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Autore: merlot    02/09/2016    3 recensioni
{ Storia ad OC } { AU, come al solito }
"...«Aiuto» rantola Victor, tre pallottole nella colonna vertebrale mentre le sue dita insanguinate cercano il pavimento, trascinandosi dolorosamente verso l'uscita. Proteggilo con la tua vita, se necessario. Ma Victor non vuole morire. Vuole solo tornare a casa da suo fratello e fingere che non sia successo niente, che le sue gambe funzionino ancora, dimenticare il dolore e farsi una dormita, bere del kvas con gli amici.
«Certo» sorride la ragazza tedesca, labbra che si muovono ma suono che non gli arriva alle orecchie, come in un film muto, come in un film di guerra mentre gli appoggia il muso della pistola alla guancia «Ti aiuto io»
Uno sparo.
Poi il silenzio..."

[...]
Le Marionette sono decisamente la famiglia più stramba che ci sia, e il fatto che siano già morti almeno una volta è solo una delle tante cose bizzarre che accomuna queste dodici persone dai passati diversissimi.
Tra anelli maledetti, serpenti giganti e padri scomparsi, sono sempre in mezzo ai guai.
{chapters: 14/15}
Genere: Avventura, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gamma, Kudou Michiya, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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marionnette }

 syzygy 

 

 

« with pointy claws, and eyes as coal

he comes out at night to devour your soul,

run for your life, he wants your head

and if he finds you, you’re already dead »

 

 

 

 

» San Pietroburgo, Russia

Ore 8:04

V

era Ivanovna Markova si è alzata presto quella mattina nonostante sia sabato e lei al lavoro non ci debba andare. A Vera piace l'ordine e la pulizia e a quarantasette anni, è ancora precisa come un orologio svizzero mentre riordina e pulisce con l'aspirapolvere. Suo marito è in viaggio di lavoro a Kazan e non tornerà a San Pietroburgo se non a sera tarda, perciò può tranquillamente dedicarsi alle pulizie del suo salotto mentre ascolta le previsioni del tempo alla TV. Nuvoloso, con probabili precipitazioni nevose nel pomeriggio.

Afferra il telecomando per cambiare canale, quando improvvisamente lo schermo diventa grigio, con il rumore delle interferenze in sottofondo e la scritta 'no signal' all'angolo. Vera arcua un sopracciglio, incuriosita. D'accordo, il loro televisore è vecchio ed impolverato, ma smettere di funzionare così è troppo improvviso. Dà una pacca al l'aggeggio, che però non sembra voler funzionare correttamente.

Il televisore emette suoni di sottofondo e si spegne improvvisamente. Qualche istante dopo si riaccende, è Vera è quasi sollevata, fino a che non viene inquadrata la figura di una donna orientale con i capelli tirati su in un'acconciatura elaborata.

«Buongiorno a tutti» trilla lei, vestita in abiti costosi con un sorriso condiscendente «Sono felice di informarvi che San Pietroburgo è ora sotto il nostro controllo»

In quel momento, tutti i computer e i televisori di San Pietroburgo riportano lo stesso videomessaggio.

 

8:47

Tutte le uscite di San Pietroburgo vengono bloccate da uomini vestiti di scuro, giacche scure, cravatte scure e occhiali scuri. A chiunque tenti di abbandonare la città viene sparato a vista.

 

9:03

Tutte le telecomunicazioni sono bloccate da un potente jamming (magnetico e magico) attivato dall'Ermitage che rende impossibile contattare l'esterno. Victor Blade è a carico dell'operazione. Nulla può entrare e nulla può uscire. La foto di Percival Travis è stata diffusa in tutte le unità. Al minimo sospetto che si tratti di lui, sparare.

San Pietroburgo è completamente isolata dal resto della Russia e del mondo.

 

9:17

L'intera città è invasa da uomini vestiti in nero, armati fino ai denti e pronti a sparare. La gente, spaventata, è rinchiusa in casa.

La Cattedrale di Sant'Isacco è evacuata e nessuno può stare ad un raggio di 500 m da essa.

Pena, l'essere mitragliati a vista.

 

9:22

«Sta incominciando» bisbiglia Gala, il cuore in gola mentre è affondata sulla poltrona, le mani tra i capelli.

Jules guarda fuori dalla finestra con espressione attonita e gli basta un'occhiata per capire che quello è proprio l'inizio della fine.

 

9:36

Alpha rimane seduto sull'altare della Cattedrale, rigirandosi pigramente l'anello di Salomone al dito con un sorriso placido, rimirando la figura sospesa all'interno.

Manca poco, manca così poco.

L'apocalisse si dovrà scatenare alle ore 14:00 del giorno stesso e lui è il suo più grande fautore. Sì, alle 14:00 del 7 dicembre, lui diventerà Dio.

 

» Algeri, Algeria

"Accesso negato" Andrea aggrotta le sopracciglia lievemente, dando l'input per un nuovo comando sul computer.

"Accesso negato" brilla la scritta rossa sullo schermo.

Niente.

Nada.

Nichts.

"Accesso negato", "Accesso negato", "Accesso negato".

Lampeggia, rossa ed irritante, nonostante ogni suo tentativo di sbloccare il tutto. la schermata della darknet sembra lampeggiare in maniera fastidiosa solo per darle noia; la schermata torna indietro alla home page, in mezzo a gente che vende marijuana e spaccia pornografia minorile, ad assassini che si fanno assoldare per $20.000 e a hacker sfaccendati che non hanno nulla da fare se non ridere delle disgrazie altrui.

Con calma, Andrea si gira sulla sedia girevole e parla con aria disinteressata.

«Credo che ci vogliano tagliare fuori» annuncia a nessuno in particolare.

«Cosa?!» strepita Gavril, con il volto paonazzo «Come cazzo facciamo ad entrare, allora? Gala è lì dentro. Non possiamo lasciarla con quella gente»

«Non è sorprendente» Percival si siede su una sedia accanto a lei con aria assolutamente imperturbabile «Alpha è anziano e non vuole rischiare di compromettere il suo piano. Avrei fatto la stessa cosa se fossi stato al suo posto»

«Quindi, cosa facciamo?» domanda Talini, lavorando alacremente al computer accanto a Blake «Come entriamo?»

«Ilarion, il rapporto» Percival schiocca le dita senza battere ciglio.

«Attacco informatico?»

«C'è un jamming molto potente, niente da fare»

«Attacco aereo?»

«I cieli sono sorvegliati. Missione suicida»

«Attacco sottoterra?»

«Avranno sicuramente fermato le metropolitane e ci metteremo troppo ad arrivare in centro, ma può essere un piano B per la fuga.»

«Attacco acquatico»

«Suicidio»

«Attacco magico?»

«Fuori discussione. C'è un jamming anche per quello. Gamma lavora con lui, ti ricordo»

«Allora è una mission impossible» esclama Blake, con la testa tra le mani.

«Non necessariamente» le strizza la spalla, simpatetico, con uno strano sorriso sornione sulle labbra «Se c'è una cosa che ho imparato vivendo per secoli, è che la storia si ripete. E noi oggi riscriveremo la storia»

«Non sono sicuro che questa cosa mi piaccia» Ilarion scrolla il capo ma poi tende la mano verso il suo mentore «Ma se non puoi batterli, unisciti a loro»


» San Pietroburgo, Russia

Ore 11:04

Due furgoncini scuri contenenti due guidatori abbigliati in nero si arrestano davanti al posto di blocco sul ponte Aleksandr Nevskiy.

«Fermi, fermi» esclama una delle guardie che si trova davanti alla barricata, apprestandosi ad incontrare il primo dei due, pistola carica in mano ed espressione contrita e sospettosa sul volto.

«Chi siete?» sbotta l'uomo in un russo molto rapido e stizzito. Ha occhiaie nascoste da occhiali scuri ed è irritato per l'imminente separazione dalla moglie. Oh, dio, se chiede il divorzio, con chi andrà il piccolo Josif? No, no, ha bisogno di soldi.

L'uomo biondo al volante schiocca la lingua contro il palato, irritato, tamburellando contro il cruscotto.

«Ordini dall'alto, fratello. Ora levati di mezzo che siamo già in ritardo»

«Che diavolo? Non aspettiamo nessuna consegna!»

«Tu, forse» replica l'altro guidatore, mordendosi il labbro «Ma abbiamo ricevuto l'ordine di consegna da maestro Alpha. Il posto di blocco ad Ekaterinburg era interminabile e se non ti dispiace, abbiamo già accumulato abbastanza ritardo. Sloggia, bello»

L'uomo aggrotta le sopracciglia con fare stizzito ed annoiato, agitandosi pistola sotto il naso dell'altro.

«Non posso fidarmi. Non ho ricevuto alcuna comunicazione da parte del maestro»

«Fratello, tutta colpa del jamming. Ci deve essere stato un ritardo con le comunicazioni. Chiedi pure ai tuoi superiori, ma il maestro potrebbe incazzarsi e pensare che non ti fidi di lui o cazzate del genere. Magari non ti paga neanche. Fai come ti pare, ma non lo vorrei vedere incazzato, io» replica il primo dei due con uno sbadiglio colmo di irritante nonchalance.

L'uomo al posto di blocco sembra titubante. Guarda il walkie-talkie, pensando alla moglie e alla promozione e poi scuote la testa.

«Che merce portate? Armi?»

«Strumenti per l'evocazione» dice l'altro con aria annoiata «Roba magica, hai presente?»

«Perquisite l'interno. Se non ci sono problemi, lasciateli passare»

In qualche minuto, gli uomini al posto di blocco aprono gli sportelli dietro, non trovando nulla di particolarmente sospetto. Candele, erbe profumate, tavole inscritte di rune e tessuti magici, pietre, pietre e pietre dalla dubbia utilità. Nulla di anomalo.

«D'accordo, potete andare» chiosa infine l'uomo, facendo sollevare le barricate. Il primo dei due autisti, l'uomo biondo, gli fa un cenno militare mentre i due veicoli entrano nella città, trasportando il prezioso carico.

«Però! È stato più facile del previsto» il secondo guidatore, Gavril sotto copertura, si alza gli occhiali scuri con aria quasi delusa «E io che speravo in un po' di azione»

«Pensa a seguire Elia, piuttosto» sibila Andrea, sollevandosi dalla sua postazione sotto il cruscotto, dove è rimasta nascosta per tutta la perquisizione. Si aggiusta la giacca e gli occhiali scuri e sorride, quasi divertita «Per fortuna che non hanno cercato sotto i furgoncini»

«Seriamente, incollare Deianira ed Elisabeth insieme là sotto è un'idea folle, ma ha funzionato. Mi inchino alla tua intelligenza» Elia, che sta guidando al momento il primo furgoncino, sta probabilmente avendo una conversazione simile con Lene. Sotto il loro furgoncino e sono state attaccate Colonia e Blake, pronte anche loro all'azione.

«Grazie, gemello. Devono aver regalato l'intelligenza solo ad uno di noi due, e non sei tu»

«Bene, mademoiselle intelligente. Dove la porto?»

Andrea fissa per qualche secondo le strade vuote e grigie, la neve che fiocca lenta sulla strada.

«All'Ermitage»

 

11:17

Lene smonta dal furgone di Elia non appena arrivano nel centro della città, costeggiando la prospettiva Nevskiy e la Sadovaya.

«Hai tutto l'occorrente?» domanda Elia in tono casual, sbatacchiando il portachiavi sul cruscotto mentre la guarda scendere dal sedile del passeggero.

Lene si raccoglie i capelli sotto la parrucca, cercando di assumere l'espressione più virile possibile.

«Sissignore» annuisce tra sé «Non ci metterò molto. Sara tutto pronto per mezzogiorno. Rendez-vous?»

«Sant'Isacco all'una. Cerca di non farti beccare»

«Tranquillo» Lene gli fa l'occhiolino «È la mia specialità»

 

11:42

A Victor Blade fanno male gli occhi per il troppo guardare gli schermi in bianco e nero delle telecamere.

A Victor Blade fa male tutto, visto che è da tre ore che non si muove dalla sala di controllo dell'Ermitage, da solo, osservando con un'ansia crescente gli schermi crepitanti.

È solo la tua immaginazione, Victor, sussurra una voce nella sua testa.

Nulla può andare storto.

Nulla andrà storto.

Lancia un'occhiata speranzosa al potente computer che ha messo in ginocchio la città e ostruito tutti i canali di comunicazione.

Al sicuro. Tutto è al sicuro.

Proteggilo con la tua vita, se necessario, ha detto Alpha, e lui farà come richiesto.

Certamente, tutto per salvare suo fratello. C'è un rumore strano nell'aria, ma Victor pensa che sia un problema delle telecamere. Tre ore a sentire quel crepitio darebbero allucinazioni uditive a tutti.

Ha un contingente di venti uomini ai suoi ordini, che sono sparpagliati per le sale e all'esterno. Cosa può andare storto?

Impossibile che qualcuno possa entrare in città. Impossibile che qualcuno acceda al museo. Semplice, semplice.

Nessuno può entrare. Nessuno può uscire. Victor, innervosito, si ripete lo stupido mantra, giocherellando con una piccola Colt .45.

Improvvisamente però, Victor nota un movimento all'angolo di uno schermo. Dapprima è una figura sfocata e vaga, ma quando Victor aumenta l'ingrandimento nota che non è una persona, ma un furgoncino. Si muove lentamente, varcando quasi titubante i cancelli spalancati del museo, che conducono al palazzo d'Inverno, con un incedere quasi sinistro. Victor strizza gli occhi nel tentativo di scorgere il guidatore, ma non ci riesce.

Si mordicchia nervosamente un'unghia spezzata, mentre gli uomini all'interno diventano irrequieti e poi sempre più nervosi.

«Capo, che facciamo?» domanda uno degli agenti attraverso l'interfono del museo, gli occhi incollati al velivolo che lentamente si avvicina all'edificio, metro dopo metro, mangiando l'asfalto.

Victor sta sudando freddo. Si passa una mano tra i capelli sudati ed annuisce. Al sicuro.

Al sicuro.

«Prendi cinque uomini con te e va a controllare. Sarà solo uno scherzo di cattivo gusto» sbotta, una strana angoscia che gli annoda le interiora «Se il guidatore non torna indietro, ammazzalo»

«Roger» replica lui, e qualche minuto dopo, un manipolo di mezza dozzina di uomini si dirige verso del mezzo di trasporto, cautela e sfiducia nei loro passi allarmati.

Raggiungono il furgoncino in qualche minuto e lo circondano con movimenti rigidi e nervosi.

«Blocca la macchina e torna indietro, se non vuoi morire» intima uno degli agenti, la voce che non riesce a nascondere l'angoscia.

Proteggilo con la tua vita, se necessario.

Nessuna risposta dall'uomo a bordo e il furgoncino continua ad andare avanti imperterrito. Uno degli agenti allora racimola un po' di coraggio, si accosta alla portiera del guidatore e la strattona, sbraitando in russo e sventolando la pistola sotto il naso dell'altro.

«Ehi, coglione. Che cazzo pensi di fa» si blocca improvvisamente e abbassa la pistola, la sua mente che non riesce a collegare ciò che sta vedendo «Yuri?»

Victor non riesce a vedere l'immagine nitidamente. Troppo lontano: batte il pugno sull'interfono, l'ansia che sale nel suo corpo, sudore sulla fronte.

«Che cazzo succede?»

«Il guidatore, signore» strepita istericamente la guardia all'auricolare «È Yuri, signore. Una delle guardie. Oh, Dio, gli hanno sparato in testa, signore. Il cranio... spappolato... cervello...»

Le altre guardie si riuniscono a guardare, esterrefatte e angosciate.

Come diavolo...?

Victor sa che dovrebbe dare ordini, ma nulla sembra voler uscire dalla sua gola secca. Ora capisce cosa provano i protagonisti dei film horror.

«Ehi» incomincia un'altra guardia «Voi non sentite quest'odore strano?»

E l'ultimo pezzo del puzzle va al suo posto. Benzina.

Apre la bocca per urlare "Via da lì!", ma è già troppo tardi.

Un boato, un'esplosione, e l'intero schermo è coperto di fiamme, l'orrida visione degli uomini che vengono inceneriti dalle vampate, i loro corpi niente più di sagome scure avvolte in mantelli di fuoco e scintille.

Le grida nei suoi auricolari sono assordanti, urla di agonia e bestemmie che si mescolano al dolore impazzito. Con calma apparente, Victor si sfila l'apparecchio per non sentire più quelle voci lacerate e martoriate dalla violenza delle fiamme. Sei vite andate via in fumo.

Vuoi vedere un trucco di magia? Prima ci sono, ora non ci sono più.

Come è possibile?

Se la gente che ha architettato la bomba non si trovava all'esterno...

La realizzazione lo fa quasi traballare la bile in gola.

Se non sono all'esterno, sono all'interno.

Sono sempre stati all'interno!

Ma l'ha capito troppo tardi. Quasi non si accorge degli spari improvvisi e delle urla di furore degli uomini appostati all'interno.

Pop, pop, pop. Una telecamera nel lato est diventa nera. Poi un'altra. Poi un'altra ancora.

Victor sente i capelli rizzarsi sul suo cranio mentre osserva una figura vestita di nero avanzare per i corridoi, rapida come un turbine, schizzando le opere d'arte di sangue, uccidendo uno, due... e poi un altro schermo diventa nero.

Poi, con aria orripilata nota che non è solo l'ala est, ma tutto ciò sta succedendo contemporaneamente anche nell'ala ovest.

«Signore... Intruso...ーTroppo veloce...ー Ghaaaaaahhh»

«Aiuto-- La prego...»

«Per favor»

Gli intrusi si stanno precipitando pericolosamente veloci verso la sala di controllo. La sua sala, si rende conto Victor, stordito.

Proteggilo con la tua vita, se necessario. Con le ultime vestigia di lucidità, Victor serra la porta a chiave (non servirà a molto, ma magari li rallenterà) e aspetta, aspetta, aspetta che il silenzio di morte cada sul museo, aspetta finché non sente due paia di passi distinti nel corridoio.

Punta la colt davanti a sé, mani tremanti. Non sapeva avrebbe dovuto arrivare a questo. Mio Dio, mio Dio.

Gli intrusi battono alla porta una, due volte, ma poi capiscono che non andranno da nessuna parte con le maniere gentili. Bastano due colpi ben assestati con la pistola e la serratura cede e la porta della stanza scricchiola mentre si apre. Victor è temporaneamente accecato dalla luce dell'esterno, la neve che cade senza posa e vortica nell'aria invernale.

I due sono lì davanti, pistole in mano e sguardi determinati, soldati come lui. Si rende conto che sono due donne.

Serra la mascella e le guarda con espressione di sfida.

«Buttate a terra le armi oppure sparo» sibila. Le due si lanciano un'occhiata in tralice, ma continuano a mirare alla sua testa con le loro Beretta Storm.

«Ehi, amico, siamo due contro uno» replica una, uno spesso accento tedesco sotto la parlata russa «Non siamo noi quelle in svantaggio»

«Buttate a terra le armi, ho detto» ripete Victor «O vi ammazzo»

La ragazza tedesca fa per aprire la bocca, ma l'altra la ferma.

«Molto bene, прекрасно» dice, sorridendo e buttando a terra la pistola (sua e della compagna) «Va bene?»

Victor si rilassa un po', la mano ancora sul grilletto. Bene. Tutto bene, tutto al sicur

Si accorge del rumore troppo tardi. Rumore, ancora, suono di qualcuno che striscia. Metallo contro carne.

Le condutture, pensa tra sé, maledicendosi per l'ingenuità. Sono entrate dai fottuti condotti di aerazione.

Prima che possa girarsi, la griglia che porta aria alla stanza cade a terra dietro con un suono metallico di lui e una figura femminile dai capelli castani raccolti in una coda volteggia a terra, pistola puntata alla sua schiena.

«Game Over» e preme il grilletto. Tre punture infuocate tracciano un percorso di dolore nella sua schiena e Victor crolla a terra in un lago del suo stesso sangue, occhi sgranati per lo shock. Non sente più le gambe, non sente più niente. Solo dolore.

«Bel colpo, Andrea» esclama Colonia con un sorriso gioviale, riprendendo le armi e passando una pistola a Blake «Niente male davvero»

«Grazie» Blake e Andrea si accomodano davanti alle postazioni dei computer, dita rapide che premono tasti, distruggono firewall, abbassano il jamming, dati, dati e dati riflessi nei loro occhi determinati mentre le informazioni elettroniche vengono crackate, lo scudo smantellato, il router danneggiato.

«Quanto tempo all'ora X?» domanda Andrea, concentrata, mentre lavora davanti allo schermo.

«Tre minuti»

«Ottimo»

«Aiuto» rantola Victor, tre pallottole nella colonna vertebrale mentre le sue dita insanguinate cercano il pavimento, trascinandosi dolorosamente verso l'uscita. Proteggilo con la tua vita, se necessario. Ma Victor non vuole morire. Vuole solo tornare a casa da suo fratello e fingere che non sia successo niente, che le sue gambe funzionino ancora, dimenticare il dolore e farsi una dormita, bere del kvas con gli amici.

«Certo» sorride la ragazza tedesca, labbra che si muovono ma suono che non gli arriva alle orecchie, come in un film muto, come in un film di guerra mentre gli appoggia il muso della pistola alla guancia «Ti aiuto io»

Uno sparo.

Poi il silenzio.

 

12:00

A mezzogiorno in punto del 7 Dicembre, ventisette bombe esplodono in posizione strategica dell'area metropolitana di San Pietroburgo, gettando l'intera città nel caos. Il jamming è saltato e la situazione sta rapidamente sfuggendo di mano agli uomini che hanno attaccato la città.

Caos. Terrore. Angoscia.

Tutti catalizzatori del disordine, che è quello che loro vogliono. Tutto per spostare la loro attenzione sul diversivo.

Intere squadre di uomini in nero sono state spedite ad investigare e Lene, accoccolata dietro il bancone di una sala da tè non lontano dal museo, estrae il cellulare con tutta.

Ha fatto proprio un bel lavoro con le bombe.

Il jamming non c'è più, e lei compone il numero in chiamata rapida con un sorrisino malcelato.

«Sì. Sono io. È tutto pronto, sì»

 

12:04

«Hai sentito?» bisbiglia Gala a Jules, notando il lampadario traballare pericolosamente sulle loro teste, gli occhi viola, grandi come palline da tennis.

È seduta sul letto, i capelli acconciati in due dutch braids mal riuscite quando l'ondata di esplosioni riverbera per tutta la città. La stanza è grande ed ariosa, con mobili in legno scuro e lucido, poltroncine accompagnate da stoffe verdi e seriche, un armadio bianco moderno, la scrivania perlopiù inutilizzata e la televisione al plasma. I loro due letti sono gemelli, ricoperti da uno spesso piumone a decorazione astratta.

Jules appiccica la faccia contro il vetro delle finestre a baia, mentre le guardie appostate nella stanza accanto iniziano a confabulare in un russo spezzato e rapido.

Fuori, San Pietroburgo sembra nel caos: uomini in divisa che corrono a festa e a manca, furgoni che si fermano di botto, facendo stridere gli pneumatici, ordini che vengono urlati sopra il rumore delle bombe.

«Credo che ci abbiano trovati» esclama Jules, mentre un largo sorriso si allarga sulle sue labbra «Se gli altri sono in città, dobbiamo trovare un modo per unirci a loro»

Gala annuisce, affiancandosi a lui per riconsiderare la situazione. Quella notte nessuno dei due ha dormito, anzi, si sono tenuti svegli l'un l'altra, cercando di fare piani per la fuga e per l'evocazione, ma non raggiungendo una decisione precisa.

«Sarà difficile» osserva la ragazza, battendo le unghie contro il vetro «Ci sono un sacco di cecchini là fuori, ma si può provare»

«Dobbiamo provare» annuisce Jules «Abbiamo più chanches di fuggire ora. Qualche idea»

«Lascia fare a me. E... Jules?»

«Sì?»

«Mi dispiace per tutto il casino in cui ti ho trascinato. Mi dispiace di averti mentito riguardo alla mia morte. Se dovessi morire oggi, sappi che...» si passa la lingua sulle labbra fessurate e secche «Mi dispiace. Di tutto»

«Non c'è problema» Jules le batte una mano sulla spalla con un sorriso teso «Siamo o non siamo una famiglia? Ora, grande capo, attendo i tuoi ordini»

«Ottimo!» Gala spalanca le finestre con un mezzo sorriso «Nasconditi dietro la porta, ho un'idea»

Jules, rabbrividendo un po' per l'aria pungente, scivola nell'angolino della stanza ammobiliata di soffici sette verdi, e attende pazientemente.

Gala prende il respiro e si getta sul letto di fianco, iniziando a strillare di dolore.

«Ahhhh! La mia milza! Aiuto! Aiuto, per favore!» un istante dopo, i loro due aguzzini spalancano la porta a calci, sguardi spiritati e sconvolti che volano sulla ragazza che si contorce e mugola sul letto.

«Cosa succede?!» uno dei due si inginocchia accanto a lei, imprecando tra sé.

È un secondo di distrazione che rovina tutto. Gala spalanca gli occhi e sorride, piega le ginocchia e, con un calcio ben assestato, manda la guardia a ruzzolare sul pavimento.

Il suo naso si spezza con un sonoro 'crack' e fiumi di rosso gli irrigano la faccia e gorgogli incongruenti lasciano le sue labbra.

La seconda guardia da per estrarre la pistola, ma è già troppo tardi, perché Jules gli è dietro e gli preme l'avambraccio contro la gola, iniziando a soffocarlo, suoni umidi e strozzati che escono dalla sua gola.

Gala balza in piedi con uno scatto felino, mollando un altro calcio al pomo d'Adamo del pover'uomo, che stramazza a terra con il volto tumefatto e rigonfio.

«Se vuoi stordire un uomo, mira all'ugola» canticchia lei mentre sfila il pesante cappotto dalle spalle dell'uomo e prende la pistola, vestendosi per affrontare il pesante ed inclemente inverno russo. Jules lascia cadere anche l'altro uomo, esanime è preso dalle convulsioni.

«Bel lavoro di squadra! Chi te l'ha insegnato?» domanda Jules, replicando le azioni di Novembre con un sorriso concitato.

«La necessité» esclama lei, chiudendo la zip e facendogli l'occhiolino. Il cappotto è un po' grande, ma può andare «Andiamo?»

«Dalla finestra?» domanda Jules, orripilato nel vedere Gala scavalcare il balcone a mani nude.

«Siamo molto più forti dell'umano medio, quindi non preoccuparti. La hall sarà piena di uomini in nero. Non possiamo uscire per la porta principale» sorride lei, scomparendo dalla sua vista «Spero ti piaccia l'arrampicata!»

Jules sospira, issandosi a sua volta sul grande balcone della camera e scivolando sul cornicione, con un respiro traballante.

Gala è già a metri di distanza, i piedi che rimbalzano su una delle soffici coperture rosse ed arcuate che incorniciano le finestre. Et, voilà, con un salto aggraziato è accucciata sul marciapiede e gli fa cenno di sbrigarsi con la mano.

Jules inspira a fondo, appigliandosi al cornicione con le mani, per poi lasciar penzolare i piedi nel vuoto in cerca del prossimo punto d'appoggio. Sente le vertigini assalirlo e il frusciare degli alberi della piazza gli fa venire i brividi, ma tenta di sopprimere la sensazione, pensando ai suoi fratelli e a Gala, che lo attende a terra con sguardo ansioso.

La discesa gli pare interminabile, le sue dita sudate nonostante il freddo, che tentano di infilarsi nelle nicchie più recondite, negli appoggi delle pietre scivolose e levigare dal tempo.

Infine, però, riesce a scivolare a terra con un balzo incerto e non è mai stato così felice di trovarsi sull'asfalto, tanto che si metterebbe a baciare il suolo, in quel momento.

«Su! Meglio sbrigarsi» lo incita Gala, prendendolo per la manica e tirandolo in mezzo alla strada, solitamente trafficata da vetture ed autobus, ma oggi tristemente silenziosa.

Corrono in mezzo alla vegetazione rigogliosa di Isaakiyevskiy Skver, evitando i sentieri turistici che li lasceranno a capo scoperto.

Il respiro di Gala è rapido, epinefrina che viene pompata a tutta potenza nel suo sistema sanguigno, muscoli tesi allo spasmo e ATP pronta per essere bruciata dal sistema aerobico.

«Gala, io volevo solo dirti...» incomincia Jules, mordendosi il labbro, occhi verdi che cercano i suoi. Prende un respiro ed apre la bocca per parlare, quando il rumore di foglie secche calpestate li fa scattare sull'attenti.

«Oh, ma che coincidenza. Anche voi qui per una passeggiata?» Gamma sbuca da dietro un albero, indossando un sorriso forzato e grondante di saccarina, nella sua mano una pistola, dietro di sé almeno una decina di guardie «Avreste potuto invitarmi. Mi sento escluso ~»

 

12:13

«Avanti, cammina più veloce, idiota» Isabelle Trick alza il mento, impettita, facendo cenno a Claude di seguirla attraverso le strade, ora affollate di gente terrorizzata e ferita e di loro colleghi che cercano di far mantenere la calma. La neve cade fitta e bianca, posandosi sulle spalle del suo impermeabile scuro e lucido.

Questa non ci voleva: delle bombe in città? Chi sarebbe così idiota da mettere bombe in città quando non c'è nessuno per strada?

«Arrivo, tesoro~» Claude la tallona con uno sbuffo infastidito e pistola alla mano, mentre entrambi si dirigono a capo chino verso la fermata della metropolitana incriminata. Ci sono curiosi che si affollano davanti all'entrata della Dostoevskaya, linea 4. Alcuni uomini in nero sono posteggiati davanti all'accesso, sguardi truci e indispettiti e mitra in piena vista per scoraggiare gli abitanti più indiscreti.

«Isabelle Trick e Claude Beacons» esclama senza fiato, tirando fuori la carta di identità «Siamo con il maestro Gamma. Ci hanno detto di venire ad investigare dei movimenti sospetti nella metropolitana dopo l'esplosione»

I due uomini di guardia li fanno entrare senza ulteriori domande e i due preparano le armi, scendendo con cautela sugli scalini scivolosi di neve sciolta.

La stazione della metropolitana è composta da colonne bianche, annerite dal fumo dell'esplosione.

I grandi candelabri che adornano il soffitto sono ora a terra, infranti in pericolosi grovigli di vetro e metallo. Claude ne aggira uno arricciando il naso, sentendo l'adrenalina pompargli nelle vene.

Davanti a loro ci sono i binari semibui e uno dei grandi mezzi di trasporto staziona lì vicino, le porte aperte, immoto come un gigante addormentato.

Qualche teppista sconsiderato ha avuto la bella idea di scribacchiare un 'Viva il capitalismo' sulle porte in fondo.

«Pensi che siano state le marionette?» domanda Isabelle, puntando la pistola davanti a sé, le sopracciglia aggrottate per la tensione.

«E chi, se no?» Claude fa schioccare la lingua sul palato. Nessuno in vista, ma la stazione ha un'aria spettrale, così abbandonata, con solo alcuni poster sdruciti che svolazzano nel vento, incomprensibili scritte in cirillico sopra.

«Meglio se andiamo a controllare il prossimo luogo dell'esplosione» commenta lei «Se sono in città non saranno così stupidi da farsi prendere qui»

«Aspetta un attimo» Claude fa un passo titubante all'interno del vagone, annusando la polvere da sparo ancora nell'aria «Diamo un'occhiata qui dentro e poi ci muoviamo al prossimo punto»

«Come vuoi» Isabelle scrolla le spalle, percependo improvvisamente la strana sensazione di essere osservata. Lancia occhiate nervose a destra e a sinistra, per poi seguire Claude nel grande serpente di metallo addormentato «Questo posto mi dà i brividi. Muoviamoci»

«Fufufu, Belle. Se hai così tanta paura, puoi stringerti a me» commenta Claude con un ghigno sulla faccia alzando la pistola verso i sedili con aria divertita. Nulla, solo silenzio e semioscurità. Con calma, si incamminano verso la fine della metropolitana, ispezionando vagone dopo vagone con attenzione maniacale. Dopo essere arrivati in fondo all'ultimo ed essersi scambiati uno sguardo stranito, i due ritornano indietro con una scrollata di spalle, lievemente rassicurati.

«Beh, cazzo. Niente azione per Claude» fischietta lui allegramente mentre Isabelle gli lancia uno sguardo infastidito.

«Non dirlo troppo forte, altrimenti si avvera»

«Sempre la solita bacchettona. Rilassati ogni tanto, Bellatrix» le dà un buffetto sulla spalla, rifilandole quel sorrisino idiota che piace alle ragazze «Altrimenti ti vengono le rughe a vent'ann»

Non fa in tempo a finire la frase, che le luci si spengono improvvisamente, gettando l'intero vagone nell'oscurità.

Isabelle trasalisce improvvisamente, schiena premuta contro quella del partner e pistola puntata dinnanzi a sé mentre esplora con lo sguardo i suoi dintorni. I sedili ricoperti di tessuto blu sono vuoti e non ci sono altre vie d'uscita.

«Non siamo soli» Claude si irrigidisce accanto a lei non appena la porta che conduce alla loro postazione viene spalancata con un calcio e, due figure, una dinoccolata e l'altra più minuta e bassa fanno il loro ingresso.

«Beh, Beacons, è un piacere rivederti a San Pietroburgo» esclama sardonica Elisabeth, puntandogli il coltellino contro, un sorriso sadico che piano si allarga sulla sua bocca.

Elia, vicino a lei, estrae una pistola con cupa determinazione e si fa il segno della croce.

Isabelle, però, lascia che siano i fatti a parlare. Con un balzo felino, alza l'arma verso il soffitto e i due colpi di proiettile mandano in frantumi le luci a neon spente, una pioggia di cocci di vetro che investe le marionette. Lizzy scatta di lato, buttandosi di (poco) peso contro Claude e facendolo rotolare a terra sotto di lei.

Elia invece danza all'indietro con zelo, riparandosi da altre due pallottole dietro ai sedili più vicini, ma tenendo comunque sotto tiro la ragazza.

«Claude! Chiama i rinforzi!» sbraita lei mentre estrae il walkie-talkie dalla tasca dei pantaloni. Preme il pulsante per accenderlo, ma non fa in tempo, perché il prossimo proiettile di Elia lo colpisce con una traiettoria pulita, mandandolo in pezzi e slogandole il polso.

Isabelle sibila di dolore, balzando come una pantera verso di lui, ma Elia, con gli anni passati da marionetta, è molto più rapido e letale. Scarta di lato, evitando il nuovo proiettile per un soffio e si abbassa, strattonando Isabelle per un braccio e facendole lo sgambetto con eleganza. La ragazza fa una capriola in aria e atterra di fondoschiena con un gemito di dolore, la pistola che le scappa dal pugno e scivola verso il fondo del vagone. Si mette a gattoni per tentare di afferrarla, ma Elia, le molla un calcio in mezzo alle costole, facendole battere la testa contro uno dei sedili.

«Scusa!» esclama, afferrando la postola della ragazza e gettandola fuori dal finestrino, dopo aver tolto con cura tutti i proiettili ancora non esplosi «Di solito non mi piace picchiare le donne»

Intanto Elisabeth rotola a terra, schiacciata sotto il peso di Claude, dita che graffiano inutilmente le mani che si stanno stringendo sempre più attorno al suo collo.

Annaspa, cercando di formare una frase coerente, di spingerlo via, ma sente i polmoni in procinto di scoppiare, la gola che le brucia e gli occhi che cominciano a lacrimare.

«Avrei dovuto ammazzarti in Francia» ringhia Claude e Febbraio sembra ritrovare le vestigia del pensiero razionale. Con un ultimo, disperato tentativo, piega il ginocchio contro il propio petto sconquassato dalle convulsioni, ed estrae lo stiletto nascosto lì.

Claude quasi non si accorge dei suoi movimenti, ma quando sente il freddo metallo trapassargli la spalla, è già troppo tardi.

Molla la presa con un urlo, il suo braccio sinistro che pulsa di agonia mentre il sangue inzuppa la manica della camicia bianca. Claude tenta di rotolare via con una capriola, ma non sa quanto la ragazza possa essere determinata.

Lizzy non si lascia sfuggire l'occasione di una piccola vendetta personale e, mentre tossisce profusamente per riprendere fiato, tira un calcio al ragazzo, dritto dritto in mezzo alle gambe.

Il ragazzo emette un altro strillo, questa volta più acuto, e le sue pupille rotolano dentro al suo cranio mentre sviene, esanime, contro il pavimento della metropolitana.

«Bella mira» commenta Elia, nascondendo una risata, mente la aiuta a rialzarsi, il petto che si alza e si abbassa rapidamente e i segni rossi che stanno già diventando lividi bluastri sul suo collo.

«Grazie. Becca l'inguine quando vuoi stenderli» Elisabeth sputa a terra, occhieggiando con disgusto i due agenti esanimi e sorridendo tra sé.

«Missione compiuta»

 

Ore 12:36

Talini osserva il paesaggio brullo e gelido attraverso i binocoli, un mezzo sorriso che minaccia di sbocciare sulle sue labbra.

La strada è solitaria e la vegetazione incolta sfreccia vicino sul versante sinistro della macchina. Se non sapesse dov'è, penserebbe di essere in Antartide a causa della desolazione ghiacciata che si estende dinnanzi a loro.

Il cielo è di un minaccioso grigio ferro e non sarebbe stupita se si mettesse a nevicare.

«I ragazzi hanno eseguito il diversivo alla perfezione» esclama Percival, dal lato del passeggero della jeep, mentre un tesissimo Ilarion tiene le dita dalle unghie violacee sul volante, occhi puntati sulla strada ghiacciata davanti a sé «Sono orgoglioso di voi»

«Meglio che aspetti a dirlo. Non si sa mai come vadano le cose» Talini si morde il labbro, sobbalzando sul sedile posteriore del veicolo rubato, gli occhi socchiusi e il cappuccio di pelliccia tirato su per difendersi dal freddo.

«Non preoccuparti. Ora la loro attenzione è concentrata sul calmare i tumulti in città, non si accorgeranno quasi di noi. E, se si accorgono, basta sfondare le barricate, no?»

«La fai un po' troppo facile» mormora Ilarion a denti stretti, facendo attenzione a non far slittare le ruote sul ghiaccio spesso.

«Pensa positivo. Gente allegra, in ciel l'aiuta» esclama Percival, dandogli una pacca sulla spalla e rituffandosi nell'esame della cartina.

«Pensate che Gala e Jules stiano bene?» domanda Ilarion, premendo sull'acceleratore, dita che gli prudono per il desiderio di colpire qualcuno.

Talini giocherella con la pistola posata sulle ginocchia, dubbiosa, ma Percival sogghigna lievemente.

«Non preoccuparti. Gamma non lascerà che le accada nulla di male. E poi, noi stiamo andando a salvarli»

«Dopotutto, non penseranno mai che siamo così folli da risalire la Neva in macchina quando è ghiacciata, giusto?» Talini scoppia a ridere di gusto, un po' forse per allentare il cappio di tensione attorno al suo collo «Giuro, Percy, questa è l'idea più folle e geniale che tu abbia mai avuto!»

«Perché non sei tu quella al volante» bofonchia Ilarion, abbassando la testa e riprendendo a guidare con le spalle piegate e l'angoscia che gli opprime il petto.

 

Ore 12:39

«Gamma, non deve andare per forza così» Gala alza le mani sopra la testa, un filo di disperazione intrecciato alla sua voce mentre il drappello di uomini in nero forma un cerchio attorno a loro tre «Puoi ancora unirti a noi. Fare la cosa giusta. Getta la pistola e troveremo una via d'uscita»

Gamma socchiude gli occhi, l'arma puntata davanti a sé, mentre soppesa la situazione con un gelido sorriso calcolatore.

«Mi spiace, ho già fatto la mia scelta tempo fa» sospira profondamente, indefesso «Non ho intenzione di farvi del male, perciò non mi costringere. Tornate in albergo, da bravi bambini, e guardate la televisione. Vi prometto che sarà finita prima che ve ne accorgiate»

Fa cenno alle guardie di non muoversi e cerca di trovare un compromesso con le Marionette.

«No» Jules si para davanti a Gala, il volto scolpito in un'espressione esausta, ma tenace «Non abbiamo intenzione di farlo»

Un muscolo si contrae nella mascella di Gamma mentre posa il dito sul grilletto; Jules è più rapido e scarta di lato prima che il proiettile bollente gli morda la carne. Rotola a destra e balza in piedi, colpendo Gamma allo stinco, ma l'affondo non lo fa cedere. L'albino ruota su se stesso, e con un pugno fa stramazzare a terra Dicembre, mollandogli uno, due, tre calci nel costato, finché non sente il 'crak' disgustoso e inquietante delle ossa che si spezzano come legno secco.

«No!» strilla Gala, gettandosi addosso a lui, afferrandolo per la spalla con l'intenzione di ferirlo. Gamma la spinge indietro, facendola barcollare, e Gala inciampa sul corpo rantolante di Jules, ruzzolando a terra con un gemito soffocato.

Si rialzano in piedi a fatica, entrambi ansimanti ed ammaccati, ma con ancora più determinazione che brilla negli occhi.

«Tornate all'hotel» sibila Gamma, indicando la strada con la pistola «Da bravi, non fatemi usare i miei poteri, altrimenti ve ne pentirete»

«Va al diavolo!» Gala riparte alla carica, colpendolo alla mascella con una gomitata e avvinghiandosi al suo braccio nel tentativo disperato di strappargli la pistola. Le sue unghie affondano nella sua pelle, ma nella colluttazione il dito dell'uomo scivola sul grilletto e la pistola esplode un colpo.

Un gemito ed un gorgoglio.

Gala sgrana gli occhi nel vedere Jules stramazza a terra, un punto sulla camicia dove pian piano si sta allargando un un tramonto rosso sangue. I suoi occhi verdi roteano, mostrando il bianco delle sclere, le mani artigliano la stoffa inzuppata della sostanza rossa; emette un gemito ricadendo a terra pesantemente, immobile.

«Jules, oh, Dio» Gala si getta su di lui con uno strepito angosciato, lacrime che le corrono lungo le guance mentre tenta di comprimergli il torace, fermare l'emorragia. Gamma la afferra per il colletto, sbattendola contro un albero. La ragazza geme, gli occhi strizzati per il dolore, le mani coperte di liquidi vermiglio.

«Bastardo! Ti odio!» sibila tra i singhiozzi, ma gli occhi di Gamma sono duri e non perdonano.

Le punta la canna ancora fumante della pistola contro la tempia sibilando tra i denti.

«Mi dispiace, Gala. Non volevo arrivare a questo» la ragazza geme, volto pieno di graffi e occhi di disperazione, le unghie che affondano nella carne del polso dell'albino, un grido muto congelato sulle labbra.

«Aspetta, no, NO! Cristo Gamma, non avrai intenzione di» ma lui preme la pistola ancora più forte contro la sua pelle, l'espressione abbattuta e melanconica e uno 'scusa' dipinto in volto.

«Fidati di me, Gala»

E preme il grilletto.

 

Ore 13:22

Beta ammira con calma il paesaggio dalla stretta balaustra dello Dvortsovyy Most, le gambe penzoloni mente i suoi occhi bevono la bellezza del paesaggio, gli stucchi armoniosi dell'Ermitage e le sue pareti di un intenso color verde acqua. La piazza è vuota se non per l'enorme obelisco che torreggia sullo spiazzo circolare e si può udire il bisbigliare del vento nelle sue orecchie.

Si riempie i polmoni di aria, il freddo che penetra nella sua carne come spilli acuminati e le dita intirizzite ed è così felice di essere viva.

«Sei venuta per vendicarti, immagino» sorride biecamente, sentendo la pressione del muso della pistola contro la nuca «Prevedibile, davvero»

Deianira ghigna, lei e Gavril completamente vestiti in tute scure e giubbotti antiproiettile che stanno fermi in mezzo al ponte, trepidanti e pronti all'azione.

«Mi spiace deluderti, ma non dico mai di no ad un po' di sana azione» e la battaglia comincia.

 

chion whispered:

buongiorno, plebei! *giusto, alice, stay classy come al solito*

probabilmente vi aspettavate ange in fondo all’angolo autrice, ma io l’ho convenientemente stordita ed imbavagliata e chiusa nel sottoscala per sacrificarla a chtulhu.

no, hahaha, scherzo, in realtà ange è convenientemente accampata sul mio tavolo da ieri sera a fare problemi di fisica mentre si lagna dell’umidità(?). i miei problemi di fisica. io in cambio le faccio inglese hahaha.

comunque sia, dubito mi conosciate visto che poco entro nel fandom e su efp, ma comunque, salve, chiamatemi rie (o nevertheless, ma è un po’ lungo, lol).

ange: aka, la cugina di 39484esimo grado che tengo in cantina

rie: è scema, ma le voglio bene lo stesso

ange: comunque sia, finalmente arriviamo al tanto famigerato capitolo 12, che scatta in prima posizione come capitolo preferito b/c botte e sangue e, sapete com’è.

rie: also, gala e jules muoiono, hahaha

ange: *si nasconde dietro al tavolo per evitare i pomodori marci* ehm… sì.

rie: più sadica di martin. si vede che abbiamo un po’ di geni in comune!

ange: sorvoliamo ;w;

rie: comunque, se qualcuno di voi ha notato, ange ha pure aggiunto una colonna sonora nel primo capitolo(?) per ogni capitolo. canzoni giapponesi, perché con quelle inglesi non finivamo più. quella di questo è brave shine, no?

ange: giusto! fatemi sapere cosa ne pensate!

rie: …sempre che non ti lincino prima :D

ange: sei una vera amica.

rie: no, sono una cugina :DDDDD

ange: btw, ora meglio che torni a fisica… comunque, gente, non andate sulla darknet. il deep web è contorto *si nasconde sotto il tavolo*

rie: aye, vendono marijuana come spacciare adesivi alle elementari

ange: …e anche di peggio. comunque, ora meglio se andiamo, che poi abbiamo gente a casa a vedere lights out! non dormirò stanotte

rie: muhuahuhuahuhahua!

al prossimo capitolo che sarà postato *guarda calendario* va bene il sedici?

okay, au revoir!

ange e rie

  
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