{ marionnette }
❀ syzygy ❀
« with
pointy
claws, and eyes as coal
he comes
out
at night to devour your soul,
run for
your
life, he wants your head
and if he
finds you, you’re already dead »
❀» San Pietroburgo, Russia
Ore 8:04
V |
era Ivanovna Markova si è
alzata
presto quella mattina nonostante sia sabato e lei al lavoro non ci
debba
andare. A Vera piace l'ordine e la pulizia e a quarantasette anni, è
ancora
precisa come un orologio svizzero mentre riordina e pulisce con
l'aspirapolvere. Suo marito è in viaggio di lavoro a Kazan e non
tornerà a San
Pietroburgo se non a sera tarda, perciò può tranquillamente dedicarsi
alle pulizie
del suo salotto mentre ascolta le previsioni del tempo alla TV.
Nuvoloso, con
probabili precipitazioni nevose nel pomeriggio.
Afferra il telecomando per
cambiare canale, quando improvvisamente lo schermo diventa grigio, con
il
rumore delle interferenze in sottofondo e la scritta 'no signal'
all'angolo.
Vera arcua un sopracciglio, incuriosita. D'accordo, il loro televisore
è
vecchio ed impolverato, ma smettere di funzionare così è troppo
improvviso. Dà
una pacca al l'aggeggio, che però non sembra voler funzionare
correttamente.
Il televisore emette suoni
di
sottofondo e si spegne improvvisamente. Qualche istante dopo si
riaccende, è
Vera è quasi sollevata, fino a che non viene inquadrata la figura di
una donna
orientale con i capelli tirati su in un'acconciatura elaborata.
«Buongiorno a tutti»
trilla lei,
vestita in abiti costosi con un sorriso condiscendente «Sono felice di
informarvi che San Pietroburgo è ora sotto il nostro controllo»
In quel momento, tutti i
computer
e i televisori di San Pietroburgo riportano lo stesso videomessaggio.
8:47
Tutte le uscite di San
Pietroburgo vengono bloccate da uomini vestiti di scuro, giacche scure,
cravatte scure e occhiali scuri. A chiunque tenti di abbandonare la
città viene
sparato a vista.
9:03
Tutte le telecomunicazioni
sono
bloccate da un potente jamming (magnetico e magico) attivato
dall'Ermitage che
rende impossibile contattare l'esterno. Victor Blade è a carico
dell'operazione. Nulla può entrare e nulla può uscire. La foto di
Percival
Travis è stata diffusa in tutte le unità. Al minimo sospetto che si
tratti di
lui, sparare.
San Pietroburgo è
completamente
isolata dal resto della Russia e del mondo.
9:17
L'intera città è invasa da
uomini
vestiti in nero, armati fino ai denti e pronti a sparare. La gente,
spaventata,
è rinchiusa in casa.
La Cattedrale di
Sant'Isacco è
evacuata e nessuno può stare ad un raggio di 500 m da essa.
Pena, l'essere mitragliati
a
vista.
9:22
«Sta incominciando»
bisbiglia
Gala, il cuore in gola mentre è affondata sulla poltrona, le mani tra i
capelli.
Jules guarda fuori dalla
finestra
con espressione attonita e gli basta un'occhiata per capire che quello
è
proprio l'inizio della fine.
9:36
Alpha rimane seduto
sull'altare
della Cattedrale, rigirandosi pigramente l'anello di Salomone al dito
con un
sorriso placido, rimirando la figura sospesa all'interno.
Manca poco, manca così
poco.
L'apocalisse si dovrà
scatenare
alle ore 14:00 del giorno stesso e lui è il suo più grande fautore. Sì,
alle
14:00 del 7 dicembre, lui diventerà Dio.
❀» Algeri, Algeria
"Accesso negato" Andrea
aggrotta le sopracciglia lievemente, dando l'input per un nuovo comando
sul
computer.
"Accesso negato" brilla
la scritta rossa sullo schermo.
Niente.
Nada.
Nichts.
"Accesso negato",
"Accesso negato", "Accesso negato".
Lampeggia, rossa ed
irritante,
nonostante ogni suo tentativo di sbloccare il tutto. la schermata della
darknet
sembra lampeggiare in maniera fastidiosa solo per darle noia; la
schermata
torna indietro alla home page, in mezzo a gente che vende marijuana e
spaccia
pornografia minorile, ad assassini che si fanno assoldare per $20.000 e
a
hacker sfaccendati che non hanno nulla da fare se non ridere delle
disgrazie
altrui.
Con calma, Andrea si gira
sulla
sedia girevole e parla con aria disinteressata.
«Credo che ci vogliano
tagliare
fuori» annuncia a nessuno in particolare.
«Cosa?!» strepita Gavril,
con il
volto paonazzo «Come cazzo facciamo ad entrare, allora? Gala è lì
dentro. Non
possiamo lasciarla con quella gente»
«Non è sorprendente»
Percival si
siede su una sedia accanto a lei con aria assolutamente imperturbabile
«Alpha è
anziano e non vuole rischiare di compromettere il suo piano. Avrei
fatto la
stessa cosa se fossi stato al suo posto»
«Quindi, cosa facciamo?»
domanda
Talini, lavorando alacremente al computer accanto a Blake «Come
entriamo?»
«Ilarion, il rapporto»
Percival
schiocca le dita senza battere ciglio.
«Attacco informatico?»
«C'è un jamming molto
potente,
niente da fare»
«Attacco aereo?»
«I cieli sono sorvegliati.
Missione suicida»
«Attacco sottoterra?»
«Avranno sicuramente
fermato le
metropolitane e ci metteremo troppo ad arrivare in centro, ma può
essere un
piano B per la fuga.»
«Attacco acquatico»
«Suicidio»
«Attacco magico?»
«Fuori discussione. C'è un
jamming anche per quello. Gamma lavora con lui, ti ricordo»
«Allora è una mission
impossible»
esclama Blake, con la testa tra le mani.
«Non necessariamente» le
strizza
la spalla, simpatetico, con uno strano sorriso sornione sulle labbra
«Se c'è
una cosa che ho imparato vivendo per secoli, è che la storia si ripete.
E noi
oggi riscriveremo la storia»
«Non sono sicuro che
questa cosa
mi piaccia» Ilarion scrolla il capo ma poi tende la mano verso il suo
mentore
«Ma se non puoi batterli, unisciti a loro»
❀» San Pietroburgo, Russia
Ore 11:04
Due furgoncini scuri
contenenti
due guidatori abbigliati in nero si arrestano davanti al posto di
blocco sul
ponte Aleksandr Nevskiy.
«Fermi, fermi» esclama una
delle
guardie che si trova davanti alla barricata, apprestandosi ad
incontrare il
primo dei due, pistola carica in mano ed espressione contrita e
sospettosa sul
volto.
«Chi siete?» sbotta l'uomo
in un
russo molto rapido e stizzito. Ha occhiaie nascoste da occhiali scuri
ed è
irritato per l'imminente separazione dalla moglie. Oh,
dio, se chiede il divorzio, con chi andrà il piccolo Josif? No, no,
ha bisogno di soldi.
L'uomo biondo al volante
schiocca
la lingua contro il palato, irritato, tamburellando contro il cruscotto.
«Ordini dall'alto,
fratello. Ora
levati di mezzo che siamo già in ritardo»
«Che diavolo? Non
aspettiamo
nessuna consegna!»
«Tu, forse» replica
l'altro
guidatore, mordendosi il labbro «Ma abbiamo ricevuto l'ordine di
consegna da
maestro Alpha. Il posto di blocco ad Ekaterinburg era interminabile e
se non ti
dispiace, abbiamo già accumulato abbastanza ritardo. Sloggia, bello»
L'uomo aggrotta le
sopracciglia
con fare stizzito ed annoiato, agitandosi pistola sotto il naso
dell'altro.
«Non posso fidarmi. Non ho
ricevuto alcuna comunicazione da parte del maestro»
«Fratello, tutta colpa del
jamming. Ci deve essere stato un ritardo con le comunicazioni. Chiedi
pure ai
tuoi superiori, ma il maestro potrebbe incazzarsi e pensare che non ti
fidi di
lui o cazzate del genere. Magari non ti paga neanche. Fai come ti pare,
ma non
lo vorrei vedere incazzato, io» replica il primo dei due con uno
sbadiglio
colmo di irritante nonchalance.
L'uomo al posto di blocco
sembra
titubante. Guarda il walkie-talkie, pensando alla moglie e alla
promozione e
poi scuote la testa.
«Che merce portate? Armi?»
«Strumenti per
l'evocazione» dice
l'altro con aria annoiata «Roba magica, hai presente?»
«Perquisite l'interno. Se
non ci
sono problemi, lasciateli passare»
In qualche minuto, gli
uomini al
posto di blocco aprono gli sportelli dietro, non trovando nulla di
particolarmente sospetto. Candele, erbe profumate, tavole inscritte di
rune e
tessuti magici, pietre, pietre e pietre dalla dubbia utilità. Nulla di
anomalo.
«D'accordo, potete andare»
chiosa
infine l'uomo, facendo sollevare le barricate. Il primo dei due
autisti, l'uomo
biondo, gli fa un cenno militare mentre i due veicoli entrano nella
città,
trasportando il prezioso carico.
«Però! È stato più facile
del
previsto» il secondo guidatore, Gavril sotto copertura, si alza gli
occhiali
scuri con aria quasi delusa «E io che speravo in un po' di azione»
«Pensa a seguire Elia,
piuttosto»
sibila Andrea, sollevandosi dalla sua postazione sotto il cruscotto,
dove è
rimasta nascosta per tutta la perquisizione. Si aggiusta la giacca e
gli
occhiali scuri e sorride, quasi divertita «Per fortuna che non hanno
cercato
sotto i furgoncini»
«Seriamente, incollare
Deianira
ed Elisabeth insieme là sotto è un'idea folle, ma ha funzionato. Mi
inchino
alla tua intelligenza» Elia, che sta guidando al momento il primo
furgoncino,
sta probabilmente avendo una conversazione simile con Lene. Sotto il
loro
furgoncino e sono state attaccate Colonia e Blake, pronte anche loro
all'azione.
«Grazie, gemello. Devono
aver
regalato l'intelligenza solo ad uno di noi due, e non sei tu»
«Bene, mademoiselle
intelligente.
Dove la porto?»
Andrea fissa per qualche
secondo
le strade vuote e grigie, la neve che fiocca lenta sulla strada.
«All'Ermitage»
11:17
Lene smonta dal furgone di
Elia
non appena arrivano nel centro della città, costeggiando la prospettiva
Nevskiy
e la Sadovaya.
«Hai tutto l'occorrente?»
domanda
Elia in tono casual, sbatacchiando il portachiavi sul cruscotto mentre
la
guarda scendere dal sedile del passeggero.
Lene si raccoglie i
capelli sotto
la parrucca, cercando di assumere l'espressione più virile possibile.
«Sissignore» annuisce tra
sé «Non
ci metterò molto. Sara tutto pronto per mezzogiorno. Rendez-vous?»
«Sant'Isacco all'una.
Cerca di
non farti beccare»
«Tranquillo» Lene gli fa
l'occhiolino «È la mia specialità»
11:42
A Victor Blade fanno male
gli
occhi per il troppo guardare gli schermi in bianco e nero delle
telecamere.
A Victor Blade fa male
tutto,
visto che è da tre ore che non si muove dalla sala di controllo
dell'Ermitage,
da solo, osservando con un'ansia crescente gli schermi crepitanti.
È solo la
tua immaginazione, Victor, sussurra una voce nella
sua testa.
Nulla può
andare storto.
Nulla
andrà storto.
Lancia un'occhiata
speranzosa al
potente computer che ha messo in ginocchio la città e ostruito tutti i
canali
di comunicazione.
Al sicuro. Tutto è al
sicuro.
Proteggilo
con la tua vita, se necessario, ha detto Alpha, e lui
farà come
richiesto.
Certamente, tutto per
salvare suo
fratello. C'è un rumore strano nell'aria, ma Victor pensa che sia un
problema
delle telecamere. Tre ore a sentire quel crepitio darebbero
allucinazioni
uditive a tutti.
Ha un contingente di venti
uomini
ai suoi ordini, che sono sparpagliati per le sale e all'esterno. Cosa
può
andare storto?
Impossibile che qualcuno
possa
entrare in città. Impossibile che qualcuno acceda al museo. Semplice,
semplice.
Nessuno può entrare.
Nessuno può
uscire. Victor, innervosito, si ripete lo stupido mantra,
giocherellando con
una piccola Colt .45.
Improvvisamente però,
Victor nota
un movimento all'angolo di uno schermo. Dapprima è una figura sfocata e
vaga,
ma quando Victor aumenta l'ingrandimento nota che non è una persona, ma
un
furgoncino. Si muove lentamente, varcando quasi titubante i cancelli
spalancati
del museo, che conducono al palazzo d'Inverno, con un incedere quasi
sinistro.
Victor strizza gli occhi nel tentativo di scorgere il guidatore, ma non
ci
riesce.
Si mordicchia nervosamente
un'unghia spezzata, mentre gli uomini all'interno diventano irrequieti
e poi
sempre più nervosi.
«Capo, che facciamo?»
domanda uno
degli agenti attraverso l'interfono del museo, gli occhi incollati al
velivolo
che lentamente si avvicina all'edificio, metro dopo metro, mangiando
l'asfalto.
Victor sta sudando freddo.
Si
passa una mano tra i capelli sudati ed annuisce. Al sicuro.
Al sicuro.
«Prendi cinque uomini con
te e va
a controllare. Sarà solo uno scherzo di cattivo gusto» sbotta, una
strana
angoscia che gli annoda le interiora «Se il guidatore non torna
indietro,
ammazzalo»
«Roger» replica lui, e
qualche
minuto dopo, un manipolo di mezza dozzina di uomini si dirige verso del
mezzo
di trasporto, cautela e sfiducia nei loro passi allarmati.
Raggiungono il furgoncino
in
qualche minuto e lo circondano con movimenti rigidi e nervosi.
«Blocca la macchina e
torna
indietro, se non vuoi morire» intima uno degli agenti, la voce che non
riesce a
nascondere l'angoscia.
Proteggilo
con la tua vita, se necessario.
Nessuna risposta dall'uomo
a
bordo e il furgoncino continua ad andare avanti imperterrito. Uno degli
agenti
allora racimola un po' di coraggio, si accosta alla portiera del
guidatore e la
strattona, sbraitando in russo e sventolando la pistola sotto il naso
dell'altro.
«Ehi, coglione. Che cazzo
pensi
di faー»
si
blocca improvvisamente e abbassa la pistola, la sua mente che non
riesce a
collegare ciò che sta vedendo «Yuri?»
Victor non riesce a vedere
l'immagine nitidamente. Troppo lontano: batte il pugno sull'interfono,
l'ansia
che sale nel suo corpo, sudore sulla fronte.
«Che cazzo succede?»
«Il guidatore, signore»
strepita
istericamente la guardia all'auricolare «È Yuri, signore. Una delle
guardie.
Oh, Dio, gli hanno sparato in testa, signore. Il cranio...
spappolato... cervello...»
Le altre guardie si
riuniscono a
guardare, esterrefatte e angosciate.
Come diavolo...?
Victor sa che dovrebbe
dare
ordini, ma nulla sembra voler uscire dalla sua gola secca. Ora capisce
cosa
provano i protagonisti dei film horror.
«Ehi» incomincia un'altra
guardia
«Voi non sentite quest'odore strano?»
E l'ultimo pezzo del
puzzle va al
suo posto. Benzina.
Apre la bocca per urlare
"Via da lì!", ma è già troppo tardi.
Un boato, un'esplosione, e
l'intero schermo è coperto di fiamme, l'orrida visione degli uomini che
vengono
inceneriti dalle vampate, i loro corpi niente più di sagome scure
avvolte in
mantelli di fuoco e scintille.
Le grida nei suoi
auricolari sono
assordanti, urla di agonia e bestemmie che si mescolano al dolore
impazzito.
Con calma apparente, Victor si sfila l'apparecchio per non sentire più
quelle
voci lacerate e martoriate dalla violenza delle fiamme. Sei vite andate
via in
fumo.
Vuoi
vedere un trucco di magia? Prima ci sono, ora non ci sono più.
Come è possibile?
Se la gente che ha
architettato
la bomba non si trovava all'esterno...
La realizzazione lo fa
quasi
traballare la bile in gola.
Se non sono all'esterno,
sono
all'interno.
Sono sempre stati
all'interno!
Ma l'ha capito troppo
tardi.
Quasi non si accorge degli spari improvvisi e delle urla di furore
degli uomini
appostati all'interno.
Pop, pop, pop. Una
telecamera nel
lato est diventa nera. Poi un'altra. Poi un'altra ancora.
Victor sente i capelli
rizzarsi
sul suo cranio mentre osserva una figura vestita di nero avanzare per i
corridoi,
rapida come un turbine, schizzando le opere d'arte di sangue, uccidendo
uno,
due... e poi un altro schermo diventa nero.
Poi, con aria orripilata
nota che
non è solo l'ala est, ma tutto ciò sta succedendo contemporaneamente
anche
nell'ala ovest.
«Signore...ー Intruso...ーTroppo
veloce...ー
Ghaaaaaahhh»
«Aiuto-- La prego...»
«Per favorー»
Gli intrusi si stanno
precipitando pericolosamente veloci verso la sala di controllo. La sua
sala, si
rende conto Victor, stordito.
Proteggilo
con la tua vita, se necessario. Con le ultime vestigia
di
lucidità, Victor serra la porta a chiave (non servirà a molto, ma
magari li
rallenterà) e aspetta, aspetta, aspetta che il silenzio di morte cada
sul
museo, aspetta finché non sente due paia di passi distinti nel
corridoio.
Punta la colt davanti a
sé, mani
tremanti. Non sapeva avrebbe dovuto arrivare a questo. Mio Dio, mio Dio.
Gli intrusi battono alla
porta
una, due volte, ma poi capiscono che non andranno da nessuna parte con
le
maniere gentili. Bastano due colpi ben assestati con la pistola e la
serratura
cede e la porta della stanza scricchiola mentre si apre. Victor è
temporaneamente accecato dalla luce dell'esterno, la neve che cade
senza posa e
vortica nell'aria invernale.
I due sono lì davanti,
pistole in
mano e sguardi determinati, soldati come lui. Si rende conto che sono
due
donne.
Serra la mascella e le
guarda con
espressione di sfida.
«Buttate a terra le armi
oppure
sparo» sibila. Le due si lanciano un'occhiata in tralice, ma continuano
a
mirare alla sua testa con le loro Beretta Storm.
«Ehi, amico, siamo due
contro
uno» replica una, uno spesso accento tedesco sotto la parlata russa
«Non siamo
noi quelle in svantaggio»
«Buttate a terra le armi,
ho
detto» ripete Victor «O vi ammazzo»
La ragazza tedesca fa per
aprire
la bocca, ma l'altra la ferma.
«Molto bene, прекрасно»
dice,
sorridendo e buttando a terra la pistola (sua e della compagna) «Va
bene?»
Victor si rilassa un po',
la mano
ancora sul grilletto. Bene. Tutto bene, tutto al sicurー
Si accorge del rumore
troppo
tardi. Rumore, ancora, suono di qualcuno che striscia. Metallo contro
carne.
Le condutture, pensa tra
sé,
maledicendosi per l'ingenuità. Sono entrate dai fottuti condotti di
aerazione.
Prima che possa girarsi,
la
griglia che porta aria alla stanza cade a terra dietro con un suono
metallico
di lui e una figura femminile dai capelli castani raccolti in una coda
volteggia a terra, pistola puntata alla sua schiena.
«Game Over» e preme il
grilletto.
Tre punture infuocate tracciano un percorso di dolore nella sua schiena
e
Victor crolla a terra in un lago del suo stesso sangue, occhi sgranati
per lo
shock. Non sente più le gambe, non sente più niente. Solo dolore.
«Bel colpo, Andrea»
esclama
Colonia con un sorriso gioviale, riprendendo le armi e passando una
pistola a
Blake «Niente male davvero»
«Grazie» Blake e Andrea si
accomodano davanti alle postazioni dei computer, dita rapide che
premono tasti,
distruggono firewall, abbassano il jamming, dati, dati e dati riflessi
nei loro
occhi determinati mentre le informazioni elettroniche vengono crackate,
lo
scudo smantellato, il router danneggiato.
«Quanto tempo all'ora X?»
domanda
Andrea, concentrata, mentre lavora davanti allo schermo.
«Tre minuti»
«Ottimo»
«Aiuto» rantola Victor,
tre
pallottole nella colonna vertebrale mentre le sue dita insanguinate
cercano il
pavimento, trascinandosi dolorosamente verso l'uscita. Proteggilo
con la tua vita, se necessario. Ma Victor non vuole
morire. Vuole solo tornare a casa da suo fratello e fingere che non sia
successo niente, che le sue gambe funzionino ancora, dimenticare il
dolore e
farsi una dormita, bere del kvas con gli amici.
«Certo» sorride la ragazza
tedesca, labbra che si muovono ma suono che non gli arriva alle
orecchie, come
in un film muto, come in un film di guerra mentre gli appoggia il muso
della pistola
alla guancia «Ti aiuto io»
Uno sparo.
Poi il silenzio.
12:00
A mezzogiorno in punto del
7
Dicembre, ventisette bombe esplodono in posizione strategica dell'area
metropolitana di San Pietroburgo, gettando l'intera città nel caos. Il
jamming
è saltato e la situazione sta rapidamente sfuggendo di mano agli uomini
che
hanno attaccato la città.
Caos. Terrore. Angoscia.
Tutti catalizzatori del
disordine, che è quello che loro vogliono. Tutto per spostare la loro
attenzione sul diversivo.
Intere squadre di uomini
in nero
sono state spedite ad investigare e Lene, accoccolata dietro il bancone
di una
sala da tè non lontano dal museo, estrae il cellulare con tutta.
Ha fatto proprio un bel
lavoro
con le bombe.
Il jamming non c'è più, e
lei
compone il numero in chiamata rapida con un sorrisino malcelato.
«Sì. Sono io. È tutto
pronto, sì»
12:04
«Hai sentito?» bisbiglia
Gala a
Jules, notando il lampadario traballare pericolosamente sulle loro
teste, gli
occhi viola, grandi come palline da tennis.
È seduta sul letto, i
capelli
acconciati in due dutch braids mal riuscite quando l'ondata di
esplosioni
riverbera per tutta la città. La stanza è grande ed ariosa, con mobili
in legno
scuro e lucido, poltroncine accompagnate da stoffe verdi e seriche, un
armadio
bianco moderno, la scrivania perlopiù inutilizzata e la televisione al
plasma.
I loro due letti sono gemelli, ricoperti da uno spesso piumone a
decorazione
astratta.
Jules appiccica la faccia
contro
il vetro delle finestre a baia, mentre le guardie appostate nella
stanza
accanto iniziano a confabulare in un russo spezzato e rapido.
Fuori, San Pietroburgo
sembra nel
caos: uomini in divisa che corrono a festa e a manca, furgoni che si
fermano di
botto, facendo stridere gli pneumatici, ordini che vengono urlati sopra
il rumore
delle bombe.
«Credo che ci abbiano
trovati»
esclama Jules, mentre un largo sorriso si allarga sulle sue labbra «Se
gli
altri sono in città, dobbiamo trovare un modo per unirci a loro»
Gala annuisce,
affiancandosi a
lui per riconsiderare la situazione. Quella notte nessuno dei due ha
dormito,
anzi, si sono tenuti svegli l'un l'altra, cercando di fare piani per la
fuga e
per l'evocazione, ma non raggiungendo una decisione precisa.
«Sarà difficile» osserva
la
ragazza, battendo le unghie contro il vetro «Ci sono un sacco di
cecchini là
fuori, ma si può provare»
«Dobbiamo provare»
annuisce Jules
«Abbiamo più chanches di fuggire ora. Qualche idea»
«Lascia fare a me. E...
Jules?»
«Sì?»
«Mi dispiace per tutto il
casino
in cui ti ho trascinato. Mi dispiace di averti mentito riguardo alla
mia morte.
Se dovessi morire oggi, sappi che...» si passa la lingua sulle labbra
fessurate
e secche «Mi dispiace. Di tutto»
«Non c'è problema» Jules
le batte
una mano sulla spalla con un sorriso teso «Siamo o non siamo una
famiglia? Ora,
grande capo, attendo i tuoi ordini»
«Ottimo!» Gala spalanca le
finestre con un mezzo sorriso «Nasconditi dietro la porta, ho un'idea»
Jules, rabbrividendo un
po' per
l'aria pungente, scivola nell'angolino della stanza ammobiliata di
soffici sette
verdi, e attende pazientemente.
Gala prende il respiro e
si getta
sul letto di fianco, iniziando a strillare di dolore.
«Ahhhh! La mia milza!
Aiuto!
Aiuto, per favore!» un istante dopo, i loro due aguzzini spalancano la
porta a
calci, sguardi spiritati e sconvolti che volano sulla ragazza che si
contorce e
mugola sul letto.
«Cosa succede?!» uno dei
due si
inginocchia accanto a lei, imprecando tra sé.
È un secondo di
distrazione che
rovina tutto. Gala spalanca gli occhi e sorride, piega le ginocchia e,
con un
calcio ben assestato, manda la guardia a ruzzolare sul pavimento.
Il suo naso si spezza con
un
sonoro 'crack' e fiumi di rosso gli irrigano la faccia e gorgogli
incongruenti
lasciano le sue labbra.
La seconda guardia da per
estrarre la pistola, ma è già troppo tardi, perché Jules gli è dietro e
gli
preme l'avambraccio contro la gola, iniziando a soffocarlo, suoni umidi
e
strozzati che escono dalla sua gola.
Gala balza in piedi con
uno
scatto felino, mollando un altro calcio al pomo d'Adamo del pover'uomo,
che
stramazza a terra con il volto tumefatto e rigonfio.
«Se vuoi stordire un uomo,
mira
all'ugola» canticchia lei mentre sfila il pesante cappotto dalle spalle
dell'uomo e prende la pistola, vestendosi per affrontare il pesante ed
inclemente inverno russo. Jules lascia cadere anche l'altro uomo,
esanime è
preso dalle convulsioni.
«Bel lavoro di squadra!
Chi te
l'ha insegnato?» domanda Jules, replicando le azioni di Novembre con un
sorriso
concitato.
«La necessité»
esclama lei, chiudendo la zip e facendogli
l'occhiolino. Il cappotto è un po' grande, ma può andare «Andiamo?»
«Dalla finestra?» domanda
Jules,
orripilato nel vedere Gala scavalcare il balcone a mani nude.
«Siamo molto più forti
dell'umano
medio, quindi non preoccuparti. La hall sarà piena di uomini in nero.
Non
possiamo uscire per la porta principale» sorride lei, scomparendo dalla
sua
vista «Spero ti piaccia l'arrampicata!»
Jules sospira, issandosi a
sua
volta sul grande balcone della camera e scivolando sul cornicione, con
un
respiro traballante.
Gala è già a metri di
distanza, i
piedi che rimbalzano su una delle soffici coperture rosse ed arcuate
che
incorniciano le finestre. Et, voilà, con un salto aggraziato è
accucciata sul
marciapiede e gli fa cenno di sbrigarsi con la mano.
Jules inspira a fondo,
appigliandosi al cornicione con le mani, per poi lasciar penzolare i
piedi nel
vuoto in cerca del prossimo punto d'appoggio. Sente le vertigini
assalirlo e il
frusciare degli alberi della piazza gli fa venire i brividi, ma tenta
di
sopprimere la sensazione, pensando ai suoi fratelli e a Gala, che lo
attende a
terra con sguardo ansioso.
La discesa gli pare
interminabile, le sue dita sudate nonostante il freddo, che tentano di
infilarsi nelle nicchie più recondite, negli appoggi delle pietre
scivolose e
levigare dal tempo.
Infine, però, riesce a
scivolare
a terra con un balzo incerto e non è mai stato così felice di trovarsi
sull'asfalto, tanto che si metterebbe a baciare il suolo, in quel
momento.
«Su! Meglio sbrigarsi» lo
incita
Gala, prendendolo per la manica e tirandolo in mezzo alla strada,
solitamente
trafficata da vetture ed autobus, ma oggi tristemente silenziosa.
Corrono in mezzo alla
vegetazione
rigogliosa di Isaakiyevskiy Skver, evitando i sentieri turistici che li
lasceranno a capo scoperto.
Il respiro di Gala è
rapido,
epinefrina che viene pompata a tutta potenza nel suo sistema sanguigno,
muscoli
tesi allo spasmo e ATP pronta per essere bruciata dal sistema aerobico.
«Gala, io volevo solo
dirti...»
incomincia Jules, mordendosi il labbro, occhi verdi che cercano i suoi.
Prende
un respiro ed apre la bocca per parlare, quando il rumore di foglie
secche
calpestate li fa scattare sull'attenti.
«Oh, ma che coincidenza.
Anche
voi qui per una passeggiata?» Gamma sbuca da dietro un albero,
indossando un
sorriso forzato e grondante di saccarina, nella sua mano una pistola,
dietro di
sé almeno una decina di guardie «Avreste potuto invitarmi. Mi sento
escluso ~»
12:13
«Avanti, cammina più
veloce,
idiota» Isabelle Trick alza il mento, impettita, facendo cenno a Claude
di
seguirla attraverso le strade, ora affollate di gente terrorizzata e
ferita e
di loro colleghi che cercano di far mantenere la calma. La neve cade
fitta e
bianca, posandosi sulle spalle del suo impermeabile scuro e lucido.
Questa non ci voleva:
delle bombe
in città? Chi sarebbe così idiota da mettere bombe in città quando non
c'è
nessuno per strada?
«Arrivo, tesoro~» Claude
la
tallona con uno sbuffo infastidito e pistola alla mano, mentre entrambi
si
dirigono a capo chino verso la fermata della metropolitana incriminata.
Ci sono
curiosi che si affollano davanti all'entrata della Dostoevskaya, linea
4.
Alcuni uomini in nero sono posteggiati davanti all'accesso, sguardi
truci e
indispettiti e mitra in piena vista per scoraggiare gli abitanti più
indiscreti.
«Isabelle Trick e Claude
Beacons»
esclama senza fiato, tirando fuori la carta di identità «Siamo con il
maestro
Gamma. Ci hanno detto di venire ad investigare dei movimenti sospetti
nella
metropolitana dopo l'esplosione»
I due uomini di guardia li
fanno
entrare senza ulteriori domande e i due preparano le armi, scendendo
con
cautela sugli scalini scivolosi di neve sciolta.
La stazione della
metropolitana è
composta da colonne bianche, annerite dal fumo dell'esplosione.
I grandi candelabri che
adornano
il soffitto sono ora a terra, infranti in pericolosi grovigli di vetro
e
metallo. Claude ne aggira uno arricciando il naso, sentendo
l'adrenalina
pompargli nelle vene.
Davanti a loro ci sono i
binari
semibui e uno dei grandi mezzi di trasporto staziona lì vicino, le
porte
aperte, immoto come un gigante addormentato.
Qualche teppista
sconsiderato ha
avuto la bella idea di scribacchiare un 'Viva il capitalismo' sulle
porte in
fondo.
«Pensi che siano state le
marionette?» domanda Isabelle, puntando la pistola davanti a sé, le
sopracciglia aggrottate per la tensione.
«E chi, se no?» Claude fa
schioccare la lingua sul palato. Nessuno in vista, ma la stazione ha
un'aria
spettrale, così abbandonata, con solo alcuni poster sdruciti che
svolazzano nel
vento, incomprensibili scritte in cirillico sopra.
«Meglio se andiamo a
controllare
il prossimo luogo dell'esplosione» commenta lei «Se sono in città non
saranno
così stupidi da farsi prendere qui»
«Aspetta un attimo» Claude
fa un
passo titubante all'interno del vagone, annusando la polvere da sparo
ancora
nell'aria «Diamo un'occhiata qui dentro e poi ci muoviamo al prossimo
punto»
«Come vuoi» Isabelle
scrolla le
spalle, percependo improvvisamente la strana sensazione di essere
osservata.
Lancia occhiate nervose a destra e a sinistra, per poi seguire Claude
nel
grande serpente di metallo addormentato «Questo posto mi dà i brividi.
Muoviamoci»
«Fufufu, Belle. Se hai
così tanta
paura, puoi stringerti a me» commenta Claude con un ghigno sulla faccia
alzando
la pistola verso i sedili con aria divertita. Nulla, solo silenzio e
semioscurità. Con calma, si incamminano verso la fine della
metropolitana,
ispezionando vagone dopo vagone con attenzione maniacale. Dopo essere
arrivati
in fondo all'ultimo ed essersi scambiati uno sguardo stranito, i due
ritornano
indietro con una scrollata di spalle, lievemente rassicurati.
«Beh, cazzo. Niente azione
per
Claude» fischietta lui allegramente mentre Isabelle gli lancia uno
sguardo
infastidito.
«Non dirlo troppo forte,
altrimenti si avvera»
«Sempre la solita
bacchettona.
Rilassati ogni tanto, Bellatrix» le dà un buffetto sulla spalla,
rifilandole
quel sorrisino idiota che piace alle ragazze «Altrimenti ti vengono le
rughe a
vent'annー»
Non fa in tempo a finire
la
frase, che le luci si spengono improvvisamente, gettando l'intero
vagone
nell'oscurità.
Isabelle trasalisce
improvvisamente, schiena premuta contro quella del partner e pistola
puntata
dinnanzi a sé mentre esplora con lo sguardo i suoi dintorni. I sedili
ricoperti
di tessuto blu sono vuoti e non ci sono altre vie d'uscita.
«Non siamo soli» Claude si
irrigidisce accanto a lei non appena la porta che conduce alla loro
postazione
viene spalancata con un calcio e, due figure, una dinoccolata e l'altra
più
minuta e bassa fanno il loro ingresso.
«Beh, Beacons, è un
piacere
rivederti a San Pietroburgo» esclama sardonica Elisabeth, puntandogli
il
coltellino contro, un sorriso sadico che piano si allarga sulla sua
bocca.
Elia, vicino a lei, estrae
una
pistola con cupa determinazione e si fa il segno della croce.
Isabelle, però, lascia che
siano
i fatti a parlare. Con un balzo felino, alza l'arma verso il soffitto e
i due
colpi di proiettile mandano in frantumi le luci a neon spente, una
pioggia di
cocci di vetro che investe le marionette. Lizzy scatta di lato,
buttandosi di
(poco) peso contro Claude e facendolo rotolare a terra sotto di lei.
Elia invece danza
all'indietro
con zelo, riparandosi da altre due pallottole dietro ai sedili più
vicini, ma
tenendo comunque sotto tiro la ragazza.
«Claude! Chiama i
rinforzi!»
sbraita lei mentre estrae il walkie-talkie dalla tasca dei pantaloni.
Preme il
pulsante per accenderlo, ma non fa in tempo, perché il prossimo
proiettile di
Elia lo colpisce con una traiettoria pulita, mandandolo in pezzi e
slogandole
il polso.
Isabelle sibila di dolore,
balzando come una pantera verso di lui, ma Elia, con gli anni passati
da
marionetta, è molto più rapido e letale. Scarta di lato, evitando il
nuovo
proiettile per un soffio e si abbassa, strattonando Isabelle per un
braccio e
facendole lo sgambetto con eleganza. La ragazza fa una capriola in aria
e
atterra di fondoschiena con un gemito di dolore, la pistola che le
scappa dal
pugno e scivola verso il fondo del vagone. Si mette a gattoni per
tentare di
afferrarla, ma Elia, le molla un calcio in mezzo alle costole,
facendole
battere la testa contro uno dei sedili.
«Scusa!» esclama,
afferrando la
postola della ragazza e gettandola fuori dal finestrino, dopo aver
tolto con
cura tutti i proiettili ancora non esplosi «Di solito non mi piace
picchiare le
donne»
Intanto Elisabeth rotola a
terra,
schiacciata sotto il peso di Claude, dita che graffiano inutilmente le
mani che
si stanno stringendo sempre più attorno al suo collo.
Annaspa, cercando di
formare una
frase coerente, di spingerlo via, ma sente i polmoni in procinto di
scoppiare,
la gola che le brucia e gli occhi che cominciano a lacrimare.
«Avrei dovuto ammazzarti
in
Francia» ringhia Claude e Febbraio sembra ritrovare le vestigia del
pensiero
razionale. Con un ultimo, disperato tentativo, piega il ginocchio
contro il
propio petto sconquassato dalle convulsioni, ed estrae lo stiletto
nascosto lì.
Claude quasi non si
accorge dei
suoi movimenti, ma quando sente il freddo metallo trapassargli la
spalla, è già
troppo tardi.
Molla la presa con un
urlo, il
suo braccio sinistro che pulsa di agonia mentre il sangue inzuppa la
manica
della camicia bianca. Claude tenta di rotolare via con una capriola, ma
non sa
quanto la ragazza possa essere determinata.
Lizzy non si lascia
sfuggire
l'occasione di una piccola vendetta personale e, mentre tossisce
profusamente
per riprendere fiato, tira un calcio al ragazzo, dritto dritto in mezzo
alle
gambe.
Il ragazzo emette un altro
strillo, questa volta più acuto, e le sue pupille rotolano dentro al
suo cranio
mentre sviene, esanime, contro il pavimento della metropolitana.
«Bella mira» commenta
Elia,
nascondendo una risata, mente la aiuta a rialzarsi, il petto che si
alza e si
abbassa rapidamente e i segni rossi che stanno già diventando lividi
bluastri
sul suo collo.
«Grazie. Becca l'inguine
quando
vuoi stenderli» Elisabeth sputa a terra, occhieggiando con disgusto i
due
agenti esanimi e sorridendo tra sé.
«Missione compiuta»
Ore 12:36
Talini osserva il
paesaggio
brullo e gelido attraverso i binocoli, un mezzo sorriso che minaccia di
sbocciare sulle sue labbra.
La strada è solitaria e la
vegetazione incolta sfreccia vicino sul versante sinistro della
macchina. Se
non sapesse dov'è, penserebbe di essere in Antartide a causa della
desolazione
ghiacciata che si estende dinnanzi a loro.
Il cielo è di un
minaccioso
grigio ferro e non sarebbe stupita se si mettesse a nevicare.
«I ragazzi hanno eseguito
il
diversivo alla perfezione» esclama Percival, dal lato del passeggero
della
jeep, mentre un tesissimo Ilarion tiene le dita dalle unghie violacee
sul
volante, occhi puntati sulla strada ghiacciata davanti a sé «Sono
orgoglioso di
voi»
«Meglio che aspetti a
dirlo. Non
si sa mai come vadano le cose» Talini si morde il labbro, sobbalzando
sul
sedile posteriore del veicolo rubato, gli occhi socchiusi e il
cappuccio di
pelliccia tirato su per difendersi dal freddo.
«Non preoccuparti. Ora la
loro
attenzione è concentrata sul calmare i tumulti in città, non si
accorgeranno
quasi di noi. E, se si accorgono, basta sfondare le barricate, no?»
«La fai un po' troppo
facile»
mormora Ilarion a denti stretti, facendo attenzione a non far slittare
le ruote
sul ghiaccio spesso.
«Pensa positivo. Gente
allegra,
in ciel l'aiuta» esclama Percival, dandogli una pacca sulla spalla e
rituffandosi nell'esame della cartina.
«Pensate che Gala e Jules
stiano
bene?» domanda Ilarion, premendo sull'acceleratore, dita che gli
prudono per il
desiderio di colpire qualcuno.
Talini giocherella con la
pistola
posata sulle ginocchia, dubbiosa, ma Percival sogghigna lievemente.
«Non preoccuparti. Gamma
non
lascerà che le accada nulla di male. E poi, noi stiamo andando a
salvarli»
«Dopotutto, non penseranno
mai
che siamo così folli da risalire la Neva in macchina quando è
ghiacciata,
giusto?» Talini scoppia a ridere di gusto, un po' forse per allentare
il cappio
di tensione attorno al suo collo «Giuro, Percy, questa è l'idea più
folle e
geniale che tu abbia mai avuto!»
«Perché non sei tu quella
al
volante» bofonchia Ilarion, abbassando la testa e riprendendo a guidare
con le
spalle piegate e l'angoscia che gli opprime il petto.
Ore 12:39
«Gamma, non deve andare
per forza
così» Gala alza le mani sopra la testa, un filo di disperazione
intrecciato
alla sua voce mentre il drappello di uomini in nero forma un cerchio
attorno a
loro tre «Puoi ancora unirti a noi. Fare la cosa giusta. Getta la
pistola e
troveremo una via d'uscita»
Gamma socchiude gli occhi,
l'arma
puntata davanti a sé, mentre soppesa la situazione con un gelido
sorriso
calcolatore.
«Mi spiace, ho già fatto
la mia
scelta tempo fa» sospira profondamente, indefesso «Non ho intenzione di
farvi
del male, perciò non mi costringere. Tornate in albergo, da bravi
bambini, e
guardate la televisione. Vi prometto che sarà finita prima che ve ne
accorgiate»
Fa cenno alle guardie di
non
muoversi e cerca di trovare un compromesso con le Marionette.
«No» Jules si para davanti
a
Gala, il volto scolpito in un'espressione esausta, ma tenace «Non
abbiamo
intenzione di farlo»
Un muscolo si contrae
nella mascella
di Gamma mentre posa il dito sul grilletto; Jules è più rapido e scarta
di lato
prima che il proiettile bollente gli morda la carne. Rotola a destra e
balza in
piedi, colpendo Gamma allo stinco, ma l'affondo non lo fa cedere.
L'albino
ruota su se stesso, e con un pugno fa stramazzare a terra Dicembre,
mollandogli
uno, due, tre calci nel costato, finché non sente il 'crak' disgustoso
e
inquietante delle ossa che si spezzano come legno secco.
«No!» strilla Gala,
gettandosi
addosso a lui, afferrandolo per la spalla con l'intenzione di ferirlo.
Gamma la
spinge indietro, facendola barcollare, e Gala inciampa sul corpo
rantolante di
Jules, ruzzolando a terra con un gemito soffocato.
Si rialzano in piedi a
fatica,
entrambi ansimanti ed ammaccati, ma con ancora più determinazione che
brilla
negli occhi.
«Tornate all'hotel» sibila
Gamma,
indicando la strada con la pistola «Da bravi, non fatemi usare i miei
poteri,
altrimenti ve ne pentirete»
«Va al diavolo!» Gala
riparte
alla carica, colpendolo alla mascella con una gomitata e avvinghiandosi
al suo
braccio nel tentativo disperato di strappargli la pistola. Le sue
unghie
affondano nella sua pelle, ma nella colluttazione il dito dell'uomo
scivola sul
grilletto e la pistola esplode un colpo.
Un gemito ed un gorgoglio.
Gala sgrana gli occhi nel
vedere
Jules stramazza a terra, un punto sulla camicia dove pian piano si sta
allargando un un tramonto rosso sangue. I suoi occhi verdi roteano,
mostrando
il bianco delle sclere, le mani artigliano la stoffa inzuppata della
sostanza
rossa; emette un gemito ricadendo a terra pesantemente, immobile.
«Jules, oh, Dioー» Gala si getta su di lui
con uno
strepito angosciato, lacrime che le corrono lungo le guance mentre
tenta di
comprimergli il torace, fermare l'emorragia. Gamma la afferra per il
colletto,
sbattendola contro un albero. La ragazza geme, gli occhi strizzati per
il
dolore, le mani coperte di liquidi vermiglio.
«Bastardo! Ti odio!»
sibila tra i
singhiozzi, ma gli occhi di Gamma sono duri e non perdonano.
Le punta la canna ancora
fumante
della pistola contro la tempia sibilando tra i denti.
«Mi dispiace, Gala. Non
volevo
arrivare a questo» la ragazza geme, volto pieno di graffi e occhi di
disperazione, le unghie che affondano nella carne del polso
dell'albino, un
grido muto congelato sulle labbra.
«Aspetta, no, NO! Cristo
Gamma,
non avrai intenzione diー» ma lui
preme la pistola ancora più forte contro la sua pelle, l'espressione
abbattuta
e melanconica e uno 'scusa' dipinto in volto.
«Fidati di me, Gala»
E preme il grilletto.
Ore 13:22
Beta ammira con calma il
paesaggio dalla stretta balaustra dello Dvortsovyy Most, le gambe
penzoloni
mente i suoi occhi bevono la bellezza del paesaggio, gli stucchi
armoniosi
dell'Ermitage e le sue pareti di un intenso color verde acqua. La
piazza è
vuota se non per l'enorme obelisco che torreggia sullo spiazzo
circolare e si
può udire il bisbigliare del vento nelle sue orecchie.
Si riempie i polmoni di
aria, il
freddo che penetra nella sua carne come spilli acuminati e le dita
intirizzite
ed è così felice di essere viva.
«Sei venuta per
vendicarti,
immagino» sorride biecamente, sentendo la pressione del muso della
pistola
contro la nuca «Prevedibile, davvero»
Deianira ghigna, lei e
Gavril
completamente vestiti in tute scure e giubbotti antiproiettile che
stanno fermi
in mezzo al ponte, trepidanti e pronti all'azione.
«Mi spiace deluderti, ma
non dico
mai di no ad un po' di sana azione» e la battaglia comincia.
chion
whispered:
buongiorno, plebei!
*giusto,
alice, stay classy come al solito*
probabilmente vi
aspettavate ange
in fondo all’angolo autrice, ma io l’ho convenientemente stordita ed
imbavagliata e chiusa nel sottoscala per sacrificarla a chtulhu.
no, hahaha, scherzo, in
realtà
ange è convenientemente accampata sul mio tavolo da ieri sera a fare
problemi di
fisica mentre si lagna dell’umidità(?). i miei problemi di fisica.
io in
cambio le faccio inglese hahaha.
comunque sia, dubito mi
conosciate visto che poco entro nel fandom e su efp, ma comunque,
salve,
chiamatemi rie (o nevertheless, ma è un po’ lungo, lol).
ange:
aka, la cugina di 39484esimo
grado che tengo in cantina
rie: è scema, ma le voglio bene
lo stesso
ange:
comunque sia, finalmente
arriviamo al tanto famigerato capitolo 12, che scatta in prima
posizione come
capitolo preferito b/c botte e sangue e, sapete com’è.
rie: also, gala e jules muoiono,
hahaha
ange:
*si nasconde dietro al
tavolo per evitare i pomodori marci* ehm… sì.
rie: più sadica di martin. si
vede che abbiamo un po’ di geni in comune!
ange:
sorvoliamo ;w;
rie: comunque, se qualcuno di voi
ha notato, ange ha pure aggiunto una colonna sonora nel primo
capitolo(?) per
ogni capitolo. canzoni giapponesi, perché con quelle inglesi non
finivamo più.
quella di questo è brave shine, no?
ange:
giusto! fatemi sapere cosa
ne pensate!
rie: …sempre che non ti lincino
prima :D
ange:
sei una vera amica.
rie: no, sono una cugina :DDDDD
ange:
btw, ora meglio che torni a
fisica… comunque, gente, non andate sulla darknet. il deep web è
contorto *si
nasconde sotto il tavolo*
rie: aye, vendono marijuana come
spacciare adesivi alle elementari
ange:
…e anche di peggio.
comunque, ora meglio se andiamo, che poi abbiamo gente a casa a vedere
lights
out! non dormirò stanotte
rie:
muhuahuhuahuhahua!
al
prossimo capitolo che sarà postato *guarda calendario* va bene il
sedici?
okay, au revoir!
ange e rie