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Autore: Old Fashioned    03/09/2016    11 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 29

L’esplosione fu così potente che mandò in frantumi tutti i vetri della camera, fece cadere un paio di mensole cariche di libri e scaraventò Poynter giù dal letto.
Svegliato di soprassalto, il capitano imprecò, si vestì sommariamente e corse alla finestra: in mezzo al piazzale c’era un cratere di due metri, da esso scaturivano fiamme che nel grigiore dell’alba brillavano di un vivido arancione.
La gente si stava riversando all’esterno, l’aria era lacerata dal lugubre ululato delle sirene antiaeree, dappertutto si udivano tramestio concitato, richiami e ordini.
Seguirono altre esplosioni, questa volta sul perimetro del campo. La contraerea entrò in azione, vomitando piombo contro le nubi basse. Le scie luminose dei traccianti riempirono il cielo ancora scuro.
Dall’alto proveniva il rombo di numerosi bombardieri. Non era il solito gruppetto di Stuka che scaricava un po’ di bombe e andava via, stavolta era una cosa in grande stile.
Un’altra esplosione assordante, un’ala dell’edificio crollò in un fragore da fine del mondo sollevando una nube di polvere.
Sbattuto a terra da un rovente spostamento d’aria, Poynter si rialzò rapido e corse all’esterno.
Fuori sembrava che fosse in corso l’apocalisse: l’aria era una caligine in cui vorticavano nugoli di scintille, su tutta la superficie del campo piovevano bombe e dappertutto era un fischiare di micidiali schegge. Già vi erano i primi morti, e le urla dei feriti si sovrapponevano alle deflagrazioni e al rombo sordo dei crolli.
Il bagliore degli incendi dava alla base devastata l’aspetto di un girone infernale.
Chi poteva saltava a bordo dei caccia e decollava, per sottrarre gli aerei alla distruzione, tutti gli altri sciamavano verso i rifugi.
Poynter stava correndo verso gli hangar quando vide una bomba cadere proprio accanto alla chiesa. L’esplosione scosse l’edificio fino alle fondamenta, mandando in frantumi tutte le vetrate rimaste e facendo crollare una parte del campanile.
Subito l’ufficiale fece dietro-front e si diresse più veloce che poteva all’alloggio di Stuart.

Le antiche pietre rovinarono al suolo con un rombo cupo e la navata si riempì di polvere. Dall’alto piovevano schegge di vetro e frantumi di piombo, i lampadari ondeggiavano come navi in tempesta, le vetuste catene che stridevano sinistramente prossime a spezzarsi.
Stuart e von Rohr, che si stavano dirigendo verso la porta, arretrarono precipitosamente per evitare il crollo e tornarono indietro nel tentativo di guadagnare un’altra uscita.
Attraversarono il salotto, devastato al pari del resto. Le due poltrone erano rovesciate e le librerie cadute avevano sparso in giro tutto ciò che contenevano.
Incespicando su suppellettili frantumate i due si diressero verso la finestra, solo per esserne respinti dal poderoso spostamento d’aria di un ordigno caduto a pochi metri di distanza.
L’atmosfera si fece ancora più irrespirabile, già balenava in un angolo il bagliore sanguigno di un incendio. Da fuori giungevano urlio confuso, sirene e detonazioni.
Ansante, Stuart afferrò il giovane per un braccio e lo spinse nella camera da letto, unica stanza al momento risparmiata dalla distruzione, e nel farlo si soffermò a pensare all’assurdità della situazione: stava lottando per salvare se stesso e von Rohr pur sapendo che entro tre giorni il ragazzo sarebbe stato prelevato dall’Intelligence e ucciso, e lui si sarebbe sparato un colpo alla tempia.
“Dobbiamo andare al rifugio!” esclamò nondimeno.
Era pur sempre il comandante dello Squadron, e gli uomini contavano sulla sua presenza. O almeno si augurava che fosse ancora così.
In quel momento si fece udire una voce dall’esterno: “Ehi, voi due!”
“John!” disse il maggiore stupito.
“Forza, venite fuori,” rispose Poynter, “non c’è un minuto da perdere!”
I due uscirono dalla finestra, Stuart non poté trattenere un’esclamazione di orrore nel momento in cui si rese conto a pieno della distruzione che regnava ovunque.
La voce del capitano lo riportò bruscamente alla realtà: “Muoviamoci!”
Si diresse rapido verso gli hangar.
“I rifugi sono dall’altra parte,” gli fece notare Stuart.
“Non ci servono i rifugi, abbiamo bisogno di un aereo,” fu la brusca replica del capitano.
“Un aereo? Perché?” chiese stupito il maggiore.
Un'esplosione vicinissima costrinse i tre a buttarsi a terra. “Dobbiamo andare ai rifugi prima di farci ammazzare tutti!” insisté Stuart.
“No, ho un piano,” rispose Poynter con sicurezza, poi si rialzò imitato dagli altri, spazzolandosi via la terra e i detriti che l'esplosione gli aveva scaraventato addosso. Con un sorrisetto compiaciuto spiegò: “Ora il nostro ospite germanico prende un caccia e decolla. In mezzo agli altri non sarà notato, e quando tutto sarà finito tu, George, dirai all’Intelligence che è stato spappolato da una bomba e io giurerò sulla testa di mia madre che è la pura verità. Se lui ha fortuna e non si fa abbattere, se ne torna in Francia e la faccenda è risolta.”
A quelle parole seguirono alcuni secondi di silenzio attonito. Infine von Rohr incredulo gli chiese: “Lei vorrebbe darmi un aereo e farmi scappare? Sta parlando sul serio?”
“Mai stato così serio. A prescindere dalle mie personali opinioni in merito, il mio amico tiene molto a lei. Poiché io tengo molto al mio amico e non voglio che faccia sciocchezze a causa sua, questo mi sembra un buon sistema per salvare capra e cavoli.”
“Ma... com'è possibile?”
“Conosce il proverbio? Ponti d'oro al nemico che fugge. Se lei mi fa la cortesia di togliersi da qui, sono anche disposto ad accompagnarla personalmente dal suo Führer.”
“E se tornano tutti i vostri piloti ma alla fine manca un aereo? Non si faranno delle domande?” volle sapere ancora von Rohr, apparentemente impermeabile al sarcasmo del capitano.
“Nel caso, io e George ritoccheremo un po' la lista degli aerei distrutti al suolo. Uno più uno meno, chi vuole che ci faccia caso?”
“Capisco.”
“Ma ora muoviamoci, un'occasione del genere non si ripeterà. Almeno spero.”

C'era rimasto un solo aereo nell'hangar. Nessuno aveva avuto il coraggio di prenderlo, perché si trattava dello Spitfire nuovo del maggiore.
“Che meraviglia!” non poté trattenersi dall'esclamare von Rohr vedendolo. Poi, rivolto a Stuart: “Non posso accettarlo.”
“Non è un regalo,” s'intromise Poynter prima che l'altro avesse modo di rispondere con qualche romanticheria, “è una questione di sopravvivenza. Nostra, più che sua. Ora, da bravo, ci aiuti a farlo uscire e a controllare che ci sia il pieno di benzina.”
Von Rohr annuì in silenzio e fece quanto gli era stato chiesto.
Fuori era un inferno. Decollare sarebbe stato quasi impossibile, essendo la pista l’obiettivo principale dei bombardieri della Luftwaffe, ma in effetti il capitano inglese aveva ragione, non c'era altro da fare.
Poco lontano un hangar fu colpito in pieno da una bomba e collassò con lunghi gemiti di lamiere accartocciate.
“Devi andare!” lo ammonì Stuart.
Il giovane ufficiale annuì, ma non si risolveva a muoversi.
Poynter vide come i due si fissavano negli occhi, e con molto tatto decise di spostarsi dall'altra parte della fusoliera per controllare che la semiala di quel lato fosse ancora al suo posto.
Non appena il capitano scomparve alla vista, i due si gettarono l'uno fra le braccia dell'altro, baciandosi con disperata foga.

“Va’ ora,” disse infine a malincuore il maggiore, le labbra ancora indolenzite per l’ultimo avido bacio che lui e von Rohr si erano scambiati, “non c’è più tempo, devi andare.”
Il giovane salì sull’ala, ma prima di entrare nell’abitacolo si voltò verso Stuart e solennemente gli disse: “Questo è per te.”
Gli mise in mano il suo distintivo della Hitlerjugend.
Il pugno serrato sul piccolo oggetto, il maggiore rimase a guardarlo in silenzio. Tentò di imprimerselo nella memoria così, mentre si stagliava contro il cielo tormentato in piedi sull’ala del caccia, con lo sguardo fiero e i capelli appena scompigliati.
“Addio, Hans,” lo salutò.
“Ci rivedremo lassù,” gli promise il tedesco.
Poi gli girò bruscamente le spalle e si infilò nell’abitacolo.
La capottina di plexiglas si chiuse con un rumore secco, e qualche secondo dopo il rombo del Rolls-Royce Merlin coprì il fragore delle esplosioni.
L’aereo rullò sulla pista prendendo velocità.
Sotto lo sguardo angosciato di Stuart sbandò, si riprese, sobbalzò su un detrito rischiando di finire sull’erba e infine riuscì a involarsi nell’aria caliginosa.
Il maggiore emise un sospiro.
“Andiamo?” lo richiamò Poynter tirandolo per un lembo della manica, ma l'altro non si muoveva.
“Andiamo, su. Non vorrai che ci cada una bomba sulla testa proprio adesso.”
A malincuore Stuart staccò gli occhi dall’aereo che spariva all’orizzonte e si costrinse a seguire l’amico.

   
 
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