Kyouko aveva al solito dormito pochissimo. Come tutti sentiva la stanchezza, profonda e nel suo caso particolare forse più psicologica che fisica, ma una cosa a cui si era abituata senza problemi nel corso degli anni era dormire poco e con un occhio sempre mezzo aperto. Pertanto stimò che fossero passate non più di tre ore, al massimo quattro, prima che si destasse di soprassalto.

Ovviamente era l’unica. Gli altri erano ancora tutti nelle amorevoli e capienti braccia di Morfeo, che se li stava coccolando stretti stretti e pareva non aver intenzione di lasciarli andare tanto presto.

Se lo meritano un po’ di riposo. E me lo meriterei anch’io se non mi svegliassi al primo fruscio.

Provvide a una rapida panoramica, non prima di aver pasticciato un po’ col braccialetto per toglierselo. E si sentì inusualmente contenta di vederli finalmente calmi, in grado di rilassarsi e recuperare le energie dopo una simile odissea. Sorridevano tutti beati, presumibilmente immersi in sogni allegri. Togami non sorrideva ma per il semplice fatto che aveva la bocca aperta come un pesce appena pescato, il che era pure più divertente per lei.

Tutti tranne Naegi.

A ben guardare non c’era nulla che non andasse particolarmente in lui, se ne stava lì sul suo sedile dormendo composto (al contrario ad esempio di Oowada che da solo ne occupava due, e chissà come cavolo faceva a sopportare la posizione scomoda). Solo che ogni tanto un piccolo brivido lo percorreva, mettendo nella mente della Detective dei pensieri non proprio rassicuranti su cosa stesse vedendo. Stringeva al petto il fascicolo che lei stessa gli aveva affidato, quasi che la sua vita dipendesse da quell’oggetto. Ok, gli aveva detto di essere molto cauto perché era una delle poche prove che avrebbero riportato indietro… ma c’era una sorta di bisogno nel modo in cui lo reggeva. Le fece un po’ pena.

Mi devo ancora scusare con lui. Fukawa aveva ragione, ho proprio esagerato in quel momento. Per il mio lavoro viene utile, ma dubitare di tutto e di tutti fino a prova contraria a volte è una lama a doppio taglio. E in questo caso ho finito col ferirlo. Scusami, Naegi-kun. Non appena sarai sveglio cercherò di rimediare al mio errore.

Un moto non ben definito la spinse a sfilarglielo dalle braccia, notando come ciò sembrasse quasi infastidirlo. Ma stava dormendo della grossa, se l’era sicuramente immaginato.

Il moto divenne chiaro quando si spostò in una zona più isolata dell’aereo e si sedette aprendolo sulle proprie gambe: curiosità. Voleva sapere cosa c’era scritto sopra.

Venne accolta da un tratto elegante e austero, molto vecchia maniera.

Quel che vi lesse fu illuminante.

 

Ci siamo.

Domani la classe 78 parte per Sapporo. Il piano è delineato fin nei minimi dettagli, ho già provveduto a mettermi in contatto con chi di dovere ricevendo solo risposte affermative.

 

Quanto c’era davanti ai suoi sbigottiti occhi… sembrava una specie di diario di Ikusaba.

 

Il momento è giunto, quindi. Se tutto andrà come deve andare un finto guasto all’aereo porterà me, Oowada, Togami, Fukawa, Kirigiri, Naegi, Oogami, Asahina e Ishimaru su Jabberwock. È stato davvero complicato far sì che la classe venisse divisa in questo preciso modo. Ho dovuto usare argomenti… persuasivi.

Ma d’altronde non avrei voluto gente come Pekoyama, Kuwata, Yamada o Ludenberg fra i piedi. Loro non c’entrano, non sono i miei bersagli. I miei bersagli sono gli otto che ho elencato sopra, quelli che erano assieme a Junko-chan quando è morta.

I colpevoli.

Mukuro, non mentirti. La parte del tuo cervello non ancora affogata nella pazzia sa che loro sono innocenti. Eravamo dei bambini, piccoli e spaventati. Con che faccia puoi incolparli di quanto è successo a Junko-chan?

Non fa nulla. Ormai il dado è tratto.

Ormai ho coinvolto troppe persone, rimestato troppe cose che sarebbe stato più prudente lasciare lì dov’erano, fatto troppi patti con il diavolo. Non mi chiamerò Faust ma Mefistofele si incazzerebbe lo stesso se poi cercassi di tirarmi indietro, no?

 

Kyouko batté le palpebre due o tre volte, sinceramente stupita per la colta citazione. Riprese a leggere.

 

Ci ho persino rimesso la verginità. È stato qualcosa di schifoso, un mero atto fisico privo di significato con una persona che disprezzo profondamente.

Non fa nulla. È giusto così.

Tutto per la vendetta di Junko-chan. Se la merita. Non le permetterò di rimanere sola nell’oblio dove è stata crudelmente gettata.

Quindi niente Sapporo per i miei cari compagni. Un po’ mi dispiace per Oowada, non vedeva l’ora di andare a visitare il museo della birra. C’è solo il museo degli orrori per te, Motociclista della domenica.

Naturalmente ho già approntato anche la parte che riguarda i dirigenti della scuola. Specialmente te, Hongou. Spero che tu senta il mio fiato sul collo perché, non appena avrò finito qui, sarà il tuo turno. E se con loro non intendo spingere le cose fino in fondo, sappi che per te il discorso è diverso. Godrò nello sbudellarti come ti meriti, figlio di cagna.

 

Più leggeva e più era incredula. Poteva quasi percepire, annusare, forse addirittura afferrare fra le dita l’odio che Ikusaba aveva riversato in quelle parole.

 

No, non voglio ucciderli. O meglio, non è questa la mia intenzione iniziale ma se dovesse succedere non ci spenderò sopra neanche una lacrima. Dipenderà da loro e da quanto saranno in vena di ribellione contro le mie ragionevoli richieste, anche se esposte tramite una terza (o quarta o quinta o sesta) persona.

Devo fare dei pronostici? Vedo prevedo e stravedo che, se proprio qualcuno ci lascerà le penne, uno sarà sicuramente Togami. Quel ragazzo è troppo borioso, troppo pieno di sé fino a scoppiare. Verrà messo in una brutta impasse col cryptex, non riuscirà a superare il rinnovato shock di Shinobu e fallirà il compito. Un’altra che secondo me rischia è Asahina… non so, ultimamente l’ho studiata e ho maturato la convinzione che preferirà morire piuttosto che rivelare la sua vergognosa cotta per Oogami. Chi vivrà vedrà, è proprio il caso di dirlo.

Si pone il problema del dopo: cosa farò alla conclusione di tutto questo, quando avrò mostrato ai superstiti il piccolo santuario dove sono custodite le povere spoglie di Junko-chan. Beh, è una domanda difficile a cui non so ancora rispondere. Probabilmente finirò in galera per il resto della mia vita, facendo di conseguenza la fine di Harada. Perché no, non starò zitta e urlerò a più non posso la macchia sull’intonso curriculum della Kibougamine… ricevendo come premio un caffè alla stricnina o qualcosa di altrettanto letale.

Negli ultimi giorni ho anche accarezzato la possibilità di suicidarmi di fronte a loro. Tanto la mia vita non ha più molto valore da quando ho ricordato che fine indegna ha fatto mia sorella. Farei il classico monologo da super cattivo, spiegherei eventuali punti ancora oscuri (però ragazzi, se arrivati lì ci sarà ancora qualcosa di poco chiaro i vostri titoli valgono davvero poco) e BANG, teatrale uscita di scena.

Deciderò al momento, mi sa.

 

“Lo… lo aveva pensato…” disse piano per non disturbare il sonno degli altri. Quella lettura si stava rivelando foriera di informazioni interessantissime.

 

Qualunque sia il finale che sceglierò mi vedo facilmente a fare compagnia ai vermi. Ma sul serio, non è poi così importante. Ho fatto all in su tutto questo, quanto verrà dopo non mi importa e neanche deve farlo. Hongou a parte, che a prescindere da quanto mi succederà pagherà per i suoi crimini. Di questo ne ho la matematica certezza.

La mia vita è stata una bugia. Per anni ho creduto che Junko-chan fosse morta di malattia, come mi avevano detto quei figli di puttana dell’accademia. Sono rimasta sola al mondo e lei è crepata ad appena nove anni per colpa di un branco di fottuti psicopatici… dannazione, non devo piangere sul foglio. Finisco col rovinarlo.

 

Aveva pianto su quel foglio. Lo toccò e in effetti risultava un po’ diverso al tatto.

Kyouko non poté fare a meno di provare un microgrammo di pietà nei suoi confronti. Rimaneva sempre, per dirla con le sue stesse parole, una fottuta psicopatica… ma a quanto pareva anche i fottuti psicopatici soffrono come le persone normali. Non che non si potesse capirlo comunque perché la scenata prima di uccidersi era stata tremendamente sentita e piena di pathos, ma il particolare della lacrima dava ancora più peso al tutto.

 

Questo, di riffa o di raffa, probabilmente sarà il mio ultimo atto. Si pensa che per un soldato non ci sia morte migliore di quella guadagnata sul campo e non mi posso dire in disaccordo, con la differenza che un piano sotterraneo del complesso su Jabberwock Island (e non una pianura piena di sterpaglie in Albania) è il luogo che mi sono scelta per la mia battaglia finale.

Una parte di me, quella che mi scongiura di mollare tutto e lasciare gli altri otto nella loro beata ignoranza, si augura che il conto delle vittime si limiti a una sola unità. Spero che i fatti ti smentiscano.

Ok, fra poco scatta l’orario notturno. Meglio andare a letto, domani sarà campale e devo ancora…

 

“C’è qualcuno?”.

Eh? Quella voce… la conosceva.

Kyouko si alzò e si girò verso il retro dell’aereo.

Lo sguardo di suo padre si illuminò quando la vide.

Non ci pensò sopra un solo istante, appoggiò il fascicolo sul sedile vicino e gli corse incontro. Lo abbracciò con una foga decisamente non da lei.

Al diavolo, nessuno può vedermi mentre mi lascio andare alla debolezza.

“Kyouko, stai bene! Siano ringraziati i kami!”.

“A parte una nuova ustione sulla mano sì, sto bene”. Si pentì pochi istanti dopo di esserselo lasciato sfuggire, ma in quel momento neanche le interessava davvero.

Voleva piangere. Per una volta in vita sua voleva sentirsi una bambina che aveva bisogno della protezione e delle rassicurazioni del papà. Riuscì con grande sforzo a reprimere l’impulso.

“Cosa? Sei ferita? Fammi vedere!”.

“Non è niente di grave e mi sono già fatta medicare. Piuttosto, come sei arrivato qui? E gli altri? Maizono, Ludenberg, Kuzuryuu...”.

“Sono giunti a Sapporo come da programma, sono stati loro ad avvisarci della vostra assenza. Per quanto riguarda il come sono arrivato qui la risposta è: con gli elicotteri della marina, li ho obbligati a portarmi con loro” replicò, per poi sporgersi fuori dal portellone e urlare a qualcuno: “Sono qui, sono salvi!”

“Ma chi cazzo è che urla come una bertuccia di prima mattina?” ringhiò Mondo che, quando si issò sui due sedili che occupava e si voltò trovandosi faccia a faccia col preside Kirigiri a momenti non collassò per terra: “S-SALVE PRESIDE CHE BELLO VEDERLA.”
“Rilassati Oowada, con quello che avete passato non sarò certo io a sindacare sul tuo linguaggio. Forza, fuori di qui, i soccorsi vi aspettano!”

Ad attenderli trovarono due elicotteri di soccorso con un team di quattro medici, che prontamente si occupò di controllare che nessuno fosse ferito. Kyouko approfittò di quel momento per parlare da sola con il padre: “Papà, potresti darmi una mano coi bagagli?”

“Tesoro, credo che le valigie siano l’ultimo dei vostri problemi” scherzò lui, avvicinandosi “anzi, semmai dovremmo far vedere le tue mani ai-”
“Dopo, le mie mani possono aspettare” lo interruppe lei, abbassando di colpo la voce. Risalì sull’aereo con la scusa di tirar fuori gli ultimi bagagli rimasti e chiese al padre di seguirla: “Non abbiamo molto tempo, per cui stammi a sentire. Cosa sai degli esperimenti condotti dalla Kibougamine?”
“I cosa…?”
“Esperimenti. Condotti su bambini di nove anni, su diverse classi compresa la nostra.”
Jin non rispose, però il suo sguardo si fece cupo.

“Papà, cosa sai?”
Rispose dopo qualche istante di silenzio: “Quasi nulla, in realtà. Era da molto che sospettavo che qualcosa non andasse, c’erano troppe cose che non tornavano… quei campi estivi annuali per ogni classe, l’esistenza stessa di Jabberwock Island” replicò, passandosi una mano tra i capelli “c’erano un sacco di spese che non riuscivo a spiegarmi, ma non sono mai riuscito a scoprire di più. Gli archivi scolastici e i conti sono puliti. Ma perché me lo chiedi?”
“Perché è tutto qui, ecco perché. So che è assurdo, ma il consiglio scolastico ha condotto per anni esperimenti sui bambini, qui a Jabberwock. Quello che abbiamo passato… e ricordato…”

“Kyouko, cosa è successo?”

Lei cercò di riassumere, per quanto possibile, gli eventi degli ultimi due giorni a uno sconvolto Jin Kirigiri, che a fine racconto si passò una mano sul viso: “Kami… non ci posso credere, è così… così-”
“Assurdo? Orribile?”
“E tutto alle mie spalle” borbottò. “Quindi anche la storia di Izuru era vera? Altro che caduto dalle scale...”

“Probabilmente” sospirò lei, gettando un’occhiata attraverso il finestrino. “Senti, il tempo è poco: nell’edificio che c’è in mezzo alla foresta troverete tutto, compreso il corpo di Ikusaba e tantissime altre prove…”

“...che verranno fatte sparire non appena torneremo a Tokyo.”

“Non tutte” sorrise lei, e gli porse i due fascicoli su Junko e Mukuro. “Portali con te e nascondili al più presto in un posto che la Kibougamine non sospetterebbe mai.”
Jin scrutò la figlia con uno sguardo serissimo: “Avete intenzione di informare la stampa?”
“Devono pagarla, papà. Devono pagare per tutto quanto.”

Lui rimase in silenzio, poi annuì: “Ok. Vi darò tutto l’aiuto possibile. Ora andiamo, abbiamo perso anche troppo tempo.”
“Sì.”
“E devi farti visitare le mani.”
“Ok, ok” sbuffò lei.

Mentre scaricavano le valigie, Kyouko rimase per un attimo ad osservare suo padre, impegnato a parlare coi medici ed assicurarsi che il resto della classe stesse bene prima di tornare da lei e probabilmente obbligarla a una visita accurata.

“Papà?”
“Uh? Dimmi.”

“Sono… sono contenta che ci sia anche tu.”

 

*

 

Il viaggio in elicottero fu silenzioso, ad esclusione del preside Kirigiri che continuava a chiedere a Kyouko di tenere le mani coperte e di fare quanto le aveva detto il medico.

Makoto sospirò.

Gli elicotteri potevano portare un massimo di dieci persone, e ognuno aveva già un equipaggio di quattro membri (due piloti e due medici) più il preside, quindi dovettero dividersi in due gruppi mentre un terzo mezzo sarebbe andato a recuperare i resti di Ikusaba.

Lui, da bravo Super Fortunello, era finito con Kyouko, Togami e Touko; e se la presenza di quest’ultima era assai gradita, era invece ancora un po’ risentito verso gli altri due.

Forse dovrei lasciar correre, in fondo eravamo tutti con i nervi a pezzi...

Forse. Però era anche stanco di farsi mettere i piedi in testa da tutti e fare la parte di quello fin troppo ingenuo che alla fine si obbliga a non dare peso a queste cose.

Forse, si disse, Touko non aveva sbagliato a tirar fuori l’argomento poco prima di scappare dal complesso.

Col tempo che hanno perso a dire che si sarebbero scusati dopo potevano farlo subito sbuffò.

“Qualcosa non va, Naegi-kun?”

Sbuffo che, apparentemente, non era passato inosservato. Non a Kyouko, ovviamente.

“Tutto bene” mentì lui, “sono solo stanco, come tutti immagino…”

Tornarono di nuovo in silenzio, ma fu una pausa breve: “Naegi-kun?”

“Sì?”
“Sei un pessimo bugiardo.”

Figurarsi.

Preferì sforzarsi di sorridere e tornare a guardare fuori dal finestrino. Con la coda dell’occhio notò l’espressione infastidita di Touko, e lo rasserenò notare che almeno lei sembrava essersi presa a cuore quella vicenda.

“Devo chiederti scusa, Naegi-kun.”

Quella frase lo colse del tutto di sorpresa. Si voltò nuovamente verso Kyouko, la cui espressione sembrava… dispiaciuta?

“Ti avevo promesso delle scuse, e… beh, credo sia arrivato il momento di farlo.”

Non ci avrebbe creduto almeno finché non l’avesse sentito.

“Mi dispiace, Naegi-kun. Sono stata meschina a crederti colpevole di quelle cose orribili. Non… non so davvero come farmi perdonare.”

“Devo chiederti scusa anche io” annuì Togami dal sedile opposto. “Non c’è se o ma che tenga, nemmeno la situazione in cui eravamo. Siamo stati orribili nei tuoi confronti, e me ne scuso.”

L’aveva sentito. Kirigiri si era scusata, persino Togami aveva messo da parte l’orgoglio per porgergli le sue più sincere scuse.

Eppure…

Non ce la faccio.

Abbozzò di nuovo un sorriso e fece un cenno d’assenso: “Sì, scuse accettate” sussurrò, tornando ad osservare l’orizzonte.

Non gli sfuggirono le espressioni perplesse di Kyouko e Byakuya, né quella preoccupata di Touko.

 

*

 

Qualcosa non andava in Naegi, e non c’era bisogno di essere particolarmente sensibili per capirlo.

Togami aveva ingenuamente creduto che scusarsi con Makoto avrebbe risolto tutto, dando per scontato che il ragazzo non se la sarebbe legata al dito.

Ma forse qui stava il suo errore. Suo e di Kirigiri.

In fondo non si trattava di un quaderno rovinato o altre stupidaggini. Abbiamo tradito la sua fiducia. Suppongo non sia una cosa che passi velocemente, soprattutto ad uno come Naegi.

Gli lanciò un ultima occhiata, notando come il ragazzo si sforzasse di non incrociare mai i loro sguardi.

Sbuffò. Questa storia dell’empatia cominciava a innervosirlo, troppe cose di cui tener conto. Nell’ingenua speranza di distrarsi si guardò attorno, osservando il preside Kirigiri alle prese con i medici di bordo che cercavano vanamente di controllare le ustioni di una riottosa Kyouko (impegnata a lanciare sguardi discretamente allarmati verso Naegi, notò. Siamo in due sulla barca verso l’evoluzione in esseri dotati di sentimenti, cara la mia detective scherzò tra sé e sé).

Quando si voltò verso Fukawa, seduta al suo fianco, notò come anche la sua espressione fosse tutt’altro che serena. Immaginò potesse essere preoccupata per Naegi, ma non ritenne opportuno portare a galla l’argomento (soprattutto perché il suddetto argomento era seduto di fronte a loro ed era ancora piuttosto contrariato). Decise tuttavia di provare a fare conversazione: “Qualcosa non va? Non sembri entusiasta all’idea di tornare alla civiltà.”
Lei si voltò a guardarlo per un secondo, ma distolse subito lo sguardo: “I-In effetti no.”
“Come mai, se posso?”
La osservò mordicchiarsi un labbro e torturarselo, quasi si vergognasse di rivelare cosa la tormentava. “Non… non ho molta voglia di tornare a casa. Non voglio rivedere i miei” ammise alla fine, e lui per la prima volta si sentì un verme.

“...scusa” sussurrò, evitando di aggiungere l’avevo dimenticato.

Touko non sembrò essersela presa e si limitò a sciacquare via il tutto facendo spallucce. Sarebbe stato così anche per lui, almeno fino a due giorni prima, ma adesso sembrava non riuscire a togliersi quel tarlo dalla testa: il vecchio se stesso probabilmente avrebbe ritenuto chiusa la conversazione e non si sarebbe impicciato oltre. Il nuovo Togami evidentemente non era d’accordo.

“Hai mai… pensato di andare via di casa?”

Lei si voltò a guardarlo di nuovo, con occhi sgranati: “E come?”
“Beh, guadagni piuttosto bene come scrittrice. Sbaglio?”
“N-No ma” tentennò Touko, imbarazzata “per ora buona parte dei soldi guadagnati coi libri li prendono i miei genitori. E poi s-sono ancora minorenne…”

“Insomma vivono sulle tue spalle.”
Lei annuì imbarazzata, e lui provò un inaspettato moto di disgusto per quelle persone.

“Non mi esprimerò su di loro” le rispose, sforzandosi di mantenere il contegno “ma ritengo che dovresti fuggire da lì appena raggiunta la maggiore età. E per quanto riguarda il tuo contratto, posso chiedere ai miei avvocati di dargli uno sguardo e vedere se esiste qualche cavillo legale a cui aggrapparsi per cambiarlo.”

Touko riuscì a sgranare gli occhi ancora di più fino a renderli enormi: ”D-Davvero lo faresti?”

“Perché non dovrei?” si affrettò a rispondere lui, sentendosi improvvisamente incapace di sostenere quella conversazione (e quello sguardo).

Dopo qualche istante di silenzio aggiunse: “E comunque… se la tua situazione in casa dovesse diventare di nuovo insostenibile, puoi venire da me… voglio dire, la biblioteca di casa mia è enorme e puoi passarci tutto il tempo che vuoi, ecco.”

La vide sorridere per la prima volta dopo quei giorni infernali, un sorriso diverso da tutti gli altri strani sorrisetti che gli aveva rivolto in passato.

“T-Ti ringrazio, Byakuya-kun.”

Distolse di nuovo lo sguardo da lei, perché quel -kun l’aveva preso decisamente in contropiede.

E perché quello strano calore al basso ventre cominciava ad essere troppo.

 

*

 

“E quindi anche lo Scion di ‘Staceppa è diventato una brava persona.”

“Non farmi cambiare idea, gorilla.”

Qualche giorno dopo il loro salvataggio erano tutti riuniti a casa di Togami, diventata ufficialmente sede di ritrovo dei sopravvissuti. Era enorme, blindata e dotata di ogni tipo di allarme: se c’era un posto sicuro dove parlare del loro attacco alla Kibougamine era quello.

“I complimenti di Oowada saranno sicuramente peculiari” sorrise Sakura, “ma quello che ha detto è vero: una settimana fa non avresti pagato lo psicologo a tutti.”
“Volevo solo assicurarmi che fosse qualcuno al di fuori della scuola e non un loro sgherro” si affrettò a giustificarsi lui, “la prudenza non è mai troppa.”

“Quindi è per questo motivo che mi hai concesso di usare la tua piscina liberamente?” chiosò Aoi. “Temevi mettessero qualche veleno al posto del cloro?”
“E sempre per questo motivo hai detto a Fukawa di rifugiarsi nella tua biblioteca personale ogni volta che voleva” rincarò la dose Kyouko, “mica per darle modo di sfuggire alla sua situazione familiare.”

Togami rispose con un ringhio, smorzato dal tè che stava bevendo, mentre gli altri continuavano a ridere e scherzare.

Nonostante il motivo delle loro riunioni fosse tutt’altro che allegro, Kyouko apprezzava quel clima spensierato che si veniva a creare ogni volta.

C’era solo una cosa che ancora la tormentava.

Quella cosa, o meglio quel qualcuno, era impegnato a guardare con finto interesse le assurde navi in bottiglia di Togami (apparentemente era uno dei suoi hobby preferiti, oltre a giocare in borsa).

No, ok. Quella situazione stava diventando insostenibile. Da quando erano tornati Makoto non aveva fatto che evitare lei e Byakuya, rifiutandosi di incrociare lo sguardo col loro e mostrando malcelato astio quando vi era obbligato.

Quanto può essere difficile metterci una pezza, alla fine? Andiamo da lui e ci pentiamo sui ceci. Stop.

Certo, c’era un potenziale problema: la bassa autostima di Naegi. Probabilmente era quello il vero fulcro della questione e ciò che aveva causato quella spiacevole impasse fra loro tre. Si era accorta presto di quella cosa, ma la contingenza del gioco di Zero gliel’aveva fatta scordare… fino a quel momento, perlomeno. Ci avrebbe prestato attenzione.

Si girò verso l’Erede, in quel momento impegnato in una gara di smorfie con Oowada, e gli fece cenno di raggiungerlo. Quando ciò avvenne gli disse sottovoce: “Senti, non so te ma io non sopporto più la situazione con Naegi. È ora di risolverla, non credi?”.

“Sì, sono d’accordo”.

“Andiamo”.

Gli si avvicinarono senza che lui se ne accorgesse. Fu necessario toccargli le spalle per compiere l’impresa: “Oh. Siete voi”.

“Mi raccomando non esagerare con la gioia”.

“Non sono particolarmente entusiasta di vedervi, Togami-san”.

“Naegi-kun, cosa possiamo fare per farci perdonare? Perdonare sul serio, intendo. Perché nessuno dei due, per nostra fortuna, possiede l’acume di Hagakure ed è disposto a credere che quanto ci hai detto sull’elicottero fosse quanto realmente pensavi”.

Al che Makoto fece una cosa che non gli capitava spesso. Anzi, si può dire che non gli capitava mai: sbottò. “Sul serio, Kirigiri-san? Devo anche stare a spiegarvelo? Facendo così mi dai l’impressione che Togami-san non sia l’unico a necessitare di un sensei”.

Kyouko giurò di vedere l’occhio sinistro di Togami tremare.

I due preferirono non dire nulla e aspettare che fosse lui a fare la prima mossa. Prima mossa che, dopo un poco di pausa, giunse: “Io… io sono stanco di essere il bravo ragazzo che non ha neanche il diritto di prendersela. Mi avete ferito quando i vostri sguardi indagatori sembravano chiedermi se fossi io Zero. Vi rendete conto di quanto abbia provato a essere il collante del nostro gruppo, là dentro? Di quanto mi sia sforzato per cercare di mantenere una parvenza di pace, di stabilità, di quieto vivere fra di noi? E poi mi vedo messo in discussione al primo passo falso per una battuta stupida di Oowada-kun. Siate sinceri, credevate davvero che io potessi essere il colpevole di quell’orrore?”.

Attimo di silenzio.

“No Naegi, non sul serio” rispose franco Togami “Non posso parlare anche per lei, ma da parte mia si è trattato di un momento di debolezza. Un momentaneo riaffiorare del Byakuya Togami smargiasso che non esita… esitava a pensare subito il peggio degli altri. Mi… mi dispiace”.

E lei? Lo aveva pensato davvero?

“Neanch’io, no. Posso accampare la sua stessa scusa: un momento di debolezza. Sono entrata in modalità lavorativa, dove vige la presunzione di colpevolezza e non di innocenza. Sono mortificata di averti causato tutto questo disagio, non era mia intenzione spingermi a tanto. Se ti può essere di consolazione e di aiuto, prometto solennemente che farò tutto quanto è in mio potere per evitare che simili situazioni si ripetano in futuro. Non dubiterò mai più della tua buona fede, hai dimostrato in lungo e in largo di meritarti tutta la fiducia di cui siamo capaci”. L’ultima parte del discorso, all’incirca da prometto in poi, l’aveva condotta a testa bassa, rosa dal rimorso.

Vederlo così scosso le aveva fatto davvero male. Le aveva ricordato la peggior Fukawa, quella timorosa anche di respirare.

“Sarebbe bastato” riprese Makoto “chiedermi scusa subito”.

“Ma… ma sei stato tu a dirci di…”.

“Sì, lo so. E sono stato stupido. In quel momento mi avrebbe aiutato sentirvi pronunciare quelle parole, ma come al solito ho anteposto il bene comune al mio. Scusatemi, suonerò incoerente…”.

“Smettila, Naegi-kun”.

“Uh?”.

“Sii egoista una volta tanto, nessuno ti sgriderà. Ne hai il pieno diritto in virtù del fatto che sei il cuore pulsante di questa classe. Guardali” disse Kyouko indicando i loro compagni.

Tutti e tre si voltarono nella loro direzione. Mondo, perso il suo pagliaccio preferito, si stava sfogando su Ishimaru mentre Touko, Aoi e Sakura si stavano dedicando a discorsi squisitamente femminili (nella fattispecie come il suo nuovo taglio di capelli avesse reso la Scrittrice davvero molto carina).

“Sono qui, in condizioni tutto sommato accettabili e moralmente integri grazie a te. Specialmente Fukawa, che è entrata in quell’edificio come una sorta di relitto umano che galleggiava per miracolo e ne è uscita con delle toppe sulla fiancata, ok… ma di sicuro meglio attrezzata per prendere il largo. Il merito è tuo. Quindi se per una volta pensi a te stesso non te ne devi vergognare. Di nuovo, ti porgo le mie più sentite scuse. Quel brutto episodio rimarrà tale, solo un episodio”.

Togami sembrò sul punto di aggiungere qualcosa se non fosse stato per Naegi che li travolse entrambi abbracciandoli.

“Mi par di capire” esclamò Byakuya “che tu ci abbia perdonati”. Gli risposero i suoi singhiozzi. “Ora però togliti”.

Ci misero qualche minuto per rimetterlo in sesto, felici di vedere che l’incidente era rientrato.

Nota mentale, Kyouko: parlare fa bene.

Chiusa la parentesi, si radunarono tutti e otto attorno al gigantesco tavolo da lavoro di Togami.

“Dichiaro ufficialmente aperta la seduta” annunciò Ishimaru con un sorriso smagliante, a quanto pareva sin troppo contento di poter adempiere alle sue funzioni di Prefetto. Nessuno trovò opportuno rovinare il suo momento di gloria.

Si misero a discutere sul piano d’azione che intendevano portare avanti nella loro guerra contro la Kibougamine. Fu necessario mettere delle virtuali briglie a Togami, il quale era partito in sesta con deliri tipo “Datemi quarantotto… anzi no, ventiquattro ore e vi presenterò le macerie fumanti di quella scuola”.

“Togami-san, dubito che sia una via percorribile”.

“E perché non lo sarebbe, Oogami?”.

“Te lo spiego io il perché” intervenne Kirigiri “Ricordi quello che ha detto mio padre sui finanziatori dell’accademia? Per quanto tu sia ricco, loro lo sono almeno altrettanto. E sono più di te. Il tuo fervore ti fa onore, ma dubito tu voglia vedere la Zaibatsu crollare come un castello costruito sull’argilla”.

“Grgrgrgrgrgrgr”.

“Seriamente” proseguì la Detective “di sicuro il tuo apporto come personaggio in vista sarà di vitale importanza, ma da solo non può bastare. I fascicoli che ho affidato al preside per ora sono al sicuro, però dobbiamo muoverci in fretta. Più tempo passa, più si alza la probabilità che il consiglio scolastico mandi qualcuno a recuperarli”.

“E allora cosa aspettiamo?” proruppe Makoto alzandosi in piedi, sul viso ancora chiari i segni del precedente pianto liberatorio “Rendiamo giustizia a Junko-chan e facciamo in modo che chi si è macchiato della sua morte paghi per il proprio crimine!”.

L’approvazione che risuonò in quelle quattro mura scaldò l’anima di Kyouko.

Si disse che, almeno per una volta, poteva permettersi il lusso di pensare positivo. Di sperare.

   
 
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