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Autore: SkyDream    06/09/2016    5 recensioni
A Osaka, per varie notti, si susseguono omicidi sospetti che hanno in comune una cosa sola: un trattino blu sotto la nuca.
E' opera della Blue Spread, una pericolosa banda che sta mettendo a punto una macchina delle torture che usa delle microonde.
Heiji, che ha partecipato alle indagini, viene mandato a Kyoto con la scusa di recuperare delle materie scolastiche e suo padre gli vieta di sentire Kazuha.
Il detective capisce che sono solo misure di sicurezza e non si arrende.
Peccato che il destino abbia piani sadici per lui e la sua amica.
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Raccolta storie su Heiji e Kazuha'
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-Blood in my Eyes-
-Fotografia-
 
«In gita a Tokyo?! Ma avete fatto già una gita il mese scorso!» La madre di Kazuha guardò il foglio della scuola con tutto l’itinerario e i prezzi.
«E’ un po’ costoso, non trovi?» chiese guardando la figlia, ma quella non si scomponeva.
«Ne vale la pena, tesoro, se questo servirà a farla stare un po’ meglio…» Il signor Toyama mise una mano sulla spalla della moglie, con un gesto delicato.
«Va bene, Kazuha, per questa volta ti manderemo. Promettimi solo che da oggi farai uno sforzo per mangiare di più, guarda come ti sei ridotta in pochi giorni!» esclamò per poi poggiare una mano su quella del marito.
«Sarà fatto, mamma.»
Dopo essere salita in camera, con i piedi che volavano letteralmente sugli scalini, chiuse la porta e si sfogò abbracciando un peluche così forte da fargli quasi saltare la testa.
Se i suoi l’avessero saputa a Tokyo per un paio di giorni avrebbe avuto tutto il tempo per andare a Kyoto senza destare sospetti.
L’idea della falsa gita era stata geniale, quasi non riusciva a contenere la felicità. Lo avrebbe rivisto, lo avrebbe stretto tra le sue braccia e l’avrebbe convinto a tornare a casa a Osaka.
Era una gran bella idea, Kazuha, se non fosse che il destino aveva per te altri piani.

«Immagino che tu non abbia voglia di andare a scuola, Heiji.» Nakama soffiò una nuvoletta di fumo che salì fino sopra il tetto.
«Immagini bene.» rispondesti senza scomporti.
«E’ inutile la scuola, mente chi dice che ti prepara alla vita. Ti riempiono la testa di nozioni inutili. Dovreste leggere, voi giovani d’oggi.» Nakama entrò senza dirti niente, poggiò la schiena alla sedia e soffiò via altro fumo con tranquillità.
«Che ne dici di raccontarmi quella storia? Almeno quando tornerò potrò dire di aver sentito qualcosa di interessante.»
«Parli della storia tra me e tuo padre? Eri ancora neonato, ma i tuoi genitori venivano spesso qui a Kyoto per la festa dei ciliegi in fiore. Stavo inseguendo un pazzo, un assassino pregiudicato che si divertiva a tagliare la testa alla gente. Mi aveva portato di proposito in un vicolo sperduto, mi sono ritrovato con le spalle al muro, da una parte avevo un burrone che portava sul fiume, dall’altra la strada sbarrata, l’unica via d’uscita era stata bloccata con una macchina da un suo collega. Ci fu una sanguinosa colluttazione, che finì con la mia caduta dal burrone.» Aspirò dell’altro fumo.
Dalla finestra entrò una lieve folata di vento, Nakama sembrava perso tra i suoi ricordi, gli occhi lontani.
«Rotolai per parecchi metri, non so come abbia fatto a non spaccarmi la testa durante la caduta. Parecchi massi mi caddero addosso, seppellendomi vivo e stringendo il mio braccio in una morsa mortale.»
Ti alzasti, sedendoti sul bordo del letto.
«E poi?»
«Tuo padre sentì il crollo, ti aveva in braccio e la prima cosa che fece fu darti a tua madre. Scese senza attrezzatura, armato solo di buona volontà, arrivò davanti a me e cominciò a farmi domande. Ero finito in una rientranza e sarebbe bastato una piccola scossa a far crollare tutto, noi compresi, dentro il fiume. Non so ancora come ma riuscì a estrarmi dall’insieme di rocce e a caricarmi sulle spalle. Del mio braccio era rimasta solo della polpa pulsante e puzzolente. Se avessi aspettato l’arrivo dei soccorsi credo che sarei diventato monco».
«Quel vecchio non finirà mai di stupirmi» sospirasti pensando a tuo padre.
«Sono in debito con tuo padre da anni. Questa è la volta in cui posso riscattarmi, vedi di non metterti nei guai.»
«Grazie, signor Nakama.»
«Chiamami Kamai».
 «Ha prenotato un posto per il treno per Kyoto, forse se la seguiamo riusciamo ad arrivare ad Hattori Heiji» Duth, in tutta la sua stazza, entrò nel bagno dove Aihel si stava truccando.
«Mi sembra un’ottima idea, Duth» Allungò le braccia in modo sensuale, verso l’alto, e fece ondeggiare i fianchi per far scivolare meglio il vestito blu.
«Sei splendida, mia regina» L’uomo la fece voltare verso di sé, la prese in braccio e la fece sedere sul lavandino.
«Che sia l’ultima volta, Duth» E detto ciò lo baciò con passione.
«Buongiorno, cosa posso portarle?» Una signorina, con un’alta coda di cavallo, arrivò silenziosa accanto a te.
«Biscotti alla cannella, tutti i biscotti alla cannella che avete e un tè caldo. Facciamo due, ben speziati.» Non alzasti nemmeno lo sguardo, tanto eri immerso nelle tue ricerche, e non notasti l’occhiata confusa che la povera cameriera ti aveva riservato.
«Scusi? Ha seriamente detto che vuole tutti i biscotti alla cannella?»
«E due tè, non si dimentichi che li voglio ben speziati» precisasti alzando un indice verso l’alto, senza staccare gli occhi dallo schermo del computer.
Dopo pochi minuti si udì l’urlo del pasticcere –se di gioia o disperazione non fu possibile saperlo- e poi ti fu servito una porzione di biscotti su un cestino di bambù. Il tè caldo arrivò subito dopo.
 
Grazie alle tue ricerche, riuscisti a scoprire due dei componenti della Blue Spread: Ensaku e Jophiel.
Il primo lo conoscevi bene, lo avevi arrestato tu stesso dopo averlo colto in flagrante ad uccidere una donna con una pistola particolare. Era stato lì- stolto- che ti eri fregato con le tue stesse mani.
Ensaku era poi riuscito a fuggire, dando certamente i nominativi a chi di dovere.
Eri a rischio, senza dubbio.
Jophiel, invece, non la conoscevi affatto, avevi trovato un vecchio articolo in cui si parlava di lei. Era una dottoressa, faceva parte di un corso sperimentale in cui si studiavano le microonde, ma era poi sparita nel nulla e voci vaghe parlavano della sua entrata in giri loschi.
C’era il suo zampino, senza alcun dubbio.
Il locale parve spegnersi così come cala il sole, a poco a poco.
La luce del  pomeriggio lasciò il posto a delle lanterne accese nel locale, i vestiti colorati delle ragazze lasciarono il posto a felpe e giacche scure, il frastuono si trasformò in mormorio.
Alle nove della sera, attorno ad te c’erano solo cestini di bambù impilati, varie tazze di tè ormai freddo e una ragazza.
Aveva i capelli legati con un nastro rosso.
«Torna a casa, è tardi.»
Alzasti lo sguardo lentamente e poi ti voltasti verso la voce: lei era lì e ti sorrideva.
«Kazuha» mormorasti più a te stesso che ad altri.
«Signore, dovrebbe tornare a casa. Qui dobbiamo chiudere.» Sbattesti le palpebre un paio di volte, avevi gli occhi lucidi e arrossati per il troppo sforzo.
Quante ore eri stato davanti al computer? Dieci, di più?
Abbastanza da farti scambiare la cameriera per Kazuha.
«Sì, certo, me ne vado»
«Signore..»
«Sì?»
«Fanno circa cinquemilanovecentosessanta yen, e spiccioli»*
 
Tornasti a casa affamato e squattrinato, mangiasti della roba verde che Nakama ti aveva lasciato sul tavolo e poi, stanco, tornasti nella tua camera per fare una doccia.
Nella valigia, ancora integra dal tuo arrivo, sbucava un piccolo volume colorato, le pagine erano spostate leggermente dalla corrente fra porta e finestra.
“Kitchen” di Yoshimoto, era un libro che ti era capitato per caso tra le mani.
Era una lunga storia, quella del libro.
Una storia che ti ricordava lei, vero?
Lei e la sua improvvisa voglia di cucinare e di passare i pomeriggi nella tua cucina, a bere tè caldo.
Ti infilasti sotto la doccia, una nuvola di vapore si scontrò contro il tuo petto freddo, facendoti rabbrividire.
Pure l’acqua sembrava diversa lì a Kyoto, ma almeno il suo scroscio era riuscito a rinfrescarti la mente e a permetterti il lusso di non pensare a nulla.
Piccole gocce scivolavano veloci tra i tuoi pettorali, solleticandoli, eri concentrato a guardare la saponata scendere lungo le tue braccia, quando un rumore di distrasse.
«Sei tornato a casa a quanto vedo» ti disse Nakama, dall’altro lato della porta.
«Sì, ho fatto un po’ tardi per vari motivi» rimanesti sul vago.
Accidenti, nemmeno la doccia in pace si poteva fare lì, roba da diventare matti.
«Le opzioni non sono molte, Heiji…» continuò lui con una risatina che ti fece innervosire.
«Bhe, allora arrivaci da solo, Kamai» Speravi, ardentemente tra l’altro, di aver concluso quella conversazione, e di poterti godere la tua doccia calda.
«O sei stato a fare ricerche da qualche parte, e qui a Kyoto non ci sono molti posti, oppure hai incontrato una bella fanciulla con cui hai passato la giornata. Ma non credo proprio» Scoppiò a ridere, si avvicinò alla porta e con tono pieno di malizia continuò quel monologo
«Visto che hai già una bella fidanzata. Heiji, hai scelto proprio una bella fanciulla, eh.»
Spalancasti gli occhi e uscisti dalla doccia acchiappando l’asciugamano e chiudendolo alla vita. Uscisti senza preoccuparti dell’acqua e delle pozzanghere che avresti creato.
«Dai qua!» urlasti tendendo la mano verso Kamai che stava guardando la fotografia che avevi nascosto sotto il cuscino.
«Direi che ci ho azzeccato» rise lui. Ti ricordò per un momento una vecchia pettegola, e la cosa ti stupì. Avresti associato Kamai a tante figure, ma mai a quella di una vecchia pettegola.
Abbassasti lo sguardo sulla foto, tu guardavi verso l’obiettivo, lei invece guardava te. Aveva la divisa scolastica, quella che la stringeva tutta.
E parecchie volte, nei meandri della tua mente si era fatto avanti il desiderio di toglierla via quella camicia, perché era inutile.
Chissà cosa stava facendo in quel momento, magari stava pulendo proprio quella camicia, o come te stava cercando di farsi la doccia ma qualcosa l’aveva disturbata.
E aveva staccato la musica. Sì, perché lei faceva sempre la doccia con la musica, e cantava pure. In modo piuttosto stonato quando non sapeva le parole.
Una goccia d’acqua cadde sulla foto scivolando lungo i vostri visi.
«Forse è meglio fare una doccia fredda» dicesti a te stesso sistemandoti meglio l’asciugamano stretto alla vita, sentivi il sangue ribollire in modo anomalo. E soprattutto non di rabbia.
Kamai, nella sua camera, apriva le finestre e guardava il cielo in modo pensieroso.
Non potevi saperlo, Heiji, ma ciò che spaventava Kamai era proprio quella banda di criminali.
Sul tavolo della camera, accanto ai libri lucidati e agli assegni dati in beneficenza, c’era una foto: una donna mora stringeva in braccio un bambino di pochi anni. Sorridevano, lei ad occhi chiusi e il bambino con le mani verso l’obiettivo.
Ma tu, Heiji, eri arrivato troppo tardi per conoscerli.
Chissà, magari quel bambino ti avrebbe dato filo da torcere, sarebbe diventato l’Heiji Hattori di Kyoto.
Se solo fosse cresciuto, quel bambino.
Se solo il destino lo avesse permesso.
Se solo il cielo non l’avesse richiamato indietro.

 Sono passati sei giorni dalla sua partenza.
Kazuha, nel buio della sua camera, non riusciva a chiudere occhio.
Sentiva che qualcosa le attanagliava la gola, una brutta sensazione.
Si girava nel letto, poi si sedeva, il sonno non voleva saperne di arrivare.
Accese il telefono e fece scorrere la sua luce lungo tutta la stanza, ma niente, non c’era nessuno.
«Sei una stupida» diceva a se stessa, chiuse il telefono e diede un’occhiata lì dov’era appoggiata la sua valigia.
«E’ una bugia a fin di bene.» ripeteva a bassa voce, poi si strinse nelle ginocchia e allungò il braccio verso il comodino, accese la luce e guardò la foto.
Lui guardava verso l’obiettivo, mentre lei era poco più dietro con lo sguardo rivolto altrove, la camicia scolastica che le stringeva troppo il seno.
Rise al ricordo di quella volta in cui lui le disse di prendere una camicetta più larga, con la scusa che lei fosse ingrassata visibilmente.
«Mi manchi, stupido.»
 
E la mattina dopo, con il cappello ben nascosto nella borsa, diede un bacio sulla guancia ai suoi genitori, li abbracciò forte ed entrò da sola alla stazione.
Scese nei sotterranei, corse con la valigia che scorreva leggera sotto le sue mani, piena solo dell’indispensabile.
Salì sul treno, mise il cappello in testa, le cuffie dell’MP3 a tutto volume e aspettò che il tempo passasse.

Aihel accese la macchina, scese gli occhiali da sole sul naso e guardò dritta davanti a sé.
«Qui è tutto pronto. Avrò quello che mi hai promesso?»
«La ragazza è tutta tua, a me interessa lui. Vedi solo di non ucciderla, ci serve viva se dobbiamo usarla per gli esperimenti»
«Viva..?»
«Duth…»
«Si?»
«Non farla finire come l’ultima ragazza, ci è toccato uccidere anche il bambino».

Il dizionario di SkyDream
*5960 yen= 50 euro circa.



Angolo autrice
Zan zan zan, ecco cosa aveva in mente Kazuha :'D 
Ebbene sì, anche Kamai Nakama c'entra con la Blue Spread.
Cosa ne pensate?
I personaggi sono IC? La storia vi coinvolge?
Faremi sapere :3

Bacini e biscottini (P.s.un grazie speciale a Gagiord)
-SkyDream-


 
   
 
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