Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: SoltantoUnaFenice    01/09/2016    4 recensioni
Touma era immobile in quella posizione da chissà quanto. Le mani premute contro il lavandino, le braccia tese, le spalle contratte. Lo sguardo fisso sul proprio riflesso allo specchio.
Occhi negli occhi, stava fissando sé stesso così intensamente e così a lungo che ad un certo punto gli sembrò di non riuscire a riconoscersi più.
Tutto quello che voleva era capire cosa ci fosse di diverso, e perché non riuscisse a togliersi di dosso quella sensazione di strano e sbagliato che si portava dietro da tre settimane, da quando si erano scontrati con quel demone. Ma il riflesso nello specchio continuava a guardarlo in una maniera che lo faceva sentire come se tutti i piani verticali e orizzontali della sua esistenza slittassero e si inclinassero, fino a comprimerlo come dentro ad una scatola schiacciata.
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Shu sollevò lo sguardo sulle foglie della Ginko Biloba che avvolgeva con i suoi rami buona parte del porticato in legno, per poi salire e coprire in parte la facciata anche al piano superiore.
Rajura era davanti a lui e stava facendo scorrere i due grandi shoji che davano accesso alla sala al pianterreno.
“Prego. - Si fece di lato indicando con un braccio l'interno avvolto dalla penombra. - Benvenuto nella mia casa.”
Il samurai si guardò attorno dubbioso, mentre i suoi piedi calzati dal metallo dell'undergear facevano scricchiolare il legno del pavimento.
Gli shoji vennero richiusi alle sue spalle, e la stanza tornò del tutto buia.
“Seguimi.” Disse il masho dell'illusione, facendogli strada lungo una scala di legno stretta tra due pareti anguste e dall'aspetto un po' instabile. Shu salì un po' a tentoni, chiedendosi come avesse fatto quell'uomo a convincerlo.
La stanza al piano di sopra era grande quanto quella sottostante e sulla parete sovrastante il portico si aprivano tre grandi finestre allineate. Il masho le aprì ad una ad una, e la stanza venne inondata da una luce bianca e calda, totalmente diversa da quella che si erano appena lasciati alle spalle entrando in casa.
Shu dapprima non riuscì a distinguere niente, poi gli occhi si abituarono, e tra le foglie della Ginko cominciò a delinearsi un paesaggio.
Alcuni alberi di Paulonia si ergevano dritti poco fuori dal portico, diradandosi man mano che il terreno scendeva verso una piccola spiaggia di sabbia grigia. L'acqua del fiume, azzurra in alcuni punti e più scura in altri, scorreva placidamente formando una serie di anse, e sulla sponda opposta, tra le fitte chiome di un piccolo bosco, c'erano alcune basse costruzioni tradizionali in legno. A Shu parve di riuscire a distinguere alcune minuscole figure in movimento sui portici o dietro le finestre.
“Siamo ancora a Bonnokyo, se è ciò che ti stai chiedendo.”
“E quindi questo...”
“E' un ricordo. Un'illusione.”
“Perchè?”
“Non ti accade mai di voler rivedere qualcosa? Un luogo nel quale sei stato felice?”
“No. Io vivo già nel luogo in cui vorrei essere.”
“E non desideri mai una vita diversa da quella che stai vivendo?”
Shu fece uscire lentamente l'aria dalle narici, chiedendosi di nuovo quale fosse il gioco a cui stavano giocando.
“A volte vorrei non aver mai trovato la mia yoroi. Ma tu questo lo sai già, no?”
“Sì. Come io vorrei non aver mai messo piede a Bonnokyo. Ma ci sono cose che non possiamo più cambiare purtroppo. Possiamo solo dimenticarle per un po'. Illuderci che siano diverse. - Si avvicinò alla finestra, poggiando entrambe le mano al legno della cornice. - Illudersi che sia un altro il luogo su cui si affaccia la nostra casa.”
“Non è come mentire a sé stessi?”
“Forse. Ma è anche un conforto quando il peso che portiamo diventa troppo grande. Ti stupiresti di sapere quante persone si sono affidate all'illusione, nella storia dell'uomo.”
“Ma non è giusto. Se ti crogioli nell'illusione, non farai nulla per uscire dalla tua situazione. Non è meglio combattere, piuttosto che sognare?”
“Forse nel tuo mondo. Nel tempo in cui sono nato, chi partiva da una condizione inferiore non aveva quasi nessuna possibilità di uscirne.”
Shu si limitò ad annuire, spostando nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra. Non gli era difficile credergli: non amava la storia fatta di date e nomi, ma era sempre stato incuriosito dalla vita quotidiana e dalle condizioni di chi lo aveva preceduto.
“Per te è stato così?”
“Sì e no. - Si allontanò dalla finestra, tornando di fronte a Shu e mostrando con un gesto della mano un basso tavolino su cui erano pronti del sakè e due piccoli bicchieri. - Il nome con cui sono nato è Kuroda Jirogoro, e se vorrai bere con me, ti racconterò ciò che io stesso avevo dimenticato.”
 

Ryo si riscosse dal torpore nel quale era caduto.
Era rimasto assieme a Byakuen nella grande sala in cui era Touma, cercando di sfruttare quel momento di calma per riposare un po', ma era stato svegliato da una nuova interferenza nella sua percezione del legame con i suoi nakama.
Stavolta era la voce di Seiji ad essere un po' coperta, e Ryo se ne stupì, perché fino a poco prima era convinto si trovasse in una delle stanze che si affacciavano su quello stesso corridoio. Si alzò lentamente, chiedendosi se anche il samurai di Kourin avesse deciso di allontanarsi da lì.
Percorse il corridoio ed esitò solo un istante prima di aprire lo shoji ed affacciarsi dentro.
Ciò che vide fu diverso da qualsiasi cosa si aspettasse.
Seiji era ancora lì: disteso sul futon, appariva profondamente addormentato. Accanto a lui c'era Anubis.
Teneva gli occhi chiusi e sembrava concentrato su qualcosa di lontano, ma sollevò lo sguardo su di lui non appena sentì scorrere il pannello di legno.
“Entra pure, Rekka.”
“E'... tutto a posto? Come mai sei qui?”
“Il tuo compagno sta bene. Sta dormendo, ed io sono qui solo per aiutarlo a svegliarsi quando sarà il momento.”
Ryo spostò lo sguardo su Seiji, cercando cosa vi fosse di insolito nel suo dormire.
“Non può farlo da solo?”
“No. Dorme un sonno indotto dall'oscurità.”
“Perché?” Ogni spiegazione sembrava destinata a portare altre domande, ma stavolta il masho apparve indeciso su come rispondere. Il samurai di Kourin gli aveva rivelato qualcosa di molto profondo, che sicuramente gli causava sofferenza. Non poteva a capire fino in fondo il rapporto che legava quei cinque guerrieri, ma era quasi certo che Seiji non avesse parlato ai suoi compagni di questa sua debolezza.
“Posso dirti soltanto che ne aveva bisogno. E che mi ha dato il suo permesso.”
Ryo osservò il volto del suo nakama: appariva sereno e, benchè il suo animo fosse in parte schermato dall'intervento del masho, non sembrava ci fosse nulla per cui allarmarsi.
“Per quanto tempo dormirà?”
“Non so dirlo. Credo lo lascerò riposare fino a che non accadrà qualcosa che richieda la nostra presenza.”
Ryo annuì. Gli risultava tuttora strano vedere in questo ruolo coloro che erano stati nemici ai tempi della guerra contro Arago.
Stava per parlare ancora, quando per la terza volta percepì un cambiamento.
“Shu...” Mormorò, sentendo come anche il contatto con il samurai della terra fosse offuscato da qualcosa.
“E' con Rajura. E' entrato nella sua casa.”

 

Shu bevve un sorso di sakè. Aveva un buon sapore, ma lui non aveva l'abitudine di bere a stomaco vuoto. Posò il bicchiere, ed aspettò che Jirogoro parlasse. L'altro vuotò il proprio, poi tornò a guardare il samurai. Quando cominciò a parlare, sembrava guardare qualcosa che poteva vedere soltanto lui.
“Sono nato nel Kanto. La mia era stata una famiglia di alto lignaggio, almeno fino al tempo in cui era mio nonno a guidarla. Ma poi cademmo in disgrazia, e nel giro di poco perdemmo tutto. Mio padre fece di tutto per cercare di risalire la china, ma non fu sufficiente. Quando finalmente si arrese, fu come se avesse perduto la capacità di vedere.”
Si versò nuovamente da bere, ma ne prese solo un sorso.
“A casa avevamo a malapena di che sopravvivere, eppure lui si comportava come se non fosse cambiato nulla. Sfoggiavamo ricchezze che non possedevamo, e nascondevamo la nostra sudditanza a famiglie più potenti. - Piegò la bocca in una smorfia sprezzante. - C'era un gran numero di argomenti che non potevano essere nominati, e mia madre rammendava i nostri abiti alla luce di una candela, perché doveva farlo di nascosto.”
Shu ripensò ad uno degli insegnamenti preferiti di sua madre. La verità è sempre la scelta migliore.
“Da un lato lo disprezzavo per la vita che ci faceva condurre, dall'altro era come se non riuscissi a vedere una strada diversa. - Sospirò. - Forse è da lui che ho imparato l'illusione. E forse è per questo che Mugen mi ha scelto.”
“Qual'è la tua virtù?”
“Nin. Sopportazione.”
Shu sorrise pacatamente. “Qualcosa che potrebbe essermi utile, ma temo di non averla mai imparata.”
“Io credo di averlo fatto quando ho cercato di risollevare la mia vita percorrendo la via della guerra. Non c'era nulla che andasse come avrei voluto, e non ho ottenuto altro che toccare il fondo. Ma era come se l'illusione non potesse lasciarmi: continuavo ad illudermi di poter cambiare le cose, intraprendendo di volta in volta strade sempre più vili.”
Prese di nuovo in mano il bicchiere, ma si limitò a spostarlo sul vassoio.
“E' stato allora che ho incontrato la mia armatura. Quando vivevo come un sicario e non volevo ammettere di aver perduto il mio onore. Lo sai, Kongo? Abbiamo creduto a lungo che fosse stato Arago a donarci le armature da cui attingevamo forza: eravamo stati creati per servirlo, e lui ci aveva dotato delle armi distruttrici per poterlo fare. Ora che ho ricordato ciò che accadde, non riesco a smettere di chiedermi perché. Perchè Mugen ha scelto me? E perché proprio in quel momento?”

 

Shin aprì gli occhi nella penombra. Il dolore era divenuto un eco che si riverberava per il corpo scemando piano. Da sofferenza, si stava rapidamente trasformando nel ricordo di essa.
Aveva i muscoli indolenziti per averli contratti violentemente, e poteva riconoscere la sensazione sulla pelle del sudore freddo che l'aveva intrisa per poi essere lavato via. Deglutì a fatica. La gola era arida e lo stomaco sottosopra, ma si rese conto anche di essersi liberato dalla sensazione opprimente che lo aveva accompagnato negli ultimi mesi: il veleno non c'era più.
Per un po' non riuscì a far altro che osservare il soffitto in legno della stanza, percorso da ombre rossastre e tremolanti create dalle fiammelle delle candele. Quando si sentì abbastanza in forze da provare a muoversi, voltò il capo verso la presenza silenziosa che aveva percepito accanto a sé fin dal risveglio.
Naotoki era inginocchiato accanto a lui. Gli occhi erano chiusi, le sopracciglia curve in un'espressione assorta. Shin osservò il volto scarno di colui che era stato il suo peggior nemico: sembrava più stanco, ma anche più sereno.
“Naotoki...”
“Sei già sveglio. Come ti senti?”
“Debole. Ma decisamente meglio.”
“Riposa ancora un po'.”
“Vorrei provare ad alzarmi, invece. Mi sento come se fosse passato un secolo da quando sono entrato in questa casa.” Si tirò su a sedere, ed il futon con cui era stato coperto scese lungo il torace, mettendo a nudo la pelle. Naotoki si limitò ad indicare con un cenno del capo un semplice yukata di cotone ripiegato a terra.
“Grazie. - Shin riuscì ad infilarlo dopo un paio di goffi tentativi. Le braccia sembrava non volessero ubbidirgli del tutto. - I miei abiti?”
“Non ne era rimasto molto. Ed erano intrisi di quel veleno dal nome strano. - Inarcò un sopracciglio, spostando lo sguardo di lato. - Li avrei bruciati, ma non ero sicuro del tipo di fumi che avrebbero potuto liberare.”
Shin trattenne una risata all'espressione scettica ed un po' buffa con cui il masho aveva parlato.
Lo sguardo dell'altro invece si spostò di nuovo su di lui, sui sottili segni rossi, lunghi appena tre dita, che si intravedevano sotto il bordo delle maniche.
“Si sono già rimarginati...” Mormorò Shin, vedendoli solo in quel momento e passandoci sopra due dita.
“Sì. Ma credo rimarranno le cicatrici.”
Il samurai scrollò le spalle con un piccolo movimento.
“Vorrà dire che serviranno a ricordarmi di non agire più senza considerare le conseguenze delle mie scelte.”
Naotoki non rispose. Si alzò, uscendo dalla stanza, e tornando dopo qualche minuto.
“Questo ti aiuterà a tornare in forze.” Teneva tra le dita una tazza piena di un infuso fumante, ma sembrava indeciso se porgerglielo. Shin capì che temeva un rifiuto, così si limitò ad allungare una mano verso di lui. Gli sembrava così lontano il tempo in cui non c'era stata fiducia tra loro, che quasi non riusciva a ricordarlo.
“Spero non sia troppo amaro...” Scherzò, prendendo la tazza e portandosela alle labbra.
“Io... a dire il vero non ne ho idea.”
Shin rise, e la sua risata era simile a pioggia sottile. Naotoki capì che quello era il suono che aveva la fiducia, e si sentì improvvisamente diverso, simile quasi a ciò che era stato molto tempo prima che Arago entrasse nella sua vita.
Il samurai bevve lentamente, godendo del calore dell'infuso e del silenzio della stanza, poi posò la tazza davanti a sé, e guardò il masho.
“Ora ho il permesso di ringraziarti?”
“Soltanto se vorrai riconoscere che non ho fatto altro che cercare di pareggiare i nostri conti.”
“Non mi metterò a discutere su questioni del genere. Accetta il mio grazie. - Piegò il capo e socchiuse gli occhi. - Per favore.”
Naotoki sbuffò una specie di risata.
“D'accordo. Avremo modo di definire nuovamente la questione.”

  
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