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Autore: cartacciabianca    02/05/2009    3 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Gloria e fiducia










Il suo corpo era brividi continui. Il suo volto contratto in una smorfia inverosimile, gli occhi chiusi da ormai troppo tempo. Tutta quell’agitazione la metteva terribilmente in ansia, ma allo stesso tempo cercava di non manifestarsi più disperata di quanto non lo fosse già. Lo stava guardando morire, e ciò le dilaniava il cuore a furia di sprangate. Lo osservava dall’alto mentre era disteso tra i cuscini, passando delicatamente una pezzetta inumidita sulla sua fronte imperlata di sudore. Soffriva: in lui aveva preso piede il male più brutale; lo stesso dolore che Elena stava traversando sulle sue carni, tentando invano di distaccare le sue sofferenze dovute al veleno nel suo sangue all’immensa tristezza che provava nel guardare il suo maestro in quelle condizioni. Era notte fonda: le stelle brillavano nel nerissimo cielo specchiandosi sulle terre tranquille e silenziose attorno a Gerusalemme. Erano state le ore più lunghe della sua vita quelle trascorse a prendersi cura di lui. Forse c’era persino scappata la preghiera con le poche parole di latino che conosceva. Era rimasta al suo fianco, rinfrescandogli il viso di tanto in tanto con il fresco della pezza bagnata che, dopo aver immerso nel secchio lì accanto, si apprestava a strizzare dell’acqua in eccesso. Non si stancava mai di ripetere all’infinito le stesse azioni, non perdeva un istante del suo tempo per poter carezzare la pelle bronzea e magnifica di quel volto che, sperò sopra ogni dire, in un qualsiasi momento riacquistasse il suo solito colore vitale.
-Elena-.
La ragazza si volse di scatto.
Malik la osservava da lontano, seduto al bancone della Dimora. Metà del suo viso era nascosto nell’ombra degli scaffali, e l’altra mostrava una serietà che la inquietava parecchio.
-Per ora può bastare. Vieni qui e lasciamolo riposare- mormorò il Rafik, ed ella ubbidì sollevandosi lentamente in piedi.
Adagiò la pezza sul bordo del secchio di legno e si avvicinò al bancone a sguardo basso. Lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle, vegliando premurosa sul suo maestro anche da quella distanza.
Malik gonfiò il petto prendendo un gran respiro. –Dovresti distrarti, provare a prendere sonno, per esempio- le suggerì accennando un sorriso, ma Elena non gli diede quasi per niente ascolto.
Il Rafik non si arrese certo così facilmente. –Non nego che può essere dura, ma devi sforzarti di pensare ad altro…- tentò.
La ragazza giunse le mani in grembo e chiudendo gli occhi si sedette di fronte a lui. –Sono ore che và avanti così…- mormorò flebile.
-Ho fatto tutto il possibile, e ti sono grato dell’aiuto che mi hai dato. Ma come ti ho già detto, devi concentrarti su qualcos’altro almeno finché non…- fece una pausa. –finché le cose non miglioreranno o viceversa- sospirò affranto.
La Dea protese il suo silenzio oltremodo, ma questo fu interrotto bruscamente dalla voce dell’uomo che aveva davanti.
-Tu come ti senti?- chiese severo Malik.
Elena sollevò la testa di poco lanciandogli una risposta col solo sguardo: male… molto male.
-In che senso?- insisté lui preoccupato.
Stava male per tutto: il bruciore al braccio, il mal di testa incessante, i crampi ai muscoli e un torcicollo pazzesco. Ci si mettevano pure la febbre che non aveva accentuato nessun abbassamento della temperatura e l’intollerabile spossatezza che a mala pena si reggeva sulle gambe. Questi erano i suoi fastidi da un punto di vista prettamente fisico… c’era da aggiungere il costante pensiero che, pezzo per pezzo, le persone a cui voleva più bene le stavano scivolando via dalle mani come polvere.
Hani e Abbas erano nella stanza vicino, seduti tra i cuscini a scambiarsi una conversazione fatta di soli bisbigli. Probabilmente si stavano raccontando dell’esito della missione e in primo luogo, lo stesso assassino dal cappuccio grigio, lo capì subito, pareva vantarsi delle sue gesta.
Elena tentò invano di nascondere il suo sorriso, e Malik interpretò il tutto come un presunto accenno di positività.
-Te la senti di parlarmi tu di questa mattina?.. - domandò il Rafik allungando l’unico braccio ad afferrare un volume dalla libreria dietro di lui. -Dato che nessun altro può farlo…- prese un respiro profondo. -per ora- concluse.
La ragazza si mise più comoda sullo sgabello e annuì.
Osservò in silenzio come Malik prendeva appunti veloci sugli ultimi avvenimenti. Registrava sulle Cronache i nomi dei farmaci e dei medicinali che aveva utilizzato per curare entrambi, assieme ad alcune delle terrificanti scoperte che aveva fatto visitandoli.
-Non avevo idea che si trattasse di questo genere di veleno- commentò ad alta voce l’assassino senza un braccio. –Il Sangue di Pervinca si vende a caro prezzo ed è piuttosto raro di queste zone. Se non sbaglio… furono gli stessi Crociati a portarne qui barili interi dalle loro terre. Come composto, non viene estratto per intero dalla pervinca, ma quasi. Vi sono mescolati intrugli cui non saprei dare un nome… mi è stato facile riconoscerlo dato gli effetti catastrofici che ha al livello fisico, soprattutto sul piano superficiale e della pelle. Le vene violacee attorno al taglio sul tuo braccio…- disse guardandola, ma Elena sfuggì al suo sguardo. –sono come radici- proseguì lui tornando a scrivere.
-Ti intendevi di medicina anche prima di diventare Rafik?-.
Malik s’irrigidì al suono della sua voce, scaturita così improvvisamente dalle labbra serrate della giovane. Ma non indugiò oltre limitandosi a rispondere alla domanda: -No. Quando persi un braccio, mi si proiettava dinnanzi un futuro alquanto sedentario. Tanto valeva trovare qualcosa d’interessante da fare prima di perdere anche la fresca mente con gli anni- si puntò un dito alla tempia sorridendo.
Dopodiché Malik intraprese la parte più dolorosa delle scritture. Le chiese della missione, le fece tante di quelle domande che Elena perse il conto, e volle sapere i particolari. Non ricordava certo il numero di guardie che avevano tentato di bloccarle la strada, ma il solo ricordo degli attimi tirati e agitati di quella missione le fece venire un nodo allo stomaco che non si sarebbe potuto sciogliere neppure prendendo delle pinze.
Mentre raccontava, mentre le parole le venivano su e sfociavano dalle sue labbra come le stesse vomitando a forza, cacciandosi due dita in gola. Mentre faceva tutto ciò con estremo rigetto, notò la piuma insanguinata poggiata poco distante sul bancone, accanto alle pagine ancora bianche del libro sul quale Malik annotava svelto ogni suo periodo. Il sangue si era incrostato sui bianchi filamenti della piuma, e non riuscì ad immaginare quanto potesse puzzare una roba simile; eppure era in bella vista sul tavolo, spiccava nel buio della Dimora come avesse luce propria. Tutt’attorno vi era il solo chiarore di alcune candele e un piccolo barattolo d’incenso adagiato tra gli scaffali. Emanava una suadente odore e vi si levava un fiotto di fumo che si dissolveva nell’aria immobile e silenziosa del locale.
-… Eravamo nella sala d’ingresso del palazzo. Non c’era più un civile attorno a noi, ma prima che potessimo solo sfiorare la via di fuga…-.
Malik la interruppe. –Perché siete passati per la porta principale?- chiese affranto.
Elena curvò la schiena. –Ci avevano accerchiati, e nessuno di noi…- tirò su col naso. –sarebbe stato in grado di saltare sui tetti. Eravamo stremati, tutti quanti…- resistette all’impulso di voltarsi, di confermare le sue parole con ciò, o meglio chi aveva alle spalle.
-Capisco- mormorò lui, scarabocchiando sul foglio.
La ragazza riprese il suo discorso. –Bonifacio, il fratello minore di Corrado era alla Cerimonia assieme alla fratellanza cui il futuro Re di Gerusalemme faceva parte. Ci hanno bloccati sull’ultimo, ed è stato allora che…- singhiozzò. –ed è stato allora che credevamo di essere ormai spacciati-.
Malik si tirò su. –Bonifacio?- domandò stupito. –Lo credevo altrove, non e tanto meno non pensavo che potesse arrecarvi tanti disturbi. È solo un ragazzino, avrà sì e no la tua età, Elena-.
La Dea sgranò gli occhi. –Davvero?!-.
Egli annuì assorto.
-Non pensavo…- bofonchiò lei abbassando nuovamente lo sguardo.
-Ora non darti pena di questo. Forza, continua- Malik deviò l’argomento tornando alle questioni più urgenti.
Elena inghiottì il groppo che aveva in gola. –Si è offerto per lasciarci andare. Si è preso la responsabilità dell’omicidio di Corrado così da vendersi lui unico a Bonifacio che l’avrebbe giustiziato questa sera, al tramonto…- ricacciò il pianto, ma la sua forza di volontà durò ben poco. –è stata tutta colpa mia! Avrei dovuto consegnarmi io! E a questo punto lui starebbe meglio, avresti avuto il tempo sufficiente per guarirlo, per non farlo soffrire così!- si portò le mani al viso nascondendo gli occhi grondanti di lacrime. –perché sono sempre così stupida!!!- gemé quasi gridando.
Hani, spaurito, fece per sollevarsi dai cuscini, ma Malik gli fece cenno di restare dov’era. Il ragazzo si rimise giù fissando sconcertato la scena assieme ad Abbass, comodo al suo fianco.
-Ti sbagli- pronunciò Malik seriamente. –Da quando Al Mualim è morto non ho più dubitato in un solo momento delle azioni del tuo maestro. Se Altair ha scelto di fare ciò, devi essere forte nella convinzione che egli ha saputo valutare al meglio ogni sua possibilità. E credo bene che, persino io nella sua posizione, avrei fatto la stessa… identica… cosa- dichiarò severo.
Elena si volse di profilo guardando altrove. –Non mi serve la vostra compassione. So bene di valere la metà della metà del mio maestro, non aveva diritto di sacrificarsi così per me!- sbraitò.
Malik mantenne la calma che Elena, invece, pareva aver perduto. –Non è il Rango che conta, in questa Dimora. Se sei contraria, farai bene a lasciare Gerusalemme il prima possibile e tornartene dove l’uomo non è arrivato a pensare agli amici prima della setta!- la rimproverò indicando l’ingresso della Dimora. –Se sei così legata al Credo, ti invito cortesemente ad andartene. Se invece in te prevale il pensiero che l’atto di Altair sia stato prettamente morale, o meglio dire “umano”, puoi restare…- borbottò.
-Non ho detto questo- digrignò lei.
-Allora spiegati con maggior accuratezza. Non ho tempo da perdere- disse secco.
La ragazza s’irrigidì a quelle parole. –Sono una perdita di tempo?- mormorò.
Malik la fulminò con un’occhiataccia. –Se c’è dell’altro che devo sapere sulla missione, ti conviene darmi le informazioni che restano. Forse, solo quando avremo finito, potremo spostare la conversazione su qualcosa che non sia sangue, morte e veleno- sbottò irritato.
-Scusami…- Elena chinò la testa. –Hai ragione sulla storia della setta… io per prima non posso darmi dell’eccellenza per ciò che riguarda le regole del Credo- sorrise.
-In questa Dimora non vi è assassino che non le abbia infrante almeno una volta- ridacchiò il Rafik.
-Veramente sì!- Abbas alzò una mano.
-Sta’ zitto! Tu non vali!- Hani gli abbassò il braccio e l’altro scoppiò a ridere.
La Dea scese giù dallo sgabello e lo sistemò più vicino al tavolo. –Ho finito, non c’è altro che ti serve sapere da me…- sussurrò una volta in piedi.
Malik annuì compiaciuto. –Se ciò ti aiuta, puoi tornare a prenderti cura di lui come stavi facendo poco fa. Sono certo che non possa far altro che alleviare, seppur in minima parte, l’immenso dolore che sta provando…- assentì il Rafik guardando il corpo steso sotto le coperte di Altair.
Elena s’inginocchiò al fianco del suo maestro e ricominciò il suo piccolo lavoretto da infermiera. Immerse la pezza nell’acqua fresca e la strizzò per bene. Successivamente la passò delicatamente sulla fronte di lui imperlata di sudore e sul collo, bagnò le spalle scoperte e rinfrescò i muscoli del braccio nudo poiché fosse stato denudato della parte superiore della veste. Sulle parte lese dal combattimento Malik aveva applicato degli spessi bendaggi, ma a macchiare la pelle bronzea di quel petto perfetto vi erano anche diversi lividi bluastri e resti di trascorse cicatrici. Fece attenzione a non sfiorare quei punti; si disse che dell’acqua fresca poteva certo alleviare il dolore, ma non sopprimere il male del veleno. Nonostante Malik avesse ammesso di aver impiegato ogni curativo alla loro portata, egli stesso aveva sottinteso che il più forte tra tutti i medicinali che restava loro tra le mani era la speranza. E fino al suo ultimo respiro, fino all’ultimo gemito del suo maestro Elena avrebbe sperato, impiegando nella fede tutte le sue forze.
Neppure lei era nelle migliori condizioni, dopotutto. Sul suo braccio era come se stessero ancora premendo dei carboni ardenti; un bruciore inarrestabile in parte dovuto alla marea di disinfettanti, e in altro luogo al presidio del veleno nelle sue vene.
Era stato Malik, poche ore prime a confessarle che la sua era una condizione prettamente migliore in confronto a quella del suo maestro. I tempi d’esposizione al veleno erano stati differenti tra Elena e Altair, quindi la Dea non aveva da preoccuparsi della propria salute. Ma Malik pareva così affranto, sopraffatto e turbato… forse le stava nascondendo la verità, quella pura e cruda realtà che il suo maestro non avrebbe passato la notte.
Senza accorgersene, nuove lacrime avevano preso a solcarle il viso scivolando leste sulle sue guance. Andando ad infrangersi sul pavimento.
Non riuscì a trattenersi, di nuovo. Gettò con violenza la pezza nell’acqua provocando uno schizzò che andò a bagnare poco attorno. Chinò la schiena, poggiò le mani in grembo singhiozzando con foga, troppo addolorata. Pianse, e nessuno fece nulla per fermarla.
Malik lasciò che si sfogasse, Hani condivise il suo turbamento assistendo da lontano. Abbas, Elena lo scorse abbassare la testa e distogliere lo sguardo.
In fine la vista le si appannò a tal punto dalle lacrime che tutto divenne sfocato, confuso. Si gettò ad abbracciarlo, avvinghiandosi al collo del suo maestro e premendo la guancia contro quella bollente di lui. Strinse i denti, gemendo sul suo corpo caldo, troppo caldo e immobile.
Fu un pianto che durò forse pochi minuti, forse un’ora. Fatto sta che il tempo la costrinse ad esaurire ora e mai più tutte le lacrime. Si svuotò completamente dell’acqua che contenevano i suoi occhi e, in fine, senza rendersene conto, scivolò piano sempre più giù, fin quando tutto non divenne buio.

Quella notte sognò suo padre. Il Frutto dell’Eden e Marhim. Questi tre elementi le fecero tornare alla mente la terza ed ultima parte della sua missione che, giunta a questo punto, restava tutt’ora incompleta. Doveva tirare suo padre fuori dalle prigioni di Acri, rubare il Frutto al Palazzo di Corrado e tornare vittoriosa a Masyaf abbracciando il suo ragazzo.
Non le restavano minuti da perdere, e quel sogno le aveva dato la giusta causa per cui combattere ricordandole di ciò che le restava da portare a termine.
Aprì gli occhi d’un tratto, riconoscendo un suo braccio stretto attorno al petto scolpito del suo maestro. Completamente adagiata contro di lui e il suo corpo caldo, Elena si riebbe completamente sollevandosi seduta tra i cuscini. I capelli le caddero davanti al volto e se ne nascose una ciocca dietro l’orecchio. Sulle sue gambe vi era a coprirla la coperta che condivideva con Altair, immobile e silenziosamente dormiente al suo fianco.
Era mattina presto, il canto degli uccellini invadeva l’aria fresca e riposata della Dimora diffondendosi per la città assieme al primo vociare delle strade. Doveva trattarsi delle otto nove circa, si disse guardandosi attorno. Raggi di luce luminosi penetravano dalle grate dell’ingresso della sala e proiettavano tanti quadretti sul tappeto davanti alla fontana silenziosamente scrosciante. Hani pisolava appoggiato alla parete e poco distante da lui vi era Abbas completamente steso tra i cuscini con una gamba alzata.
Malik era già sveglio, seduto dietro il bancone a prendere appunti su alcune vecchie pergamene. Assorto e con la fronte corrugata, il Rafik sollevò appena lo sguardo per lanciarle un’occhiata sorridente.
-Come mai già sveglia?- domandò in un sussurro egli.
Elena si guardò attorno passandosi una mano sul collo, ma non rispose.
Quando i suoi occhi caddero sull’uomo che aveva accanto, notò una buffa espressione sul suo volto. Pareva dormire, riposare tranquillo. Gli poggiò una mano sulla fronte e la sentì ancora bollente. Il suo petto si alzava e si abbassava con irregolarità, come scosso da impercettibili fremiti.
Elena fece scivolare la sua mano sul lembo della coperta e la scansò completamente da sé regalandola al suo maestro. Si alzò in piedi, si stiracchiò e raggiunse il bancone sedendo sullo sgabello davanti all’assassino senza un braccio.
-Non posso restare- disse seria.
Malik inarcò un sopracciglio e arrestò le sue scritture. –Cosa…-.
-Non voglio esserci quando…- interruppe la frase a metà, chinando la testa.
L’uomo sospirò. –Capisco- mormorò grave.
-Pertanto- ella si tirò su. –La mia missione non si è conclusa mica con la morte di Corrado- dichiarò fiera, austera come non lo era mai stata.
Malik si adombrò. –Che intendi?-.
-Probabile che la stessa colomba che portava le indicazioni sull’omicidio contenesse anche queste…- borbottò lei.
-C’è qualcos’altro che devi fare? Qualcosa che Tharidl ti ha affidato in segreto?- chiese lui.
-No- sbottò lei. –Con te saranno tre le persone che sanno di ciò. Devo partire per Acri-.
-Spiegati meglio-.
-Mio padre è tenuto prigioniero lì. Corrado lo usava per i suoi scopi e fu egli, sotto torchio, a rivelare al figlio di Guglielmo dove si trovava il secondo Frutto che Monferrato cercava. Sarei dovuta andare accompagnata dal mio… maestro…- si prese una breve pausa per calmare gli spiriti agitati. –Ma la faccenda ha preso una piega inaspettata e mi toccherà svolgere il compito da sola-.
Malik ci pensò su alcuni istanti. –Non mi convince. Acri… tutti quei soldati, e tu sei in queste pessime condizioni. So dove vuoi andare a parare- disse. –te ne uscirai con la scusa che presto Bonifacio e la sua corte faranno ritorno nella loro città e che devi agire prima che questo accada, ma non posso lasciarti andare- sospirò.
-Perché?! Si tratta di mio padre, e ancora prima dei Frutti dell’Eden! Due, per di più!- si sporse in avanti.
-Elena, non complicare le…-.
-Malik, ti prego!- lo afferrò per la veste avvicinandolo a sé. –Devo andarmene, devo tornare a Masyaf, non ci voglio più restare qui!- gemé. –Posso farcela, e ci proverò! A costo di morire nel tentativo! Ti prego…- singhiozzò.
Il ragazzo le strinse il polso allontanandola delicatamente. –Elena, perché non…-.
-Non voglio guardarlo morire- pianse tornando seduta sullo sgabello.
Interdetto, il Rafik la osservò in silenzio.
-Ho detto di volermene andare? Ebbene, è vero. A Masyaf mi resta ancora qualcuno di vivo su cui contare! Amici, e persino tu hai detto che sono più importanti del credo!-.
-E allora torna a Masyaf senza passare per Acri, no?- assentì come fosse ovvio, ma dopo poco si rimangiò le sue stesse parole, constatando che la ragazza lo stesse fissando con un profondo odio negli occhi.
-Tuo padre… hai detto?- domandò incredulo.
Lei chinò la testa.
-Kalel?- chiese conferma.
Ella non rispose, chiudendo gli occhi e godendosi il buio delle palpebre abbassate.
-Kalel…- ripeté lui esterrefatto. –Non ci credo… lo conosco di nome, durante i suoi anni nella setta ero solo un ragazzino; non pensavo… o Cristo- si passò una mano in volto. –E Tharidl ha mandato te a portarlo in salvo?-.
Elena annuì debolmente.
-Quel vecchio è pazzo!- ridacchiò il Rafik.
-Lo dicono in molti- sorrise mesta.
Malik tacque per uno, due minuti. –Senti- disse d’un tratto appoggiando il gomito sul tavolo. –Non posso certo impedirti di gettarti in pasto ai leoni, ma non hai neppure il mio consenso. Durante l’omicidio di Corrado non hai saputo cavartela al meglio in diverse situazioni, e c’è da ammetterlo-.
-Lo ammetto- sussurrò lei.
-Ecco, perciò… come pretendi di arrivare solo viva ad Acri?-.
-Contando sull’effetto sorpresa, precedendo Bonifacio e i suoi uomini! Sarò svelta, abile come Altair mi ha insegnato!-.
Malik le poggiò una mano sulla bocca. -Abbassa la voce, piccola- sibilò.
Prendendo fiato e calmandosi Elena aggiunse: -Tharidl si fida di me. Altair si fida di me. Perché tu no?-.
-Non è la fiducia quella che non ti ho concesso- mormorò lui sistemandosi più comodo. –Hai tutta la mia stima, ragazzina- le sorrise –Ma prima voglio sapere se lui lo sapeva- disse guardando l’assassino steso tra i cuscini.
Elena si volse ad ammirare il suo maestro. –Suppongo di sì…-.
-Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa lui, più che altro. Come tuo maestro, sta ad Altair decidere del tuo destino dopo il Gran Maestro. In questi casi, ha più autorità lui di me- confessò incrociando le braccia.
-Ma sta morendo- gemé. –So che è così, non continuare a mentirmi-.
Malik curvò le spalle affranto. –Non ho mai cercato di tenerti nascosta la verità, sarebbe fare un torto a me stesso. Elena, se vuoi andare, sei libera di farlo. Se credi che la tua vita non valga la pena di essere vissuta schivando altri eventuali pericoli, allora ti lascerò varcare quella soglia- mormorò triste.
Lei abbassò lo sguardo.
Il Rafik distese il braccio e le sollevò il mento prendendolo tra le dita. –Vuoi almeno che Hani venga con te?-.
Lei scosse la testa allontanando la sua mano dal viso. –No. Per favore, io…-.
-Questo si chiama suicidio, stupida- rise Hani entrando nella stanza e sedendole accanto.
-Ha ragione- proferì Malik afferrando il cesto della frutta da sotto il bancone.
-Ciao- la salutò lui stringendole una spalla. –Come va?- sbadigliò.
Elena si volse dal lato opposto. –Secondo te?…- sibilò acida.
-Rispondi un’altra volta in questo modo e non ti lascio muovere un passo fuori da questa Dimora- l’ammonì il Rafik.
La ragazza sorrise, si girò verso di lui e abbracciò l’amico. –Ti prego, non voglio coinvolgere nessuno in questa faccenda…-.
Hani la strinse a sé. –Meglio soli che male accompagnati?- rise.
-Sì, esatto…-.
-Mi fa piacere sapere che gradisci la mia compagnia- scherzò lui.
Elena sbuffò e si alzò dal tavolo.
Sotto occhi critici del Rafik e dell’amico, si armò di tutto punto allacciandosi alla vita la cintura e il fodero di cuoio. –Vado in città. Devo accertarmi che Bonifacio e i suoi uomini non partano prima di questo pomeriggio. Svolgerò alcune indagini e tornerò qui non appena saprò qualcosa- proferì seria.
Controllò di avere gli astucci pieni di pugnali e strinse i lacci degli stivali e dei guanti, soffermandosi su quello sinistro.
Estrasse la lama con un rapido tocco dell’innesco e si meravigliò di trovarla linda, brillante in tutto il suo splendore.
-Mi sono preso la briga di metterci le mani mentre dormivi- sorrise Malik prendendo una pergamena dagli scaffali e distendendola sul bancone.
Elena si volse. -Grazie- mormorò flebile.
Hani tornò nell’altra stanza e cominciò a rivestirsi delle sue armi.
-Vieni, devo mostrarti una cosa- la chiamò il Rafik, ed ella si sedette nuovamente di fronte a lui.
-Sono d’accordo con te. È bene che tu svolga delle fugaci e svelte indagini su questo punto. Ma davi stare attenta: Bonifacio sa bene che entrambi voi siete riusciti a scappare, perciò farà di tutto per trovarti e ucciderti senza esitazione. Avrà ordinato ai suoi uomini di setacciare ogni angolo di questa città. Elena, pensa più volte su cosa stai facendo…- l’ammonì.
-Malik. Non devi preoccuparti- alzò il mento fiera.
-Se fosse sveglio, sarebbe fiero di te. Hai preso il meglio di lui…- sospirò.
Elena distolse lo sguardo posandolo sulla cartina distesa sul banco. –Ti prego, non…-.
-Sì, hai ragione- si riscosse lui. –Forza e coraggio, avanti. Ti indicherò alcuni dei luoghi dove trovare dei nostri informatori che sapranno darti alcune informazioni preziose. Baratteranno ciò che sanno forse con del denaro, o altro. Non lasciarti spaventare, sono innocui, ma svolgono il loro lavoro meglio di quanto credi- disse.
-Benissimo, sono pronta- ricacciò le lacrime.
Malik la fissò allungo in silenzio. –Ottimo; allora…- si chinò sulla carta e le diede tutte le indicazioni che le servivano. Quand’ebbe finito, le porse un sacchetto di monete bello abbandonante.
Prima di lasciare la Dimora, Elena lanciò un’ultima occhiata al suo maestro steso tra i cuscini e congedò con ripugno Hani dall’accompagnarla.

-…Amir abita nel distretto ricco della città assieme ai suoi due figli ed è probabile che lo trovi lì. È un informatore che lavora agli scopi della setta da quando aveva poco più di dieci anni, e la sua famiglia non ha mai saputo nulla della sua reale mansione. È un tipo affidabile, che per mero profitto fa ciò che gli viene chiesto. Si attiene ai suoi compiti, è leale e fedele e saprà forse darti una parte delle informazioni che cerchi…-

Alloggiava in una bella casa con un cortile interno traboccante di piante, al cui centro vi era una piccola fontana crosciante d’acqua limpida. Elena atterrò nel giardinetto attutendo il colpo con le ginocchia e trovò l’ingresso all’abitazione già aperto. Si fece strada tra i mille vasi di cotto ed entrò in casa quatta quatta. Ad attenderla trovò un non molto vasto salone decorato di tappeti e mobili pregiati. Seduto tra i cuscini color porpora, vi era un uomo di media statura che leggeva un vecchio libro rilegato in una copertina dorata. Amir portava una lunga veste sobria di un colorito marrone tendente al rosso, decorata in alcuni punti di giallo. Il cappuccio abbassato sulle spalle, i capelli corti e lo sguardo nero severo.
Non si accorse subito di lei, ed ella si avvicinò alla sua figura composta fermandosi poi al suo fianco.
Solo allora l’uomo sollevò gli occhi dalle pagine ingiallite del tomo, che richiuse svelto, e si alzò prorompendo in un vasto inchino.
-Dea…- mormorò con voce acculturata.
-Amir Lhad-Sayun?- domandò lei portandosi una mano al petto e chinando la testa.
-Per servirvi- ribadì egli.
-La vostra famiglia è in casa?-.
Lui scosse la testa. –Mia moglie è al mercato. I miei figli sono a scuola. Siete libera di parlare- proferì calmo.
Elena annuì e andò dritta al dunque. –Corrado del Monferrato è morto ieri a quest’ora-.
-Ho saputo- intervenne.
Ella proseguì: -Ho bisogno di sapere verso che ora suo fratello minore Bonifacio si appresterà a fare ritorno ad Acri assieme al suo esercito. E se avete delle informazioni riguardanti la Fratellanza, non tenetevi nulla dentro- disse schietta.
-Mi spiace Dea- assentì lui. –Non posso ricambiare le domande vostre riguardante la partenza di Bonifacio. Ma della Fratellanza posso darvi un nome-.
-Parlate-.
-Una cerchia ristretta ai soli nobili di sangue del nord alla quale non poteva non prendere parte il celebre Guido di Lusignano…- la informò.
-Terrò a mente questo nome. Non avete nient’altro?-.
Scosse la testa.
-Vi ringrazio- gli porse una decina di monete d’oro e lasciò l’abitazione allo stesso modo di come vi era entrata.

-…Abdel Allyhad è un povero mendicante che abita per le strade della città e traffica raramente nel distretto nobile, perché scacciato dalle guardie e delle volte deriso. Ma passando gran parte del suo tempo nel quartiere malfamato di Gerusalemme, non fa grande fortuna e considera, di conseguenza, l’alleanza con la setta l’unica sua speranza di vita su questo pianeta.
Un uomo lasciato in mutande dalla stessa civiltà che un tempo aveva servito con tanto amore. Abdel, fino a pochi anni or’sono, prestava servizio nell’esercito di Saladino, ma egli fu scacciato dai suoi superiori con l’accusa di debolezza mentale. Insisto su questo punto dicendoti che non fa buon uso del denaro che gli assicuriamo. È probabile che lo troverai brillo come molti prima di te. Non ti chiedo di provare compassione. Sappi che non ci rimangono abbastanza ore per dar retta alle sue prediche su quanto la sua vita faccia schifo. Ti assicuro che pur di distrarsi troverà ogni modo possibile di allungare la tua permanenza al suo fianco. Feccia della popolazione locale, Abdel ci è stato molto utile in passato perché scambiato per matto da molti. Passa inosservato molto facilmente, quando vuole, ovviamente…-

Elena traversò il distretto medio senza nessuna difficoltà. Sfuggì abile alle guardie, si nascose sulle panche e nel fieno. In una manciata di minuti raggiunse il luogo nel quale, come detto dal Rafik, avrebbe trovato ad attenderla il suo prossimo informatore.
Abdel vestiva di stracci ed era seduto comodamente tra dei vecchi tappeti abbandonati nel vicolo nel quale “viveva”. Il volto consumato dalla fatica di sopportare il dolore e il corpo assopito. Gli occhi fuggivano alla gente che, passando, gli lanciava una sola svista per poi proseguire indisturbata sulla strada.
Elena gli atterrò esattamente affianco con un balzò, così da farlo scattare in piedi spaventato.
-Ehi! Chi c’è?! Chi va là?!- sbraitò guardandosi attorno e tremando sulle sue stesse gambe.
Non le parve molto vecchio. Forse di mezza età, tra i ventinove e trentacinque anni. Abbastanza robusto, ma consumato dal tenore di vita che perseguiva.
-Abdel Allyad?- domandò ella poggiandogli una mano sulla spalla.
L’uomo si volse a guardarla e le sorrise. –Dea?!- chiese sbigottito e subito dopo si prostrò a terra in un inchino esagerato. –Onori, onori…- sibilò devoto come stesse pregando.
Elena strinse i denti. –Nessuno ti ha mai insegnato a non dare nell’occhio?!- sbraitò tirandolo per gli stracci e trascinandolo nell’ombra del vicolo.
-Adesso dimmi cosa sai sulla partenza di Bonifacio da Gerusalemme verso Acri, avanti!-.
-Avete toppato alla grande. Non so nulla di una partenza- ridacchiò poco sobrio.
-E cosa sai?!- digrignò lei avvicinandosi a lui minacciosamente. –Come mai nessuno di voi sembra fare il vostro lavoro come si deve?!- quella situazione stava diventando alquanto fastidiosa, pensò.
-Non scaldatevi troppo, Dea, ci sono diversi modi per estorcere informazioni…- ridacchiò malizioso.
Elena lo afferrò per il colletto degli stracci che indossava e lo sbatté con violenza al muro. –Non ho tempo da perdere! Se la tua lingua non sputerà qualcosa di sensato entro otto secondi, giuro che te la taglio!-.
-D’accordo, d’accordo!- gemé intimorito. –Vi chiedo perdono, ma le cose non mi vanno molto bene ultimamente…- borbottò, ed Elena lasciò la presa sulla sua lurida maglia.
-Svuoterò le tasche se mi darai ciò che voglio sapere, è una promessa- disse lei.
-Lo so bene!- eruppe scocciato. –Ma i soldi che mi date bastano a mala pena una settimana…-.
-Vedi di conservarli in qualcosa che non sia l’alcol, allora- lo riprese.
-Chi siete, mia madre?- ringhiò.
-Possiamo tornare a…-.
L’uomo fece un gesto di stizza. –Va bene, come volete… ma ve l’ho detto. So poco e niente della partenza di Bonifacio. Mi è certo soltanto che i suoi uomini si stanno radunando in forze alle spalle del Tempio. Quindi sono in procinto del viaggio, probabilmente. Non mi è chiara l’ora prefissata, ma persino gli accampamenti alle mura della città stanno levando le tende. Un folto numero di guardie pattugliano le strade, è successo qualcosa, non è così?- rise.
-Corrado è morto. È il minimo che ci diano la caccia…-.
L’informatore sgranò gli occhi. –Voi… avete ucciso Corrado del Monferrato?-.
La ragazza annuì scontenta.
-Voi e chi altro?-.
-Altair-.
-Che Cristo resti in cielo…- mormorò incredulo. –Bel casino; Bonifacio è intento nelle vostre ricerche ed è probabile che magari non lasci la città fin quando non vi avrà trovati- disse assorto nei suoi pensieri.
-Mi servono conferme, non supposizioni. È tutto?- fece irritata.
Abdel si guardò attorno. –Sì, è tutto-.
Elena gli lasciò abbastanza denaro da poter campare non una ma due settimane e filò via dileguandosi tra la folla.
Due su tre informatori le avevano svuotato per metà il sacchetto di monete e le restava un ultimo spiraglio di conoscenza al quale estorcere informazioni.

-Akram è noto per il suo prestato servizio nella setta, ma a causa di una lesione permanente alla gamba sinistra, ha dovuto abbandonare le pratiche dell’omicidio. Si è stabilito a Gerusalemme assieme alla famiglia. Ha quattro figli, ma la moglie morì durante l’attacco a Masyaf da parte dei Crociati. Posso dirti di lui poco, anche se di Cronache che lo riguardano in questa sala ce ne sono parecchie. Lo troverai a trafficare nel distretto medio della città; dalla mattina alla sera non fa altro che impiegare il suo tempo negli spionaggi. È un mestiere che apprezza, ed è un uomo che viene apprezzato per ciò che fa. Sono certo che il suo modo di parlare e di fare ti stupirà oltremodo, e forse è colui dal quale riceverai le informazioni necessarie e che stai cercando. È probabile che, come fa di solito, rifiuti il tuo denaro. Non insistere, e porta il dovuto rispetto ad un assassino che fu di rango pari a tuo padre…-

-Akram?- domandò flebile.
Indossava un copricapo bianco fatto di un tessuto candido ma sporco in alcuni punti di sabbia. La veste chiara gli arrivava fino alle caviglie e ai piedi portava dei comodi sandali. Al ventre era legata la fascia rossa con sovrapposta la spessa cintura di cuoio alla quale erano legate diverse sacche. Le cinghie e il triangolo di metallo gli correvano sul petto e sulle spalle portava un piccolo zainetto di pelle dall’aria pesante. Era alto, e trascinava di poco la gamba sinistra come le aveva detto Malik. Elena lo chiamò più volte, seguendolo tra la folla che percorreva la via principale della città.
Il sole cocente andava a brillare nell’alto del cielo azzurro e limpido. Vi si specchiavano solo tre o quattro piccole e innocue nuovole, e il canto degli uccellini si mescolava al vociare accentuato dei passanti.
-Akram!- la ragazza gli toccò appena il braccio e l’uomo si volse di scatto, foderando con un gesto fulmineo del polso un piccolo pugnale da sotto la veste.
Elena avvertì la lama premere su un suo fianco e fece per indietreggiare, ma l’informatore la stringeva per un gomito inchiodandola dov’era.
La giovane Dea sbiancò di fronte allo sguardo truce della persona che aveva davanti. Non doveva avere più di una quarantina d’anni, ma parte del suo volto era celato dal tessuto del copricapo, lasciando un lembo sottile dal quale spiccavano due occhi incredibilmente azzurri.
-Aspetta…- mormorò lei.
La sua presa sul braccio di lei si affievolì con calma, poi egli chinò il capo rinfoderando il pugnale.
Elena si ritrasse azzardando un passo indietro. -Akram, giusto? Il Rafik non mi diede il vostro cognome…- sibilò pensosa.
L’uomo la fissò allungo tacendo. Improvvisamente, un gran sospiro gli gonfiò il petto. Poi rise.
Elena, stupita del suo atteggiamento, aprì la bocca ma non seppe che dire.
L’informatore arrestò la sua risata sfociando in un luminoso sorriso.
-Cosa ci trovate di tanto divertente?- proruppe.
-Noi ci conosciamo. Solo che tu non lo ricordi. Eri troppo piccola…- disse solo con una voce familiare che, senza avviso, le scaldò il cuore.
La ragazza ammutolì. Da qualche parte, in qualche tempo, in qualche luogo… aveva già incontrato di fatti quest’uomo.
Akram la guardò dritta negli occhi. –Quanto sei cresciuta…- assentì sqadrandola dalla testa ai piedi.
Elena arrossì, ma non aggiunse nulla.
-So perché sei qui. È bene non dilungarci, vieni- proferì voltandosi e incamminandosi.
La Dea lo seguì in silenzio e si ritrovarono ben presto in un vicolo appartato.
-Bonifacio sta preparando i suoi uomini dietro il Tempio di Salomone. Si apprestano a partire, ma l’ora precisa è stabilita per questo tardo pomeriggio. Si muoveranno prima di cena e raggiungeranno Acri in quattro giorni di marcia. I membri della Fratellanza, però, saranno già lì precedendo il grosso dell’esercito di Corrado...- la informò composto.
-Grazie…- non c’era altro che le servisse sapere e si sbrigò ad afferrare le ultime monete dalla sacchetta che aveva legata alla cintura.
-Elena- la chiamò d’un tratto.
Lei tacque sollevando il mento.
-Non hai alcun ricordo, non è così?-.
-Non so di cosa stiate parlando…- prese una moneta tra le mani e iniziò a giocherellarci nervosamente.
Akram si sfilò via dalla testa il copricapo e mostrò per intero il suo volto. –E adesso?- chiese.
Elena sollevò di malavoglia lo sguardo e, incredula di ciò che aveva… o meglio, di chi aveva davanti, restò senza fiato.
Le monete le caddero sbadatamente rovesciandosi al suolo. –Non è possibile…-.
La somiglianza era troppa, ma si diede della stupida per non aver associato tali occhi ad una voce tanto familiare. Ogni tratto del suo viso era troppo… troppo simile a…
-Kalel forse preferì non parlarti di me, ma quelle poche volte che venivo a farvi visita ad Acri, egli mi allontanava con ripugno. Mi odiava per il semplice fatto che più volte mi contrapposi alla storia che nacque tra lui e Alice nella setta… Alice non mi era mai stata simpatica, né prima né dopo la loro fuga da Masyaf. La consideravo un fastidio repentineo che avrebbe infangato il nome della nostra famiglia. Una Serpe vera e propria come quella sul suo tatuaggio. Fui suo allievo; allievo di tuo padre, e per molti anni lui mi vide così. Non più come suo fratello, ma come un suo semplice apprendista. Fu allora che ci sperammo, fu allora che mi ripudiò del tutto. Il dolore che mi trascino sulla gamba sinistra fu il simbolo bruciate tutt’ora del mio tradimento. Era stata la mia voce a parlare ad Al Mualim di loro. Ero stato io a raccontare la loro vita sentimentale al Gran Maestro, e questo Kalel non me lo perdonò mai… credevo troppo nell’onore, e questa mia etica mi trascinò nell’oblio di questi anni passati ad implorarlo sulla sua porta. All’epoca, mio fratello non mi parlò neppure di Gabriel, ma lo venni a sapere da Tharidl una o due settimane fa. Da vero idiota, il mio comportamento fu la rovina della vostra famiglia. Mi diedi la colpa della morte di Alice e adesso mi condanno all’inferno per ciò che è successo a tuo padre. So che si trova ad Acri prigioniero del defunto Corrado, e vederti ora di fronte a me, chiedendomi informazioni preziose per portare a compimento la “tua” vendetta… mi riempie il cuore della stessa fierezza che provai insegnandoti a camminare…-.
Senza pensarci due volte, Elena si gettò ad abbracciare suo zio con una stretta poderosa, sfogando su di lui tutta la sentita mancanza di affetto familiare che aveva passato negli ultimi mesi.
Akram la strinse a sé disperato. –Elena…- le mormorò all’orecchio.
-Verrai con me ad Acri?- domandò ella trattenendosi dal singhiozzare.
-Questa gamba non mi porterà molto lontano. Ti ho vista mentre saltavi da tetto a tetto…- sorrise fiero. –Invidio il modo con cui Kalel ti ha allenata in così poco tempo…-.
-Poco tempo? Otto anni della mia vita li chiami poco tempo?- ridacchiò gioiosa.
-Sì, hai ragione-.
-Va bene lo stesso, ma zio…- lo chiamò.
-Sì?-.
Non c’erano altre parole per descrivere la sua felicità in quel momento, ma dilungarsi avrebbe significato la rovina forse della sua missione. Ci sarebbe stato tempo per guardare da vicino la sua famiglia al completo, ma ora doveva scattare verso la vittoria. –Dimmi che verrai a Masyaf-.
Lui annuì. –Sto già facendo le valige-.
-Non posso crederci, ho quattro cugini…- sibilò stupefatta.
-Forse più di quattro…- s’interruppe ridendo. -Presto li conoscerai, ma ora devi andare- l’allontanò dolcemente.
-Sì, infatti…-.
Akram le volse un’ultima occhiata, ed ella si dileguò dal vicolo confondendosi alla folla.

Doveva restare concentrata, si disse atterrando nella Dimora.
-Allora?- Hani le venne incontro.
-Tu non vieni- sbottò la ragazza avviandosi al bancone.
Il giovane scoppiò in una fragorosa risata. –Stai scherzando, è così?-.
-No!- Elena raggiunse la stanza accanto e si precipitò al fianco del suo maestro, ancora steso tra i cuscini.
Malik lasciò la sua postazione dietro il bancone. –Non mostra alcun tipo di miglioramenti, mi spiace- mormorò afflitto.
Elena gli passò una mano sulla fronte, sentendola ancora bollente e imperlata di sudore. Poco dopo tornò in piedi e strinse i pugni.
-Bonifacio partirà assieme ai suoi uomini questo pomeriggio. La Fratellanza li precederà di qualche giorno, quindi devo andare, e subito- annunciò seria.
-Allora avvicinati. Non abbiamo tempo da perdere- il Rafik cercò tra le pergamene sugli scaffali e ne distese una sul tavolo.
-E io?!- domandò imperterrito Hani.
-Ha ragione- Malik le lanciò un’occhiataccia. –Non ti permetto di partire da sola- disse composto osservando la mappa.
Elena si avvicinò a lui, ed Hani la squadrò silenziosamente.
-E va bene!- alzò gli occhi al cielo. –Ma non dovrai essermi d’impiccio, chiaro?!- gli puntò un dito contro.
Hani rise di gusto. –D’accordo…-.
Detto ciò, i due giovani assassini si avvicinarono al banco sedendo composti davanti ad esso.
Malik fece correre il suo dito sulla cartina. -Questa pergamena rappresenta il Regno, ma poiché copre una vasta estensione di territorio, non è molto precisa. Perciò prestate attenzione- disse severo.
La ragazza annuì.
-Bene…-.
Il Rafik fece una lunga lista di appostamenti nel quale era probabile che il terreto fosse controllato da arcieri e vedette. Disse loro di evitare i tragitti percorsi popolarmente dalla gente e di traversare il più possibili boschi e montagne. Ciò richiedeva un maggior sforzo, ma era in ballo la vita di entrambi e quella di Kalel, assieme alla lotta sfrenata per il Frutto.
-Ma non c’è nessuno ad Acri che possa operare al nostro posto? Insomma…- intervenne Hani pensoso. –Se la sorveglianza al Tesoro dei Templari è così ristretta ora che Bonifacio è qui, non possono…-.
-No- lo interruppe Malik bruscamente. –Se non sbaglio, l’unico nostro fratello che si trova lì, per ora è il Rafik stesso, pertanto… siccome siete gli unici assassini in circolazione più vicini alla meta…-.
-D’accordo- Elena batté i palmi sul tavolo. –Siamo pronti, no?- si guardò attorno.
Malik ripiegò la carina e gliela porse. –Legala alla sella del tuo cavallo. Potrà esservi utile. Una volta ad Acri, non preoccuparti di passare nella Dimora. Ovviamente, considerate questa ipotesi se non siete nei guai. Altrimenti, fate tappa lì e ripartite l’indomani come da piani. Ho avvertito il capo sede con una colomba questa mattina mentre eri fuori, Elena, e mi risponderà al più presto non appena sarete arrivati in città-.
Elena si stanziò di qualche passo raggiungendo il centro della stanza. Si volse, chinandosi poi al fianco di Altair.
-Se dovesse riprendersi…- mormorò triste. –digli che ci rivedremo a Masyaf a cose fatte- annunciò tirando su col naso.
Malik chinò la testa. –Lo farò-.
Poco dopo, Elena si sollevò in piedi e quasi correndo, si gettò ad abbracciarlo. –Grazie di tutto!- gemé affondando il volto nell’incavo del suo collo, e Malik le cinse i fianchi con l’unico braccio.
-Elena…- la chiamò Hani dal tetto dell’edificio.
La ragazza si allontanò camminando a capo chino verso l’ingresso della Dimora.
Si arrampicò abile e raggiunse l’amico che l’attendeva sul margine.
-Pronta?- le chiese serio.
La ragazza annuì, lanciando un’ultima svista alle sue spalle.
Abbas la salutò agitando una mano.
-Sì- sorrise mesta, e si calarono giù dalla parete, immergendosi poi nel mare di folla che erano le strade popolose di Gerusalemme.






   
 
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