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Autore: SkyDream    02/09/2016    3 recensioni
A Osaka, per varie notti, si susseguono omicidi sospetti che hanno in comune una cosa sola: un trattino blu sotto la nuca.
E' opera della Blue Spread, una pericolosa banda che sta mettendo a punto una macchina delle torture che usa delle microonde.
Heiji, che ha partecipato alle indagini, viene mandato a Kyoto con la scusa di recuperare delle materie scolastiche e suo padre gli vieta di sentire Kazuha.
Il detective capisce che sono solo misure di sicurezza e non si arrende.
Peccato che il destino abbia piani sadici per lui e la sua amica.
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Raccolta storie su Heiji e Kazuha'
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-Blood in my Eyes-
-Kyoto-

 
Kazuha era seduta sul tatami, le ginocchia al petto e le braccia incrociate sopra di esse, guardava davanti a sé senza preoccuparsi di mettere a fuoco i singoli oggetti della sua stanza.
Era tutto immacolato come sempre: le foto appese al muro che scendevano fin sopra il letto, i peluche raggruppati, i cuscini sprimacciati e le matite dentro la tazza sulla scrivania.
Solo una cosa era in più in quella stanza immacolata.
Sopra la testa di un orsacchiotto blu c’era un cappello bianco con la visiera verde, calata fin sopra gli occhi del peluche.
Se ne era andato senza troppe parole, le aveva scompigliato i capelli e aveva lasciato il suo cappello lì, sul peluche che le aveva regalato da bambina.
Era uscito chiudendo la porta scorrevole e lei aveva contato i passi che aveva fatto per raggiungere le scale.
Erano dodici, ci volevano dodici passi.
 
«Che cosa significa che ti trasferirai a Kyoto per due mesi?» Kazuha si era alzata e aveva portato i pugni lungo i fianchi, come quando era infastidita.
«Significa che per recuperare quelle materie dovrò fare un corso extra, e per evitare distrazioni dallo studio non potremo sentirci.» Lo aveva guardato con gli occhi fuori dalle orbite: lui grande detective che si faceva comandare a bacchetta?
Heiji, il suo Heiji, che abbassava la testa davanti suo padre.
«Sono solo due mesi, piagnucolona, credo che riuscirai a sopravvivere anche senza il tuo formidabile detective.»
Ma era inutile, Kazuha aveva già alzato la barriera del silenzio per proteggersi da quella realtà.
Heiji si era avvicinato, le aveva scompigliato i capelli con una mano e se n’era andato.
Solo che lei, in quella sua barriera del silenzio, non aveva udito le ultime parole: “Mi mancherai, scema”.
E, in quella sua barriera del silenzio, non aveva sentito che prima di appellarla come “scema” gli stava scappando “piccola”.
Quel nome tenero che le affibbiava solo in casi più unici che rari.
 
Aveva tentato, dentro di se, di alzarsi e correre a casa Hattori per parlare con Heizo e dirgliene quattro, così senza peli sulla lingua, gli avrebbe spiattellato davanti tutto ciò che pensava.
Che era disumano fare una cosa simile, al proprio figlio per giunta, perché aveva solo una materia in cui non andava benissimo. Si era sempre impegnato, che motivo aveva suo padre di trattarlo così?
E lei? Nessuno che pensava che lei avrebbe sofferto tantissimo in questo modo?
In diciotto anni non si erano mai separati a lungo, dove andava l’uno andava anche l’altra.
Era una promessa tacita, ma non per questo meno vera di una scandita.
Le promesse tacite sono fatte con l’anima, è non c’è gesto o parola che può romperle.
Solo che il tono di voce e il sorriso triste che Heiji, per la prima volta, le aveva rivolto la facevano sospettare, a ragione, che non fosse tutta la verità quella che le aveva raccontato.
Alzò gli occhi, mise a fuoco il cappello e si concesse dieci minuti di silenzio per contemplare la stasi che la circondava.
«Solo dieci minuti però, Kazuha» Si era detta fissando nuovamente il vuoto.
 

Tuo padre ti aveva messo una mano sulla spalla con fare paterno e una vocina ti disse che quello era il suo modo di chiederti scusa.
Anche se in fondo non aveva di che scusarsi, ti aveva appena spedito altrove senza telefono né computer solo per evitare che quella banda di criminali ti prendesse.
La colpa era anche tua, lo sapevi bene, che ti eri esposto troppo quando avevi fatto l’interrogatorio ad Ensaku. Non ti eri nemmeno premurato di controllare che non avesse microspie dietro, e avevi detto ad alta voce il tuo nome  e cognome.
Poi lui aveva parlato, aveva detto tutto sulla Blue Spread e tuo padre non aveva più chiuso occhio la notte. Aveva paura per te e per Kazuha.
Che poi era colpa tua se lei ti stava sempre dietro mentre indagavi? No, era una sua scelta e ne aveva sempre accettato i rischi senza lamentarsi.
E questa volta, che lei non ti aveva seguito poiché ignara del caso enorme che ti circondava, ne subiva le conseguenze.
Accidenti al destino e a quella schifosa banda, nemmeno li conoscevi in viso e già li detestavi. Ti avevano portato lontano da lei e dalla tua normalità.
«Il treno fermerà a Kyoto Centro tra cinque minuti, si pregano i passeggeri di rimanere ai loro posti finchè il treno non si sarà del tutto fermato.» Una vocina metallica scandiva le parole con una lentezza esasperante, convincendoti a mettere le cuffie dell’MP3 e, con un gesto automatico, ad abbassarti il cappello.
La tua mano sfiorò la punta dei capelli, avevi la testa scoperta e non te n’eri neppure ricordato.
«Grandioso, e sono via da casa solo da poche ore. Datemi qualche giorno e non ricorderò più neanche come mi chiamo».
 
Alla stazione di Kyoto Centro c’era gente che si ammassava tra i gradini e che salutava le persone in partenza. Schivasti tutto, come chiuso in una campana gelida, evitasti di ascoltare qualsiasi cosa che fosse all’esterno delle tue cuffie.
Fuori dalla stazione c’era una macchina rosso fiammante, appoggiata ad essa un uomo vestito di nero che fumava in silenzio, i capelli impomatati all’indietro e un paio di occhiali scuri che gli coprivano gran parte del viso.
«Signor Nakama?» chiedesti avvicinandoti, quello sorrise e portò il capo leggermente più in avanti come ad annuire.
«Sei identico a tuo padre nei modi, Heizo».
«Heiji, mi chiamo Heiji».
Quello sorrise ancora, da vicino sembrava più vecchio.
«Metti pure il bagaglio in macchina, presto saremo a casa e mi racconterai il motivo di questa pagliacciata».
 
La casa di Nakama era ordinata e semplice nonostante il macchinone facesse intuire che fosse ricco sfondato. Guardasti le stanze leggermente incuriosito dalle foto. In una c’era tuo padre e tua madre con te da piccolo in braccio, accanto a Heizo c’era Nakama con un braccio ferito. Sorridevano alla telecamera.
«Scommetto che tua madre è ancora bella come nella foto» disse sospirando, lo accompagnò fino alla cucina e lo fece sedere prima di offrirgli un caffè freddo.
«Com’è che lo chiamate a Osaka? Voi e il vostro dannatissimo accento del Kansai…»
«Reicoffee» dicesti sedendosi su una sedia e guardando attentamente ogni piccolo particolare.
«Già, me lo chiedeva spesso tua madre questo reicoffee. Ci ho messo un’eternità per capire cosa intendesse. Non mi stupisce sapere che sei un tipetto energico, tua madre beveva fin troppo caffè durante la gravidanza».
Sorridesti, seriamente divertito da quell’aneddoto che ti riguardava in parte.
«Ora dimmi la verità, in che guaio ti sei cacciato?»
«Blue Spread, sanno come mi chiamo e sanno che so chi sono.»
«Blue Spread?» Nakama prese la tazzina e la portò alla bocca bevendo in un sol sorso tutto il contenuto. «Me ne ha parlato il capo questore, voleva un consiglio, ma sarò buono e ne darò uno a te. Stanne fuori, è troppo pericoloso».
Notasti i granelli del fondo di caffè che andavano a depositarsi nelle profondità della tazzina. Sorridesti ancora. «Sarà fatto».
«Hai lo stesso sguardo luminoso di tuo padre. Credo che sarà difficile farti rimanere al tuo posto.»
«Come fa a conoscere mio padre?» chiedesti dopo aver bevuto tutto il tuo caffè.
«E’ stato molti anni fa, l’ho conosciuto durante un caso particolare. Mi ha salvato un braccio, quel burbero. Fa tanto il duro, ma in realtà è come una polpetta di riso.»
Scoppiasti a ridere, portasti una mano alla fronte e sentisti Nakama finire la sua metafora con aria teatrale.
«Ha un cuore tenero! Come le polpette di riso con il cuore di tonno, se poi è pure fresco allora è delizioso. Mettigli un po’ di salsa di soia…»
 
La stanza era così vuota da farla sembrare perfino più fredda delle altre. Aveva solo l’orologio incastonato in piccole canne di bambù, una scrivania con un bonsai e il letto.
«Bhe, buon soggiorno. Io sono nel mio studio, se ti serve qualcosa» detto ciò ti lasciò solo nei tuoi pensieri.
Apristi la valigia, ne uscisti una vecchia foto di Kazuha e la infilasti sotto il cuscino. Non sapevi perché, ma preferivi non vederla direttamente.
In realtà ti mancava di già, il non sapere quando l’avresti rivista ti stava facendo prudere le mani.
Accidenti a tuo padre, poteva evitare di tagliare ogni contatto tra te e il mondo! Okay, era per il tuo bene, ma questo fronteggiarsi di sentimenti contrastanti ti stava facendo andare di matto.
Apristi le finestre per far arieggiare la stanza, davanti a te si stagliava la strada principale. Kyoto era una cittadina, in confronto a Osaka, le case erano basse e strette tra di loro, tanto da non far passare nemmeno una macchina. La gente in bicicletta correva per le strade senza però far rumore.
In lontananza, tra un paio di negozietti di frutta e verdura, c’era un bar. Ora che lo guardavi meglio, dopo esserti sporto dalla finestra, c’era disegnata una chiocciola sull’insegna.
«Un internet cafè, grandioso!»
No, Heizo, tuo figlio non sarebbe rimasto fuori dalle indagini ancora per molto.

 
«Dieci, nove, otto...» Kazuha alzò lo sguardo.
«Sette, sei, cinque…» Poggiò i palmi delle mani sul tatami.
«Quattro, tre, due...» Gravò sulle braccia per darsi la spinta.
«Uno» Si alzò in piedi e, con aria fiera, guardò davanti a sé.
«Se credi di liberarti di me così facilmente, Hattori, hai fatto male i conti.»
 
«Aihel, credo di aver individuato una persona che potrebbe ricondurci ad Heiji.»
«Ottimo, Duth, come si chiama?»
«Toyama Kazuha, ha diciotto anni.»
«Toyama? Ottimo, se facciamo fuori entrambi capiranno contro chi si sono messi.»
Un guizzo blu, simile a una scintilla, illuminò il buio.
Una testa maschile si schiantò al suolo, sotto la nuca c’era un trattino blu che pulsava come fosse vivo.
«La Blue Spread non scherza con nessuno.»


Angolo autrice:
Ringrazio tutte le persone che hanno lasciato un commento, lo apprezzo veramente.
Ebbene sì, per Hattori e Toyama questa è una bella gatta da pelare. Ci saranno momenti di suspense (spero che risulti l'effetto suspense ahahah) e momenti teneri (o forse no?).
Bhe, (scrivere e) leggere per scoprire!

Bacini e biscottini
_SkyDream_

**Mini-Spoiler del chap 2**
"Era una gran bella idea, Kazuha, se non fosse che il destino aveva per te altri piani."
   
 
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