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Autore: _armida    30/08/2016    1 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo XXX: Il Banchetto di Fidanzamento 

25 Aprile 1478, Sabato Santo

Una lama di luce filtrava appena appena nella stanza, rivelando che la notte ormai era finita, che 
il Sole era sorto nuovamente. 
Girolamo aprì lentamente gli occhi, abituandosi piano piano alla semi oscurità in cui la stanza era 
immersa. Si impose di restare immobile, per non svegliare la dolce fanciulla che aveva scambiato 
il suo petto per il più comodo dei cuscini. Cautamente, cominciò a percorre tutta la sua schiena con le dita, sfiorandole appena la delicata pelle di porcellana. 
Arrivò infine ai suoi capelli, passando la mano tra quei boccoli dorati, districando eventuali 
nodi. 
Elettra, ancora completamente immersa nel sonno, parve agitarsi e la sua mano, fino a quel 
momento poggiata sul petto dell'uomo, si chiuse a pugno, graffiandogli appena la pelle. 
Girolamo sospirò e i suoi gesti, dapprima lenti e leggeri, si fecero più frequenti.
I preparativi per il banchetto che si sarebbe tenuto quel giorno erano stata ultimati a sera tarda e lui non se l’era sentita di permettere alla giovane di tornare a Firenze sola, attraversando i boschi e la campagna fiorentina con il buio. Così era riuscito a convincere Francesco Pazzi ad invitarla a restare per la notte. Ovviamente, quando lei era entrata nella stanza che le avevano preparato, aveva trovato il letto già occupato.
La nottata era passata in modo piacevole, almeno fino a quando Elettra non aveva incominciato ad agitarsi nel sonno, proprio come ora.
“Giuliano”, mormorò appena.  
A quanto pare in quel momento stava sognando il giovane de Medici. 
Girolamo poggiò le labbra tra i suoi capelli, le mani che non avevano smesso per un istante di lasciarle dolci carezze sulla schiena. “Va tutto bene, Elettra”, sussurrò, cercando di calmarla.
La sua mano, stretta a pugno, parve distendersi.
Sospirò, anch’egli inquieto, ma per motivi differenti da quelli della giovane: Elettra era angosciata per la sorte di Giuliano, che non dava sue notizie da più di una settimana, ormai; Girolamo invece era preoccupato per quello che sarebbe potuto accadere quel giorno, se fosse riuscito nei propri intenti.
L’unico punto certo era che lei non doveva correre alcun  rischio: poco prima dell’inizio della carneficina, infatti, l’avrebbe portata lontano dal vivo della festa e le avrebbe offerto un calice di vino. Vino a cui avrebbe precedentemente aggiunto un potente sonnifero. Sarebbe restato con lei fino a quando non fosse stato certo che dormisse profondamente, dopodichè l’avrebbe caricata su una carrozza diretta a Forlì, dove sarebbe stata al sicuro.
Sospirò, pensando che quella era la parte facile, rispetto a quello che sarebbe avvenuto dopo: l’avrebbe raggiunta il prima possibile e le avrebbe spiegato ciò che era successo al banchetto, ciò che anche lui aveva contribuito a fare.
Girolamo non aveva idea di come lei avrebbe reagito; disorientata forse, disperata e delusa, immensamente delusa. Delusa dall’uomo che probabilmente amava e di cui si fidava. 
Già, nonostante tutto quello che era accaduto tra loro, tutto quello che le aveva rivelato, Elettra si fidava di lui. Glielo aveva dimostrato, più volte. 
Come sei giorni prima, quando si erano rivisti inaspettatamente nella galleria dei trofei; avrebbero dovuto parlare, ma alla fine si erano ritrovati a fare tutt’altro: quando Girolamo aveva ripreso il controllo del proprio corpo ormai si ritrovava a torso nudo, nel proprio alloggi, con Elettra aggrappata lui, le loro bocche incollata l’una all’altra e le mani di entrambi che vagavano senza controllo. Gli era sembrato il momento più sbagliato per interrompere il tutto con delle parole. Aveva ignorato quel poco di buon senso che gli gridava a gran voce che urgeva un chiarimento tra loro ed era andato avanti. E lo aveva fatto ancora e ancora e, probabilmente, avrebbe continuato a farlo finchè avesse potuto.
Scosse la testa, cercando di concentrarsi sul futuro: Elettra avrebbe trovato la forza per guardarlo ancora negli occhi dopo quel giorno? Di perdonargli la morte di persone che lei considerava come fratelli? 
Girolamo ne dubitava, ma non avrebbe potuto fare altrimenti; il tempo guariva molte cose, prima o poi se ne sarebbe fatta una ragione. Doveva essere così: lui non avrebbe potuto sopportare di perderla per sempre. 
Le sue mani, che ancora le accarezzavano senza sosta la schiena scivolarono con delicatezza verso il suo punto vita, portandola ad avvicinarsi ancora di più.
Sospirò, pensando che quella probabilmente sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero trovati in una tale intimità: tra loro dopo quel giorno qualcosa si sarebbe spezzato di sicuro.
Osservò il suo volto, la sua pelle chiara, i lineamenti delicati. Portò una mano all’altezza del suo viso, spostando una ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi; nel compiere quel gesto indugiò con il pollice sulla sua guancia, incapace di distogliere lo sguardo da lei, cercando di capire cosa la rendesse così tesa in quell’istante, se era solo per la sorte incerta del giovane dei Medici o se ci fosse altro sotto alla superficie. 
Se solo avesse potuto leggerle nelle mente...

Elettra si guardò intorno, alla disperata ricerca di qualcosa che le sembrasse familiare, che l’aiutasse a capire dove si trovasse. 
La sua vista in quel momento sembrava voler essere poco collaborativa: il paesaggio circostante le appariva sfocato e non riusciva a distinguere i diversi colori, proprio come quando si passa velocemente da un ambiente troppo luminoso ad uno troppo tetro.
Sbattè più volte le palpebre cercando di aiutare i propri occhi ad abituarsi ma, mentre ciò che la circondava divenne più nitido, i colori stentavano a tornare. Abbassò lo sguardo verso i propri piedi: anche l’erba sotto ai propri stivali non appariva del verde brillante che solitamente la caratterizzava, ma era grigia. Una triste tonalità di grigio che aveva pervaso tutto intorno a lei.
Prese un lungo respiro e chiuse gli occhi, cercando di concentrare la propria attenzione sugli altri suoi sensi.
Alle sue orecchie giunse un rumore d’acqua in movimento. Le ci vollero alcuni secondi per capire che direzione seguire, ma poi si diresse alla sua sinistra, incoraggiata dalla visione di un paio di cavalli con collo chinato, come se si stessero abbeverando; il fatto che entrambi gli animali fossero sellati poteva indicare la presenza di esseri umani nelle immediate vicinanze. 
Arrivò ad alcuni metri dalle bestie, ma poi si fermò, innervosita dallo sbuffare irrequieto di una di esse. 
Elettra si guardò nuovamente intorno.
Un colore.
Tra tutti quei grigi finalmente si poteva intravvedere un colore.
Rosso, rosso sangue.
Tra i ciottoli dalla forma arrotondata che caratterizzavano la sponda del fiume, vi erano delle gocce di sangue. La giovane si chinò su una di esse con l’intento di studiarla. 
A poca distanza da esse ve ne era un’altra, poi un’altra ancora...le tracce portavano fin dentro al fiume. Prese un altro lungo respiro, prima di dirigersi in quella direzione, il passo che si faceva sempre più titubante.
In quel punto l’acqua raggiungeva a malapena i pochi centimetri, permettendo di guadare il fiume in completa sicurezza.
C’era un uomo riverso a metà percorso, a pancia in giù; Elettra non faticò a riconosce la divisa dei guardiani della notte che indossava.
Si fermò ad un metro dal corpo, premendosi una mano sulla bocca: non c’era bisogno di vederlo in faccia, sapeva che quello era l’ufficiale Bertino, la guardia che Giuliano aveva portato a Siena con sè per arrestare la spia. Ma se lui era lì allora...
Elettra non riuscì a finire di formulare quello spaventoso pensiero, che udì un flebile lamento. 
La voce chiedeva aiuto e proveniva da un punto più a valle, dove il fiume si faceva più profondo e mosso.
Con il cuore in gola la giovane corse in quella direzione; in quel momento non le importava di fare attenzione a dove metteva i piedi, alla litta che ricopriva i ciottoli in diversi punti. Scivolò e cadde nell’acqua, di faccia; si rimise in fretta in piedi e corse verso quel suono che si faceva di momento in momento sempre più flebile.
Finalmente lo vide: era bloccato tra un paio di rocce e, se con un braccio si teneva ad una di essere per evitare che la corrente lo portasse via, l’altra mano era premuta sul ventre. La camicia in quel punto presentava una grande chiazza scarlatta.
“Elettra”, la chiamò il giovane de Medici.  
“Giuliano!”, rispose lei, cercando un modo per avvicinarsi a lui. Il suo sguardo passò più volte da quell’uomo che considerava come un fratello a ciò che lo circondava. Velocemente salì su alcune rocce, poi da queste si spostò verso delle altre, abbastanza vicine da poter tendere la mano verso di lui.
“Prendila”, gli urlò, avvicinandosi più che poteva.
Con una smorfia di dolore il giovane tolse la mano dalla ferita, cercando con tutte le proprie forze di arrivare a toccare la sua. Elettra la strinse con entrambe, cercando di attirarlo a sè ma la corrente era sempre più forte e lentamente stava strascinando via entrambi.
Osservò con gli occhi ricolmi di paura il giovane de Medici e lui accennò un sorriso. “Devi lasciarmi andare”, disse, con un tono di voce che appariva calmo, come se ormai si fosse rassegnato al proprio triste destino, accettandolo con dignità.
Lei scosse la testa con vigore, le lacrime che cominciavano a rigarle le guance. “No!”, urlò. “No, non posso farlo!”, ripetè. Strinse i denti, cercando di attingere alle ultime forze che le erano rimaste per cercare di tirare l’uomo verso di sè, ma l’unico risultato che ottenne fu quello di scivolare ancora di più verso l’acqua.
Giuliano sorrise nuovamente, comprensivo. “Devi farlo, Elettra, devi accettare il fatto che non sarò per sempre al tuo fianco”, disse, prima di scivolare via dalla presa di lei e perdersi tra i flutti.

   
Elettra aprì gli occhi di scatto, un leggero strato di sudore ad imperlarle la fronte pallida e quella fastidiosa sensazione di sentire la propria gola restringersi velocemente.
Si mise seduta, sforzandosi di prendere dei profondi respiri.
Due robuste braccia le cinsero prontamente la vita, stringendola in morsa decisa ma allo stesso tempo dolce e premurosa.
“Va tutto bene, Elettra”, sussurrò Girolamo, contro ai suoi capelli. Una sua mano si intrecciò nei  lunghi capelli color dell’oro della giovane, all’altezza della sua nuca, mentre l’altra cominciò a percorrerle lentamente la schiena, cercando di calmarla.
Elettra affondò il viso nell’incavo del collo del Conte, soffocando sulla sua pelle i violenti singhiozzi che le scuotevano per intero l’esile corpo. Cercò di regolarizzare il proprio respiro concentrandosi sul battito del cuore di Girolamo; premette la mano destra sul suo petto, in modo da poterlo udire pulsare con più nitidezza. Anch’esso aveva un ritmo più sostenuto del solito, segno di quanto fosse preoccupato per lei.
“Va tutto bene”, ripetè dolcemente lui, lasciando successivamente una serie di baci sul suo capo.
Elettra allentò la presa sul suo collo e prontamente le mani di lui corsero al suo viso, asciugandole con i pollici le tracce lasciate dalle lacrime sulle sue guance.
Prese altri profondi respiri, mentre le dita agili di Girolamo le carezzavano dolcemente la sua delicata pelle, scendendo ed indugiando un po' sulle labbra, prima di riprendere il loro compito.
“È...è passato”, mormorò lei, ancora con il fiato corto.
 Il Conte la studiò per alcuni istanti con lo sguardo, quasi a volersi assicurare che quello che lei diceva fosse la verità, poi annuì, comprensivo. Avvicinò il proprio viso al suo, lasciandole un bacio a fior di labbra. “Vuoi parlarne?”, le chiese dopo, ancora ad un soffio dalla sua bocca.
Elettra scosse la testa, allontanandosi da lui e poggiando la schiena contro la testiera del letto. Si strinse le ginocchia al petto, poggiando poi la testa su esse, voltata in direzione opposta rispetto a dove si trovava l’uomo. “Sono solo preoccupata per Giuliano”, disse con un filo di voce.
Girolamo sospirò: desiderava poterle dare qualche certezza sulla sorte del giovane de Medici, ma nemmeno lui sapeva dove fosse in quel momento; si limitò a mettersi al suo fianco e a passare un braccio intorno alle sue spalle, per portarla ad avvicinarsi ancora di più a sè. Chiuse per un istante gli occhi anche lui, perdendosi nei propri pensieri: se quello era il modo di Elettra di preoccuparsi per giovane de Medici, come avrebbe reagito quando avrebbe scoperto che sarebbe stato proprio lui a firmare la sua condanna a morte?
Un bussare insistente lo riscosse. 
Osservò la giovane alzarsi, guardarsi in giro, raccogliere da terra la sua camicia scura ed infine dirigersi verso la porta.
Tornò poco dopo, la fronte corrugata in un’espressione perplessa e degli abiti scuri piegati tra le braccia; un osservatore qualsiasi avrebbe potuto dire che ogni traccia di preoccupazione era sparita dal suo volto, ma Girolamo poteva comunque ancora trovarla nei suoi occhi, non brillanti come di solito.
Elettra lasciò cadere la divisa del Conte sul fondo del letto, mantenendosi sempre pensierosa mentre la scrutava con attenzione.
L’uomo si alzò dal letto, disponendosi alle spalle della giovane e cingendole la vita con le braccia muscolose. “Mi adori così tanto da indossare anche i miei abiti, ora?”, le chiese con una punta di ironia nella voce. Con la punta del naso le sfiorò lentamente il collo, mentre le mani le sbottonavano abilmente la camicia.
“E voi state forse scendendo in guerra, Conte?”, lo punzecchiò lei, prendendo da in cima alla pila di abiti uno spesso panciotto di pelle nero. “Altrimenti questo non si spiega”, commentò ironica, lasciandolo poi ricadere tra le lenzuola sfatte.
“Sarei tentato di farlo”, ribattè lui, scostando la stoffa dalla sua spalla e lasciandole un piccolo morso.
Elettra si voltò, osservandolo negli occhi. “È forse una dichiarazione di guerra, questa?”, chiese. Nei suoi occhi azzurri brillava una punta di malizia.
“Tu cosa ne pensi, mia diletta?”, disse lui, ad un soffio dalle sue labbra.
Elettra poggiò le mani sulle sue spalle, facendole poi scorrere lentamente fino al collo. “Sarei tentata di accettare la sfida”, sussurrò sensuale. “Ma mi vedo costretta a rifiutare”, aggiunse, staccandosi da lui e facendo alcuni passi indietro. Lasciò cadere a terra la camicia dell’uomo, prima di dirigersi verso l’armadio. “Abbiamo un banchetto a cui partecipare tra poco”
Girolamo sorrise, divertito. “Ti diverte così tanto stuzzicarmi?”
“Tu non ne hai idea”, rispose lei, poggiando sul letto un abito color panna. 
Il Conte si avvicinò, studiandolo con attenzione. “Devi per forza indossarlo?”, chiese ironico.
La giovane sbuffò di finta esasperazione, non riuscendo a celare un sorriso. Aprì i bottoni sul retro dell’abito, per poi indossarlo facendolo passare per la testa. “Me lo allacceresti?”, domandò, sbattendo lentamente le palpebre e facendo mostra di uno dei suoi migliori sguardi da cucciolo.   
“In questo momento vorrei fare tutt’altro”, ribattè lui, sospirando. 
“Il temibile Conte Riario ha così poco autocontrollo?”, replicò lei, mordendosi poi un labbro.
“Sì, se continui a provocarmi in questo modo”, rispose Girolamo, quasi piagnucolando. Passò un dito lungo la sua colonna vertebrale fin dove l’abito glielo permetteva poi, con un brontolio frustrato, cominciò ad eseguire quello che la giovane gli aveva chiesto.
“Indossi un abito così semplice?”, domandò, quand’ebbe finito, osservando con attenzione il semplice vestito color panna, primo di qualsiasi decoro, senza maniche e dalla gonna a trapezio.
“A dire il vero...”, disse lei, correndo ad aprire un cassetto, “...ci sarebbe anche questa”. Tra le mani teneva una casacca a mezze maniche, completamente ricoperta da finissimi ricami argentati; aveva dei lacci sul retro.
Girolamo prese un altro lungo respiro, prima di aiutarla ad indossare anch’essa.
“Tu, invece?”, gli chiese, osservando l’uomo ancora completamente nudo. 
“Nutro ancora la speranza che tu cambi idea”
Per tutta risposta ricevette i propri abiti in faccia, seguiti da una risata, mentre Elettra si dirigeva verso la specchiera, per finire di prepararsi. 
Indossò velocemente pantaloni e stivali, osservando spesso il riflesso della giovane, nello specchio. Prese la propria camicia, indossandola ma lasciandola aperta e si sedette sul letto, perso nuovamente nei propri pensieri su quella giornata: non era mai stato così nervoso prima d’ora quando si trattava di togliere di mezzo qualche oppositore del Santo Padre; sapeva a cosa era dovuto quel cambiamento. O a chi.
Cercò con lo sguardo Elettra che, senza che se ne accorgesse, si trovava in piedi di fronte a lui. Gli tese la mano, per aiutarlo ad alzarsi e, senza dire niente, cominciò ad allacciargli la camicia e poi il panciotto in pelle.
Sempre in silenzio, prese tra le mani il suo mantello, di colore scuro.
“Potrò accompagnarti a braccetto al banchetto?”, le chiese, rompendo quel momento di quiete.
Nel frattempo lei gli fissò il mantello sotto al collo con l’aiuto di due spille a forma di testa di grifone. 
“Non sembrerà sospetto?”. C’era dispiacere nelle parole di Elettra.
Girolamo sorrise, cercando di contagiare anche lei. “Se qualcuno dovesse chiedere possiamo sempre rispondere che ci siamo incontrati nel corridoio e che da gentiluomo ho deciso di accompagnarti”
“E che io ho accettato per pura cortesia e pietà” aggiunse lei, scherzosa, facendo un buffetto sulla guancia del Conte. Gli porse il braccio, che lui si premurò di accettare immediatamente e si diressero verso la porta.

***

Alcune ore più tardi...

Girolamo si portò lentamente il raffinato calice d’argento alle labbra, sorseggiando piano piano del vino rosso, pregiato prodotto locale. Si guardò intorno, osservando e studiando attentamente i pochi invitati ancora presenti a quella che doveva essere una festa, ma che in realtà si era rivelata un’inutile, lunga attesa: il promesso sposo, Giuliano de Medici, non si era presentato, facendo così saltare tutti i piani dei congiurati.
Il suo sguardo si soffermò per un istante su Clarice e Lorenzo che, a pochi metri dalla grande tavolata del banchetto, discorrevano con alcuni invitati; se la Madre di Firenze appariva calma e rilassata, lo stesso non si poteva dire per il marito, che esibiva un sorriso nervoso e faticava a restare fermo, non altrettanto bravo a celare la propria preoccupazione. Li udì vagamente scusarsi per la mancanza del festeggiato.
Voltò poi la testa alla propria destra, per osservare la famiglia Pazzi: la promessa sposa appariva seccata e oltraggiata dalla seduta vuota al suo fianco; Francesco e Iacopo, invece, confabulavano tra loro, probabilmente riguardo alle successive mosse. Vide il primo stringere tra le mani un coltello e osservare in cagnesco Lorenzo, dall’altra parte della tavolata; gli lanciò un occhiata di ammonimento, facendogli intuire di posarlo subito, cosa che fece appena un istate dopo.
Tornò a guardare dritto davanti a sè: Gentile Becchi stava conversando con Piero da Vinci, il padre dell’artista, e Andrea Verrocchio, ma il suo sguardo era continuamente distratto, rivolto oltre i due uomini, ai margini del giardino; seguì anche lui quella direzione, osservando con preoccupazione Elettra che, bicchiere alla mano, camminava nervosamente avanti e indietro. Era molto tentato di alzarsi e andare da lei, ma lo zio della giovane lo anticipò, dirigendosi in quella direzione.
Mentre osservava Gentile Becchi tentare di calmare la nipote, con la coda dell’occhio vide Lorenzo e Clarice dirigersi verso il Capitano Dragonetti; anche l’attenzione di Francesco Pazzi era stata attirata verso loro tre che, un istante più tardi, furono raggiunti da Elettra, tenuta a braccetto da suo zio.
“Capitano, tenere traccia dei spostamenti dei fiorentini è la vostra specialità, dunque: dov’è mio fratello?”, chiese il de Medici, non riuscendo a non far trasparire dal tono della propria voce apprensione.
“Non saprei dirvelo”, rispose Draginetti. “Una settimana fa il mio ufficiale Bertino ha accompagnato Giuliano a Siena, da allora non ho più notizie”
Ad ascoltare quelle parole Elettra strinse ancora di più a presa sul braccio di Becchi; lei sapeva la verità e dovette mordersi la lingua, per non rischiare di parlare. 
“Perché a Siena?”, domandò Clarice, perplessa.
‘Perchè Lucrezia Donati avrebbe dovuto essere a Siena’, pensò Elettra. Serrò con forza gli occhi, cercando di non dare ragione alla propria voce interiore, che continuava a chiederle perchè lei non fosse partita con Giuliano. 
“Giuliano ambiva ad ultimo svago prima delle sue nozze”, disse il Capitano.
“Santo cielo”, si lasciò scappare Lorenzo.
“Bertino mi ha promesso di tenerlo lontano dai guai”, cercò di tranquillizzarlo Dragonetti, mantenendo sempre un tono di voce fermo e pacato; la calma che quell’uomo ostentava era invidiabile.
“E se Bertino avesse fallito?”, chiese nuovamente Clarice, anch’ella preoccupata. “E se Giuliano avesse subito un agguato?”
Ormai il braccio di Gentile Becchi doveva aver perso sensibilità da quanto Elettra lo teneva stretto; lo sguardo della giovane, spaventato, vagò da una parte all’altra del giardino, addobbato a festa, fermandosi infine sulla figura di Girolamo, che stava giungendo insieme a Francesco Pazzi.
“Non vedrei altra ragione per la sua assenza irriverente”, disse quest’ultimo, facendo sfoggio dell’ennesimo, falso sorriso di circostanza.
“Potrebbe aver semplicemente avuto un imprevisto”, aggiunse il Conte Riario, con un tono di voce insolitamente caldo e rassicurante; i suoi occhi furono immediatamente catturati dall’esile figura di Elettra, stretta al braccio di suo zio, e le accennò un lieve sorriso di conforto, che però ottenne come unico risultato quello di farle abbassare lo sguardo sul ciottolato ai loro piedi, come se si sentisse colpevole. 
“Potrebbe...”, mormorò appena lei, chiudendo per un lungo istante gli occhi.
Girolamo prese a studiarla attentamente: era chiaro che qualcosa in lei non andasse, lo aveva intuito già qualche giorno prima, ma si era guardato bene dall’indagare troppo a fondo ma, tuttavia, non gli era di certo passato inosservato il suo sospetto chiudersi a riccio ogni qual volta si faceva il nome del giovane de Medici, o il farsi improvvisamente vaga, o ancora il tentare di cambiare immediatamente discorso. Nascondeva qualcosa.
Non fu l’unico a giungere a quella conclusione, dal momento che anche Dragonetti cominciò ad osservarla sospettoso; il Capitano delle guardie della notte aprì e chiuse la bocca più volte, indeciso se azzardarsi a domandare o meno cosa sapesse. Alla fine convenne che sarebbe stato meglio indagare quanto prima. “Se sapete qualcosa al riguardo, vi converrebbe dirlo subito”, le disse, cercando di utilizzare un tono il più garbato possibile.
Tutti gli occhi del piccolo gruppo si concentrarono su di lei, il cui sguardo tormentato passava da una persona all’altra, fermandosi infine su Gentile Becchi. 
Girolamo pensò che avrebbe avuto un crollo da un momento all’altro, talmente gli appariva fragile ed indifesa.
“Mi...mi dispiace tanto”, mormorò.
L’uomo la guardò perplesso e preoccupato allo stesso tempo.
“Io...io sarei dovuta andare con Giuliano”, continuò lei.
“Elettra, dov’è mio fratello?”, si intromise Lorenzo, preoccupato.
“Lui...lui e Bertino sono andati a Siena, ma non per bordelli”, disse la giovane, facendo una breve pausa per ricacciare indietro le lacrime. “Sono andati là per arrestare la spia”
“Quale spia?”, domandò nuovamente il de Medici.
Elettra prese l’ennesimo, lungo respiro; i suoi occhi si misero ad osservare Girolamo, quasi a cercare in quello sguardo la forza per andare avanti con il proprio discorso. “Io...vi devo dire una cosa”, confessò a Lorenzo. “Il servo mandato alla ruota con l’accusa di tradimento era...era stato incastrato”. Finì la frase a fatica, con la voce che si faceva più flebile ad ogni parola. “Non...non avevamo altra scelta, ci serviva più...tempo”, concluse, cercando lo sguardo di suo zio.
Gentile Becchi era come bloccato: i suoi pupilli erano stati capaci di sacrificare la vita di un innocente pur di salvarlo da una morte certa; distolse lo sguardo da quello della nipote, quasi come se lui stesso si sentisse colpevole di ciò che Elettra e Giuliano avevano dovuto fare per salvarlo.
“La vita del consigliere di Firenze vale molto di più di quella di un semplice servo, specialmente di questi tempi”, mormorò la giovane. “Non potevamo perderti: Firenze ha bisogno di te...noi abbiamo bisogno di te”, disse infine, rivolta al proprio zio.
Lorenzo, nel frattempo, la osservò con la rabbia trattenuta a stento. “Chi è la spia?”
Elettra osservò Girolamo, quasi come si aspettasse una sua mossa da un momento all’altro, ma lui si imitò ad osservarla con un’espressione da sfinge.
Quel tacito scambio di sguardi non passò inosservato al de Medici, che fissò la sua fedele collaboratrice con astio. “Devi chiedere il permesso al Conte Riario per parlare?”, chiese, con malcelata irritazione.
La giovane scosse la testa e concentrò la propria attenzione sulla pavimentazione ai suoi piedi; con la mano sinistra strinse il proprio ciondolo, come soleva fare ogni qual volta fosse nervosa. “Lucrezia Donati”, disse in un sussurro.
Il Magnifico sbarrò per un istante gli occhi al sentir pronunciare il nome della propria amante. “Non...”, mormorò appena, giusto il tempo per riprendere il controllo delle proprie emozioni. “L’accusa che stai muovendo è molto grave, specialmente in mancanza di prove”. Il tono di voce che si era fatto nuovamente serio e deciso.
“Non avremmo mai agito senza prove certe”, ribattè Elettra. “Ci è bastato confrontare i periodi delle fughe di notizie con i libretti del coprifuoco del Capitano Dragonetti”, spiegò, sicura delle proprie parole. “Mi dispiace, Lorenzo”, aggiunse dopo una pausa di alcuni secondi.
Dragonetti la osservò perplesso. “Come avete fatto ad accedere ai miei appunti?”, chiese.
“Io e Bertino ci siamo introdotti nel vostro studio di nascosto”, rispose lei, la sicurezza ostentata poco prima di nuovo evaporata.
Becchi strabuzzò gli occhi, staccandosi dalla nipote, in un gesto d’istinto, non voluto. “Elettra...ti rendi conto della gravità di ciò che avete fatto?”, disse, alzando involontariamente il tono di voce.
Gli occhi della giovane divennero leggermente lucidi, mentre prendeva alcuni lunghi respiri per calmarsi. “Noi...non avevamo altra scelta, non potevamo coinvolgere nessuno senza...”. Si bloccò, interrotta da Lorenzo, per sua fortuna; altrimenti avrebbe avuto parecchio da spiegare.
“E tacendo sulle vostre intenzioni mio fratello è scomparso”, disse lui, con non poco veleno nella voce.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: le lacrime, che fino a quel momento Elettra si era sforzata di contenere, cominciarono a riempirle gli occhi. Si sforzò di prendere alcuni lunghi respiri, di nuovo. “Io...”, provò a dire. “Scusate”, mormorò infine, voltando le spalle a tutti e dirigendosi verso il giardino, dove la vegetazione si faceva più fitta. A nessuno dei presenti passò inosservato il tremolio delle sue spalle mente si allontanava.
Clarice lanciò un’occhiata di ammonimento al marito, prima di seguirla.
Lorenzo cercò di restare indifferente, mentre dava ordine a Dragonetti di perlustrare le strade tra Firenze e Siena in cerca di Giuliano.
Girolamo si allontanò di alcuni passi, indeciso se raggiungere Elettra o meno; alla fine decise che avrebbe aspettato qualche minuto, per evitare che apparisse sospettoso.

***

Alcuni minuti più tardi...

“Va tutto bene, Elettra”, ripetè Clarice per l’ennesima volta. “Vedrai che Giuliano sta bene. Probabilmente è andato davvero in qualche bordello e ha perso la cognizione del tempo”, disse con ironia, cercando di tranquillizzarla. 
Per la prima volta da quando si era seduta sotto quell’albero, sulle sponde del piccolo laghetto artificiale della tenuta dei Pazzi, Elettra alzò la testa dalle proprie ginocchia. Osservò per alcuni istanti Clarice, gli occhi azzurri tristi e le guance umide di lacrime. 
La Madre di Firenze la guardò speranzosa, convinta che le sue ultime parole avessero sortito almeno in parte l’effetto voluto; i suoi desideri si infransero quando la giovane tornò a poggiare il viso sulla stoffa del proprio abito. Sospirò: oltre alla pazienza aveva esaurito anche le parole di conforto.
La osservò per alcuni istanti e un sorriso malinconico fece capolino sulle sue labbra pensando a quante volte in passato si era ritrovata a rincuorarla; aveva cercato di farle da madre, quando aveva perso la sua. Solo ora, solo studiandola attentamente, si era resa conto che quella che a palazzo consideravano ancora tutti una bambina era diventata ormai una donna adulta. Con le preoccupazioni di un adulto: non piangeva più per un ginocchio sbucciato o uno scherzo dei bambini più grandi, ora le sue lacrime erano reali, di affetto, come in questo caso...di amore, in altri. 
Lo aveva visto nel suo sguardo alle volte sognante che si innamorata; anche lei aveva guardato Lorenzo con quello stesso sguardo, prima di tutti quei tradimenti. 
All’inizio tutti a palazzo avevano creduto che Elettra si fosse presa una cotta per Giuliano; sarebbe stato carino vedere quei due, amici fin dall’infanzia, felicemente insieme. Probabilmente Firenze sarebbe stata in festa per giorni alla notizia di un eventuale fidanzamento. Tutte quelle fantasie si erano ben presto infrante contro la dura realtà. A molti, però, sarebbe piaciuto sapere chi occupasse i pensieri della giovane.
Un rumore di passi, distrasse Clarice dai suoi pensieri. Si guardò in giro, notando sulla riva opposta il Conte Riario camminare con l’aria pensierosa; a prima vista si sarebbe potuto dire che l’uomo non si era minimamente accorto della presenza delle due donne, ma la Signora di Firenze sapeva che non era così: Riario era fin troppo conosciuto per la sua bravura nel saper dissimulare o per il non far trapelare la benchè minima emozione. In quel momento però le appariva veramente inquieto e vulnerabile; distrattamente pensò che fosse per il fatto che Elettra avesse smascherato la spia proprio davanti ai suoi occhi.
Nel frattempo la giovane alzò la testa dalle proprie ginocchia, osservando dritto davanti a sè. Clarice vide il Conte fermarsi e ricambiare lo sguardo della ragazza. 
Le loro facce, le loro espressioni, i loro occhi...ad una donna di corte come la Orsini tutto questo non passò di certo inosservato: aveva una sua teoria a riguardo.
Riario notò che lo stava osservando e in una frazione di secondo la sua espressione tornò ad essere indecifrabile. “Madonna Orsini, madonna Becchi, scusate se vi ho disturbate, non vi avevo notate”, disse, seppur sapesse benissimo che come scusa faceva acqua da tutte le parti.
Clarice piegò le labbra in un sorriso di circostanza. “Perchè non venite qui con noi, Conte?”
L’uomo annuì distrattamente, seppur il suo passo, solitamente lento ed elegante, in quel momento tradiva una certa impazienza.
“Il Magnifico ha mandato i suoi uomini a perlustrare le strade tra Firenze e Siena”, rivelò, non appena fu abbastanza vicino. “Troveranno il giovane Giuliano, potete starne certe”, aggiunse, parlando ad entrambe ma guardando solo Elettra.
A quelle parole la giovane parve risollevarsi un pochettino. “Vado ad aiutare nelle ricerche”, disse, alzandosi di scatto in piedi. Sarà stato per il movimento troppo brusco, dopo tutto quel tempo passato seduta a terra, ma fatto sta che non appena provò a fare il primo passo la colse un violento capogiro. Sarebbe caduta se non fosse stato per i riflessi di Girolamo: l’uomo intervenne prontamente, cingendole la vita per sorreggerla.
Clarice lo vide di nuovo, vide di nuovo quella luce quando gli occhi color del cielo di Elettra si scontrarono con quelli nocciola del Conte. Girolamo indugiò più del dovuto in quello sguardo, cercando di dedurre i suoi pensieri, quale emozione dominasse tra le tante che in quel momento la scuotevano; le poteva quasi vedere combattere tra di loro in quelle iridi azzurre che un attimo prima potevano apparire più spente del solito e un istante dopo brillare, animate da qualcosa di nuovo. Le sue mani la trattenevano fermamente per la vita, mentre le mani della giovane affondavano nella soffice stoffa delle maniche della giacca di lui.
“Sto bene”, mormorò Elettra, facendo un passo indietro. Prontamente la presa di Girolamo si fece meno ferrea, stentando comunque a lasciarla andare completamente. “Davvero”, aggiunse, lasciando gli avambracci dell’uomo e portando le mani sopra a quelle di lui, nel tentativo di sciogliere la presa con la quale ancora la stava tenendo.
“Voglio esserne certo”, ribattè lui, non potendo fare a meno di piegare le labbra in dolce sorriso, che per un estraneo appariva così lontano dalla natura solitamente fredda e distaccata del Conte, ma a cui lei aveva ormai fatto l’abitudine.
“È stato solo un istante, può capitare a tutti”, provò a convincerlo Elettra.
Girolamo la studiò con occhio critico, per assicurarsi che quello che diceva corrispondesse al vero. Alla fine annuì, lasciando completamente la presa.
“Grazie, Conte”, disse la ragazza, prima di girarsi verso Clarice. “Vado a cercare Dragonetti, voglio unirmi nelle ricerche”
“Non credo sia il caso”, si intromise Girolamo, con tono serio, che non ammetteva repliche. Come risposta ottenne uno sguardo oltraggiato, teso a fargli capire che non aveva voce in capitolo, che non avrebbe dovuto parlare.
Anche la Madre di Firenze se ne accorse, ma per la prima volta in vita propria non poteva che essere d’accordo con il principale nemico di Firenze. “Il Conte Riario ha ragione, Elettra. Saresti molto più utile a palazzo”
Lo sguardo della giovane passò da lei a Riario più volte: sapeva che quello era un ordine camuffato da consiglio e che, come tale, non poteva essere contestato senza apparire fuori luogo, ma comunque  non le piaceva che fossero gli altri a decidere per lei.
“Gentile Becchi ha bisogno di te in questo momento. Vai da lui, per favore”, continuo Clarice.
Si vedeva che Elettra non era per niente d’accordo, ma non le restò altro che annuire. “Vado a far preparare la carrozza per il viaggio di ritorno a Firenze”, disse, prima di congedarsi.
Girolamo fece per seguirla, ma fu bloccato dalle parole della Signora di Firenze. “Conte Riario, mi fareste il piacere di restare qui ancora per qualche minuto?”, chiese, facendogli intuire con il solo sguardo che non poteva rifiutarsi di farlo.
Riario annuì, mascherando sotto ad un lieve sorriso di circostanza tutta la propria irritazione. Osservò con apprensione l’esile figura di Elettra allontanarsi e scomparire oltre gli alberi.
“Cosa intendete fare con lei?”
Il Conte si voltò verso Clarice, osservandola perplesso.
“Ho visto come lei guarda voi e come voi guardate lei. Dunque ditemi: che cosa intendete fare con lei?”, ripetè.
“Vi è bastato un semplice scambio di sguardi, Madonna Orsini?”, ribattè Girolamo, scettico.
Le labbra della Madre di Firenze si piegarono in un enigmatico sorriso. “Noi donne siamo migliori di qualsiasi soldato perfettamente addestrato quando si tratta di scandagliare l’animo umano. Credevo fosse per questo che avete deciso di usare una donna come spia”
“Può darsi”, rispose lui vago, ignorando nuovamente la domanda della donna.
“E riguardo a ciò che vi ho chiesto precedentemente?”. Anche la Orsini era cresciuta a Roma, tra intrighi e complotti; non si sarebbe mai lasciata distrarre da un cambiamento di discorso. 
“Ormai è inutile negare l’evidenza”, disse il Conte, con una nota di amarezza nella voce. “So che i nostri sentimenti potrebbero comprometterla, ma sto facendo del mio meglio perché lei sia al sicuro”
Clarice rimase in silenzio per alcuni istanti, studiandolo attentamente. “Mi rincuora ammettere che state dicendo la verità”
Riario la osservò: il suo intuito gli diceva che c’era ancora dell’altro.
“Il vostro segreto è in buone mani, ma sappiate che lo faccio unicamente per Elettra. Se fosse stata un’altra persona non avrei esitato a rendere il tutto di pubblico dominio”, proferì, estremamente seria. “Purtroppo non si può scegliere chi amare”, aggiunse, non potendo non fare a meno di non celare una nota di amarezza nella voce.
“Grazie”, fu l’unica parola che a Girolamo venne da dire. Fece un leggero inchino con il capo, prima di voltare le spalle alla donna e tornare sui propri passi. Ne riuscì a fare appena un paio, prima di sentire una presa ad un polso. 
“Vi conviene continuare a trattarla come avete fatto fino ad ora”, disse Clarice, con un tono di voce minaccioso, simile al sibilare di un serpente. “Una donna ferita è il peggiore nemico che un uomo può avere”, aggiunse. 


Nda
Salve a tutti! Ho finito questo capitolo parecchio tempo fa, ma la pigrizia è una brutta bestia...
L'abito di Elettra che avevo pensato per il banchetto è questo.
I giochi sono quasi finiti :D
Buona lettura ;)
   
 
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