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Autore: _marty    30/08/2016    1 recensioni
Eric e Claire si incontrano dopo tre anni. Hanno tanto da dirsi, da raccontarsi ma si parlano sempre allo stesso modo con parole strozzate, omesse, mai dette a fare da sfondo. Tre anni passati a dimenticarsi, a non parlarsi, a superare tutto quel tempo in cui si erano amati ed appartenuti in silenzio. Tre anni passati ma senza che qualcosa fosse realmente cambiata.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico, Universitario
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Capitolo 22
3 anni prima
 



*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*

 

 

 

 

 

Eric era tornato a casa con un unico pensiero.
Aveva cominciato a cercare la locandina di Martin per tutta la stanza, sapeva di non averne bisogno ma inconsciamente sapeva che trovarla lo avrebbe spinto ad avere un motivo in più per andare da lui. Sin da quando aveva varcato la soglia di casa aveva sentito una voglia irrefrenabile di distrarsi e sapeva di poter ottenere quell’effetto solo con lui. Trovò quel pezzo di carta sotto il tappeto blu, recuperò il cellulare dalla tasca e fu indeciso se mandargli un messaggio o fargli una sorpresa. Optò per la seconda solo perché sapeva che Martin sarebbe stato contento di vederlo, almeno lui lo sarebbe stato.
 
Claire appena arrivata a casa aveva preso un foglio, si era seduta nella scrivania e aveva iniziato a scrivere due frasi.
E’ meglio se per un periodo ci allontaniamo, Claire.
Sarà doloroso per entrambi, ma è meglio così.
Più ripassava a penna ogni lettera, più si convinceva che fosse davvero meglio in quel modo. Alla fine della prima frase scrisse il suo nome in stampatello, calcò la lettera finale del suo nome, che inevitabilmente la riportava a pensare come la stessa e fosse la vocale iniziale del nome di Eric. Accanto alle due frasi scrisse due domande.
Un periodo quanto dura, Eric?
E’ meglio per me o per te, Eric?
 
Era arrivato a concerto già iniziato ed ogni previsione immaginata da Eric si era appena manifestata davanti ai suoi occhi. Vide Martin alzare gli occhi verso di lui e sbagliare una nota. Lo osservò sorridergli e riprendere il ritmo della canzone come se nulla fosse, facendo in modo che nessuno se ne accorgasse. Erano solo due le persone in quella stanza ad aver capito, solo loro sapevano perché quella note fosse errata e non era un problema di memoria o di attenzione. Eric sapeva di essere quel problema e la cosa lo faceva sentire così importante, che avrebbe pagato tutti i suoi soldi per continuare a sentirsi in quel modo. Per una persona era tutto e, per una sera, anche se non fosse Claire a ritenerlo importante, andava bene anche così.
 
Claire era scesa a cena continuando a ripassare con i pensieri quelle due frasi.
“Adesso possiamo organizzare i tuoi diciotto anni?”
Se ne era dimenticata e sua madre lo aveva pure capito.
“Sei un disastro, non puoi dimenticare i tuoi diciotto anni.”
Vicki scuoteva la testa e suo padre sembrava sorridere.
“Dove vorresti farla?”
Forse era il tempo di dire qualcosa.
“Anche a casa mi andrebbe bene.”
Seguì un discorso dove i suoi genitori cercavano di farle capire che forse sarebbe stato il caso festeggiare fuori, ma a lei non importava niente. Sapeva solo che quella sera avrebbe visto Eric e forse il suo regalo migliore era quello.
 
Erano stati due secondi ed Eric non aveva nemmeno pensato che tutto ciò potesse succedere. Due secondi e le labbra di Martin erano poggiate sulle sue. Sentiva l’odore del tabacco, della birra sorseggiata fino a poco prima e lui voleva con tutto se stesso ricambiare quel bacio e sentirsi vivo, ma sapeva che nemmeno in quel modo Claire sarebbe svanita. Si staccò da quel bacio a stampo lentamente, sperando che Martin riuscisse a comprendere che non fosse il momento adatto per loro. Lo vide riaprire gli occhi ed Eric riuscì a cogliere quella sfumatura che aveva sperato di comunicargli con quella lentezza.
“Mi dispiace, Martin.”
Avrebbe solo voluto che qualcuno capisse cosa gli stesse succedendo senza che lui avesse bisogno dirlo a parole. Lo vide riprendere la birra, bere dalla bottiglia e guardare davanti a sè, intuendo che fosse un po’ deluso.
“So che sono stato precipitoso ma so anche che non mi hai esattamente rifiutato.”
Martin sorrideva tra sé e sé senza guardarlo in faccia.
“Credo che non siano i risultati degli esami ad essere complicati.”
Si era alzato provando, con scarsi risultati, a non versare la birra a terra. Recuperò un’altra sigaretta dal portafoglio e se la portò alla bocca, gli veniva male con una mano libera ma riuscì comunque ad accenderla. Posò l’accendino nella tasca posteriore e poi, dopo aver aspirato il primo tiro, lo guardò di nuovo ed Eric non riusciva a dire niente.
“Solo amare la persona sbagliata è complicato.”
Martin era stato, davvero, capace di capire senza che lui parlasse.
“Sono sicuro che tutto ciò ti faccia sentire continuamente inadeguato e mi dispiace, Eric.”

 

 
7 giorni o 168 ore o 10080 minuti o circa 604.800 secondi
DOPO.
 


Claire rifletteva sul fatto che era passata una settimana e loro non si erano più visti, non si erano più scritti e non si erano più detti niente. Sua madre aveva organizzato la festa dei suoi diciotto anni, lei si era limitata a scegliere il colore dei palloncini e delle decorazioni, preferendo un rosso acceso ad un semplice rosa pastello. Vicki le aveva aiutate nella scelta e poi era andata in Francia. Ogni giorno mandava qualche foto via email con facce buffe, ma la più bella era stata quella in cui imitava lo sguardo serio della Monnalisa ed usciva la lingua di fuori. Ogni sera lei e i suoi genitori parlavano sempre di quanto Vicki si stesse divertendo, ridevano delle foto che lei continuava a mandare loro e poi passavano a parlare dell’Inghilterra e di come Claire quell’anno non riusciva a godersi le vacanze, ideando le scuse più disparate. Una volta i dolori prima del ciclo, poi il ciclo, poi non poteva prendere sole per via del post ciclo per paura che potesse succederle qualcosa. Veniva sempre Mel da lei e qualche volta pure Amy. Non se la sentiva di definirsi depressa, era solo vuota, irrecuperabile e preferiva rimanere a casa.
 
Erano passati 604.800 secondi, circa, dall’ultima volta volta che Eric aveva visto Claire. Si era buttato a studiare per i test d’ingresso e, in quel raro momento di pausa, aveva deciso di prendere la calcolatrice e trasformare i giorni che li separavano in secondi. Sospirò, spalmò le proprie spalle sulla sedia e scivolò piano piano per guardare il soffitto. Martin dopo il bacio aveva provato a chiamarlo, ma lui non aveva risposto, non sapeva cosa dirgli se non che gli dispiaceva di avergli dato dei segnali nettamente diversi rispetto a quelli che lui si aspettava. Un giorno sarebbe stato pronto per lui, ma in quel momento aveva solo un pessimo tempismo nel fare le cose. Tra un quesito di logica e uno di fisica, gli si infilava in mente l’ultima frase che, poco convinto, aveva detto a Claire.
E’ meglio se per un periodo ci allontaniamo, Claire.
Ed Eric stava iniziando a pensare che avesse fatto l’ennesimo errore madornale. Allontanarsi da Claire non era mai servito a niente e, adesso, si erano persi pure da amici. Anni a farsi problemi che lei non potesse ricambiare e che l’avrebbe persa e invece lei ricambiava ma adesso era troppo tardi. Sbuffò, sistemò la sedia e decise di continuare a studiare. Era troppo tardi per tutto e ormai quel tempo non glielo ridava indietro nessuno.
 
 
Claire, qualche giorno dopo, aveva accompagnato i suoi genitori a prendere Vicki in aeroporto. Davanti ai vetri di quell’edificio trasparente immaginò come da lì a qualche mese quell’aeroporto sarebbe diventato la sua seconda casa ed il modo essenziale attraverso cui raggiungere il suo futuro. Fino a quel momento non si era mai resa conto che presto avrebbe dovuto cambiare abitudini ed iniziare la sua vita in una nuova città. In un altro contesto sarebbe stata entusiasta e fin troppo felice, ma ancora una volta riusciva solo a pensare che non ci sarebbe più stato Eric nella sua quotidianità, le sarebbe rimasto solo il ricordo delle cose che facevano insieme e il richiamo di tutte le cose che lui preferiva e che lei non gli avrebbe potuto fare vedere.
“A cosa stai pensando?”
Sua madre, ultimamente, glielo chiedeva troppo spesso e lei finiva sempre per mentire e dire altro.
“Al fatto che Vicki avrà così tanto da raccontarci che non basterà una settimana per tutti i dettagli che dirà.”
Mentiva ed era pure ironica, così da tanto da fare ridere sua madre.
 
Eric aveva preso la decisione di dare un cenno di vita a Martin. Avevo preso il cellulare e, nonostante avesse riscritto mille volte quel messaggio, alla fine era arrivato a scrivere una semplice frase che si concludeva con una domanda.
Vorrei spiegarti tutto. Ci vediamo adesso al solito bar?
Non aveva nemmeno pensato di aspettare una sua risposta perché si era preparato, era uscito ed era andato a sedersi nel tavolino, quello del loro primo incontro. Aveva accavallato le gambe ed iniziato a guardare verso la direzione da cui l’altra volta erano arrivati, come se Martin potesse essere così banale da ripetere sempre le stesse strade e le stesse azioni. Sentì alle sue spalle dei passi familiari e si girò verso di lui.
“Non sarei dovuto venire, Eric.”
Sul volto di Martin non c’erano le sue solite espressioni, era fin troppo serio.
“E io avrei dovuto risponderti.”
Si stava giustificando, ma voleva spiegargli tutto di presenza.
“Lo so che ti ho baciato e niente cancella quel bacio, ma non volevo che ti allontanassi.”
Eric non sapeva nemmeno cosa dire senza combinare un macello.
“Amo la mia migliore amica da 4 anni, Martin, non posso dare un colpo di spugna a quei sentimenti.”
Lo vide sbarrare gli occhi e deglutire.
“Quattro anni sono tanti, Eric.”
“Lo so, per questo quando mi hai detto che mi sentivo inadeguato sono andato via senza dire niente.”
Martin annuiva, come se adesso tutto avesse più senso.
“Avevi colpito nel segno senza che avessi detto niente e sapevo che avessi così tanta ragione che volevo solo andarmene via e non farmi investire ulteriormente da quelle parole.”
A volte quella sua sensibilità la odiava così tanto che scappare era l’unica via per non soffrire.
“Non potrei mai competere con quattro anni di amore, Eric.”
Il cameriere aveva interrotto quella frase, chiedendo se volessero ordinare. Eric guardò Martin dentro agli occhi, forse per la prima volta perché quella sfumatura di giallo attorno all’iride non l’aveva mai colta, provando a capire cosa dovessero fare e se quella conversazione sarebbe continuata o no.
“Mi porti due birre, il mio amico qui di fronte deve raccontarmi giusto gli ultimi quattro anni della sua vita.”
Eric sorrise a Martin e fu felice che, almeno lui, avesse deciso di dargli un’altra possibilità.
 
 
Claire era sdraiata a letto e stava guardando la stampa della statua di Amore e Psiche che, gentilmente, sua sorella le aveva portato da Parigi. Negli ultimi giorni si era persa a guardarla ed era sicura che di presenza fosse del tutto diverso e che la foto non rendesse abbastanza. In quel modo era come avere un pezzo di arte insieme a lei, che però non sarebbe mai riuscita a sostituire l’emozione che le suscitava vedere le opere d’arte per la prima volta e dal vivo. Claire aveva sempre apprezzato l’arte perché riusciva a percepirne la stabilità, nonostante gli artisti fossero morti da centinaia di anni, se non secoli, avevano lasciato un pezzo della loro esistenza in quelle opere rendendosi immortali. Sentì i passi di Vicki aldilà della porta, la sentì fermarsi, poggiare la mano sul pomello e poi esitare. Claire si posizionò con le spalle alla testiera del letto e attese che la sorella si decidesse ad entrare, lei era sempre rumorosa ed era strano che stesse facendo in quel modo. Contò a mente i secondi che Vicki impiegò per aprire la porta e poi la vide varcare la soglia della sua stanza in silenzio. Claire la guardò in faccia e lesse nella sorella un’espressione che non aveva mai colto.
“Vicki che c’è?”
La vide sedersi sul suo letto e poi guardarla dentro agli occhi.
“Ian è andato a letto con un’altra.”
Claire la abbracciò senza dire niente, avrebbe voluto sorridere e chiamare Mel perché aveva sempre avuto ragione che tra i loro fratelli ci fosse qualcosa, ma davanti al viso sconvolto di Vicki non poté fare altro che stringerla più forte a sé.
“Li ho pure colti in fragrante, Claire.”
Ai singhiozzi di sua sorella la voglia di sorridere le passò del tutto e continuò ad abbracciarla, senza dire niente.
“Come puoi tradire così la fiducia della persona che dici di amare?”
 
Eric, dal numero di insulti che Martin aveva rivolto a Claire, sapeva che lui avesse capito ogni singola cosa.
“Te lo propongo solo una volta, Eric, a fine Agosto i miei amici della band ed io andiamo in Grecia per dieci giorni.”
Stava per dire qualcosa, ma Martin lo interruppe.
“Non devi darmi una risposta adesso e nemmeno domani. So che avrai i test di ingresso a Settembre, ma sappi solo che prendo un biglietto in più nel caso in cui volessi venire.”
Eric non aveva niente da dirgli tranne che ancora una volta Martin era la sua via di fuga, era il mezzo per sfuggire a tutta quella solitudine.
“Ci penserò.”
Martin gli sorrise ed Eric si rese conto che era quella la risposta che lui voleva.
“Adesso devo andare a provare con la band.”
Lo vide alzarsi, prendere il tabacco dalla tasca posteriore dei jeans e prendere l’ennesima sigaretta.
“Ho la sensazione che prossimamente avrai qualcos’altro da raccontarmi su Claire.”
La mise in bocca e l’accese con lo stesso accendino che aveva la prima volta che si erano conosciuti.
“Spero siano racconti più leggeri, Martin.”
Lui gli sorrise ancora ed Eric prese le sue cose per andare via.
“Fammi sapere, eh. La Grecia ti aspetta.”
 
 
La madre di Claire aveva insistito tanto affinché mandasse gli inviti. Lei voleva che chiamasse ciascuno degli invitati, ma Claire non ne aveva voglia considerando che avrebbe dovuto telefonare ad Eric. Preparò un messaggio identico per tutti gli invitati, forse impersonale, ma con tutte le giuste indicazioni.
E’ arrivato il momento più atteso dell’estate: i miei 18 anni. Casa mia, 11 Agosto, 20:30.
Selezionò gli invitati, inserì il nome di Eric all’interno della lista e poi schiacciò il pulsante invia. Sapeva che probabilmente lui non le avrebbe risposto, ma sperava solo che quella sera in un modo o in un altro varcasse la porta d’ingresso di casa sua.
Sbuffò e si decise di andare a controllare come stesse Vicki. Uscì dalla sua stanza e, ancora con il racconto di qualche giorno prima che gli frullava in testa, entrò in camera di sua sorella.
“Come stai?”
Vicki stentò un sorriso.
“Meglio.”
“Ho mandato gli inviti del mio compleanno.”
Sua sorella si mise sull’attenti, più emozionata di quanto in realtà fosse lei.
“Manca solo una settimana e tu non hai ancora il vestito, Claire.”
Annuì e forse in quel modo aveva trovato come fare distrarre sua sorella e farla uscire da quello stato post-tradimento.
“Allora oggi pomeriggio usciamo?”
Dopo giorni gli occhi di Vicki si illuminarono e a lei bastava così.
 
Eric stava osservando il messaggio da un paio di minuti. Riusciva pensare solo a quanto fosse impersonale e come fosse sicuro che avesse mandato lo stesso testo a tutti quanti.
Evidentemente non meritava un messaggio personalizzato, evidentemente era come tutti gli altri, evidentemente adesso lui non significava più niente per lei. Si sentì stupido a dover giudicare tutto attraverso un messaggio, ma allo stesso tempo sapeva che ormai non rimaneva più niente del loro rapporto. Non si era nemmeno disturbata a scrivergli qualcosa solo per lui, ma d’altronde cosa poteva pretendere? Aveva detto lui di allontanarsi, lo aveva proposto per primo e non importava più che adesso aveva cambiato idea. Aveva ancora il cellulare in mano, seppur con lo schermo poco illuminato per il troppo tempo passato a rileggere, e non sapeva nemmeno cosa risponderle. Un semplice “ok” sarebbe stato ancora più impersonale, ma forse sarebbe riuscito a farla svegliare e farle capire cosa aveva provocato in lui quel messaggio. Poi pensò che non voleva che ci fossero ulteriori fraintendimenti e che magari quella sera avrebbero potuto chiarire. Provò a scrivere qualcosa, poi cancellò tutto e poi riscrisse le stesse parole di poco prima. Si sentiva solamente cretino a fare in quel modo e odiava che un messaggio del genere potesse metterlo in crisi. Vide il cellulare illuminarsi e il nome di Mel lampeggiare.
“Pronto?”

“Finalmente si è decisa a mandare gli inviti.”
La conferma che il messaggio fosse uguale per tutti era appena arrivata.
“Senti Eric, sto raccogliendo i soldi per comprarle il regalo. Ti ho chiamato per sapere se volevi partecipare.”
E che doveva dirle?

“So che il vostro è un rapporto particolare.”
Mel non faceva mai delle pause tra le varie frasi, Eric aveva sempre pensato che fosse la persona con la parlata più fluida che conoscesse.
“E so pure che farle un regalo è difficile.”
A volte si stupiva di quanto lei fosse capace di fare un’analisi della realtà circostante così nitida.
“Quindi volevo sapere, appunto, se facessi il regalo a parte o con noi.”
“Cosa pensavate di prenderle, Mel?”

Forse era l’unica cosa che gli interessava sapere.
“Una polaroid.”
Ed Eric sapeva che fosse il regalo più indicato per lei.
“E’ un periodo che ne parla in continuazione.”
Eric sorrise silenziosamente.
“Non riesco nemmeno a capire perché d’improvviso si è fissata con questo tipo di macchine fotografiche.”
Per lui era inevitabile ripensare a qualche mese prima, quando lei aveva condiviso con lui la scoperta delle polaroid a poco prezzo.
“In realtà è già da un po’.”
“Aveva assillato anche te?”

“Sì, Mel.”
“Allora è il regalo perfetto.”
La sentiva davvero soddisfatta per essere riuscita a prendere qualcosa che a Claire sarebbe davvero piaciuta.
“Io lo faccio a parte.”
“Lo immaginavo, Eric.”
“Fammi sapere se trovi la macchina fotografica”
“Certo. Buona serata.”
“Anche a te, Mel.”
 
“Eric, con i soldi dei 18 anni voglio comprarmi una polaroid.”
Avevano appena finito l’ora di inglese, stavano aspettando la professoressa dell’ora dopo e Claire se ne era uscita con quella sparata.“L’inglese ti da alla testa?”Lei aveva riso, pur rimanendo seria, scuotendo la testa.
“E’ solo che con la polaroid puoi fare una sola foto. La scatti e anche se è venuta brutta te la devi tenere perché buttarla è un peccato e ogni pellicola costa un sacco.”
Quando gli spiegava quei pensieri così elaborati, quasi si stupiva di come fosse tutto così lineare.
“Con il cellulare eviti gli sprechi.”
Claire lo aveva guardato e si era messa una mano sulla bocca.
“Ci credo, il tuo telefono al posto della fotocamera ha lo scotch.”
Avevano riso entrambi ed Eric non poteva che dargli ragione.
“Poi con le polaroid scatti quell’attimo e non puoi più tornare indietro. E’ come se quel momento fosse impresso per sempre.”
Stava iniziando a guardarsi i piedi, quando parlava di qualcosa di personale spostava sempre il suo sguardo sulle scarpe.
“Sai quanti momenti ho fermato chiudendo gli occhi, Claire?”
Lui aveva sempre messo pausa ad ogni loro momento, giusto per farlo rimanere impresso nei suoi ricordi.
“Non sarebbe più bello che fosse in una fotografia?”
“Potresti sempre perderla.”
La vide scuotere la testa.
“Sai pure tu che quel ricordo non lo cancelleresti mai.”
Claire si diresse verso il suo banco, la professoressa era già arrivata.
“La prima la scattiamo insieme, Eric?”
Lui le annuì.
“Promesso.”
 
 
Claire, dopo aver mandato tutti quei messaggi, aveva pensato bene di lasciare il telefono a casa ed uscire con sua madre e Vicki. Sua sorella si era messa nel posto davanti, come al solito, aveva poggiato i piedi sul cruscotto e poi messo la musica a volume altissimo.
“Dai Vicki, metti piano.”
Sua madre esortava senza che sua sorella le desse riscontro, così si decise a spegnere tutto.
“Dai mamma, accendi.”
Sua madre poggiò la mano sul tasto di accensione della radio senza dare modo a Vicki di rimettere la canzone di prima.
“Volevo capire che strada fare, Claire.”
Sentendo il suo nome, la ragazza aveva ruotato il viso, già poggiato svogliatamente sulla sua mano, verso la madre incrociando lo sguardo nello specchietto retrovisore.
“Guarda mamma, vorrei solo che fosse semplice. Senza perline, cose luccicanti, solo semplice e preferibilmente che mi stia bene.”
Vicki scoppiò a ridere.
“A te starebbe bene anche uno straccio, Claire. Non farmi parlare.”
Per una volta sua sorella e sua madre erano d’accordo. Tutte e due continuarono a discutere di come a Claire donavano quasi tutti i vestiti e di come avesse un eleganza fuori del comune. Lei non sentiva di avere nessuna di quelle caratteristiche ma si scocciava a controbattere, in fondo a volte era più importante la percezione che gli altri hanno di te. Sua madre aveva parcheggiato, Claire era scesa dalla macchina e davanti a sé aveva trovato il vestito. Non uno qualunque, non di quelli che prendi solo per levarti il pensiero, era il vestito con la i maiuscola e lei doveva entrare in quel negozio per andare a provarlo.
“Mamma.”
La chiamò e nel frattempo indicò il vestito. Vide gli occhi di sua madre illuminarsi e quelli di Vicki sorridere. Entrano nel negozio senza dire niente e Claire si limitò a dire alla commessa cosa volesse e quale fosse la sua taglia. Entrò in camerino, si spogliò velocemente ed ebbe la sensazione che quel vestito le cadesse a pennello. Uscì dal camerino con i capelli legati con le mani ed andò verso sua madre per farle alzare la cerniera. Lasciò liberi i capelli, la ciocca destra dietro l’orecchio e si guardò allo specchio.
Era un tubino bianco, fino alla vita ricoperto di pizzo che non faceva altro che risaltarle i fianchi. Le dava luce, forma e si sentiva anche più adulta.
“Stai benissimo.”
Sua madre sembrava visibilmente commossa, Vicki aveva gli occhi a cuoricino e lei era incredula. Non si era mai vista in quel modo, mai adulta solo bambina.
“Direi di prenderlo.”
Forse quella era l’unica cosa che avrebbe scelto di quella festa.
 
 
Eric, dopo la telefonata di Mel, era uscito. Aveva deciso di fare il regalo a parte e sapeva già cosa le avrebbe comprato. L’ultima volta che erano usciti da soli, poco prima che cambiasse tutto, erano andati in libreria a comprare Orgoglio e Pregiudizio. Dato che aveva preso il libro, lui voleva comprarle il dvd. Sapeva che le avrebbe fatto piacere e sapeva pure che fino a quel momento non lo aveva ancora comprato. Certo, era passato del tempo da quando si erano visti, ma Claire non era solita comprare dvd, vedevo tutto in televisione o al cinema. Arrivò con il motorino davanti alla libreria, parcheggiò il motorino e in quel momento gli mancò il respiro. Era Claire con sua madre e sua sorella. La vide in mano con una busta bianca e pensò subito che forse aveva comprato il vestito per la festa. Era immobile, non sapeva se potesse andare verso di lei e se Claire volesse che lui si avvicinasse. La vide spostare lo sguardo e posare gli occhi sui suoi. Era sorpresa e lui non riuscì a leggere niente che avesse a che fare con la voglia di Claire di sparire o scappare via. Si avvicinò verso di lei, continuando a guardarla, e la ragazza fece lo stesso. Si girò verso la madre, facendole cenno di aspettarla lì e la vide proseguire verso di lui. Eric salutò con la mano la madre e Vicki e poi si ritrovò davanti a Claire.
“Compere?”
Riusciva pure a sorridere senza pensare che l’ultima volta si erano detti di allontanarsi.
“Mancava solo il vestito per la festa.”
Claire indicò la busta che aveva in mano e gli sorrise.
“Ora mancano solo le scarpe.”
Quasi faceva male parlare del nulla e guardarsi dentro agli occhi.
“Rigorosamente col tacco.”
“Ma hai sempre detto che ti facevano male.”
Lei gli sorrise di nuovo, quasi fosse scontato ciò che gli stesse per dire.
“Chi bella vuole apparire, un po’ deve soffrire.”
“Come stai, Claire?”
Era diventato, di colpo, serio.
“Mi distraggo. Tu?”
Era ovvio che non gli avrebbe risposto e che avrebbe ricorso a qualche altra parola per fargli capire come si sentisse.
“Mi manchi, Claire.”
Le si era avvicinato senza che lui volesse, come se i suoi piedi si fossero mossi da soli verso di lei.
“Hai detto tu di allontanarci.”
Sapeva che entrambi non avrebbero mai perdonato quella sua affermazione.
“Lo so.”
Fece un passo indietro, quasi volesse dirle che si era pentito di ciò che le aveva detto e che quei giorni erano ormai persi. Claire sembrò capirlo e, per la prima volta, dopo tutti quegli anni non aveva smesso una volta di guardarlo dentro agli occhi.
“Verrai, Eric?”
Lo sapeva che era il suo modo di farsi perdonare il messaggio impersonale di poco prima e che se lui non avesse detto di allontanarsi lei lo avrebbe chiamato subito.
“Dovresti saperlo, Claire.”
Sentì la voce della madre della ragazza interromperli. Claire si sporse verso di lui e gli posò un leggero bacio sulla guancia. Con quel contatto sentì di nuovo calore, di nuovo forza, di nuovo vita. Le posò una mano sul fianco e poi le sussurrò all’orecchio ciò che avrebbe voluto dirle sin da quando aveva ricevuto l’invito per il messaggio.
“Non potrei perdermela per nulla al mondo.”




spazio autrice
Magari nemmeno vi aspettavate un aggiornamento dopo un mese e mezzo ma eccomi qui :) Spero davvero che sia di vostro gradimento e spero di avere un vostro riscontro a riguardo! E' stato difficile riprendere a scrivere dopo tempo ed ho voluto strutturare il capitolo con questi piccoli racconti per farvi vedere la quotidianità di Eric e Claire e come è per loro la vita dopo l'ultimo capitolo al passato in cui avevano deciso di allontanarsi. E niente questo è tutto. Il prossimo aggiornamento sarà sicuramente fatto prima, il capitolo è già pronto, manca giusto qualche piccola cosa da sistemare e una nuova idea da intrufolare.
Detto ciò, grazie come sempre a chi continua a leggere la storia e a lasciare i pareri.
A presto :)

 

   
 
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