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Autore: nikita82roma    02/09/2016    4 recensioni
Nuovo capitolo della serie di Always Together. Sono appena finite le feste di Natale ed il giorno del parto di Kate si avvicina. È sola al loft nella mattina di una giornata particolare di inizio gennaio che la porta a ricordare molte cose degli ultimi mesi trascorsi con Rick e della sua gravidanza. Le vite di Beckett e Castle stanno per cambiare, ancora una volta, ma per un evento bellissimo. Tempo di riflessioni ad un passo da una tappa fondamentale nella loro vita, la nascita della loro bambina. Storia breve di cinque capitoli.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Kate si asciugò in fretta le lacrime versate per quel piccolo Babbo Natale abbandonato troppo in fretta, lo aveva eletto in breve a simbolo della sua triste impossibilità di lasciarsi il passato alle spalle. Questo non voleva dire dimenticare, lo sapeva bene anche lei, non avrebbe mai dimenticato nulla, le sarebbe stato impossibile, voleva solo dire ricominciare a vivere anche quel giorno come se fosse un giorno normale, non uno da sacrificare all’altare del suo dolore, obbligando tutte le persone che le stavano vicino ad allontanarsi per permetterle di consumarsi in un lutto mai esaurito. Sapeva nel suo intimo che sua madre non avrebbe mai voluto questo per lei, che se fosse stata lì, ogni anno le avrebbe detto di guardare avanti e di non buttare via la sua vita, in quell’occasione come in tante altre. 
Johanna avrebbe sicuramente voluto che lei quel passato se lo fosse lasciato alle spalle molto prima, che avesse vissuto la sua vita senza rinchiudersi nella sua torre di dolore e solitudine per troppo tempo prima che Castle riuscisse a strapparla via. Pensava che sua madre avrebbe trovato divertente quel gioco di parole, lei era una persona di spirito che sapeva divertirsi. Sorrise Kate nel pensare a come sua madre avrebbe accolto l’idea che Richard Castle fosse suo genero, lei lo aveva sempre apprezzato come scrittore per il suo ottimismo anche nelle storie più cupe, che lasciava sempre intravedere una luce, una speranza, per tutti. La faceva illudere che il mondo fosse più facile e più leggero di quello che era. Questo era lo stesso motivo per il quale anche lei aveva trovato rifugio nei suoi libri. Sorrise pensando che aveva tenuto quel segreto per tanti anni, per poi tradirsi proprio quando non ricordava nulla di loro.
Era stanca. Molto più del solito. Pensava che tutte le emozioni di quel giorno avevano indebolito il suo corpo che sopportava sempre meno sforzi fisici ed emotivi, e aveva cominciato ad avere dei piccoli dolori di breve durata ed intensità. Kate dava la colpa a quelli che pensava fossero i movimenti di Lily. 
Decise di tornare in camera e stendersi un po’. Si mise di fianco, la posizione in cui riusciva a rilassarsi di più, circondata da cuscini per aiutare a sostenere la pancia e la schiena. Aveva allungato una mano sul comodino, accarezzando il portacandele di cristallo che le aveva regalato Rick. Non lo aveva più acceso, ma lo aveva tenuto lì vicino a lei, in una posizione che ogni mattina faceva riflettere i raggi del sole, creando con le tante sfaccettature piccoli arcobaleni nella stanza. Lo sguardo andò oltre, verso quello che era stato l’ultimo acquisto che avevano fatto: una culla da tenere nella loro stanza. Inizialmente Kate si era opposta a questa idea, obiettava che la stanza di Lily era attigua alla loro e con le modifiche che avevano apportato sarebbero entrati direttamente lì dalla loro stanza: avevano i baby monitor non era necessario che dormisse con loro. Castle inizialmente si era opposto a questa decisione, ma Kate era ferma e sembrava irremovibile: Lily avrebbe avuto la sua bellissima stanza e dormire fin da subito lì l’avrebbe resa più autonoma. Poi era accaduto tutto all’improvviso, un giorno dopo Natale. Non avevano più parlato di questa cosa, ma mentre Kate stava parlando con Alexis sembrò folgorata dall’idea che realmente, tra poco, lei e la sua bambina non sarebbero state più una cosa sola, che se ne sarebbe in qualche modo distaccata. Improvvisamente la distanza di una decina di passi tra il loro letto e la camera di Lily le sembrò una distanza incolmabile per il suo animo. Così Rick uscì, insieme ad Alexis e scelsero la culla più bella che avevano trovato, che sarebbe stata bene anche nella stanza di Lily, con il tulle e le imbottiture color avorio e le rifiniture rosa. La cosa che più le piaceva era, come le aveva spiegato Rick, che poteva abbassare uno dei lati e avvicinarla al letto, come se fosse un naturale prolungamento del loro. Kate si sentì subito rasserenata nel vedere quella culla nella loro stanza, un elemento così in contrasto con il resto dell’arredamento forte e maschile che rispecchiava a pieno il carattere di Rick, ma che ora le sembrava perfetta per quel luogo. Lo abbracciò e si scusò più volte per essere stata così stupidamente intransigente ma lui le sorrise prendendola in giro, perché era assolutamente convinto che prima che Lily nascesse avrebbe cambiato idea. La conosceva fin troppo bene, ma lui le diceva che quello era solo l’istinto della mamma leonessa che era in lei, che si risvegliava pian piano.
Allungò una mano a cercare il cellulare. Era l’ora di pranzo suo marito le mancava e continuava a sentirsi sempre più spossata e quei fastidi non cessavano, anzi. Non voleva stare sola.
- Ehy Castle…
- Beckett! Stai bene?
- Sì, però mi manchi. - Ammise lei, evitando di parlargli del resto.
- Sei sicura che stai bene? Vuoi che torni a casa? 
- Sì, sono solo stanca.

Non ci fu bisogno di dirgli altro. Kate non sapeva cosa Rick stesse facendo, se stava solo passando del tempo fuori o se era a qualche riunione per la serie tv su Nikki Heat che sarebbe andata in onda quella primavera o a pranzo con qualche suo sponsor, lui le disse solo che stava per arrivare e Kate sapeva esattamente che quello voleva dire che il tempo che avrebbe impiegato per arrivare al loft era quello effettivo per coprire la distanza dal punto nel quale si trovava a lì. Non era un modo di dire, era effettivamente quello il senso: stava arrivando da lei.

Castle tornò ed appena aprì la porta del loft la chiamò, ma non ottenne risposta. Andò subito nella loro stanza e la trovò adagiata su un fianco tra i cuscini. Pensava stesse dormendo. Si sdraiò dietro di lei e quando la abbracciò sentì la mano di Kate prendere con forza la sua e stringerla per qualche secondo, per poi rilasciarla.
- Kate, cosa c’è?
- Solo un po’ di dolori Castle, vedrai che passeranno presto. Rimani qui?
- Certo che rimango…
Si strinse a lei ed anche Kate sembrò rilassarsi con la sua presenza.
- Non dovevo chiederti di rimanere sola - gli disse portando la mano di lui sul suo petto.
- Non ti preoccupare, stai tranquilla. - Ma Rick sentì che strinse nuovamente la sua mano, non le chiese nulla, lei avrebbe negato, ma era evidente per lui che quei dolori non smettevano. Rimasero così per un po’ e Castle aveva cominciato a calcolare, guardando l’orologio se quei dolori si presentavano in maniera costante. Era così. Nell’ora successiva aveva calcolato che si erano ripetuti ad una distanza di circa 15 minuti. Stava per chiederle se quella mattina avesse avuto altri casi di dolori simili, quando lei si alzò dicendo che doveva andare in bagno. Pochi minuti dopo Rick si sentì chiamare e si precipitò da lei. Kate era pallida e con i lineamenti tesi.
- Credo di avere delle perdite - gli disse con un filo di voce
- Hai pensato che quei dolori possono essere delle contrazioni? - Rick fece questa domanda a Kate e la vide irrigidirsi ancora di più. Le si avvicinò prendendole la mano. - Credo che dovremmo andare in ospedale.
Rick le sorrise era emozionato e preoccupato allo stesso tempo, ma non vide in Kate la sua stessa gioia, si era anzi incupita.
- No, non può essere…
- Sì, Kate, può… Hai dei dolori ad intervalli regolari, può essere. - Sembrava che le stesse ribadendo l’ovvio. Uscì dal bagno, rimettendosi velocemente le scarpe e prendendo la borsa che avevano preparato qualche giorno prima per quando avessero dovuto andare in ospedale. Kate era uscita dal bagno e vedendolo con la borsa in mano lo fermò.
- Non può essere oggi, Castle, non mi serve quella. Andiamo solo per farmi controllare, ok?
- Va bene, la porto solo in macchina, così rimane lì, va bene? Prometto che non la faccio uscire dal portabagagli!

Uscirono di casa mentre Kate stava avendo quella che per Castle era chiaro fosse un’altra contrazione.
- Stamattina ne hai avute altre? - Le chiese appena il dolore fu passato ed erano in ascensore.
- Solo qualche fastidio e Lily un po’ più agitata. - Kate sembrava essere tornata lucida e serena. - Non può nascere oggi Rick.
Le ripeteva quella frase come un mantra e lui non aveva più il coraggio di replicare. Gli mancavano le parole. Le cercava nella sua mente, sarebbe andata bene anche una banale frase fatta, una di quelle che avrebbero fatto arrabbiare tantissimo Kate, almeno si sarebbe distratta, invece la sua mente era una pagina bianca, una schermata vuota dove nemmeno il cursore lampeggiava più.
Kate si sedette faticando più di quanto aveva immaginato nell’auto e Castle la guardava così agitato e preoccupato che non sapeva cosa fare. Si era immobilizzato davanti il suo sportello aperto mentre lei lo guardava in attesa che decidesse cosa fare. 
- Castle? Concentrati! Andiamo? - Gli disse decisa cercando di ridestarlo. Lui chiuse meccanicamente la portiera dalla parte di Kate, butto la valigia che ancora teneva in mano nel portabagagli e si andò a sedere al posto di guida. Fece un gran respiro prima di accendere il motore e poi partì. Non proprio quello che aveva immaginato per la sua corsa veloce in ospedale, ma quel giorno e quella reazione di Kate avevano fatto andare in cortocircuito le sue sinapsi e doveva ancora riuscire a metabolizzare quello che lui sapeva stava per accadere, dividendo in parti uguali la gioia, l’euforia, la preoccupazione per l’evento e per Kate. Soprattutto per Kate. Come sempre. Perché ora Castle era invaso dal nervosismo per lo stato di sua moglie, non quello fisico, aveva letto abbastanza per sapere che stava bene e che la cosa ancora non era così impellente. Rick era preoccupato che lei stesse negando che stava per partorire, perché non voleva farlo. Non quel giorno. Guardò l’orologio ed era ancora primo pomeriggio. 
Kate guardava fuori la pioggia che non aveva smesso un minuto di scendere da quando si era svegliata, ora più forte, ora più leggera, ma era costante. Vedeva la gente correre sui marciapiedi ed ombrelli che si alternavano scivolando uno tra gli altri e le sembravano le uniche note colorate di quella giornata.
Non ci aveva mai voluto pensare, inconsciamente aveva sempre rifiutato quell’idea a tal punto di non prenderla nemmeno in considerazione, perché era l’ultima cosa che voleva. Sua figlia non poteva nascere in quel giorno. Ed ora, benchè lo negasse a se stessa, sapeva che stava per accadere. Lo sentiva. Ed era totalmente impreparata. Non solo al fatto che tutti quei bei pensieri che aveva fatto negli ultimi mesi sarebbero diventati realtà, che da lì a qualche ora sarebbe stata non più solo una proiezione della sua mente e una presenza scalciante dentro di se, ma una nuova vita tra le sue braccia. Era impreparata al fatto che nascesse proprio quel giorno. Non ne aveva parlato con nessuno e nessuno aveva mai accennato a quell’idea. Non credeva al fatto che nessuno ci avesse pensato, semplicemente che nessuno glielo avesse voluto dire. Chi erano gli altri, in fondo, per paventarle un’idea simile e giocare con le sue emozioni. Doveva pensarci, doveva analizzare quella situazione, valutare quella possibilità, fare chiarezza con se stessa e cercare di capire cosa avrebbe voluto dire per lei. 
Invece ora si ritrovava catapultata dentro quella situazione. Sua figlia che sarebbe nata nel giorno che odiava di più, nel giorno che più di ogni altro le provocava dolore, che solo pensare che si avvicinava o leggerlo sul calendario erano fitte tremende, pugnalate come quelle che le avevano strappato sua madre. Ora quel giorno sarebbe dovuto diventare il più bello della sua vita. Come era possibile? Come poteva fare una cosa del genere? Si sentiva come se ad essere felice per quello che stava accadendo stesse tradendo sua madre, il suo ricordo ed il suo stesso dolore accumulato negli anni, ma allo stesso tempo si sentiva in colpa per non riuscire ad essere totalmente felice per la nascita di sua figlia, per rovinare questo momento con pensieri tristi e non dedicare a lei ogni sua emozione.  
Castle maledì quel semaforo rosso che gli sembrava stesse durando un’eternità: si voltò a guardare Kate ma vide solo il suo volto riflesso nel vetro, ma, poteva giurarci, stava piangendo in silenzio. Appoggiò una mano sulla sua gamba prima di ripartire e lei portò la sua su quella di lui. Comunicavano a modo loro, in silenzio.
Rick aveva chiamato durante il tragitto il dottor Yedlin che aveva immediatamente allertato l’ostetrica del reparto e quando arrivarono in ospedale Kate fu subito accompagnata in una stanza in reparto per dei controlli. Castle aspettò fuori fino a quando non lo invitarono ad entrare.
Kate era sdraiata sul letto, monitorata e con una flebo. Sembrava tranquilla, almeno in apparenza, con lo sguardo rivolto verso il muro. Aveva parlato brevemente con l’ostetrica prima di raggiungerla. Kate stava bene, la bambina anche. Ora tutto dipendeva da quanto sarebbe stato lungo il suo travaglio.
- Hey… - Castle le accarezzò la mano e Kate si voltò a guardarlo abbozzandogli un sorriso.
- Credo che quella valigia mi servirà Castle.
- Uh! Allora dovrò convincere il portabagagli a darmela. Gli avevo detto di tenerla e non farmela prendere assolutamente perchè non era il momento! Lotterò contro la mia macchina per te! - Kare sorrise mentre lui rimaneva serio nel ruolo del cavaliere senza macchia e senza paura.
- Grazie Castle.
- Tornerò vincitore! 
Le diede un bacio e andò velocemente a recuperare la borsa di Kate. Si appoggiò contro la parete dell’ascensore, respirando a lentamente e profondamente cercando di razionalizzare che stava per accadere. Ricordava la spensierata incoscienza con la quale aveva atteso la nascita di Alexis passeggiando per il corridoio dell’ospedale in attesa che lo chiamassero per vedere sua figlia. Ora era tutto diverso. Aveva un’attesa da vivere insieme a Kate. Mentre tornava verso la camera pensò di chiamare Jim. Sperava fosse in città, era l’unico che poteva tranquillizzare Kate. Fortunatamente gli rispose, la voce dell’uomo era palesemente provata, non era facile nemmeno per lui. Rick non sapeva da dove cominciare così gli disse semplicemente il fatto: Kate sta per partorire. Jim non ci mise molto a capire cosa volesse dire per sua figlia e così quando Rick gli chiese se potesse raggiungerli perché lei aveva bisogno di parlare con lui, l’uomo non se lo fece ripetere e rispose che sarebbe stato lì il prima possibile.
Trovò di nuovo delle infermiere vicino a Kate che controllavano i suoi parametri. Le ultime contrazioni erano state ogni 10 minuti e più intense. Rick entrò in stanza e la aiutò a cambiarsi. Le si erano rotte le acque, ora avevano la certezza che non era un falso allarme, avrebbe partorito realmente e lo sapeva anche lei.
- Ehy Beckett! Puoi sempre sperare di farti 9/10 ore di travaglio così Lily nascerà domani! - Rick aveva detto la cosa più stupida che gli era passata per la mente ma voleva farla reagire in qualche modo, anche se lo avesse minacciato di sparargli.
- Castle! - urlò a denti stretti stringendogli il polso con forza.
- Era più forte questa eh? - chiese lui e Kate annuì solamente.
- Hai chiamato tua madre? Ti aspettava per questa sera alla prima… 
- Kate, mia madre sapeva che non sarei andato in ogni caso. Non ti avrei lasciata sola, nemmeno a casa.
- Ci teneva…
- Capirà, ora più che mai.
- Alexis…
- Aveva il telefono staccato. Le ho lasciato un messaggio ed ho chiamato tuo padre… Verrà qui tra poco.
- Perché Rick?
- È giusto che parli con lui un po', non credi?
- Forse sì… 
Rick rimase con Kate tutto il tempo, fino a quando Jim non bussò alla porta, circa un’ora dopo dal loro arrivo. Kate, nel vedere la faccia del padre visibilmente commossa, lo salutò con uno dei suoi sorrisi più belli. Castle li lasciò soli a parlarsi, andando fuori a cercare di contattare di nuovo Alexis e sua madre.

-  Allora Katie, ci sei quasi… - L’uomo perse la mano della figlia tra le sue, proprio mentre un’altra contrazione arrivò e lei strinse violentemente la mano dell’uomo che scoppiò a ridere 
- Che c’è papà? - gli chiese Kate guardandolo perplessa di quell’atteggiamento 
- Tua madre mi faceva più male quando sei nata tu. - Accarezzò la fronte della figlia scostandole i capelli. Non aveva mai visto la sua bambina più bella e più simile a sua moglie.
- Perché proprio oggi? - sospirò Kate
- Perché tua figlia vuole conoscerti oggi. Cos’è quella faccia Katie? Oggi deve essere il giorno più bello della tua vita, tua madre non avrebbe mai voluto che tu te lo rovinassi con pensieri tristi. Pensa quanto si arrabbierebbe!
- Già, sicuramente tantissimo.
- Sì. Incrocerebbe le braccia sul petto, poi ti guarderebbe con quello sguardo tagliente uguale al tuo, Katie. Tu a quel punto non avresti altra possibilità che darle ragione.
- Proprio così papà.
- Quindi Katie, non far arrabbiare tua madre. Oggi più che mai lei vorrebbe vederti felice. Devi essere felice bambina mia, almeno quanto lo era lei quando sei nata tu. È stata una gioia immensa che tu oggi devi goderti fino in fondo con tuo marito. Non lo dimenticherai mai.
- Lo so papà. Lo so che dovrei essere solamente felice, ma…
- Niente ma Katherine! Il modo migliore per disonorare il ricordo di tua madre è rovinarti questo momento! - suo padre difficilmente la chiamava con il suo nome per intero. Non seppe far altro che fare un cenno di assenso con la testa mentre una nuova contrazione la fece irrigidire e stringere di nuovo la mano di suo padre.
- Sarò qui fuori, passa questo tempo con tuo marito. Non lo fa vedere ma è molto agitato, anche per te!
- Lo so papà. Grazie.
Jim le diede un bacio sulla fronte e poi uscì lasciando il suo posto a Rick.

- Allora Beckett? Come va? - chiese Rick prendendo di nuovo la sua mano e baciandola.
- Un po' più forti.
- E il resto?
- È strano…
- Vorrei fossi felice, amore mio.
- Rick… lo sono.
- Sicura?
- Sì…
Si guardarono intensamente a lungo senza dirsi nulla e l’emozione prese il sopravvento su di loro. Come se in quel momento avessero resettato tutto e avessero compreso quanto stava per accadere.
- È un segno Kate, tu ci credi nel destino? È tua mamma che lo ha voluto. È la vita…
Kate annuì e ancora una contrazione la scosse. Rick avvicinò la sedia al bordo del letto per esserle ancora più vicino.
- Mi dispiace per tutte le cose che non abbiamo potuto vivere insieme. Avrei voluto una gravidanza diversa, da vivere con te in ogni momento. - Gli disse Beckett appena si fu ripresa, mentre lui le accarezzava il viso dolcemente.
- Kate, è stato tutto perfetto così.
- Non è vero Castle, non lo dire solo per farmi sentire meglio adesso! 
- Ok non lo dico. Non è stato tutto perfetto nel senso normale del termine. Però è stato nostro, quindi perfetto per noi. Abbiamo mai fatto qualcosa di normale noi?
- No, ma sarebbe ora di cominciare, che ne pensi Rick? 
- D’accordo, per i prossimi faremo tutto secondo la normalità. Tanta pratica e tutto il resto.
- I prossimi Castle? Non devi mica partorire tu tanto, vero?
- Saranno tre Kate, lo sai anche tu. Lo ha detto Doyle, ricordi? Tu senatrice e noi avremmo tre bambini, quindi vuol dire che dovremmo fare molta pratica per farne altri due.
- Te lo puoi scordare Castle.
- Non decido io Kate! È il nostro futuro che è già scritto!
- Se questa conversazione doveva servire a farmi stare meglio e a non farmi pensare alle contrazioni ti avviso non sta facendo effetto, anzi…
- Ok sto zitto. - Kate lo guardò con il suo tipico sguardo tagliente - Però pensavo… potremmo avere dei gemelli…
- Castle… Non peggiorare la situazione, ti prego. Possiamo concentrarci su di lei senza pensare a gravidanze future?
- Va bene… Ma se avessimo dei gemelli, avremmo tre figli con due gravidanze, non sarebbe splendido?
- Castle, se non la fai finita, non avremo tre figli, perchè tu sarai morto prima di vedere la nostra prima figlia.
- Oh Beckett! Non renderesti nostra figlia orfana di padre, vero?
- Non mi tentare Castle, e non darmi buoni motivi per farlo. Ora ti prego dammi la mano e dimmi che andrà tutto bene.
- Andrà tutto benissimo Kate…
- Babe, ti amo tantissimo.
- Ti amo anche io Kate.

Erano ormai passate più di tre ore da quando Kate arrivata in ospedale. L’avevano visitata un’altra volta ma anche se stava procedendo tutto bene e molto velocemente secondo le infermiere, meno secondo Kate e Castle, non era ancora abbastanza dilatata. Le consigliarono di camminare un po', così Rick la aiutò a fare dei passi fino alla finestra della sua stanza e tornare indietro. Fecero quel percorso varie volte, abbracciati, fermandosi quando Kate serrava i denti e stringeva la mano di Rick più forte, segno che stava avendo un’altra contrazione. Non aveva mai urlato, però. Manteneva il suo ferreo autocontrollo tenendosi dentro il dolore che la attraversava, come se avesse pudore di farsi vedere così anche da suo marito.
- Puoi urlare Kate, è normale lo fanno tutte. - le disse stringendola un po' più a se.
- Ce la faccio Castle. Abbiamo passato di peggio. - fece una pausa per respirare un po' più a fondo - Sai a cosa stavo pensando? Al giorno che mi hai aiutato a camminare perchè non volevo il deambulatore.
- È stato bello aiutarti e non era giusto che usassi quelle cose da malati quando potevi appoggiarti su uno degli ex migliori partiti di New York.
- Ricordati sempre ex, Castle!
Si sorrisero ancora e Rick si piegò dandole un bacio sulle labbra, ma proprio in quel momento Kate ebbe un’altra contrazione più forte delle precedenti e inavvertitamente morse il labbro di Rick così forte che sanguinò.
- Scusami… - gli disse imbarazzata
- Non ti preoccupare Beckett. Ricordami però di baciarti solo dopo una contrazione nelle prossime ore! - le rispose mentre con il dorso della mano si teneva il labbro offeso - E che non si dica che anche i padri non soffrono durante il parto!
Kate si andò a sdraiare di nuovo. Le contrazioni erano sempre più frequenti, Rick voleva chiamare un medico per controllare se era giunto il momento ma lei gli disse di no, non erano ancora abbastanza frequenti.
- Castle… ci pensi? Sta per accadere… - Rick osservò Beckett che nonostante le contrazioni ora sembrava veramente molto più rilassata ed in pace con se stessa, la trovava bellissima anche così, affaticata e segnata dal dolore, ma aveva una luce diversa ora negli occhi che le dava un senso diverso a tutto il volto: era lei ma a Castle in quel momento sembrava di più e provò un tale trasporto verso sua moglie che faticò nel trattenere le lacrime. C’era una sincera emozione nelle parole di Beckett e mai come in quel momento gli sarebbe piaciuto essere nella mente di Kate per leggere ogni suo pensiero: Rick pensava che sarebbe stata un’esperienza bellissima.
Beckett chiuse gli occhi per un po' appena passata l’ennesima contrazione. Sentiva un vortice di emozioni dentro di se che la lasciavano spiazzata. Quella paura, che pensava sarebbe stato il sentimento dominante di quei momenti, era invece solo il retrogusto di un piatto ben diverso. Era eccitata, emozionata e impaziente. Più passavano i minuti più ad ogni fitta prendeva consapevolezza di se. Pensava soprattutto a come sarebbe stato il dopo, a cosa avrebbe provato nel vederla, nel sentirla, nel conoscerla al di fuori di se. Non c’era più spazio per nessun pensiero negativo, non c’erano più giorni sbagliati o giusti perchè anche il tempo le sembrava essere diventato un concetto irrilevante, e l’unico che la interessava era quello che la separava dal loro primo incontro.  
All’improvviso poi quel tempo le sembrò sfuggire via dalle mani, correva veloce come le contrazioni che si susseguivano sempre più rapidamente e più intense e qualche gemito ora le scappava tra i denti talmente serrati che temeva di romperli. 
E poi sentiva su di se la presa sicura di Castle, le sue braccia che la sorreggevano quando il dolore era più intenso e la accarezzavano subito dopo. Lo aveva immaginato chiacchierone ed ironico invece più si avvicinava il momento più diventava taciturno e serio. Lei lo aveva accarezzato dolcemente in uno di quei sempre più brevi momenti di relax, gli aveva passato una mano tra i capelli e poi sulla guancia e Castle ci si appoggiò per sentirla meglio. Colse nel suo sguardo, il suo solito sguardo adorante di quando la fissava ed avrebbe voluto donarle il mondo se lei lo avesse voluto, emozione e paura, forse più di quanta ne aveva lei. 
Quando vennero a visitarla un’ultima volta l’ostetrica le sorrise allegramente dicendo che c’erano quasi e l’avrebbero trasferita in sala parto. 

Sola aspettava che Rick la raggiungesse, ma lei in quel momento era come in una bolla che si era costruita per isolarsi dal mondo. Anche le voci dei medici le sembravano o ovattate. Era lì in attesa di sua figlia. In quel momento le parve che per tutta la vita aveva camminato per arrivare puntuale proprio lì, a quell’appuntamento e che tutto quello che aveva fatto era stato solo per giungere lì da lei. E sapeva, in quel preciso istante, che quello era esattamente il giorno e l’ora esatta perchè lei doveva essere lì, per sua figlia che la stava aspettando.
Sentiva un dolore intenso che le dava la sensazione di dividersi a metà avrebbe voluto urlare ma si trattenne ancora dal farlo, nonostante le lacrime scendessero a rigarle il volto. Respirò profondamente. Pensò in quel momento a tutte le volte che era stata ferita, allo sparo del cecchino al cimitero, all’acqua fredda nei polmoni da non farla respirare, ai due colpi di Caleb. Quel dolore era morte. Questo dolore era vita.
Sentì un braccio intorno alle sue spalle, si girò e vide Castle con un improbabile camice e cuffia troppo piccola per contenere tutti i suoi capelli che uscivano a ciuffi lateralmente: allungò una mano per accarezzarli. Non potè evitare di ridere e rise anche lui, ed urlò per la prima volta tra le risate per quella contrazione che l’aveva colta di sorpresa non preparata a respingerla.
- Beckett ma allora sei umana anche tu! Ed io che pensavo di poter andare a raccontare in giro che avevo sposato un’alinea!
- Castle, ti preferivo serio e preoccupato!
- Non è vero Beckett, lo so! Mi preferisci così perchè mi puoi minacciare di spararmi per sfogarti! 
- Chi ti dice che sia solo uno sfogo? 
Il dottor Yedlin interruppe il loro battibecco per dire a Kate di tenersi pronta, perchè con le prossime contrazioni doveva cominciare a spingere…

 

Un saluto veloce a tutti nonostante fusi orari e viaggi riesco a mantenere le promesse, ecco il nuovo capitolo, adesso ne manca solo uno. Sayonara!
   
 
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