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Autore: tatinaj    30/04/2009    6 recensioni
Bella è una Goth Girl ossessionata dai vampiri che vive a Forks col padre. E' una disadattata sociale perchè diversa, ma a lei non importa, le piace il suo mondo...
Mike Newton è il suo peggior grande nemico/amico, Angela Wember la sua unica amica...
Riscirà a trovare l'anima gemella?
"Bella, cosa vuoi fare da grande?"
"Il vampiro!"
Genere: Romantico, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione ficcy ispirata all'omonimo libro Vampire kissing

Capitolo 1

Da Grande faro' il vampiro


Forks: una sola e' la frase giusta per definirla, piu' grande di una caverna ma abbastanza piccola da far venire la claustrofobia. Questo avviso sarebbe stato perfetto per il cartello di benvenuto.

Popolazione, poco piu' che 3500 abitanti, tutti uguali, tutti fatti con lo stampino, tutti con le loro casette bianche circondate da recinti candidi e con i  loro furgoncini inspiegabilmente puliti anche se Forks essendo una delle citta' piu' piovose d’americhe detiene il primato per le strade piene di poltiglia fangosa.

Il binario del treno divide la citta' in due parti, quella della gente per bene e quella delle persone come me, quelle diverse. Purtroppo, io avevo sempre vissuto dalla parte sbagliata del confine. Io ero diversa dagli altri e in quel posto dimenticato dal resto del mondo, le diversita' non erano ben accette, anzi, erano il pretesto per formulare maligni pettegolezzi.

A Forks non succedeva mai niente, o meglio nessuno faceva mai niente  a parte me e sebbene io mi impegnassi molto piu' del dovuto nel combinare guai la mia era e sarebbe sempre stata una cittadina tranquilla maledettamente ordinaria . Io ci avevo provato in tutti i modi a dare una scossa alla situazione, ma non ero mai stata una criminale o una vandala cosi' ogni mio gesto pareva -a me e agli altri, insulso e sciocco- gli unici risultati che avevo ottenuto erano stati quelli di far irritare a morte mio padre, il capo della polizia e il preside della scuola.

Da quando ero nata  fino al mio diciassettesimo compleanno gli unici avvenimenti definibili interessanti erano stati tre:

-Il treno merci delle 13.30 era deragliato lasciando cadere a terra un carico di biscotti che i bambini  -me compresa- avevano voracemente divorato.

-Un studente dell’ultimo anno  aveva gettato un petardo nel gabinetto e la scuola era rimasta chiusa per una settimana.

-Una volta qualcuno aveva rubato la macchina del signor Gerandy, o meglio avevamo creduto che qualcuno avesse rubato la macchina del signor Gerandy, il giorno seguente -con mia grande delusione- avevamo scoperto che la sinora Gerandy aveva solamente dimenticato il luogo in cui l’aveva parcheggiata, cosa difficilmente possibile in un paese delle dimensioni di Forks.

Non mi ero mai sentita a casa in quel posto immerso nel verde, non rispecchiava la mia personalita' e i miei modi di fare “diversi”.

Mia madre Renaee e mio padre Charlie -soprattutto lui- ci avevano provato a crescermi come una normale adolescente, ma i loro tentativi si erano rivelati vani, io ero quella che si potrebbe definire una disadattata sociale.

Non indossavo -le odiavo- camicette rosa confetto, gonnelline a balze, paperine e trappole mortali con tacchi alti dieci centimetri come il resto della popolazione femminile di quel dannato posto.  Tutto quel colore mi faceva male agli occhi, io ero il tipo di ragazza che indossa magliette, pantaloni e gonne rigorosamente neri, calze a rete e jeans strappati inoltre preferivo di gran lunga alle paperine i bei cari, vecchi e pratici -dipende dai punti di vista- anfibi. Insomma quelle che tutti chiamano Goth girl. Mi sarebbe anche piaciuto poter aggiungere alla mia descrizione dei pirceings. Tuttavia, i miei genitori mi avevano detto espressamente che non mi avrebbero mai e poi mai  dato il permesso di bucarmi da qualche parte, e che se una volta diciottenne avessi tentato di deturparmi -questa era la parola che avevano usato- la faccia o il corpo mi avrebbero diseredata e cacciata di casa, come alternativa mi avevano proposto degli stupidi orecchini a molla, ma avevo cortesemente -con un bel po’ di insulti- rifiutato perche' indossarli sarebbe stato come mentire, ed io odiavo mentire.

 Anche se Charlie e Renee non sembravano capirmi, avevano accettato di buon grado la mia diversita', da giovani erano stati - soprattutto Renee -  degli inguaribili hippy. Mi avevano mostrato centinaia di foto in cui erano ritratti mentre indossavano pantaloni a zampa d’elefante, camice larghe e portavano corone di fiori al collo e tra i capelli, il tutto rigorosamente  a  piedi nudi. All’epoca pero', era diverso, loro facevano parte della massa. Io invece, ero l’unica ragazza Goth di Forks. Tuttavia ero certa che in citta' piu' grandi come New York oppure senza esagerare Seattle, avrei trovato un sacco di gente uguale a me e allora avrei fatot anch’io parte della massa e non sarei piu' stata considerata diversa. Non che il giudizio degli altri mi importasse, nemmeno la solitudine era un problema, ma sicuramente sarei stata molto piu' felice in mezzo a persone fatte a mia immagine e somiglianza solo allora finalmente sarebbero stati gli altri ad essere diversi, non io.

I miei genitori, pensavano che prima o poi avrei messo la testa a posto, anche loro -in un certo senso- lo avevano fatto,  si erano sposati, si erano sistemati in una bella casetta dalle staccionate bianche, mio padre era diventato poliziotto sebbene fossi quasi creta che in gioventu' avesse coltivato piante la cui detenzione era tutt’altro che legale,  mia madre invece per un certo periodo di tempo aveva fatto la maestra d’asilo…  

Poi quando avevo sei  anni i miei si erano separati, non avevo sofferto di quella separazione, sapevo che era la cosa giusta per loro. Renee aveva deciso di mettersi a girare per gli stati uniti inseguendo il suo sogno: diventare un’attrice di teatro. Non scordero' mai l’espressione di Charlie quando Renee gli diede la notizia, prima la sua faccia si tinse di rosso a causa delle risate, avevo avuto l’impressione che da un momento all’altro fosse potuto cadere a terra soffocandosi per le risate, poi i suoi occhi si erano improvvisamente spenti quando aveva capito che stava facendo sul serio. Lui sarebbe stato disposto a seguirla in capo al mondo, l’amava e l’avrebbe sempre amata  -ne ero certa- ma qualcosa gli aveva impedito di seguirla.

Mentre mia madre viaggiava qua e la' in giro per il mondo, io ero costretta a rimanere intrappolata a Forks insieme a mio padre ed un branco di inguaribili bigotti, e sebbene avessi piu' volte espresso il forte desiderio di seguire mia madre, entrambi i miei genitori si erano messi d’accordo, dicendomi che prima avrei dovuto finire almeno la scuola superiore.

Di tanto in tanto Renee veniva a trovarci e tutte le mie estati le avevo sempre passate con lei girovagando qua e la', da un paesino sperduto all’altro -la sua compagnia teatrale non era una delle migliori- con il tempo mi ero accorta di quanto la sua vita non fosse poi cosi' eccitante come l’avevo immaginata. Sicuramente quella non era la vita giusta per me, ma era perfetta per lei.

Non capiro' mai come i miei genitori, due persone cosi' diverse abbaino fatto ad innamorarsi, sicuramente la loro era una di quelle che si puo' definire coppia che scoppia, Renee, svampita e volubile, uno spirito libero. Charlie abitudinario e responsabile. Chissa' forse era stata proprio la loro diversita' a farli innamorare, avevano trovato l’uno nell’altro qualcosa di speciale... Oppure semplicemente tutta quella maria che si fumava negli anni settanta non giovava alla salute del cervello. La prima ipotesi era di gran lunga piu' romantica e sicuramente anche la mia preferita.

La mia condizione di disadattata sociale faceva si che avessi  una sola amica: Angela, lei non apparteneva alla massa, forse ne avrebbe volentieri fatto parte, ma la sua timidezza glielo impediva. Non condividevamo gli stessi gusti nel vestire, ma anche lei, a modo suo, era veramente unica.

Non dimentichero' mai il giorno in cui diventammo amiche. Facevamo seconda elementare.

Angela stava sempre per conto suo. Io ero la sola nella nostra classe a non picchiarla, escluderla o chiamarla con nomignoli strani, anzi la difendevo da chiunque se la prendesse con lei, ma non c’era mai stato niente di piu'.

Poi un giorno mio padre, per l’ennesima volta si era dimenticato di venirmi a prendere, succedeva spesso, ma a me non importava molto a casa non avevo niente di meglio da fare che leggere i libri di Anne Rice. Mio padre invece aveva un lavoro -importante per quanto ne sapessi- ed era costretto a crescere una figlia da solo, faceva del suo meglio e se la cavava bene, per questo non gli facevo pesare i suoi continui ritardi, mentivo sempre dicendogli che ero appena uscita oppure che mi ero fermata a chiacchierare con un’amica, non ero mai stata una brava attrice, ma Charlie non era mai stato un buon osservatore e ci cascava sempre, oppure forse, avevo ripetuto quelle frasi talmente tante volte che sarei riuscita a risultare credibile persino a me stessa.

Poi la vidi, Angela era seduta vicino a me sulla gradinata davanti alla scuola, stava piangendo.

“Che succede?” le chiesi

“Mia madre si e' dimenticata di me” Si copriva il viso fradicio di lacrime con le manine.

“Ma no che non si e' dimenticata!” cercai di consolarla.

“Si, non arriva mai cosi' tardi!”si lagno'.

“Magari e bloccata nel traffico!”

“Tu dici?” sollevo lo sguardo verso di me sembrava rassicurata.

“Ma certo” continuai entusiasta di averla quasi consolata “ Oppure l’ha chiamata uno di quei venditori che chiedono sempre, “e' in casa tua madre?””

“Davvero?” mormoro' aggrottando le sopracciglia.

“Succede di continuo.” affermai“Oppure si e' dovuta fermare per comprare uno spuntino, e c'era coda alla cassa del Supermarket.”

“Dici che potrebbe essere andata cosi'?” I lucciconi avevano smesso di scendere dai suoi occhi, sembrava contenta, l’unico segno del suo fresco pianto erano le sue guance rigate dalle recenti lacrime.

“Scusa, perche' no? Anche lei deve mangiare, giusto? Non ti preoccupare. Arrivera'.” Sorrisi.

E poco dopo, immancabilmente, un pick-up blu freno' accanto al marciapiede, e ne scesero una mamma che si scusava a capo chino e un simpatico cane pastore.

La guardai allontanarsi con la madre facendogli un cenno di saluto con la tasta improvvisamente e inspiegabilmente triste per quella separazione.

“Mia mamma dice che puoi venire da noi, sabato, se ai tuoi va bene” disse Angela, tornando di corsa verso di me.

Da qual momento io e Angela diventammo amiche per la pelle. Lei era la mia ombra tridimensionale. Io ero la sua migliore amica e la sua guardia del corpo. Ero assolutamente certa che sarebbe stato sempre cosi'.

La maggior parte della mia infanzia  l’avevo trascorsa a casa di Angela. Abitava dall’altra parte della ferrovia e aveva un cortile enorme. Il posto ideale dove giocare ai mostri e ai vampiri, cuocere intrugli di fango, legnetti ed altro per poi venderli ai nostri compagni di classe spacciandoli per filtri magici o pozioni misteriose e tingere di nero i capelli e le labbra delle bambole.

A volte giocavamo a nascondino tra gli alberi della foresta, ma ci era vietato allontanarci e sebbene io non vedessi l’ora di infrangere quel divieto Angela era terrorizzata da quella fitta boscaglia, non le piaceva molto addentrarsi tra quei fitti rami e non appena il solo cominciava a calare o la luce a scarseggiare mi pregava in ginocchio di tornare a casa ed io l’accontentavo di buon grado.

Il resto delle mie giornate le passavo mettendomi smalto nero sulle unghie, cotonandomi i capelli, passando pietre ruvide sui jeans per farli sembrare vecchi e consumati e leggendo libri sui vampiri. La mia innaturale passione per il macabro era probabilmente nata, quando all’eta' di quattro anni avevo visto per la prima volta il Conte Dracula. I miei genitori non volevano vedessi quel genere di film alla televisione, temevano potessi avere gli incubi, infatti ero sempre stata terrorizzata a morte dal sangue. Un giorno approfittando dell’assenza di Charlie e Renee e del fatto che la Baby-sitter fosse impegnata a fare “cose serie”  –cosi' le aveva definite lei- col suo ragazzo nella stanza da letto dei miei genitori, mi ero messa di nascosto a guardare la videocassetta che avevo diligentemente registrato due sere prima. Contro le prerogative dei miei genitori non mi spaventai affatto, anzi, mi appassionai a tal punto da confessare loro la mia disobbedienza per avere altri libri e film che parlassero di vampiri. Non avevo paura del sangue, non di quello finto almeno, semplicemente quell’odore metallico mi dava la nausea.

La mia ossessione per l’horror e soprattutto per i vampiri era divenuta tale che un giorno, quando la mia maestra d’asilo, la Signorina Pattinson,  aveva domandato a me e ai miei compagni cosa volessimo fare da grandi, io le avevo risposto il vampiro. Lei si era messa a ridere ed io che all’epoca non ero in grado di capirne il perche' mi ero offesa a morte. La mia rinomata cocciutaggine aveva fatto si che mi imponessi di dimostrarle che le mie non erano solo farneticazioni infantili e che avrei realizzato il mio desiderio.

Dopo averci pensato su a lungo, ero giunta alla conclusione che il modo piu' efficace per diventare un vampiro fosse farsi mordere  sul collo ed io avevo un piano geniale.

Nella mia classe c’era un bambino di nome Mike Newton che mordeva sempre tutti  a parte me naturalmente, aveva sicuramente paura, ogni volta che maltrattava un bambino o faceva il prepotente io gli rispondevo a tono. La Signorina Pattinson invece non gli diceva mai niente, probabilmente perche' i suoi genitori erano sfacciatamente ricchi, possedevano una piccola catena di supermarket ed una delle attivita' piu' redditizie a Forks, un negozio –l’unico di Forks- che vendeva roba per escursionisti. Non riusciro' mai a capire perche' la gente abbia voglia di mettersi degli scarponi ai piedi per fare passeggiate -rischiando la vita oltretutto- per vedere la natura, quando basterebbe semplicemente accendere la tv. Quasi sicuramente la signorina Pattinson era stata pagata per far passar a Mike le sue scorribande. Ero piu' che sicura che mia madre avrebbe potuto metterlo in riga all’asilo, quando ne aveva ancora l’occasione.
Mi dovetti impegnare veramente tanto per riuscire a farmi mordere. Spinsi Mike giu' dallo scivolo, per vendicarsi lui, mi morse il braccio, per quanto ne sapevo pero', per diventare un vampiro serve un morso sul collo! Tuttavia non fu difficile provocarlo dicendogli che non sarebbe mai stato in grado di mordermi il collo. Una volta che ebbe finito il suo lavoro lo ringraziai abbraccinadolo. Non vedevo l’ora di sperimentare i miei nuovi poteri, cosi' salii sull’altalena e mi buttai giu' tentando di trasformarmi in un pipistrello e volare. Il risultato furono una forte delusione, sette punti di sutura al gomito, tre al ginocchio e un bello spavento da parte della signorina Pattinson ed il ritiro immediato di ogni cosa che mi trattasse l’argomento vampiri. Le mie proteste furono inutili, tuttavia avevo imparato una lezione importante, per diventare un vampiro bisogna farsi mordere da un vampiro! Non mi restava altro che cercarne uno...

Recensite numerose!!!

Angolo dell'autrice...
Ciao ciao  a tutte ! Eccomi tornata con una nuova ficcy spero vi piaccia!! Io gia' l'adoro!!! Che ne dite del carattere che ho usato? Voi lo vedete? Io credo sia sublime!!! Bando alle ciancie spero mi farete sapere come va, soprattutto fatemi notare eventuali errori alias orrori, sopratutto coi tempi verbali!!
Vi avviso questo capitolo era una specie di introduzione alla storia anche il prossimo sara' simile a questo, ma se non mi viene troppo lungo potro' inserire gia' alcuni avvenimenti importanti...
Ringrazio chi ha letto e venero in anticipo chi commentera'. Bacione
P.s. A voi disturberebbe vedere Edward figlio unico???? Oppure con qualche fratello in meno?? 
  
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