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Autore: stefanvox94    01/09/2016    2 recensioni
Ricca, egocentrica, sicura di sé: Adelasia, una ragazza che si distingue soprattutto per gli atteggiamenti che assume nel rapporto con gli altri, specialmente con coloro che lei crede si trovino a un livello inferiore rispetto a lei e alla sua "gente". Eppure la sua personalità, la sua famiglia e il suo passato nascondono qualcosa che può riemergere soltanto grazie a chi è capace di capire a fondo una persona, senza fermarsi alle apparenze. E così si va alla scoperta non solo del suo mondo, ma anche di coloro che le stanno intorno (per scelta o meno): ragazzi e ragazze con le proprie insicurezze e i propri sentimenti conflittuali...
Genere: Comico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vorrei tanto parlare con lei.
Scambiare qualche parola… oppure portare avanti un bel discorso. Sì, insomma, è il mio desiderio più grande al momento.
Ieri, quando l'ho aiutata a scendere dal trenino, mi sono sentito quasi rinato. E sono contento che mi abbia ringraziato, significa che sta cominciando a sopportarmi. Mi sarei aspettato una reazione aggressiva da parte sua, e invece… sorpresa!
Insomma, devo decidermi. Tra poco arriva nel centro insieme al suo amico e io non potrò fare a meno di chiederle di ascoltarmi per qualche minuto. Se non lo faccio, non me lo perdonerò mai. Non posso reprimere quello che sento.
Eccola, è entrata. Saluta i pazienti, con aria molto più dolce del solito. Non sto rivedendo la ragazzina che conobbi nel periodo dell'innocenza, ma… sembra comunque più rilassata, serena, disponibile a socializzare.
Anche oggi indossa un vestitino casual chiaro. Credo sia verdino. È molto splendente, come il suo volto. Gli orecchini argentati rendono il suo aspetto ancora più radioso.
Si accorge di me. Mi fissa. Io sono bloccato. Il suo sorriso svanisce, e ciò mi rattrista. Abbassa gli occhi e aumenta il passo. Volge di nuovo lo sguardo verso di me e mi saluta.
“Buongiorno”.
“Ciao, Adelasia”.
Posa la borsa nel suo armadietto e, girandosi verso le finestre, sbatte col ginocchio destro sullo spigolo del mobile del televisore.
“Ahi!” esclama, piegandosi verso il pavimento. “Ma dov'è Federico quando serve?!”.
“Non è ancora arrivato, pensavo sarebbe venuto con te anche stamattina” le rispondo io, avvicinandomi.
“Doveva passare dal supermercato”.
“Ferma, non sfregare con le mani” le consiglio, poggiandomi a terra. “Ti aiuto io, okay? Vieni con me in infermeria”.
“Mi sta uscendo un po' di sangue” fa, socchiudendo gli occhi.
“Lo vedo, ma… tranquilla… non morirai di certo” la rassicuro, sorridendole. Posa gli occhi sul mio viso e ci guardiamo per alcuni secondi. “Forza, vieni con me, ti faccio passare tutto. Il disinfettante che usiamo noi non brucia, non preoccuparti”.
La aiuto ad alzarsi in piedi, le tengo stretto il braccio e la trascino lentamente.
“Lasciami, ce la faccio da sola”.
Rifiutare il mio sostegno non le è servito, poiché dopo poco si poggia urgentemente su una sedia.
“Vedi? Non ce la fai da sola! Tieniti a me… non voglio mica importunarti. Quando avrò finito col tuo ginocchio, vedrai che ti sarò stato utile”.
“Lo spero” mi fa, con occhi minacciosi. Ricambio la sua irruenza con un'altra risatina, tornando poi a sorreggerla. “E smettila di sghignazzare, mi dai sui nervi”.
“Va bene, la smetto” ubbidisco, alzando verso l'alto la mano libera, in segno di ottemperanza.
“Ciao Adelasia… successo nulla?” le chiede mia madre, non appena si accorge della situazione.
“È sbattuta su quel mobile”, indico con la testa, “niente di grave, la accompagno in infermeria”.
“Mi raccomando, figliolo, trattala bene!”.
“Sarà fatto, mamma”.
“Vedrai, ragazzina, è bravo con cremine e cerotti. Sei in buone mani!”.
“Bene” mormora Adelasia, sbattendo le ciglia nervosamente.
Ciò che ho in mente è di farla sedere sul lettino, disinfettarle la ferita, fissare un cerotto e poi tentare di parlare un po' con lei. Ma tutto ciò non si rivela facile, poiché comincia ad esigere spiegazioni su tutto.
“Come mai sei tu l'infermiere qui? Hai fatto un corso? Sei davvero competente? Ci sono degli attestati che lo dimostrino? Che tipo di disinfettante usi? E le creme rigeneratrici? Che ingredienti hanno? Sono ipoallergeniche oppure…?”.
“Oh, basta! Ti calmi?”. Non ho potuto trattenermi. Sono esploso.
Ma lei non mi rimprovera, anzi, continua con le domande.
“Scusami, ma perché non indossi i guanti? Ti pare che mi faccio mettere le tue mani piene di batteri sulla mia pelle?”.
“Sto per indossarli. Sto per prendere un disinfettante sicuro al cento per cento. Sto per spalmare una crema ipoallergenica. Sto per usare farmaci e unguenti sicuri, consigliati e portati qui dal farmacista in persona. Sto per usare un cerotto di ottima qualità. STO PER FARE TUTTO NEL MIGLIORE DEI MODI”.
“E l'attestato?”.
“Te lo mostro dopo, se proprio ci tieni. Okay? Non credi sia meglio pensare alla ferita prima?”.
“Sì”.
Afferro la scatola dei guanti usa e getta.
Nell'infermeria è piombato il silenzio. La mia faccia si è fatta seria. Dopo un minuto, mentre continuo a preparare l'occorrente, la osservo con la coda dell'occhio: è lì, seduta, immobile, proprio come l'ho lasciata. Fissa un punto sul pavimento, ha le spalle tese e le mani sotto le cosce.
“Tutto a posto?”.
Mi meraviglio di me stesso: non avrei mai pensato di poter sbraitare in quel modo contro di lei. Ma ora torno a preoccuparmi, soprattutto perché non ha pronunciato una parola dopo la mia leggera sfuriata.
“Pensavo che...” risponde finalmente, corrugando la fronte, “in farmacia adesso è disponibile una crema riparatrice che ha un nome francese. Non ricordo la marca… ma so che ha come ingrediente principale l'acqua termale… Mmm, magari dopo passo a comprarla. Sul forum di KissMyBeautifulSkin la consigliano nell'85% dei commenti. Il 15% è sicuramente scritto da sciattone senza ritegno”.
“È proprio quella, la crema che usiamo noi” affermo.
“Oh, molto bene!” le si illumina il viso.
“Potrei mai parlare con te, ogni tanto?” le chiedo, inaspettatamente sicuro di me, mentre inumidisco un po' di ovatta col disinfettante e intervengo sulla parte lesionata del suo ginocchio.
“Manuel mi ha consigliato di farlo. Non per un obiettivo preciso s'intende, ovviamente. Ma… come potrei chiudere le porte a chiunque mi stia intorno? Devo pur...”.
“Allargare i propri orizzonti, Adelasia” concludo. “Allargare i propri orizzonti”.
I nostri sguardi si fondono. Ma io mi libero presto da quella trappola incantevole, riprendendo a pulire la ferita.
“Sì, può essere” dice, scrollando le spalle.
“Non brucia, vero?”.
“Non ti è ancora arrivato un ceffone, quindi direi di no”.
Ridacchiamo improvvisamente. Cresce la sintonia fra noi due.
Federico arriva quasi ansimando.
“Ehi! Che è successo? Uno dei pazienti mi ha detto che ti sei fatta molto male!”.
“Ma no, sto bene!” risponde lei.
L'amico le si fa vicino per assicurarsi che sia così. Poggia il suo marsupio sul tavolino blu a due passi da noi e inizia ad esaminare la gamba di Adelasia.
“Non hai altre ferite? Solo sul ginocchio?”.
“Sì, tranquillo. Chi è stato a dirtelo?”.
“Martino”.
“Lui, poi, sempre tragico!” esclamo io, conoscendo bene quel ragazzo ormai da tempo. Dopo aver applicato il cerotto sulla pelle lesa di Adelasia, saluto momentaneamente i due ragazzi. “Beh, ora vi lascio soli. Tu, rimani a riposo per un po' e tu, Federico, tienile compagnia, se ti va. Prenderò io il vostro posto, ho così tanta voglia di lavorare oggi!”. Poi sussurro a lei: “Spero che adesso tu stia cominciando a conoscermi davvero. Vorrei tanto che mi credessi”.
Adelasia si sistema le sopracciglia guardandosi allo specchietto interno del suo orologio fucsia. Credo mi abbia capito, perciò non insisto e lascio l'infermeria.

Trascorrerò questa serata insieme a Federico. Aveva un appuntamento con Adelasia, ma a quanto ho capito lei vuole rimanere a casa per rilassare la gamba. L'amico le ha chiesto se volesse accoglierlo in camera sua, ma lei gli ha risposto che non doveva rinunciare alla serata al bar dei Pineti, dato che suona la sua cover band preferita. Se non ho capito male, sarà Manuel a recarsi in casa De Vittori.
“Ti va se ci incontriamo verso le 20:00?” ho proposto stamattina a Federico.
“Ehm, mi dispiace, ma… dovrò tenere compagnia alla mia amica… sarà per un'altra volta, d'accordo?”.
Ma poi, verso le 19:00 mi ha telefonato, annunciando il cambio di programma e la sua disponibilità ad organizzarci.
“Come hai avuto il mio numero?” gli ho domandato per curiosità.
“Adelasia l'ha chiesto ad Angela. Ascolta, se vuoi ci incontriamo, ma dobbiamo assolutamente ascoltare la tribute band dei Bad Sugar al bar dei Pineti” ha fatto chiaro, dall'altra parte del telefono.
“D'accordo… ma, scusa l'ignoranza… che genere è?”.
“Indie rock… pensavo li conoscessi!”.
“Ne ho sentito parlare… ma stasera avrò l'occasione di ascoltare qualcosa!”.
“Faresti bene poi a deciderti di ascoltare i loro brani originali… comunque, sempre meglio cominciare dalla cover band...”.
“E magari stasera mi racconterai qualcosa riguardo a questo gruppo che ti piace tanto. Il tuo indie e il mio rock potrebbero intendersi”.
L'ho sentito ridere e poi acconsentire: “Va bene, Fulvio… non so se abbia molto senso quello che ogni tanto esce dalla tua bocca... vado a prepararmi, a dopo”.

Piazza Guarini è il nostro punto di incontro.
Lo aspetto seduto su una delle panchine del secondo parco comunale più grande della cittadina. Alcuni bambini giocano e si inseguono tra le giostrine, ma tra un'oretta questo posto sarà più affollato: giungeranno famiglie intere e ragazzi che trascorrono le serate estive tra discorsi spensierati, granite, cedrate e altre bevande fresche acquistate nel chioschetto situato accanto al grande scivolo giallo, l'attrazione che ai piccoli desta fascino e inquietudine allo stesso tempo.
Ho indossato dei pinocchietti color cenere, sneakers verde acqua in tela, una maglietta nera con un fantasmino bianchissimo e fluorescente raffigurato al centro.
Vedo arrivare Federico: scarpe leggere bianche, shorts maschili dello stesso colore e una maglietta grigiastra con su scritto in nero Take me away.
“Che buon odore che hai” esordisce, dandomi la mano.
“È un profumo che mi ha regalato mia sorella” spiego.
“Caldo, ma non troppo forte. È un tipo di fragranza che piacerebbe ad Adelasia”.
Dopo due secondi in cui sorrido imbarazzato, rompo il silenzio: “Anche il tuo odore non è male”.
“La mia è una semplice acqua di colonia al talco” mi fa, cominciando a camminare lentamente.
Lo seguo. “Vedo che non hai fretta… credevo non vedessi l'ora di ascoltare quella band”.
“È così, infatti. Ma in genere tardano non meno di quindici minuti. Quindi, direi che facciamo ancora in tempo. Quando arriveremo si staranno sicuramente ancora preparando… e io ti offro una bella birra, che ne dici?”.
“Anche tu ami le birre?”.
“Sì… ma con anche intendi oltre a te?”.
“Intendo oltre ad Adelasia e a Manuel”.
“Conosci i loro gusti” nota.
“Beh, li ho visti ieri sera scendere dal trenino panoramico con due bottiglie vuote”.
“Ah, capisco… beh, sì. Diciamo che potrebbe sembrare strano il fatto che Adelasia beva alcool...”.
“Dici?” chiedo incuriosito.
“Beh, è una specie di salutista, credo… insomma, sta sempre attenta a cosa mangia e a cosa beve”.
“Allora immagino che ogni tanto dia uno strappo alla regola, per concedersi qualcosa di diverso dal solito”.
“Macché...” sogghigna lui, “una volta le chiesi come mai lei ami così tanto la birra, sebbene non esageri. Mi ha risposto che ultimamente va di moda il lievito di birra come integratore per pelle e capelli, e così, senza acquistare quelle pasticche, preferisce scolarsi una Peroni o una Moretti”.
Ci mettiamo a ridere, pensando a quanto sia eccentrica e divertente, in fondo, quella ragazza.
“I suoi modi di fare sono un vero spasso, a volte” ammetto.
“In effetti… è un personaggio particolare, la mia amica” conferma Federico.
“Dici che prima o poi sparirà il suo odio nei miei confronti?” domando senza mezzi termini.
“Non ti so dire, Fulvio, lo sai bene”.
“Beh, sei un suo amico molto stretto, magari ne avete parlato o lei ti ha detto qualcosa...” gli faccio, continuando a passeggiare con le mani dietro la schiena.
“Sinceramente no. Credimi, niente di niente. Ma stamattina ho visto che tra voi due non va male adesso… o mi sbaglio?”.
“Stanno migliorando le cose… la mia speranza è che continui ad andare così”.
“Sì, dai, meglio essere ottimisti. Non può detestare una persona per tutta la vita”.
Mi fermo, poggio subito le mie mani sulle sue spalle e gli dico: “Ma lei mi ha detto di essere certa che sia stato io ad uccidere il suo fidanzato… non te lo sei scordato, vero?”.
Siamo proprio davanti al luogo di destinazione. C'è un po' di gente ma non c'è molta confusione o baccano.
Federico afferra delicatamente i miei polsi e li riporta verso il mio bacino. “Era arrabbiata, Fulvio. Passerà. Te lo prometto”.
I suoi occhi mi trasmettono innocenza e sincerità.
“Mi fido di te, Federico”.
Sorride mostrando i suoi denti bianchi come la sua pelle. Le sue gote si arrossiscono leggermente. Poi, prendendomi per il braccio destro, mi esorta: “Forza, entriamo”.

Dopo due ore e mezza di musica che ho molto apprezzato e bicchieri di birra che hanno contribuito a renderci ancora più allegri, io e Federico non sembriamo disposti a darci la buonanotte.
La serata si fa tranquilla fuori dal locale, mentre godiamo di nuovo dell'aria aperta e di una brezza che porta un po' di sollievo dopo l'ennesima giornata di afa.
“Ti va di passeggiare ancora un po'?” mi fa lui, che in realtà si è già avviato verso la salita che porta alla parte superiore di Dartigliano.
Accetto volentieri.
La scalinata centenaria è ben illuminata dai lampioni gialli che costeggiano, insieme a delle piantine fiorite, ognuno dei trenta gradini.
“Non ho ancora sonno… d'estate di solito non vado a letto alle 23… finché non arriva la mezzanotte non mi sento particolarmente stanco” spiego.
“Vale lo stesso per me. Allora vieni a casa mia, stiamo un po' lì e poi ciao ciao”.
“Cosa vuoi fare in casa tua? E i tuoi non ci sono?” domando.
“Se non sbaglio hanno cenato in giardino con degli amici. Ma ora sono soli… non c'è problema, non li disturbiamo mica… nemmeno loro vanno a letto presto. Se stanno nel soggiorno, noi andiamo in camera mia… e comunque sono miei zii, ma va bene lo stesso...”.
“Oddio, scusa, io...”.
“Non preoccuparti. Per me, sono loro mio padre e mia madre.  Comunque… ti invito da me perché in questo modo non dovrò più pensare al ritorno e… quando la serata sarà finita, io starò già a casa!”.
“Ah-ah, furbo lui!”.
“Tanto… tu non abiti molto lontano da me, giusto?”.
“Beh, la mia residenza non è nel quartiere dei benestanti!” provo a scherzare. Ma dalla sua espressione non sembra abbia gradito più di tanto la mia uscita. “No, non abito molto lontano”.

Al contrario della maggior parte delle abitazioni di questo quartiere sfarzoso, quella di Federico è una casa senza un vialetto d'entrata. Dopo aver aperto un grande portone in legno pregiato (credo sia così, per quanto io ne possa capire), saliamo un po' di scale in marmo e ci ritroviamo nel lusso dei salotti in cui, soprattutto grazie alla mobìlia, predominano i colori caldi. L'occhio cade sin da subito sugli sfavillanti tappeti rossi e sul resto dell'arredamento composto da divani beige, che immagino siano inutili, dato che servono solo ad abbellire magnificamente questi saloni che portano al vero e proprio soggiorno.
I signori Valli si trovano spaparanzati su un gigantesco sofà bianco, a qualche metro di distanza da uno schermo di dimensioni colossali. Un tavolino di cristallo, sul quale si trova almeno una dozzina di pacchetti di sigari, gli separa dal televisore che è sintonizzato su un canale a pagamento che trasmette soltanto film cinematografici. Credo stiano guardando James Bond, o qualcosa del genere.
La zia, o madre, che fino a pochi secondi fa aveva le gambe distese su quelle del marito, accortasi del nostro arrivo, si sbriga a rimettersi composta. Dopo aver indossato delle ciabatte blu, si drizza in piedi, porta dietro al collo i lunghi capelli biondo cenere, si sistema la vestaglia rosa e saluta: “Buonasera. Se non sbaglio, tu devi essere il figlio del signor Terreno”.
“Salve” fa il marito, dal viso rotondo e simpatico.
“Sì, mi chiamo Fulvio” mi presento, quasi imbarazzato.
“Non eravamo pronti a ricevere gente” si scusa lei.
“Oh, non preoccupatevi, io...”.
“Benvenuto” pronuncia l'uomo.
“Grazie mille” rispondo, avvicinandomi per stringere loro la mano.
“Molto piacere”.
“Federico,” riprende lei, “fa' in modo che il nostro ospite...”.
“Sì, zia, tranquilla, stiamo andando in camera mia per stare insieme qualche minuto, a dopo”.
“Va bene” fa lei, con un occhiolino rivolto al nipote.
Federico scuote la testa, credendo che io non mi sia accorto di nulla. Suppongo voglia far capire alla zia che io sono semplicemente un amico.
“Simpatici i tuoi” dico io, entrando nella sua stanza. “Non gli ho conosciuti bene, ma…”.
“Dai, che impressione ti hanno fatto?” mi chiede, accendendo le luci e chiudendo la porta. Un letto matrimoniale dalle lenzuola arancioni si trova al centro, tra due comodini color panna come la scrivania e l'armadio frontistanti. Le pareti, così come il pavimento, non differiscono dalle altre parti della casa che ho visto finora.
“Tuo zio ha la faccia simpatica. Posso dire qualcosa di più su di lei… mi sembra una donna elegante e cordiale allo stesso tempo”.
“Mmm, sì, dai, l'hai descritta brevemente ma in maniera perfetta, direi” afferma, mettendosi comodo sul letto. “Vieni, siediti anche tu, non stare lì impalato”.
Faccio come dice. “Adelasia viene spesso qui?”.
“Certo… ah, a proposito…” si alza e si sposta verso il comodino vicino alla finestra. “… è praticamente il motivo per cui ti ho portato qui...”.
“Riguarda Adelasia?!”.
Federico non risponde, fruga nei cassetti e poi tira fuori un foglietto piegato.
“Questa è la lista dei suoi cantanti preferiti… se vuoi farle un regalo che le faccia cambiare idea su di te, basta masterizzare un cd con alcuni dei loro brani”.
“Tu sei pazzo”. Rido come un isterico e afferro quella lista, non appena lui si riavvicina. “Innanzitutto credo che lei reputerà tutto questo una grande poracciata, conoscendo il suo disprezzo verso le cose poco originali”.
“Non ha importanza, in questo caso”.
“Sul serio?”.
“Ma sì”.
“E se mi chiede come mai conosco i suoi gusti, cosa le devo dire?”.
“La verità. Le dici che ne abbiamo parlato”.
“Credi che funzionerà?”.
“La conosco benissimo, conta su di me” mi assicura, con un sorriso.
“Perché fai questo per me?”.
“Mi piace fare stare bene le persone. Se tu vuoi riprendere i rapporti con lei, beh… ti do una mano. Nulla di particolarmente impegnativo”.
“Io… non so come ringraziarti...” ammetto. Poi comincio a gironzolare per la stanza, guardando le foto appese qua e là. “Eri proprio carino da piccolo”.
“Lo prendo come un complimento” mi fa, stendendosi completamente sul letto.
“Ahahah, non volevo dire che ora non lo sei. Ma… guarda che paffutello!” esclamo davanti a un ritratto di Federico vestito da cucciolo de La carica dei 101, probabilmente durante una festa di carnevale.
Quando mi giro verso la scrivania, poso l'occhio su una catasta di libri, perlopiù di narrativa contemporanea, e noto una busta da lettere gialla con un cuoricino rosso e una scritta: “Per Federico, solo per te, mio caro” pronuncio senza neanche accorgermene, preso dall'interesse.
“Oddio, lascia perdere quella roba”. Balza subito lontano dal letto, facendo cadere un cuscino per terra. Mi si mette davanti e sistema velocemente un po' di libri. “Questa è la parte più disordinata della mia camera, ti chiedo scusa”.
“No, non ti devi scusare… la mia sta messa peggio! Ma… cos'era quella cosa? Dai, son curioso!”.
“Fulvio...” si volta verso di me, con la fronte corrugata e il sorrisetto malizioso. “… non ti facevo così”.
“… così… come?”.
“Mmm, niente, lascia perdere”. Agita le mani e volge lo sguardo dalla parte opposta.
“Non ti fidi di me?”.
“Oddio, no… di nuovo con questi discorsi sulla fiducia?”.
“Va bene, non insito”, mi arrendo, tornando sulle lenzuola arancioni.
Mi guarda quasi dispiaciuto e dopo qualche secondo acconsente: “E d'accordo, ti mostro 'sta letterina… tanto non è niente di che… e poi... è qualcosa che appartiene al passato, ormai”.
“Cos'è, nello specifico?” chiedo.
Federico si toglie le scarpe, si mette a gambe incrociate davanti a me ed estrae la lettera dalla busta gialla.
“È una poesia”.
“Per te?”.
“Già”.
“Mi piacciono le poesie…” gli confesso.
“Credo di trovarla ancora un po' ridicola, questa qui… me la scrisse un ragazzo eterosessuale che, boh, si innamorò di me… o forse non proprio, insomma… si tratta delle solite confusioni dei tipi come lui...”.
Mi porge la paginetta, ormai biancastra e quasi del tutto stropicciata.
La apro in un attimo, incuriosito.


Chi sei tu?
Entri nel mio cuor senza prima bussare,
occupi la mia mente senza abbindolare...

Oh, ragazzo dalla pelle color della Luna,
quelle lentiggini sono i tuoi milioni di sogni,
che mai saranno negati, a un angelo come te.

Rosso è il color del capello,
non importa se fiore o pisello,
è indifferente ciò che possiedi,
mi fai tremar dalla testa ai piedi.


“Non male”, faccio, un po' impressionato ma divertito.
“Ma va'… è orribile”.
“In realtà mi piace il modo in cui ha espresso che non gli importava di che sesso fossi… molto poetico… d'altronde, è questo l'amore… no?”.
“Mio dio… no, non ci siamo proprio…” continua a inorridire, badando poco alla mia osservazione.
Il nostro incontro termina sull'uscio del suo portone, con un abbraccio che da me parte spontaneo.

Torno a casa.
Mi sdraio sul letto. Penso a lei… a quanto sia bella… a quanto era bella dentro, anche… o a quanto lo sia ancora, spero, in fondo..
Poi penso a Federico… alla sua dolcezza… alle sue mani lisce e morbide che, dopo l'abbraccio, stringono le mie e che lentamente scivolano via, mentre i suoi polsi emanano la fragranza di una di quelle colonie leggere e delicate che si usano sulla pelle dei bebé.
“Oh, no!”.
Salto in piedi. Mi sono scordato la lista dei cantanti preferiti di Adelasia!
Mando un messaggio a Federico, dicendogli di uscire di casa.
Raggiungo la sua abitazione in quattro e quattr'otto. Non so perché ho così tanta fretta… forse si tratta di qualcosa a cui tengo tanto… o voglio semplicemente rincontrare qualcuno che suscita un po' del mio interesse?
Giro l'angolo della sua strada così velocemente che sbatto su di lui…
Federico non riesce a rimanere in piedi, si adagia lentamente sull'erbetta del marciapiede dietro di lui… ho provato a tenerlo stretto a me, ma non ce l'abbiamo fatta ad evitare la caduta e, scoppiando a ridere, siamo finiti entrambi per terra.
Scivolo inevitabilmente sul suo corpo e le mie labbra si appiccicano alle sue, quasi fossero calamite.

   
 
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