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Autore: shezza_demon221    10/09/2016    1 recensioni
Tutto quello che so è una porta sul buio.
(Seamus Heaney)
L'arrivo inaspettato della misteriosa Lily porterà nuove vicissitudini al 211b di Baker Street.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Capitolo 13

Secrets and lies



Non si erano parlati per tutto il tragitto fino al St Barth’s. Lily era molto triste, non aveva mai provato il dolore del rifiuto, dell’indifferenza. Almeno dal punto di vista romantico. In tutta la sua vita aveva avuto solo una “relazione” ed era finita nel peggiore dei modi. Era bello innamorarsi, ma venire rifiutati, tra l’altro senza essersi dichiarati, era la peggiore delle torture. Non poteva confessare i suoi sentimenti a Sherlock, perché aveva paura di perderlo. Doveva tenersi tutto dentro, il dolore a scavarle il cuore; era come avere sete e non poter bere. O avere un prurito insopportabile e non potersi grattare. Da andare ai pazzi.

Andrew era capitato in un momento strano, Lily non sapeva come gestire la situazione. Si sentiva in colpa perché aveva pensato a Sherlock quando lui le aveva chiesto il numero di telefono; ma a un certo punto sarebbe dovuta andare avanti, fare un tentativo, cercare di rimettere a posto i pezzi del suo cuore e della sua vita, cercare di essere felice. Sherlock era irraggiungibile, e non era interessato a lei. Aveva pensato al giorno in cui un’altra donna sarebbe atterrata nella sua vita, e aveva sentito un dolore lancinante in tutto il corpo. Ma sperava di essere guarita quando sarebbe arrivato il momento; sperava di amare qualcun altro.

Perché tu lo ami, vero? La voce  nella sua testa la tormentava ancora.

Non posso amarlo.

Un brivido freddo le aveva percorso la schiena. Voleva assolutamente pensare a qualcos’altro, sennò sarebbe scoppiata a piangere senza ritegno.

Percorreva il corridoio del St Barth’s dietro a Sherlock, triste e nervosa. Doveva darsi una possibilità con Andrew? Non lo sapeva. Una rabbia bruciante le aveva sferzato la pelle; era sempre così indecisa, piena di dubbi. Doveva tirare fuori gli attributi, aveva pensato mentre guardava Sherlock che camminava davanti a lei. Il suo portamento, i suoi capelli, le sue mani, tutto. Tutto faceva battere il cuore a Lily. Le sue spalle larghe, il naso perfetto, le ciglia nere e lunghe, il modo in cui i vestiti gli cadevano addosso. Ma non poteva, doveva darsi una mossa, guardare avanti. Mentire a sé stessa era una tortura, ma forse se qualcun altro le avesse fatta sentire amata sul serio, l’infatuazione sarebbe passata.
Unico problema: era davvero un’infatuazione? O era amore? Non aveva termini di paragone, Kaleb non contava; forse sì, ma era amore adolescenziale, non adulto. Era tutto diverso. Lily apprezzava sia i pregi che i difetti di Sherlock, e secondo lei questo era segno di qualcosa di maturo; uno dei tanti, almeno.

Mentre divagava, erano arrivati in ambulatorio e Sherlock aveva aperto la porta, senza bussare. John era seduto al tavolo e mangiava un panino insieme a Mary.

“Oh, ma che bella sorpresa!” aveva esclamato lei, sorridendo a entrambi “qual buon vento vi porta?”

Dovresti bussare, Sherlock” aveva sibilato John. Aveva guardato entrambi.

“E perché mai? Sei in pausa pranzo! Saremmo arrivati prima, ma Lily ha avuto un contrattempo” si era girato verso di lei, che era rimasta leggermente indietro, le mani affondate nelle tasche del giubbotto. Alle parole di Sherlock aveva alzato gli occhi, esasperata:  “Sherlock, ti prego” aveva piagnucolato.

“Ah sì, e cosa è successo?” John aveva guardato Lily strizzando gli occhi, curioso, e continuando a masticare.

“Ma no, niente di…” aveva cominciato lei, scuotendo la testa.

“Lily ha incontrato un uomo al supermercato, che le ha portato le buste della spesa fino a casa”  aveva continuato Sherlock. L’aveva guardata, con aria di sfida. Si stava divertendo.

Mary aveva trattenuto il respiro, sorpresa, mettendosi le mani davanti alla bocca “Davvero?”

John guardava Lily, serio. La scrutava attentamente. Lily aveva incontrato per pochi secondi i suoi occhi e li aveva abbassati, a disagio. C’era qualcosa nel modo in cui la squadrava che la faceva sentire quasi nuda, come se non avesse barriere o scudi. Aveva affondato ancora di più le mani nelle tasche stringendosi nelle spalle, vergognosa.

“Dai Lily, mica è una brutta cosa, anzi. È carino?” aveva continuato Mary, con tono complice. Lily in quel momento aveva avuto un moto di antipatia verso di lei e sperava che John la salvasse in qualche modo, ma lui continuava a mangiare, gli occhi fissi sul suo panino. Lily era arrabbiata anche con lui, era arrabbiata con tutti.

“Mi ha solo aiutato con la spesa” aveva mugugnato. Un leggero rossore le colorava le guance.

“Ti ha chiesto anche il numero di telefono” aveva continuato Sherlock, impunito.

Lily lo aveva guardato, gli occhi fiammeggianti. Contraeva la mascella, furiosa. Ma perché non teneva quella boccaccia chiusa?

Mary aveva lanciato un gridolino entusiasta. Lily lo aveva sentito stridere sui suoi nervi.

Sherlock la guardava con aria di sfida. La stava mettendo in imbarazzo apposta, per fargliela pagare riguardo al discorso della sera prima. Non si era dimenticato niente, anzi. Aspettava solo il momento giusto, le aveva chiesto di andare con lui di proposito per scatenare la curiosità morbosa di Mary e a quanto pare l’indifferenza di John, che continuava a mangiare senza esprimersi. E lui si stava godendo lo spettacolo in prima fila. Aveva accennato un sorrisetto e poi si era girato: “Vuole diventare psicologo” aveva continuato verso Mary, che lo guardava avida di informazioni “proprio un bravo ragazzo” aveva alzato le spalle, il sorriso beffardo ancora stampato in faccia.

Dopodiché si era incamminato verso il bricco del caffè appena fatto, versandolo dentro una tazza. Si era appoggiato al tavolo, le gambe incrociate e una mano a sorreggere il proprio peso, mentre con l’altra si portava il caffè alle labbra. Lily vedeva i suoi occhi scintillare divertiti. Erano grigio ardesia, più scuri del solito. Sembravano gli occhi di un demone. Lily aveva sentito la pelle avvampare di piacere, insieme a un moto di rabbia, frustrazione e pianto. Erano occhi stupendi, ma cattivi. In quel momento lo avrebbe preso a schiaffi su quegli zigomi affilati, fino a farsi male. Aveva stretto le mani dentro il giubbotto, deglutendo. John l’aveva guardata di nuovo, gli occhi blu concentrati. Lily non capiva. Poteva smettere di guardarla con quegli occhi come due pozzi scuri; non serviva anche il suo, di giudizio.
Nessuno parlava e aspettavano che fosse lei a prendere la parola lanciandosi in una descrizione dettagliata di Andrew; ma lei non sapeva niente di lui, lo conosceva appena.

Aveva sospirato, fulminando Sherlock con lo sguardo.

“Scusate” aveva mormorato e si era diretta verso la porta, sbattendola alle proprie spalle.

Mary aveva sobbalzato, sorpresa. Era rimasta in silenzio per qualche attimo, poi si era girata verso John “ Cosa le è preso” aveva domandato, guardando anche Sherlock “è una ragazza carina, doveva aspettarselo prima o poi” aveva alzato le spalle, incredula. Poi si era illuminata: “oh, si vergogna, poverina! Vado a cercarla!” e si era lanciata fuori dalla stanza, lasciando John e Sherlock da soli.

“Blah, questo caffè fa schifo” aveva esordito Sherlock svuotandolo nel lavandino. John ne aveva preso un sorso: “A me piace. Sai cos’è che non mi piace invece? Te che fai lo stronzo” aveva appoggiato la tazza sul tavolo facendole fare un rumore secco e si era girato verso Sherlock, scrutandolo con aria di rimprovero.

Sherlock aveva sgranato gli occhi, incredulo: “Cosa ho fatto adesso?”

John aveva scosso la testa, irritato: “Hai messo in imbarazzo Lily, razza di cretino” aveva esclamato John “ma veramente non te ne rendi conto?”

Sherlock aveva riso ironico: “Ah, quello?” si era tolto la sciarpa, appoggiandola sul tavolo “cosa sarà mai, si scherzava; una piccola rivincita, per quello che è successo ieri sera” aveva abbassato le labbra e alzato le sopracciglia.

John naturalmente si era fatto raccontare tutto; Janine, il discorso che aveva fatto con Lily, il piccolo diverbio e l’incontro con Andrew.

“Insomma, come può pensare che io porti altre donne in casa con lei dentro?” aveva sbuffato verso l’alto, facendo muovere un ricciolo che gli era cascato sugli occhi.

“Con me l’hai fatto” John aveva appallottolato la carta del panino “certo, io sono un uomo, è diverso” aveva appoggiato il viso su una mano, guardandolo.

“Non è vero, tu non c’eri mai!” aveva esclamato lui, incredulo.

John aveva sospirato: “Sherlock, certo che c’ero. Non con Janine, ma le ho sentite le tue “tester”. Più di una volta. Eri convinto che non ci fossi, un paio di volte sono uscito di nascosto ma non sempre. E di certo non venivi a controllare in camera, razza di spilungone pigro”.

“Arrivavo e ti chiamavo a voce alta, se non rispondevi per me non c’eri.” l’espressione di Sherlock diventava sempre più rabbiosa “dovevi dirmelo che eri in casa!”

“Certo che non rispondevo! Sentivo risatine di donna! Se fossi saltato fuori, le avresti cacciate di casa mandano a monte l’”interrogatorio”! e certe volte, scusa tanto, dormivo!” John lo guardava, godendosi la sua espressione. Uguale identica a quando lo aveva accusato di essere una primadonna. Poi si era incupito: “Lily cosa c’entra in tutto ciò? credeva di farti un piacere, non di metterti in imbarazzo, cosa che hai fatto te, nel peggiore dei modi. Sai che è timida e l’essere messa al centro dell’attenzione la manda nel panico. Non ti è bastato l’uomo ubriaco?”.

“Oh insomma, non ho fatto niente di grave” aveva borbottato Sherlock, guardando il pavimento.

“Sei proprio sicuro che non l’hai fatto per vendicarti? O magari ti scoccia che abbia incontrato Andrew?”

“Andrew non mi piace” aveva risposto lui “sorride troppo, invade il suo spazio, è troppo irruento”.

“Oh, capisco” aveva annuito John “non piace a te quindi non deve piacere neanche a lei”.

“Ma chi ha detto niente! le ha anche dato il numero di telefono, chi sono io per dirgli di non farlo?” aveva agitato una mano per aria, infastidito.

“Lily ascolta sempre quello che dici, e prende molto in considerazione le tue opinioni”.

“Ma io non le ho detto che non mi piace; l’ho solo avvertita, le ho detto di stare attenta, tutto qui”.

“E quello che hai fatto qui? Sicuramente ha capito che l’hai fatto apposta, non è stupida” John si era versato altro caffè, avvicinandosi a Sherlock “ieri sera si sarà sentita in imbarazzo, oggi con Andrew e te, e adesso di nuovo. Sherlock per l’amor di Dio, ti avevo chiesto di darle pace, ma fai esattamente il contrario”.

“Non capisco perché con Andrew si sarebbe sentita in imbarazzo” aveva chiesto Sherlock.

“Non sei stato propriamente cortese, se è vero quello che mi hai raccontato” aveva sibilato John.

“Se una persona non mi piace, perché dovrei essere cortese? È inutile, va contro la mia natura” aveva alzato le spalle.

“Forse perché piace a Lily?” John aveva posato la tazza nel lavandino.

Sherlock aveva fatto spallucce: “Non ne ho idea; e poi non ha detto apertamente che le piace; io non so com’è lei quando le piace una persona”.

John aveva soffocato una risata, mentre sciacquava la tazza: “Già” aveva scosso la testa.

Sherlock si era girato verso di lui, interrogativo.

John gli aveva dato una pacca su una spalla: “Se dovesse uscirci, cerca di non fare il pezzo di merda” aveva sorriso ironico.

“Io non sono la balìa di Lily! può fare quello che vuole, le ho solo detto di fare attenzione se dovesse succedere!!!” aveva urlato, irritato.

La risata di John era echeggiata nell’ambulatorio, mentre andava in bagno.

//

Lily si era rifugiata nella prima stanza che aveva trovato. Camminava avanti e indietro, in un moto nervoso, come un animale in cattività. Si era passata le mani nei capelli, cercando di calmare il nervosismo e il cuore che le esplodeva nel petto. Improvvisamente aveva tirato un calcio ad una sedia di metallo lì vicino, facendo un rumore infernale.

“Chi è?” una vocina timida era risuonata nell’altra stanza.
Lily si era accorta di essere entrata senza volerlo nell’obitorio. Una figura minuta si era affacciata dalle porte a spinta; era Molly, con dei guanti sporchi di sangue e degli occhialoni calcati sul viso che le rendevano gli occhi più grandi del normale: “Chi è?” ripeteva, sbattendo le palpebre dietro la maschera. Aveva posato lo sguardo su Lily, sorpresa.

“Oh Lily, ciao!” le aveva sorriso un po’ a disagio “che ci fai da queste parti?”
    
“Io…scusa Molly, non volevo spaventarti” si era passata una mano sul viso, imbarazzata.

“Oh no, figurati. Solo che stando in questo posto, se sento un rumore forte, mi preoccupo e controllo subito dentro le celle” aveva riso, divertita.

Lily aveva riso a sua volta. Che persona carina. Non l’aveva frequentata molto ma sapeva che aveva aiutato parecchio John e Sherlock durante le indagini sulla sua scomparsa. Era piccolina, minuta, e con una voce sottile. Per questo veniva soprannominata “topolino”, le aveva detto John. Le era simpatica, era una ragazza tranquilla, discreta e sempre gentile.

Nel frattempo si era tolta i guanti e gli occhiali, arruffandosi i capelli; li aveva aggiustati ridendo piano, quasi in imbarazzo. Poi si erano guardate e lei aveva esordito: “Come mai da queste parti? Ti serve qualcosa?”

“Veramente sono scappata” aveva allargato le braccia “da John Mary e Sherlock”

“Oh…Sherlock” aveva abbassato lo sguardo, triste, mentre tormentava i guanti con le mani “immagino, non è una persona facile da tenere a bada”.

Ahi ahi ahi  aveva pensato Lily qui c’è qualcosa che non va. Un’altra vittima di Sherlock Holmes il macina-cuori.

Molly era rimasta per alcuni secondi sovrappensiero, poi si era ripresa e le aveva sorriso, a disagio: “Se sei ancora in fuga, posso darti asilo politico per un po’. Ti va un the? Ho il bollitore qui in laboratorio” l’aveva guardata, timida.

Lily aveva accettato volentieri, Molly la tranquillizzava invece di mandarla ai matti come Mary, troppo piena di energia.

“Insomma” aveva cominciato a riempire il bollitore “come mai in fuga? Ti hanno fatto arrabbiare?” si muoveva svelta per il piccolo cucinino che aveva arrangiato nell’angolo della stanza.

“Più che arrabbiare, mi hanno messo alle strette, e io non sono ancora molto pronta alle situazioni dove c’è troppa pressione” si era seduta al tavolo di Molly, sulla sedia a cui aveva appena dato un calcio “di solito John viene in mio aiuto, ma stavolta ha preferito rimanere zitto” Lily aveva abbassato la voce, dispiaciuta.

“John Watson” aveva riso Molly “una brava persona, si preoccupa sempre degli altri mettendosi al secondo posto. Lo fa anche con Mary, anche se io credo che non siano proprio fatti l’uno per l’altro. Lei mi sembra troppo effervescente per un tipo come lui” aveva detto tutto con molta nonchalance, come se pensasse ad alta voce. Poi si era fermata e aveva guardato Lily, timorosa “accidenti, scusami. È tua amica, non volevo offenderla…cioè, alla fine mi sta molto simpatica solo che…non mi sembra il tipo per il dottor Watson” aveva detto l’ultima frase sussurrando, guardando il bollitore con estremo disagio.

Lily aveva scrollato le spalle: “Tranquilla, ognuno ha le sue opinioni. Effettivamente è piena di energia, è difficile starle dietro. Ma forse è per questo che John è innamorato di lei” aveva sorriso, rassicurante.

“Sì certo, sicuramente” Molly aveva sorriso di sghembo continuando a preparare il the “e…Sherlock invece? Cosa ha fatto stavolta?” evitava di guardare Lily in faccia. Era imbarazzata.

Lily le aveva raccontato l’episodio di poco prima e Molly aveva riso: “Sempre il solito, non ha proprio un filtro tra bocca e cervello” aveva accarezzato la tazza dove stava facendo raffreddare il the. La sfiorava con tenerezza, come se stesse accarezzando la guancia di un bambino. O di un ipotetico Sherlock. Poi aveva preso la sua e gliel’aveva porta: “attenta, scotta parecchio”.

“Grazie, Molly” le aveva sorriso.

“Sherlock è molto particolare. Risponde sempre con quel piglio deciso e quasi cattivo. Chissà cosa gli ronza per la testa…non lo sapremo mai” aveva ridacchiato; poi aveva sospirato, assumendo un’aria triste “ne sono stata molto innamorata”.

Al St Barth’s girava questa voce ma non era mai stata confermata. E comunque, nonostante Lily ne fosse quasi sicura, sentirlo dire così apertamente le aveva fatto quasi andare il the di traverso.

“Ho provato molte volte a offrirgli un caffè, o a proporre di andare a cena ma non c’è stato niente da fare” aveva alzato le spalle “mi affascinava tantissimo, ma poi mi sono resa conto che non era assolutamente interessato a me e che probabilmente l’ho anche infastidito in più di un’occasione”.

Amen sorella aveva pensato Lily, corrugando leggermente le sopracciglia, sentendo un’affinità fin troppo comune.

“Era sempre con John, spalla a spalla. Giorno e notte, tant’è che a un certo punto ho pensato che stessero insieme” aveva alzato una mano in aria, agitandola “forse sarebbe stato meglio”.

Lily aveva sospirato, dispiaciuta. Molly non meritava di stare così male, era così buona e gentile. Sentiva una certa empatia, erano tutte e due attratte da Sherlock in maniera impossibile.

“Stai male anche tu per lui?” l’aveva guardata di sottecchi, intimidita “tranquilla, non lo dirò a nessuno. Sono  molto discreta” aveva riso piano “ti ho vista, mentre lo osservi e non posso darti torto. È…unico”. A Lily sembrava di risentirsi.

“Già, lo è. Molto, al limite della sopportazione”.

Avevano riso all’unisono, sentendosi molto unite.

“A volte vi muovete con una sintonia incredibile, non so come spiegarlo” Molly aveva assunto un’espressione trasognata.

Lily si era sistemata sulla sedia, in imbarazzo: “Ho imparato a muovermi intorno a lui, per non intralciarlo. È molto svelto e agile, se mi trova in mezzo ai piedi comincia a lamentarsi e poi lì mi toccherebbe ucciderlo. Ma lui non penso sia interessato alle relazioni in generale” non voleva dare conferma della sua infatuazione, avrebbe lasciato il giudizio a Molly, si fidava di lei e del suo intuito femminile.

“Capisco” aveva sussurrato portando la tazza alle labbra “probabilmente nessuna è il suo tipo, a meno che non sia come lui e in quel caso si salvi chi può”

Lily aveva annuito leggermente: “Già”.

Si erano guardate di nuovo, sorridendo.

“Potremmo andare a pranzo qualche volta o a cena e poi a bere qualcosa” aveva esordito Molly, la voce che tremava, un po’ imbarazzata “se ti fa piacere, naturalmente. Non ho molte amiche e ti confesso che a volte sfogarmi con qualcuno o semplicemente parlare da donna a donna mi manca” stringeva le mani intorno alla tazza, nervosa. Aveva paura del giudizio degli altri, credeva di non essere abbastanza. Un po’ come lei.

“Con molto, molto piacere, davvero” Lily aveva allungato le sue mani verso quelle di Molly, stringendole. Erano fredde, nonostante tenesse il the caldo.

Sul viso di Molly si era aperto un sorriso sincero e brillante, felice: “Che bello! sono molto contenta. Posso darti il mio numero?” aveva accennato.

“Come no, certo!” Lily aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca interna del giubbotto.

Si erano scambiate i numeri e avevano cominciato a parlare di cose leggere come ragazzi e vestiti, come due adolescenti; ogni tanto ridacchiavano frivole e Lily si sentiva molto meglio. Questo era un altro passi avanti per riprender in mano la sua vita; amici, conoscenze, un motivo per uscire e divertirsi.

“E quindi, com’è questo Andrew?” aveva chiesto Molly, alzando le spalle eccitata “è carino?”

“Sì, è carino. Studia psicologia” aveva accennato Lily.

“Ti ha già chiamato?”

“Veramente no, però c’è tempo”

“Buttati, Lily. Se è così carino e gentile come dici”.

Lily aveva inclinato leggermente la testa di lato, sentendosi quasi sicura della risposta: “Ma sì, può darsi che andrò a prenderci un caffè uno di questi giorni. Se chiama”.

“Certo che chiamerà, ma che dici?” aveva esclamato Molly.

Lily aveva riso, scrollando le spalle. Chi lo sapeva, ormai.

“Accidenti, devo tornare a lavoro sennò non finirò in tempo; devo consegnare dei rapporti entro stasera” Molly aveva guardato l’orologio in disappunto “uffa, mi stavo divertendo a parlare con te” aveva arricciato il naso.

“Tranquilla, vado anch’io o mi daranno per dispersa” aveva posato la tazza nel lavello “sentiamoci questi giorni, sarei felice di andare da qualche parte e continuare i nostri discorsi da ragazzacce” aveva sorriso a Molly.

“Certamente! Il prima possibile!” aveva risposto lei, contenta accompagnandola alla porta “Lily, è stato un piacere, davvero”.

“Anche per me” si erano prese le mani, stringendole forte “ a presto”.

“A presto!” Molly la salutava sulla porta agitando la mano, poi era rientrata in laboratorio.

Lily stava incominciando a incamminarsi quando aveva visto John sfrecciare dall’altra parte del corridoio, guardandosi intorno. Poi l’aveva vista e si era fermato: “Lily! Ehi, ma dov’eri finita, ti stavo cercando ovunque” era arrivato vicino a lei, sorridendo “credevo fossi uscita”.

Lily non sapeva come affrontare John; non capiva il comportamento che aveva avuto prima, era molto strano. Era rimasta zitta, guardandosi le scarpe.

John aveva sospirato: “Ehi” le aveva preso il mento con due dita sollevandole il volto “mi dispiace per prima, so che ti sei sentita con le spalle al muro” gli occhi blu scintillavano, decisi come sempre “ma ho sentito un’energia strana, e non e la sono sentita di mettermi in mezzo”.

Lily non capiva: “Energia strana?” aveva detto piano “che intendi?”

John aveva riso: “Ti ho visto, appena entrata. Era come uno scontro tra titani; Sherlock è il solito scemo questo lo sai. Ma tu…tu avevi una faccia diversa, gli occhi ti lampeggiavano, sembravi sul punto di esplodere e non volevo che in qualche modo pensassi che mi stavo intromettendo. Volevo vedere come andava a finire. Se fosse continuata sarei intervenuto Lily, davvero. Ma in quel momento eravate voi due e basta; te l’ho detto, è stato strano” per una frazione di secondo gli occhi di John avevano guardato altrove, come se le nascondesse qualcosa: “comunque l’ho strigliato per bene” le aveva sorriso, la sua mano sul viso di Lily, rassicurante e calda. Quando c’era arrivata? A Lily piaceva, la faceva sentire al sicuro: “mi credi Lily? Dai, non tenermi il muso” i suoi occhi erano scuri ma allo stesso tempo splendevano di una luce strana, quasi folle, ma allo stesso tempo dolce. Erano gli occhi di un soldato, aveva pensato.

“D'accordo, Watson” Lily aveva alzato gli occhi al cielo ridendo “ stavolta ti perdono, ma non lo fare mai più” gli aveva poggiato un dito sul naso.

John aveva piegato la testa da un lato “Non ci sarò sempre io a difenderti” ne sembrava quasi addolorato.

“Lo so. Ma finché posso, vorrei approfittarne” aveva sorriso, guardando i due pozzi scuri che la scrutavano.

E va bene” aveva acconsentito John stringendole il collo con un braccio “sei proprio una ragazzaccia. Oltre a te, solo mia figlia riesce a farmi dire sempre di sì” le aveva sussurrato in un orecchio, complice. Le aveva posato la bocca sui capelli, stringendola.

Lily aveva ricambiato l’abbraccio, stringendo forte la vita di John con il braccio libero: “La vita di strada mi ha plasmata, soldato Watson”.

John aveva buttato indietro la testa, ridendo di gusto: “Già, proprio così. Ma io ho fatto la guerra, signorinella”.

“Ok, uno a zero per te allora, se tiri in ballo la guerra” l’aveva strattonato leggermente, scherzando.

“Vinco sempre, con l’Afghanistan” aveva replicato soddisfatto “ a qualcosa sono servito, quindi”.

“Certo che sì, sei un eroe per madre Inghilterra. Servi a tanto, John” aveva detto piano Lily, diventando seria “già tutto quello che hai fatto per me dimostra che sei una persona su cui contare davvero”. Lui l’aveva guardata con accenno di sorriso poi l’aveva stretta ancora più forte, emozionato.

“È la verità”, aveva continuato Lily continuando a camminare tutta storta, per l’abbraccio strano di John. Le ultime parole erano uscite attutite perché aveva il viso quasi completamente spalmato sul suo maglione. Gli voleva un bene dell’anima, di questo non avrebbe mai dubitato.

Stavano parlando allegramente e Lily non si era accorta che avevano aperto la porta del’ufficio; si erano trovati davanti Sherlock seduto sulla sedia di John, un piede appoggiato sul tavolo; cercava di mandare delle carte da gioco dentro il cestino posizionato a un metro da lui. La maggior parte erano dentro il secchio, alcune sparse per terra. Di Mary non c’era traccia, era dovuta tornare alla postazione delle infermiere. Comunque la salutava e le avrebbe telefonato la sera stessa o l’indomani per farsi raccontare bene la faccenda, aveva riferito John.

“Va bene va bene” aveva sospirato Lily, ormai arresa.

“Dove sei stata?” aveva chiesto Sherlock, sempre concentrato sul secchio.

Lily lo aveva guardato, sorpresa: “Da Molly Hooper; abbiamo fatto due chiacchiere e mi ha offerto il the”.

“Ah il topino da obitorio” aveva esclamato Sherlock, continuando a tenere lo sguardo fisso sulle carte che volavano intorno al secchio “che personcina strana”.

C’era stato un momento di silenzio, carico di tensione. Poco dopo, Lily si era avvicinata al secchio e gli aveva sferrato un calcio, facendolo rotolare dall’altra parte della stanza. Aveva sentito distintamente John sussurrare sorpreso: “Wow”.

“Non parlare male di Molly Hooper, non ti ha fatto niente ed è mia amica. E poi senti chi parla di persone strane” lo guardava torva, la voce ferma e impostata; la rabbia sopita era montata di nuovo improvvisamente.

Sherlock era rimasto immobile, con una carta tra l’indice e il medio. Aveva abbassato la mano, poi era scattato in piedi, mettendo la proprio faccia a dieci centimetri da quella di Lily. Lei era rimasta immobile, cercando di mantenere il respiro regolare e di non tremare. Sentiva la presenza tesa di John. Sherlock la fissava, gli occhi erano diventati grigi, con una sfumatura viola come il mare in tempesta, furibondi. Si sentiva oltraggiato. La guardava, senza muoversi. Era immobile. Lily anche. Potevano rimanere così anche tutta la notte, per quanto la riguardava; nell’iride dell’occhio sinistro c’era una piccolissima macchia nera, Lily non l’aveva mai notato. Era tesa, ma non si sarebbe mossa, neanche morta. L’atteggiamento di sfida la eccitava, le faceva scorrere il sangue nelle vene e il rumore le rimbombava nelle orecchie. Nonostante la rabbia e il risentimento a un certo punto aveva pensato:
È l’essere più bello che io abbia mai visto”.
Sherlock a un certo punto si era mosso leggermente e aveva spostato lo sguardo di lato, strizzando per una frazione di secondo gli occhi, come se avesse sentito un rumore. Il suo profumo bruciava la pelle di Lily. All’improvviso era scattato verso la porta, facendo svolazzare il cappotto e l’aveva chiusa con violenza, facendo vibrare il vetro.
Lily aveva ricominciato a respirare piano. John le si era avvicinato e le aveva stretto le spalle: “Lily, se n’è andato, ora puoi muoverti”.

Lei aveva alzato un dito verso John sussurrando: “Un attimo solo”.

Aveva respirato, sbattuto le palpebre e finalmente i suoi muscoli si erano sciolti, facendola muovere.

John aveva riso sommessamente: “Che ti avevo detto? Scontro fra Titani. E secondo te dovevo mettermi in mezzo?”

Un fantasma di sorriso era apparso sul volto di Lily; le tremavano le gambe e aveva i crampi per quanto aveva contratto i muscoli per rimanere concentrata e immobile.

“Dai, tra un’ora ho finito il turno, ti riaccompagno a casa” aveva aggiunto divertito John “ragazza mia, tu sei pazza” aveva scosso la testa, incredulo.

//

Sherlock digrignava i denti così forte che gli faceva male la testa. Questo era il colmo. Come…come era possibile? Il calcio al secchio e Lily che aveva cambiato voce. Semplicemente oltraggioso. Una piccola vipera, per l’amor del cielo. Ci fosse una volta che non lo esasperasse, con i suoi atteggiamenti infantili. Il suo porsi di fronte a lei era stato un gesto spontaneo, ma mai aveva affrontato così a brutto muso una donna. Mai nella sua vita. Era furibondo. Gli prudevano le mani dalla rabbia; non gli prudevano così da quella volta che quegli agenti americani che cercavano il telefono della Donna erano entrati a casa loro, ferendo Mrs. Hudson. E quella volta l’agente era volato dalla finestra. Per tre volte.
Camminava a lunghe falcate per scaricare il fuoco rabbioso che gli bruciava dentro. Quella ragazzina lo aveva sfidato, lo aveva guardato dritto negli occhi rimanendo immobile. A Sherlock era scappata una risata incredula e soffocata; ma come? Camminando assorto nei suoi pensieri aveva dato una spallata a un tizio di fronte a un pub e aveva gridato un insulto ubriaco verso Sherlock.
“Oh, non aspettavo altro” aveva sorriso alzandosi il bavero del cappotto, tornando indietro.

//

Lily era stata svegliata dal suono del campanello; fuori era buio e lei si era addormentata sulla poltrona di Sherlock; era arrivata a casa e si era preparata un boccone per poi svenire sulla poltrona. Di Sherlock nessuna traccia. Ma aveva pensato fosse meglio così, almeno avrebbe sbollito la rabbia.
Una seconda scampanellata impaziente, che l’aveva fatta alzare. Aveva acceso la luce e si era diretta verso la porta, barcollante e con gli occhi semichiusi. Non aveva neanche chiesto chi era, cosa molto pericolosa, ma si era limitata a spalancare la porta, irritata. Di fronte a lei c’era il tenente Lestrade con una faccia non proprio allegra; teneva per il bavero del cappotto il grande Sherlock Holmes, completamente ubriaco. Guardava verso le scale, perplesso: “Ma io questo posto lo conosco..” aveva biascicato “ma sì, è casa mia!!” aveva concluso allegro, ridendo di gusto. Poi si era girato verso Lily “e questa è Lily!!!” farfugliava, si mangiava le parole e aveva un’aria buffa. Ma guardandolo meglio, Lily aveva notato un taglio sul suo zigomo sinistro e un accenno di livido violetto sotto di esso, più altre escoriazioni sparse.
Era rimasta immobile davanti alla porta, cercando di capire; era una scena piuttosto bizzarra e inusuale. Gregory Lestrade sembrava veramente irritato e non lasciava andare Sherlock per nessun motivo.

“Buonasera, Lily” aveva cominciato, un sorriso tirato sulle labbra “è tuo questo?” e aveva sgrullato Sherlock che sembrava molto divertito da quel gesto e aveva cominciato a urlare “ancora Gavin, ancora!!!” rideva come un babbeo.

“Neanche da ubriaco riesci a ricordarti il mio nome, razza di scemo!!” lo aveva guardato in faccia e Sherlock continuava a ridere: “sei buffo, Gavin. Ma sei un brav’uomo, lo ammetto. Bravo, bravo” gli aveva dato una pacca sulla spalla, poi aveva guardato Lily “lui è mio amico, lui mi ha salvato”. Lily aveva inarcato le sopracciglia sorpresa, annuendo velocemente. Si aspettava una spiegazione non logica, ma perlomeno credibile. Aspettava in silenzio, confusa e preoccupata. Forse avrebbe dovuto chiamare John. Ma prima voleva assicurarsi dell’accaduto, in modo da non procuragli un esaurimento nervoso.

“Il signor Holmes” aveva cominciato Lestrade tenendolo fermo, mentre Sherlock guardava per aria cercando chissà cosa “ha avuto la brillante idea di fare a botte con un paio di tizi fuori da un pub. Non so come abbia avuto la meglio, fatto sta che gli altri intelligentoni che si trovavano là hanno pensato bene di eleggerlo a eroe, offrendogli da bere fino a ridurlo in questo stato” lo aveva scosso di nuovo, provocando un altro scroscio di risa da parte di Sherlock.

“Non sapevo bevesse” aveva mormorato Lily, alzando un sopracciglio, perplessa. Non sapeva neanche come avesse potuto accettare roba da bere da completi sconosciuti che sicuramente riteneva poco intelligenti. Là davanti c’era uno Sherlock Holmes ridotto all’età cerebrale di un bambino di due anni. Le veniva da ridere, ma allo stesso tempo era preoccupata per lo zigomo di Sherlock che si stava gonfiando. Ma lui non sembrava soffrire, quindi si sarebbe goduta lo spettacolo un altro po’.

“Beve eccome” aveva ribadito Lestrade “ubriachezza molesta e danni. Ha rotto una vetrata tirandogli uno sgabello contro”.

“Oh”. Lily era riuscita a dire solo questo.

“Quello sgabello era brutto e fuori dalla vetrina c’era un mastino enorme! Come quello di Baskerville!” aveva alzato le braccia, per mimare la grandezza della bestia.

“Sherlock. Era un bulldog francese, quale mastino! Povera bestia, si è spaventata a morte!” continuava a scrollarlo; ma ora Sherlock non rideva più.

“Gregory” aveva detto piano Lily “io smetterei di scuoterlo, sembra stia per vomitare” e si era allontanata leggermente.

Lestrade si era subito fermato con il timore che Sherlock potesse svuotare lo stomaco sul suo cappotto: “Beh, è tutto tuo. Non lo tengo in cella, perché non voglio guai. Mi è bastato l’addio al celibato di Watson, grazie mille”. Lo aveva lasciato andare e Sherlock era rimasto in piedi e barcollando si era appoggiato alla spalla di Lily; l’aveva guardata con un sorriso ubriaco: “Ciao” aveva sussurrato, lasciando una scia alcolica dietro di sé.

“Ciao, Sherlock” aveva risposto Lily, allontanando la faccia dalla sua.

Improvvisamente, il viso di Sherlock si era rabbuiato: “Vipera” aveva sussurrato.

Lily aveva soffocato una risata e contemporaneamente aveva avvertito una stilettata: “Lo prenderò come un complimento” cercava di sostenere il suo peso, ma sorreggere un uomo di un metro e ottanta era fuori dalla sua portata “ora potresti cercare di tenerti in piedi da solo? Sai, pesi”.

“IO NON PESO!” aveva urlato “sono una piuma, guarda come sono magro” si era staccato da lei e si era massaggiato la pancia piatta, barcollando qua e là “guarda, Lily. GUARDA!!!” voleva attirare la sua attenzione, prendendola per un braccio e strattonandola “guarda. che. pancia. piatta” continuava a muovere la mano sul suo stomaco, con aria sorniona “sono molto bello, lo so”.

Lestrade aveva scosso la testa furioso: “Te lo affido; mettigli la testa sotto l’acqua fredda e mandalo a letto. E fai in modo di parlare a voce alta domattina; ci sarà da divertirsi” aveva sogghignato al ricordo “buonasera Lily, e scusa il disturbo” aveva fatto un cenno con la mano ed era volato giù per le scale.

“Non sarebbe meglio tenerlo in centrale per stanotte??” aveva gridato Lily verso le scale “Greg!!”

“Non ci penso proprio!!!” Lily aveva sentito il portoncino chiudersi. Sherlock era ancora là che si massaggiava la pancia ripetendo tra sé e sé: “Sì sì, è proprio piatta”.

Lily si era girata verso di lui: “Forza Sherlock, entra dentro casa. Provo a disinfettare questo taglio; siediti sul divano” gli aveva messo una mano dietro la schiena, spingendolo leggermente oltre la porta.

“NO! Voglio tornare dai miei amici del pub!” si era diretto verso l’uscita.

Non penso sia una buona idea” aveva sibilato Lily riprendendolo per il cappotto “sono andati via, sono tutti a nanna”.

“Io non dormo mai” aveva borbottato Sherlock, seguendola docile.

“Oh sì che dormirai” aveva risposto Lily sarcastica “come un bambino”.

“Non dormivo neanche da bambino, Lily. Dio, ma devo spiegarti sempre tutto?” aveva sbuffato.

Lily aveva alzato gli occhi al cielo, prendendo un respiro profondo.

Sherlock aveva cominciato a ridere. Poi l’aveva guardata con gli occhi appannati: “Avresti dovuto vedere quello sgabello” aveva mimato la traiettoria con il braccio, insieme a suoni molto convincenti “un autentico volo da maestro, una parabola perfetta” l’aveva guardata, aspettando una sua reazione. Aveva gli occhi rossi ai lati, un po’ gonfi. Il viso era leggermente arrossato e le labbra impastate. I ricci neri erano tutti scompigliati, come quando si alzava dal letto la mattina.

“Sono sicura che è stato un lancio impeccabile, Sherlock” aveva detto Lily togliendogli il cappotto. Mentre Sherlock si girava per sfilarlo, aveva perso l’equilibrio ma era riuscito a rimanere in piedi; ma aveva continuato a girare come una trottola esclamando: “sono una ballerina!”

Mio Dio, ma l’hanno anche drogato? aveva pensato Lily.

“Sherlock, penso dovresti fermarti, per il tuo bene” lo aveva preso per un braccio e fatto sedere sul divano “ora stai qui, non muoverti. Vado in bagno a prendere qualcosa per medicarti”.

Lui aveva annuito, obbediente: “Signorsì capitano” si era portato una mano vicino alla fronte per mimare il saluto militare prendendosi, invece, un occhio “ahi, che male” si era lamentato.

“Cerca di non farti male, per cortesia” lo aveva ammonito Lily “torno subito, rimani lì”.

“Ho già detto di sì, Lily. Ci metti più a parlare che ad agire” aveva risposto composto, sventolando una mano, anche se continuava a oscillare. Lily si era sorpresa di come riuscisse a esprimersi bene, nonostante la sbronza colossale.

Aveva alzato gli occhi al cielo (aveva già perso il conto di quante volte l’avesse fatto) e si era avviata verso il bagno, sbuffando. Pensava che avrebbe dovuto chiamare John, ma non sapeva neanche che ora era. Aveva guardato il telefono. Le dieci; era in queste condizioni alle dieci di sera? D’accordo, a Londra si cominciava a bere da molto prima, ma ci era voluta una buona dose di impegno per ridursi così non prima di mezzanotte.

Aveva preso tutto l’occorrente; avrebbe disinfettato e visto in che condizioni era il taglio sullo zigomo; se pensava necessitasse di punti, avrebbe chiamato John. Era tornata in salotto ma Sherlock sul divano non c’era. Era vicino alla finestra, con il violino in mano. Lo teneva sottosopra e sembrava parecchio irritato. L’aveva guardata, furioso: “Lily pretendo che tu mi spieghi perché il mio violino non vuole suonare” aveva mosso l’archetto a tempo mentre parlava “avanti, spiegamelo. Risolvi questo caso per me”.

“Sherlock, è al contrario, l’hai girato. Le corde sono sotto, invece devono stare sopra” aveva risposto calma.

Sherlock aveva guardato il violino, poi lei: “Eccellente. Brava Lily, la mia vicinanza ti giova davvero, sei diventata una detective con i fiocchi” aveva annuito soddisfatto.

“Ti ringrazio Sherlock. Ora, per favore, posa il violino e vieni qui così posso medicarti” aveva pensato per un attimo “non vorrai mica che lo zigomo ferito ti deturpi, mettendo a rischio tutto l’insieme del tuo corpo? Pensa alla pancia piatta” non restava altro che assecondarlo.

“Oh diavolo, no” aveva sussurrato lui “non voglio”.

“Allora vieni qua, così possiamo porre rimedio” aveva battuto con la mano sui cuscini.

Sherlock era arrivato vacillando, l’aria preoccupata: “Farà male?” aveva chiesto.

“Spero di no, non saprei dirti” Lily aveva alzato le spalle.

Sherlock si era seduto, composto. Aveva chiuso gli occhi e messo le mani in mezzo alle ginocchia, la schiena dritta: “Sono pronto”.

Lily aveva cominciato a disinfettare il taglio delicatamente. Cercava di non fargli male, perché non voleva. Poteva osservarlo, ora.
Per almeno due minuti era regnato il silenzio, interrotto solo dai flebili lamenti di Sherlock quando l’acqua ossigenata bruciava un po’.

“Scusa” aveva sussurrato Lily, vicina al suo viso “mi dispiace”.

“Lo so” aveva ribadito Sherlock.

Lily aveva sorriso; il solito stronzo, anche da ubriaco.

“Come mai hai fatto a botte stasera?” aveva chiesto, curiosa.

“Ero arrabbiato” aveva risposto lui, aggrottando le sopracciglia.

“Hm, capisco” aveva detto Lily “eri arrabbiato con me?”

Non aveva risposto subito, poi aveva detto asciutto: “Anche”.

Lily aveva chiuso gli occhi, mortificata: “Oh, Sherlock”.

Lui non aveva risposto. Poi all’improvviso aveva spalancato gli occhi: “Margaret!”

Lily, spaventata, si era guardata intorno: “Margaret?”

Sherlock si era alzato ed era corso verso il suo cappotto. Aveva tirato fuori dalla tasca una bustina di plastica con dentro un pesce rosso: “Lily” aveva esordito “ti presento Margaret. Me l’hanno regalato i miei amici del pub quando ho vinto una partita di beer pong”.*

Lily guardava il povero pesce rosso costretto in quella bustina di plastica: “Forse dovremmo metterlo in un recipiente più grande”

Sherlock l’aveva guardata: “Sì, penso sia meglio” osservava Margaret, muovendo la testa al ritmo della coda del pesce.

Ci mancava anche il pesce rosso, aveva pensato Lily. Certo perché no, non facciamoci mancare nulla. L’avrebbe dato a John, sennò chissà che fine avrebbe fatto quella povera bestia. In cucina aveva trovato un recipiente abbastanza grande e ci aveva travasato il pesce.

“Molto meglio” aveva sorriso Sherlock osservandolo “sembra più contenta”.

Lily aveva evitato di chiedere il perché pensava fosse femmina e soprattutto perché si chiamasse Margaret.

Si sentiva stanca, come se avesse lavorato in cantiere per tutto il giorno. Prendersi cura di uno Sherlock ubriaco era spossante. Girava per il salone, toccando e spostando oggetti. Lily gli andava dietro rimettendo a posto ciò che metteva in disordine. Se non avesse trovato le sue cose al loro posto da sobrio, sarebbe successo un finimondo.

Barcollava sempre di più finché non si era seduto sul divano, con un’aria strana.

“Non mi sento molto bene” aveva sussurrato, diventando pallido all’improvviso. Aveva guardato Lily, con aria smarrita. Era bianco come un cencio.

“Sherlock, vuoi andare in bagno? Magari devi vomitare” aveva sussurrato Lily.
Sherlock aveva il viso giallognolo, la fronte imperlata di sudore e le pupille dilatate. Lily cominciava a preoccuparsi: “Sherlock, cos’hai? Parlami”.

Lui si era limitato a guardarla e a mettersi sdraiato sul divano. Respirava a fatica e sudava come un matto. Lily lo guardava sempre più preoccupata e cominciava ad andare nel panico.

“Sherlock? Sherlock?” aveva preso il suo viso tra le mani, scuotendolo leggermente. Aveva chiuso gli occhi e non rispondeva.

“Merda” aveva sussurrato Lily, piena di paura. Aveva messo due dita sotto il naso di Sherlock: respirava. E questa era una buona notizia. Ma lo faceva a fatica e non aveva proprio un bell’aspetto.
Si era precipitata verso il suo giubbotto, cercando il cellulare. Doveva chiamare John, e in fretta. Aveva afferrato il telefono e con mani tremanti, composto il suo numero. Mentre il telefono squillava, continuava a controllare Sherlock. Provava a scuoterlo, ma niente. Si era morsa il labbro, nervosa.

“Avanti avanti John, rispondi” aveva sussurrato in preda al panico.

“Lily?” la voce di John l’aveva fatta sospirare di sollievo.

“John! John per fortuna hai risposto! Ho un problema, mi serve il tuo aiuto” continuava  a ravviare i capelli di Sherlock nervosamente.

“Stai bene?” aveva chiesto subito, agitato.

“Sì, io sto bene. È Sherlock che ha un problema” aveva risposto con voce fioca.

Gli aveva spiegato tutto, e John era scoppiato a ridere arrabbiato: “Maledetto idiota” aveva sibilato.

“Non so proprio cosa fare, John. Sembra stia malissimo e non so come comportarmi” continuava Lily, sempre più agitata.

“Arrivo, tranquilla. Tu continua a controllarlo. Lo voglio trovare vivo e ucciderlo io”.

Una volta riattaccato, era tornata vicino a Sherlock; si era seduta a terra appoggiando le braccia sul bordo del divano. Lo guardava mentre respirava a fatica e sudava copiosamente. Sembrava più tranquillo, ma Lily era comunque preoccupata a morte. Gli aveva sfiorato la fronte ed era bollente. Aveva ancora la giacca addosso ma Lily non sapeva come sfilargliela.

Si era avvicinata a lui e aveva parlato piano: “Ehi Sherlock…Sheeerlooock..” aveva sussurrato “che ne dici di toglierti la giacca? Ti prego, parlami Sherlock” gli aveva tolto un ricciolo dalla fronte sudata; aveva lasciato le dita lì e aveva cominciato ad accarezzarlo lentamente. Era rimasta sulla fronte scendendo sullo zigomo non ferito, passandoci il pollice. La sua pelle era liscia come vetro e calda. Lily aveva sospirato piano, mordendosi un labbro.

“Dio, Sherlock” aveva corrugato le sopracciglia “ma cosa diavolo mi hai fatto?”.

Si era mosso impercettibilmente, leccandosi le labbra. Si era lamentato piano, facendo una smorfia. Lily aveva soffocato una risata amara: anche da addormentato riusciva a conservare la sua attitudine antipatica.
Le sue dita si erano mosse di nuovo, spostandosi sulle labbra. Erano calde anche quelle, e morbide. Lily sentiva una stretta al cuore costante e non andava via.
Amava Sherlock Holmes, lo sapeva. Si era innamorata di lui, pazzamente. Ma doveva cercare di reprimere, di soffocare, di guarire. Non era assolutamente possibile. Sentiva le lacrime bruciarle gli occhi, la gola chiudersi. Si sfiorava le labbra con lo stesso dito con cui aveva sfiorato quelle di Sherlock. Aveva riso di nuovo, abbandonando la testa sulle braccia: era peggio di una adolescente, ma non riusciva a smettere di fissare la bocca di Sherlock, era come ipnotizzata. Lui continuava a respirare a fatica, a lamentarsi ogni tanto. Ma perché John non arrivava? Nel frattempo avrebbe provato a fargli delle spugnature di acqua fredda, scottava troppo.
Era andata in bagno per riempire una ciotola d’acqua e aveva preso un asciugamano pulito. Si era inginocchiata di nuovo vicino a Sherlock, immerso l’asciugamano nell’acqua fresca e cominciato a passarlo delicatamente sui lineamenti del detective. La mascella decisa, lo zigomo affilato, le labbra carnose, la fronte che per una volta era rilassata e non accigliata.
Il cuore di Lily batteva per l’emozione: era il contatto più intimo che avrebbe potuto avere con Sherlock. Avere il suo viso così vicino le sembrava un privilegio non indifferente, anche perché avrebbe potuto osservarlo così solo da addormentato.
Aveva sospirato: “Sei…cavolo, non so neanche che aggettivo usare con te” Lily parlava piano, per non disturbarlo “sei cinico, antipatico, freddo e distaccato. Ma sei anche divertente quando vuoi, lo sai? E sai essere buono. Lo so, lo sento anche se non vuoi dimostrarlo al mondo” gli aveva passato l’asciugamano sul collo sudato, facendolo sospirare. Lily aveva sorriso, intenerita “da quando ti ho conosciuto, la mia vita è cambiata completamente. Riesci a confondermi e a farmi arrabbiare come nessun altro” aveva strizzato gli occhi per non piangere “forse non lo saprai mai, o forse te lo dirò solo per il gusto di vedere la tua faccia. Ma stasera non puoi sentirmi, e non ti ricorderai nulla comunque. Devo andare avanti Sherlock, devo farlo assolutamente, ma almeno una volta devo togliermi questo peso dal cuore. Sono innamorata di te, Sherlock Holmes; e lo sarò sempre. Mi hai salvata e mi hai fatto capire che, in fondo, non sono morta dentro” le si era incrinata la voce e si era portata una mano davanti alla bocca, soffocando un singhiozzo. Aveva posato l’asciugamano e si era seduta dando le spalle a Sherlock, prendendosi la testa tra le mani. Piangeva piano con singhiozzi che non riusciva a controllare, il dolore che le squarciava il petto. Questo era l’amore, questa era la vita. Cercava di darsi un contegno, anche perché John sarebbe arrivato a momenti. Si era ricomposta, e asciugata le lacrime. Sperava non si vedesse troppo.

In quel momento era suonato il campanello. Lily era saltata in piedi e aveva aperto la porta.

John era sulla soglia con l’aria decisamente irritata: “Ciao” aveva esordito, abbracciando velocemente Lily “dov’è il babbeo di Baker Street?”.

“Sul divano” aveva detto piano Lily, sorridendo leggermente “è tutto tuo”.

“Già!” John si era diretto verso Sherlock, per poi fermarsi all’improvviso e guardare Lily “stai bene?” si era avvicinato leggermente, inclinando la testa.

“Io? Sì sì, tutto a posto…sono solo un po’ preoccupata per Sherlock. So che probabilmente è solo una sbronza colossale ma ha anche fatto a botte, per questo mi sono agitata. Non so, un colpo alla testa oppure..” si era fermata, la voce ridotta a un mormorio. Sentiva il pianto farsi strada ma non voleva piangere davanti a John.

“Ok Lily, adesso controllo come va” aveva ripreso John, per tagliare il silenzio imbarazzato “vedrai che non sarà niente” aveva sorriso rassicurante.

Lily aveva annuito, incrociando le braccia: “Mi fido di lei, dottor Watson”.

John aveva soffocato una risata chinandosi su Sherlock addormentato: “Sherlock? Sherlock, mi senti” aveva dato un leggero schiaffetto sulla sua guancia “riesci ad aprire gli occhi?”

Aveva avuto un movimento improvviso; si era aggiustato sul divano, lamentandosi.

John aveva controllato gli occhi, la bocca e auscultato il cuore. Tutto quello che una visita domiciliare potesse comportare. Alla fine, aveva sospirato: “Sta benissimo. È solo sbronzo da far schifo; i parametri sono normali, sembra non abbia preso colpi alla testa. Lo lascerei qui, con una bacinella per eventuali vomitate notturne. E poi mi godrei lo spettacolo domani mattina. Ha avuto un semplice calo di pressione, per questo è impallidito e ha cominciato a sudare. Niente di grave quindi. Forse dovremmo togliergli la giacca, per farlo respirare un po’. Io lo alzo e tu lo prendi sotto le braccia mentre io gli sfilo la giacca, d’accordo?”

“Va bene” aveva risposto Lily, mettendosi seduta ai piedi di Sherlock. John aveva tirato su il peso morto di Sherlock, e lentamente lo aveva appoggiato tra le braccia di Lily. Accidenti se pesava; era caldo e nonostante tutto, profumava. Era il profumo di Sherlock, misto a sudore e alcol. Poteva suonare disgustoso, ma in verità era squisito. Lily aveva appoggiato il mento sulla spalla di Sherlock e lui automaticamente aveva ruotato la testa e adagiato la guancia su quella di Lily.

Era rimasta immobile, trattenendo il fiato. Sentiva il respiro di Sherlock sull’orecchio e in mezzo ai capelli, la sua pelle calda a contatto con la sua. Aveva stretto le braccia avvolte intorno al busto e aveva sorriso leggermente. Si sentiva stupida e anche un pelino inquietante, ma in quel momento non le importava assolutamente.

“Ok, ora dovrebbe andare meglio” aveva esordito John, piegando la giacca di Sherlock e appoggiandola sul divano “almeno respira un po’ di più. Possiamo rimetterlo giù”.

Aveva osservato Lily mentre si staccava dal corpo addormentato di Sherlock, un’espressione materna sul suo volto, mentre sistemava i cuscini dietro alle sue spalle.

“Lily, so che è tardi ma potrei avere un caffè? Ce lo beviamo insieme che dici?” l’aveva guardata.

“Certo, te lo preparo subito” aveva sorriso, girandosi per guardare un’ultima volta Sherlock.

Arrivati in cucina, John si era seduto appoggiandosi con le braccia al tavolo e intrecciando le mani: “Sei sicura di star bene?” aveva chiesto, con voce curiosa.

Lily gli dava le spalle mentre riempiva la caffettiera: “Certo, benissimo. Mi sono solo preoccupata un po’ per Sherlock, tutto qui” aveva alzato le spalle impercettibilmente; per fortuna era girata, John non avrebbe visto il rossore che le aveva invaso il volto.
Lui aveva annuito. Non credeva a una sola parola, ma non voleva forzare Lily ad aprirsi se non era pronta. Ammettere dei sentimenti non doveva essere facile per lei.

“Tu sai che puoi dirmi tutto vero?” aveva risposto, con voce controllata e profonda.

Lily aveva rallentato i movimenti sentendosi presa in causa, finché non si era fermata del tutto. Aveva riso, nervosa: “Cosa dovrei nasconderti?” tormentava lo straccio dei piatti, arrotolandolo tra le mani “io sto bene, veramente”.

“Non sembra, Lily. Sei agitata, nervosa. Non sembri felice, adesso che potresti. Non ti vedo serena, con la voglia di ricominciare. Sembri spenta, arresa. Cosa ti succede?”

Lily, sempre di spalle, aveva poggiato le mani sul bancone della cucina, chiudendosi dentro le spalle e abbassando la testa. Era così evidente il suo disagio?

“Io…sto cercando di abituarmi alla mia nuova vita” si era girata di scatto, sorridendo forzata.

John aveva assunto un’aria ferita e preoccupata: “Perché mi dici bugie?” era rimasto seduto per non invadere lo spazio di Lily. Sembrava nervosa come un animale braccato e John voleva che si sentisse al sicuro, non il contrario: “non voglio metterti alle strette. Magari non riesci ad affrontare queste cose da sola, forse dovresti parlare con qualcuno di cui ti fidi, qualcuno che possa consigliarti al meglio” aveva azzardato.

Lily era rimasta immobile, il sorriso forzato era svanito dal suo volto: “Pensi che dovrei parlare con uno psicologo?” aveva aggiunto, con voce tremante.

“Potrebbe essere un’idea, ma non necessariamente. Anche con un terapeuta, un gruppo di aiuto che magari ha passato le tue stesse esperienze di violenza e abusi” John aveva allargato le mani. Ora sembrava un vero e proprio medico e a Lily questa cosa non piaceva, anzi la faceva arrabbiare. Aveva sbuffato e riso insieme.

“La cosa è molto meno grave di quanto pensi, dottor Watson. Non ho bisogno di psicologi, medicine e quant’altro. Lo strizzacervelli lo lascio a chi ne ha veramente bisogno” aveva aggiunto con voce velenosa.

John aveva strizzato gli occhi, sistemandosi meglio sulla sedia: “Ho detto che potrebbe essere un’idea, non che devi farlo per forza” il suo tono era cauto, ma allo stesso tempo deciso “se hai un problema, non vuol dire che tu debba affrontarlo per forza da sola. In questi casi essere coraggiosi è più dannoso che terapeutico”.

Si era alzato dalla sedia lentamente. La caffettiera aveva cominciato a fischiare e Lily si era precipitata a spegnere il gas per evitare di svegliare Sherlock. Aveva dato di nuovo le spalle a John, innervosita. Le mani le tremavano mentre cercava di prendere le tazze dalla credenza. Ma come funzionava? Una persona era triste e subito si pensa alla depressione? Il caso di Lily era un “semplice” cuore spezzato, prendere atto del fatto che la persona di cui era innamorata non l’avrebbe mai amata. Non era facile vedere Sherlock tutti i sacrosanti giorni senza dire niente. Non voleva confidarsi con nessuno, era una cosa sua e basta. Parlarne con qualcuno poteva aiutarla? Sì certo, forse, magari. Ma lei era fatta così, teneva tutto dentro; non aveva raccontato a nessuno della sua infanzia, da dove veniva, che strade aveva percorso. Era tutto dentro di lei e non sapeva perché non volesse parlarne. Rendersi  libera del dolore sarebbe stato troppo facile. E se una volta fatto non fosse stata più se stessa? Se avesse cambiato il suo modo di pensare, di essere? Lei non voleva dimenticare, perché quello che aveva passato l’aveva resa la persona che era ora. La persona che aveva fatto in modo di farsi voler bene da John, Mary e Molly. La persona che riusciva a far ridere Sherlock con una semplice sciarpa annodata intorno al collo. Era questo, era lei. E cambiare, anche soffrendo, non la attirava. Diventare una persona che ignorava il suo passato, che lo dimenticava per stare meglio, era fuori discussione. Lily voleva imparare a essere felice anche con il suo fardello sulle spalle. Magari con qualcuno vicino, che la aiutasse a ritrovarsi.

L’unica persona che pensava potesse aiutarla era addormentata nell’altra stanza e non sentiva niente per lei. Doveva andare avanti, ma non voleva dire che nel mentre non avesse sofferto. Non era la prima volta. Ma nel suo profondo sentiva che stavolta sarebbe stata più dura. Non era mai stata innamorata; almeno non in questo modo. Erano cose nuove, tutto qui. Non sapeva neanche se questo suo ragionamento fosse un mentire a se stessa. E tutto ciò per Sherlock Holmes.

“Lily” John si era avvicinato a lei, parlando piano “vuoi dirmi cosa ti fa stare così male?”

Lily aveva appoggiato una mano sul tavolo della cucina e si era morsa un labbro. Aveva guardato in alto, gli occhi le bruciavano e sentiva che stava per piangere. Odiava essere così debole, odiava non poter controllare le stronze lacrime che premevano da sotto le palpebre.

“È Sherlock, vero? Il problema è lui?” era rimasto fermo dov’era, mentre Lily cercava di non mettersi a urlare dalla frustrazione.

Lasciatemi in pace pensava lasciatemi in pace, maledizione.

Poi si era girata verso John: i suoi occhi blu la guardavano attenti, la scrutavano per cogliere le sue emozioni. Aveva stretto le labbra, passandoci la lingua in mezzo; faceva così quando era concentrato o emozionato per qualcosa. Lily aveva fissato gli occhi nei suoi per pochi secondi per poi abbassarli, pieni di vergogna e rabbia. Ma come faceva John Watson a capire sempre tutto? Come faceva a farla sentire così ogni sacrosanta volta; vulnerabile, goffa e impacciata anche solo stando in piedi vicino a lui. Con il suo portamento fiero, la schiena dritta come una linea, le mani ferme e controllate come il tono di voce. Tutto in lui era definito, fermo e circoscritto. Forse Lily aveva bisogno di uno come lui vicino; qualcuno che la tenesse su con le sue braccia forti, con il suo modo di pensare analitico ma allo stesso tempo incline a capire le emozioni.

Lily guardava il pavimento, le piastrelle traslucide, la luce artificiale che illuminava la cucina. Seguiva le fughe delle mattonelle, disegnando ipotetiche vie d’uscita. Sarebbe stato facile essere una formica, nascondersi e non dover spiegare niente a nessuno. Aveva scosso la testa leggermente, in un movimento continuo. Negava, come sempre.

“Lily” di nuovo John, la sua mano calda sulla spalla “che succede? Cosa ti ha fatto?”

Lei era tornata con lo sguardo su John, la voce affilata come un rasoio: “Niente, John. Niente di cui io possa accusarlo” aveva scrollato le spalle, arresa “niente di cui possa incolparlo, sul serio. Ti potrebbe fare male solo camminandoti accanto, ma non vuol dire che sia colpa sua. È com’è fatto, è come si pone nei confronti del mondo. Io…non posso accusarlo di nulla, veramente. Di nulla”. Si era spostata una ciocca di capelli dietro l’orecchio “e il fatto è che ne sono consapevole; ma non posso farci niente” aveva guardato il soffitto, sbuffando “è un bel casino, e sto cercando di capire come uscirne fuori. Da sola”.

Si era girata verso John e il suo sguardo era cambiato. Non era più concentrato e serio. Era stupito e preoccupato.

“Piccola…” aveva sussurrato. John lo sospettava, ma ora era certo. Sentir parlare Lily in quel modo era peggio di un foglio scritto. Era tutto chiaro.
Lily aveva sospirato, chiudendo gli occhi: “Che idiota, eh?” aveva riso ironica "Dimmi John, cosa dovrei fare secondo te?”.

John si era sorpreso a pensare che non ne aveva la più pallida idea. Questo parlare e non parlare, intendersi con i silenzi. Era questa la cosa giusta? Conosceva Sherlock abbastanza da essere sicuro che in un qualche modo distorto e altamente pericoloso, tenesse a Lily. Ma non sapeva con quale intensità, in quale modo. Continuava a essere un mistero, nonostante l’amicizia e le peripezie e tutto ciò che avevano passato. Poteva essere affezionato a lei come ci si affeziona a un animaletto o forse poteva veramente provare un sentimento verso una persona che non fosse lui. Ma non lo sapeva, proprio no. Lily era disperatamente attratta da Sherlock, ma cosa poteva fare lui per lei? Assolutamente nulla.
Forse Andrew era veramente un segno del fatto che dovesse andare avanti e lasciar perdere Holmes. Non sapeva niente di cosa passasse per il cervello di Sherlock e non voleva neanche tirare a indovinare. Aveva sempre pensato che le persone che stanno male per qualcosa o qualcuno, prima o poi avrebbero reagito. Confessandolo oppure andando avanti. E la seconda possibilità adesso, considerando il soggetto desiderato, sembrava la più papabile e la meno dolorosa.

Lily aveva ricominciato a parlare: “Non lo sai, vero? Neanche io, o forse sì. Penso che darò una possibilità a Andrew” si era girata verso John “prima o poi passerà, vero? Dimmi che passerà John, ti prego”. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime e si stava lasciando andare.

Avrebbe accettato tutto, anche una clamorosa bugia. Ma sentirlo dire da qualcuno che non fosse lei, le avrebbe fatto bene.

“Sì, passerà. Sicuramente” John l’aveva abbracciata forte, mentre Lily piangeva sommessamente sulla sua spalla. Si sentiva un ipocrita, ma adesso era la cosa giusta da fare “andrà tutto bene, guarda avanti” la stringeva forte, e il suo dolore sembrava passare attraverso di lui “ci siamo noi, ci sono io. Non sei sola”.
Pensava che anche volendole dare il suo appoggio, ci sarebbe voluto troppo tempo; Sherlock era estremamente lento in queste cose, estremamente cocciuto e decisamente poco empatico. Se si fosse accorto dei sentimenti di Lily, a quel punto sarebbe stato troppo tardi. E lì ci si sarebbe trovati non con uno, ma con ben due cuori spezzati.
John aveva abbracciato Lily, e le passava una mano tra i capelli cullandola piano. Era capitato poche volte che non trovasse le cose da dire, e stasera era una di quelle. Sentiva un dolore dentro che non riusciva a sopprimere. Voleva aiutare Lily, ma la sua sofferenza lo sopraffaceva. A volte, forse, bisognava solo stare zitti e ascoltare, non dare voce alle cose palesi. Bisognava solo tacere e dare appoggio incondizionato, comportarsi come se non fosse successo nulla, come se non si sapesse niente.

Lily piangeva tra le braccia di John. Avrebbe lavorato sul suo rapporto con Sherlock, sperando di riuscire a guarire. Sperando di riuscire a trovare qualcuno che la aiutasse ad amare e dimenticare. Qualcuno che non fosse lui. Voleva disperatamente farlo, a tutti i costi.

All’improvviso avevano sentito un rumore sordo e un lamento. John e Lily avevano alzato gli occhi all’unisono. John si era precipitato fuori dalla cucina per trovare Sherlock per terra che si lamentava, ancora ubriaco.

“Sherlock, maledizione! Come hai fatto a cadere?” John aveva imprecato mettendolo a sedere per terra.

“Credevo di essere a letto” aveva piagnucolato Sherlock con voce impastata “sono molto ubriaco?”

“Amico, ci puoi scommettere” John lo osservava per controllare stesse bene “una bella sbronza con i fiocchi”

Sherlock si teneva la testa con una mano, poi aveva alzato gli occhi e si era guardato in giro: “Lily? sta dormendo?”
“Veramente è rimasta con te un bel po’. Ti ha controllato e ti ha fatto delle spugnature” Sherlock aveva sbarrato gli occhi, spaventato “solo sul viso, tranquillo” aveva concluso John.

“Tranquillo Sherlock, solo su viso e collo” Lily era appoggiata allo stipite della porta della cucina, le mani a sostenere il corpo “non mi sono spinta più in giù del colletto della camicia”.

Sherlock l’aveva guardata con palpebre pesanti e gli occhi cerchiati di rosso: “Lily”.

“Sherlock” aveva risposto lei, abbozzando un sorriso. Guardava la testa ciondolante e i ricci neri ingarbugliati; la camicia stropicciata e i pantaloni spiegazzati. Le labbra secche e la pelle lucida di sudore. Aveva stretto con forza il legno della cornice della porta, appoggiandoci anche la testa. John aveva guardato Lily e poi aveva esclamato: “Bene, Holmes sono arrivato fino a qui e ora ti porto a letto” gli aveva circondato la vita con un braccio e lo aveva tirato su. Sherlock aveva piegato le gambe, debole. Poi aveva cominciato a ridacchiare: “John, insomma. Almeno offrimi una cena prima”.

John aveva alzato gli occhi al cielo, sbuffando: “ Cerca di tirarti su e smettila di fare il cretino” era paonazzo per lo sforzo e anche piuttosto irritato “cammina in camera tua e vedi di dormire, è mezzanotte passata, non possiamo stare tutti dietro a te”.

“Va bene, va bene” aveva biascicato Sherlock “vado a dormire; però vorrei la mia bacinella, grazie. Non voglio vomitare per terra” aveva allungato una mano verso il divano. Lily aveva afferrato la bacinella e gliel’aveva portata.

“Grazie, piccola Lily” aveva sorriso, con aria sorniona “buonanotte”.

“Buonanotte Sherlock” aveva alzato una mano in imbarazzo.

Sherlock era rimasto fermo mentre John tentava di portarlo via: “Aspetta aspetta” aveva socchiuso gli occhi per vedere meglio; guardava Lily, e aveva detto a bassa voce: “tu hai pianto” l’aveva indicata.

Lily aveva sentito il sangue gelarsi nelle vene. Non voleva che Sherlock capisse. Era ubriaco ma pur sempre attento e vigile. Adesso non serviva questo, a nessuno dei due: “Ma che dici Sherlock. Sono solo stanca, niente di più” aveva scosso la testa, incrociando le braccia.

Sherlock era rimasto in silenzio, scrutandola ancora: “Non è vero, hai pianto e si vede. Perché?” era molto serio, e barcollava appoggiandosi a John “perché hai pianto? Io sto bene, mi vedi?”

Lily aveva guardato John, agitata. Lui aveva ricambiato lo sguardo e detto: “Sherlock, coraggio. È veramente molto tardi, devi dormire”.

“Io non mi muovo finché non mi dite cosa succede” aveva incrociato le braccia, testardo.

“Oh, ma insomma BASTA!” Lily aveva alzato la voce, spazientita. John l’aveva guardata con un’espressione di avvertimento: bada bene a ciò che dici, potresti pentirtene.

“Sto bene, e non ho pianto. Sono solo molto stanca e vorrei andare a dormire. Se continui a fare il bambino, domani giuro che farò il possibile per rendere infernali i tuoi postumi. Ora fila a letto” aveva ripreso fiato, rendendosi conto di quello che aveva detto solo in quell’esatto momento “Sto bene” aveva ripetuto, abbassando la voce. Che terribile ipocrita che era.

Sherlock aveva sbattuto gli occhi un paio di volte, serio: “Sei una pessima bugiarda. Ma alla fine non sono affari miei. Fai come ti pare, ma poi non offenderti se la gente non ti capisce e se ti senti sola. Buonanotte” si era girato e barcollando era andato verso la sua stanza, cercando di mantenere un’andatura offesa. Senza molto successo, effettivamente. John l’aveva seguito. Lily sentiva una rabbia cieca salirle dal fondo dello stomaco fino alla bocca.

IO NON SONO SOLA, RAZZA DI BABBEO!!!” aveva urlato Lily verso il corridoio. La voce le si era incrinata  sull’ultima sillaba. Era rabbiosa, ma consapevole del fatto che era veramente una pessima bugiarda.


//


John aveva scortato Sherlock fino alla sua stanza, stizzito: “Accidenti a te. Ubriaco sei anche peggio”.

“Volevo solo capire perché Lily ha pianto. Non mi sembra una cosa difficile” si stava sbottonando la camicia, molto lentamente “io noto le cose, lo sai” si era lasciato cadere sul materasso, per togliersi i calzini, sbuffando.

“Se una persona ti dice che una cosa non è vera, prendila come verità. Poco male se è una bugia o meno” aveva replicato John prendendo i vestiti e appendendoli nell’armadio.

Gli occhi di Sherlock si erano illuminati: “Allora è vero!” aveva indicato John “avevo ragione!”

“Io non ho detto proprio un bel niente!” John era scattato all’improvviso “sto solo dicendo che non sempre la gente ha voglia di parlare”.

“Hmmm capisco” Sherlock si era infilato sotto le coperte “Lily ha la lacrima facile quando è triste e preoccupata”.

John aveva alzato le sopracciglia, sorpreso: “Wow Sherlock, ottima intuizione. Ora dormi” si era avviato verso la porta “Buonanotte”.

Gli occhi di Sherlock si chiudevano leggermente: “Non…dovrebbe…chiamare..Andrew. Non…mi piace” la testa era precipitata sul cuscino, e Sherlock era finalmente muto e addormentato.

John aveva sospirato, stanco: “Lo so, ma l’alternativa potrebbe essere ancora peggio” aveva mormorato. Conosceva Sherlock e anche se non se ne accorgeva, stava già portando abbastanza scompiglio nella povera testa di Lily. Avrebbe voluto vederli insieme, vedere Sherlock contento e rilassato. Ma la sua mente lo portava a pensare che non fosse veramente possibile. Cercava giustificazioni, ma non ne trovava. Cercava i lati positivi, ma non gliene veniva in mente nessuno.

Era tornato in salotto, con il cuore che pesava una tonnellata. Lily era seduta sul divano, un cuscino tra le braccia. Aveva alzato lo sguardo su John: “Tutto ok?” aveva sorriso leggermente.

“Sherlock si chiedeva ancora perché avessi pianto” aveva alzato le spalle, arreso.

Lily aveva riso sommessamente: “Il solito testardo”.

“Non gradisce Andrew a quanto pare. Ha detto che non dovresti chiamarlo”

Lily aveva alzato gli occhi al cielo: “Me ne ero accorta il giorno che mi ha accompagnato a casa. Eppure è convinto che usciremo”.

“Ed è vero?” aveva chiesto John, guardandola.

“Penso proprio di sì; devo reagire in qualche modo. Poi si sa, la vita è fatta di sorprese” aveva posato il cuscino vicino a lei.

“Buon per te, è il primo passo avanti” John aveva sentito di nuovo il senso di colpa insinuarsi sotto la sua pelle “va tutto bene?”

“Sì, sto bene. Vai pure a casa, sarai esausto. Grazie per essere venuto” si era alzata per accompagnarlo alla porta.

“Non c’è di che, figurati. Chiamami sempre, quando vuoi. Per…tutto, insomma” gli aveva messo una mano sul viso, accarezzandole una guancia “stai su, okay? magari ci vorrà un po’ di tempo ma tu sei forte, puoi farcela”.

Lily aveva annuito, prendendo la mano di John “Okay” aveva risposto in un sussurro.

“Buonanotte Lily” John aveva aperto la porta, stampato un bacio sui suoi capelli e preso le scale.

Lily aveva chiuso la porta, esausta. Era mezzanotte e mezza, non tardissimo. Lo sguardo si era posato sul telefono, abbandonato sul tavolo vicino alla finestra. Si era avvicinata lentamente, prendendolo in mano. Aveva sbloccato lo schermo e aperto i messaggi.

Ciao Andrew, scusa per l’ora, ma che ne dici di andare a prendere  quel famoso caffè uno di questi giorni?

Guardava il cursore che lampeggiava dopo il punto interrogativo. Si era morsa un labbro, dubbiosa. Aveva volto lo sguardo verso la camera di Sherlock, sospirato e premuto invio.

Si era infilata il cellulare nella tasca posteriore dei jeans e spento tutte le luci. Filtrava una luce bianca attraverso le tende.

“Stai facendo la cosa giusta” aveva sussurrato nel buio.
//
La mattina dopo era stata un incubo. Uno Sherlock irritabile e scontroso era entrato in cucina, coperto solo da un lenzuolo. Lo avvolgeva dalla testa ai piedi, schiacciando i ricci neri sulla fronte.
Lily era sveglia da un paio d’ore ed era seduta al tavolo della cucina con una tazza di caffè e una rivista. Nel momento in cui Sherlock era arrivato, la tazza si era fermata a mezz’aria.

“Buongiorno” aveva esordito lentamente, seguendolo con lo sguardo. Non aveva aggiunto altro.

Un grugnito le aveva dato la risposta che cercava. Sherlock girava a vuoto per la stanza, cercando non si sa cosa. Mentre camminava senza meta, si era fermato davanti alla vaschetta del pesce rosso: “Da quando in qua abbiamo un pesce?” lo scrutava con gli occhi semichiusi, uno smorfia di dolore sul volto.

“Veramente è tornata con te ieri sera. Hai detto che si chiama Margaret” aveva risposto Lily.

Sherlock aveva abbassato la testa a livello della boccia, scrutandola: “Non possiamo avere un pesce. Dove l’ho presa?”

“L’hai vinta a una partita di beer pong ieri sera” Lily continuava a fissare la rivista, prendendo un sorso di caffè.

Sherlock si era lamentato: “Ah già…il beer pong” aveva stretto il lenzuolo sotto il mento “ricordo vagamente qualcosa”.

“Caffè?” Lily aveva alzato la tazza.

Sherlock si era girato verso di lei, un bozzolo di lino bianco: “Sì, grazie”.

Lily si era alzata e diretta verso la credenza dove tenevano il caffè. Cercava di non guardare troppo Sherlock, avvolto nelle lenzuola. Era completamente ignara del fatto se fosse nudo o no là sotto, e cercava di non pensarci troppo. Voleva veramente impegnarsi e cercare di calmarsi. Certo, il destino non la aiutava: Andrew ancora non aveva risposto al suo messaggio, e lei si sentiva ancora piuttosto scombussolata. Non sapeva se aveva fatto bene a parlare di Sherlock a John; poteva contare solo sulla sua discrezione, sperando che non cominciasse a darle consigli non richiesti. Voleva uscirne da sola, con le sue gambe e le sue forze.
Pensava a tutto ciò mentre preparava il caffè, e non si era accorta che Sherlock le stava parlando.

“Lily?!mi stai ascoltando??” la sua voce era roca e irritata “mi costa parecchio parlare in questo momento, vorrei che tu mi ascoltassi”

Si era girata verso di lui: “Scusa, ero sovrappensiero, cosa stavi dicendo?” gli aveva passato la tazza di caffè bollente “tieni, bevi finché è caldo, ti farà bene”

Sherlock aveva preso con cautela il caffè e aveva sorseggiato piano la bevanda. Aveva allontanato di scatto la tazza dal viso: “È amaro e fa schifo, non lo voglio” aveva piagnucolato, tendendole la tazza.

“Bevi e non fare il bambino. Il caffè amaro ti aiuterà a riprenderti un po’ da questa tua modalità zombie e magari ti farà anche uscire da quel bozzolo di lenzuola. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso” aveva cominciato a rimettere a posto la cucina “sei adulto e vaccinato, non fare la lagna”

Il detective aveva sbuffato, riportando la tazza alle labbra: “che scocciatura” aveva mugugnato “comunque ti stavo chiedendo se ieri sera ho fatto qualcosa di stupido, non mi ricordo molto ma spero di non essermi reso troppo ridicolo” continuava ad avere i riccioli schiacciati dal lenzuolo e sembrava stranamente vulnerabile conciato in quel modo.

“Mah, hai solo tirato uno sgabello contro una vetrata, Lestrade ti ha riaccompagnato a casa, hai finto di essere una ballerina e non riuscivi a suonare il violino perché lo avevi messo al contrario; per il resto, nulla con cui possa ricattarti purtroppo” Lily aveva riso sotto i baffi, mentre Sherlock la guardava con occhi sgranati. Poi aveva ritrovato il suo aplomb e si era limitato a una scrollata di spalle, bevendo un sorso di caffè: “Niente che un inglese medio ubriaco non faccia di solito”

“Ma tu non sei l’inglese medio. Tu sei Sherlock Holmes” aveva ribadito Lily, divertita.

Sherlock l’aveva guardata in cagnesco: “Oh, ma smettila” aveva sbuffato.

Lily aveva scosso la testa, reprimendo una risata. Aveva guardato Sherlock, appollaiato sul suo sgabello: “Quando avrai finito, manda un messaggio a John, vorrà sapere come stai e magari farsi una risata”.

Lui aveva sbuffato, insofferente: “Devo proprio?”

“Oh sì che devi. È stato lui che ieri mi ha rassicurato e ti ha visitato per sincerarsi che non fossi morto. Quindi direi che sì, una telefonata è d’obbligo”.

Il bozzolo aveva mugugnato un “va bene”, alzandosi a fatica; per poco non cadeva a faccia in avanti.

In quel momento il telefono di Lily aveva suonato. Era calato un silenzio strano dopo il trillo che segnalava un messaggio in entrata.

“Uh oh, un messaggio per Lily” aveva esclamato Sherlock, guardando verso di lei “sarà il gentil fattorino?” l’aveva guardata ghignando.

Lily aveva sorriso tirata e fatto cadere nel lavello una decina di forchette e piatti sporchi, facendo un fracasso non indifferente. Sherlock aveva strizzato gli occhi, in evidente sofferenza. Li aveva riaperti e aveva sibilato: “Ma sei impazzita? Ho la testa che mi esplode”.

Lily aveva alzato le spalle, con falso imbarazzo: “Ops, scusa. Sono così goffa” aveva sbattuto gli occhi, cercando di non ridere.

Sherlock aveva sbuffato, irritato: “salutalo tanto da parte mia” si era buttato un lembo di lenzuolo oltre la spalla e si era incamminato impettito verso il corridoio. Lily aveva cominciato a lavare le stoviglie sporche, guardando ogni cinque secondi il telefono come se fosse una bomba inesplosa. Non sapeva se era pentita di aver mandato un messaggio a Andrew; voleva leggerlo, ma voleva anche cancellarlo senza neanche aprirlo. Aveva chiuso gli occhi, irritata. Aveva le mani dentro l’acqua all’altezza dei gomiti, e all’improvviso le aveva tirate fuori dal lavello, schiumose e scivolose; si guardava intorno, ansiosa. Stava gocciolando per terra e continuava a fissare il telefono. Lo aveva afferrato senza pensare, facendolo scivolare sul tavolo. Si era messa le mani nei capelli, imprecando sottovoce; si sentiva una cretina completa.

Ok, niente panico. È solo un cellulare. Prendilo e leggi quello che c’è scritto sul messaggio. Asciugati le mani e prendilo.

Mentre allungava le mani verso il tavolo, l’aggeggio infernale aveva suonato di nuovo; si era ritratta, spaventata. Era la seconda notifica, Lily se ne era completamente dimenticata.

“Ho capito, ho capito ora leggo. Anche il telefono ha fretta” aveva sussurrato nervosa, afferrandolo. Aveva sbloccato lo schermo e aperto il messaggio.

Buongiorno Lily, come stai? sono molto contento che tu mi abbia contattato, speravo veramente di risentirti. Per il caffè, quando vuoi. Fammi sapere quando sei disponibile, non vedo l’ora. Andrew.

Lily aveva tirato un sospiro di sollievo. Non era un rifiuto; ma la sensazione di sollievo era durata ben poco. Non sapeva come ci si comportava, come si faceva a uscire con qualcuno. Nella sua testa si erano susseguite mille immagini: Sherlock, John, Andrew. Sherlock con una tazza di caffè, Sherlock che gliela porgeva, imbarazzato. Sherlock. Sherlock. Sherlock.

Basta.

Si era schiarita la gola, e raddrizzando la schiena aveva cominciato a scrivere:

Se vuoi posso anche oggi pomeriggio, hai qualche posto da proporre?

Invia, blocca lo schermo, posa il telefono sul tavolo come se scottasse. Stop. A posto così.

Era seguita una telefonata abbastanza rilassata, almeno dalla parte di Andrew. Lily era tesa come una corda di violino. L’appuntamento era per quel pomeriggio alle cinque, in una sala da the vicino Baker Street; alle quattro e mezza Lily era in modalità panico completo, cercando un mix di vestiti che la facesse sembrare decente. Guardava nervosa il suo letto pieno di magliette e jeans, una mano davanti alla bocca e un piede che batteva nervosamente il pavimento. Come diavolo ci si vestiva per prendere un the o un caffè con un ragazzo, per la prima volta? Alla fine aveva optato per un maglioncino lungo e un paio di leggins insieme ai suoi anfibi. Una sciarpa al collo, il suo giubbotto di pelle e si sentiva abbastanza a suo agio. Sperava solo di non morire di freddo, anche se era talmente nervosa che rischiava l’autocombustione. Si sarebbe fatta coraggio, doveva assolutamente sembrare disinvolta anche se si sentiva come una liceale al suo primo appuntamento. Effettivamente era il suo primo appuntamento da persona normale; non si potevano considerare appuntamenti quelli con Kaleb, che consistevano nello sgattaiolare da casa di notte per bere e fumare erba fino a stordirsi. Decisamente no.

Il campanello. Lily era saltata di qualche centimetro, il cuore in gola, il battito dentro le orecchie. Aveva respirato a fondo e si era diretta alla porta. Si era fermata per un attimo e aveva urlato verso la stanza in fondo al corridoio: “Sherlock, io esco! Torno presto!”

Era spuntato dalla stanza, lentamente: “Esci?”

Aveva annuito, nervosa. Sherlock l’aveva squadrata da capo a piedi e aveva scrollato le spalle: “Divertiti”.

Lily aveva sbattuto gli occhi velocemente; pensava di aver sentito male invece era proprio così, le aveva augurato di divertirsi. Poi, guardandolo meglio, aveva intravisto il suo solito sorriso sghembo e impertinente. Non aveva tempo per indagare e cercare di capire cosa le volesse dire, quindi aveva borbottato un “grazie” irritato e aveva preso le scale di fretta. Ci mancava lui, certo. Come al solito. Quel sorrisetto stronzo, come se sapesse già l’esito dell’incontro.

Al diavolo, al diavolo tutto. Era davanti al portoncino chiuso. Si era aggiustata i capelli, lisciato la maglietta, tirato indietro le spalle e con un bel sorriso aveva aperto la porta.

Andrew era lì, con un cappotto nero, una camicia azzurra e un paio di jeans scuri. Le sorrideva, i capelli scompigliati.

“Ciao, Lily” le aveva preso una mano e l’aveva portata alla bocca, facendo perdere un bacio nell’aria “tutto bene?”

Lily lo guardava e si sentiva una perfetta idiota; aveva annuito e dopo pochi secondi aveva balbettato un “tutto bene, grazie”. Si guardavano, fermi in mezzo a Baker Street.

Ti prego ti prego, fai qualcosa, dì qualcosa  era il pensiero di Lily, che ormai aveva stampato sul viso un sorriso di circostanza e le guance cominciavano a farle male.

“Vogliamo andare?” aveva esordito Andrew “ci vuole una bella tazza di qualcosa di caldo, qua fuori si gela!” le aveva offerto il braccio e Lily lo aveva accettato, maldestra: “sì, effettivamente fa freddino” e così il primo scoglio era superato, ora toccava vedere come andavano gli altri.

Da dietro le tende, Sherlock osservava. Aveva stretto leggermente gli occhi, cercando di capire: o quel Andrew era veramente uno sciocco ragazzone con il sogno di diventare psicologo, oppure uno molto furbo. Sherlock si accorgeva sempre se qualcosa non andava; quando era così, avvertiva una strana sensazione, uno strano formicolio alle mani. Sembrava che il suo corpo intuisse che c’era qualcosa che non andava, che qualcosa sarebbe andato storto.
Non sapeva neanche perché questa cosa lo prendesse così tanto. Non era affar suo, figurarsi. Ma quello che si era iniziato era da finire assolutamente. Aveva sospirato, la testa ancora dolorante e lo stomaco sottosopra: “Non berrò mai più, che schifo” aveva sussurrato, allontanandosi dalla finestra.

Nel frattempo Lily e Andrew erano arrivati alla famosa sala da the. Un posto tranquillo, caldo e umido con un buon odore di tisane e caffè. Sulle pareti facevano bella mostre lavagnette con le specialità della casa e i vari tipi di bevande. C’era una bella luce dentro, accogliente. Si erano seduti a un tavolino appartato, anche se il locale era poco affollato e si avvertivano solo i brusii del personale e delle poche persone presenti. Una leggera musica faceva da sottofondo, quasi impercettibile. Lily si era tolta il giubbotto, guardandosi intorno. Si era soffiata sulle mani, cercando di scaldarle e aspettava che Andrew tornasse con le bevande e la fetta di torta che avevano deciso di condividere. Si era stretta nelle spalle, leggermente più rilassata: Andrew riusciva a metterla a suo agio; parlava abbastanza, ma non risultava noioso. Faceva domande mirate, a cui Lily riusciva a rispondere senza balbettare come una bambina piccola. Faceva brevi pause, tra una battuta e l’altra, insomma sembrava veramente capire il suo carattere inizialmente timido e ritroso.

Mentre pensava a tutto ciò, Andrew era arrivato al tavolo con un vassoio e un sorriso smagliante: “Bene, ecco qua il tuo the al bergamotto” le aveva porto una tazza colorata.
Si era seduto sistemando il piatto con la torta: “ Prego, prima le signore” aveva indicato il cibo educatamente.

“Oh, grazie molto gentile” aveva risposto lei, prendendo timidamente una forchettata di torta. L’aveva assaggiata e tirato su il pollice: “Ottima” aveva mugugnato, ridendo.
“Bene” aveva risposto soddisfatto “mi hai lasciato questa grande responsabilità, speravo di aver fatto la scelta giusta” l’aveva guardata intensamente, il sorriso più leggero.
Lily aveva distolto gli occhi dai suoi, sentendosi in imbarazzo e aveva preso un sorso di the bollente, ustionandosi la gola. Almeno l’avrebbe resa più vigile e meno imbarazzata.

“Beh” aveva cominciato, la voce un po’ roca per mascherare il dolore “cosa hai fatto di bello oggi?”

Andrew aveva incrociato le mani sotto il mento, guardandola divertito: “Niente di che, ho sbrigato alcune commissioni, e poi ho telefonato a casa per sentire come stavano i miei genitori”

“Oh, che bello..stanno bene?” aveva chiesto Lily aggiungendo un po’ di zucchero al suo the.

“Sì…molto bene, anche se dove abito io piove quasi sempre. Tu senti spesso i tuoi?”
Lily aveva fermato il cucchiaino che girava dentro la tazza: “Beh…no. Anzi, è parecchio che non chiamo casa” sentiva le guance avvampare.

“Eh già, i genitori sanno essere noiosi a volte” la sua voce si era fatta più profonda “sarei preoccupato anche io, sapendoti a Londra da sola”.

Lily aveva soffocato una risata amara: “Beh sì, certamente”

“Non mi hai mai raccontato da dove vieni” aveva preso un boccone di torta “so solo che anche tu vieni da fuori Londra”

“Ti assicuro che non è una storia interessante, vengo da un paesino di 350 anime, dove piove 265 giorni l’anno, niente di emozionante” continuava a girare il the, nervosa. Parlare del suo passato non la metteva a suo agio. Il paesino da dove veniva era veramente grazioso, c’era anche un castello, cinque hotel e un orologio astronomico. Addirittura un circuito automobilistico. Ma era piccolo, soffocante e lei lì dentro si sentiva in trappola; soprattutto perché c’erano degli standard da rispettare, dovevi essere meritevole e modesta, non ti potevi esprimere perché eri quella che eri e lei non voleva ricordare, non voleva far emergere nulla.

“Beh, è sempre casa no? Non c’è nessun posto come casa propria” aveva risposto Andrew guardandola intensamente.

Lily aveva poggiato il cucchiaino sul piattino, facendolo tintinnare: “Certo, naturalmente. Ma non sempre è così” aveva sorriso flebilmente, cercando di far morire la conversazione su quell’argomento.

“Hmmm, sì capisco a volte la famiglia può soffocarti” Andrew continuava, con tono affabile “e sei figlia unica? Sembri il tipo cresciuto con tanti fratelli e sorelle”

“Veramente no, sono figlia unica” si era passata una mano nei capelli, gesto che faceva quando era nervosa “te invece? Tu più che altro sembri il tipo cresciuto in mezzo a tanti parenti; sei così spigliato” cercava disperatamente di spostare l’attenzione su di lui, perlomeno sull’argomento infanzia e famiglia.

“Ho un fratello e una sorella” aveva sorriso e si era lanciato in un racconto della sua infanzia abbastanza particolareggiato, facendo tirare un sospiro di sollievo a Lily, che aveva cominciato a seguire la sua storia con entusiasmo.

Dopo due ore e un’altra tazza di the ciascuno, si erano decisi a uscire. Faceva più freddo di prima e Lily aveva cominciato a tremare per lo sbalzo di temperatura. Fuori era quasi sera, avevano fatto il tragitto a ritroso, parlando di libri e musica fino a quando erano arrivati davanti il 221b.

“Mi sono divertita tanto, grazie Andrew” Lily aveva salito un paio di gradini. Le dispiaceva doversi separare da Andrew. Escludendo la parentesi del racconto sulla sua famiglia, era stato un pomeriggio molto gradevole.

“Sono stato bene anch’io, Lily. Ti andrebbe di rivederci la prossima settimana? Vorrei tanto incontrarti prima, ma ho delle cose da fare fuori Londra…ma veramente, vorrei rivederti”.

Lily era arrossita e aveva annuito, contenta: “Certo, non c’è problema. Fammi sapere quando torni a Londra” gli aveva sorriso.
Andrew sembrava sollevato: “Meraviglioso, temevo che pensassi fosse una scusa ma ti giuro che mi farò sentire tutti i giorni”. Si era avvicinato a lei e gli aveva posato un bacio sulla guancia: “a presto” aveva sussurrato, sorridendo. Si era incamminato verso la metropolitana, girandosi ogni tanto per guardarla e salutarla.

Quando Lily lo aveva perso di vista tra la folla, era rientrata a casa. Sorrideva ed era contenta; si sentiva bene, quasi felice.

Sherlock era seduto sulla sua poltrona, un libro in mano. Il fuoco era acceso, e c’era un piacevole tepore per tutto l’appartamento: “Ciao” aveva esordito Lily, levandosi il giubbotto e appendendolo dietro la porta.

“Hmmmm..” era stata la risposta. Aveva finito di leggere la frase e aveva chiuso il libro con un movimento fluido “com’è andata, insomma?”

Lily si era fermata, sorpresa: “Ti interessa?” aveva chiesto, sorpresa.

Sherlock aveva scrollato le spalle: “Di solito si chiede dopo un appuntamento, no? Tu mi chiedi sempre come sono andate le indagini”.

Lily aveva scosso la testa, divertita: “Si chiede se uno è interessato, Sherlock” lo aveva guardato, il suo sguardo perplesso “comunque sì, è andato tutto bene. Grazie per l’interessamento”.

“A te interessa quando torno dopo 12 ore di indagini sulle rive fangose del Tamigi?” aveva chiesto dubbioso.

Lily aveva alzato le spalle: “Beh sì. Mi interessa sapere quello che fai, se ti sei divertito o meno”.

Sherlock l’aveva fissata con aria perplessa: “Bah, io non vi capirò mai, a voi donne”

“Eh già siamo un immenso oceano di segreti” aveva aggiunto Lily ridendo.

“Certo, certo” Sherlock aveva sventolato una mano per aria “ti va un thai stasera?”

“Che domande! Certo che sì” aveva risposto Lily andando verso il bagno.


//

Erano passati quattro giorni, in cui Andrew aveva scritto a Lily sempre. Lei aveva risposto volentieri.

Il quinto giorno le aveva fatto sapere che era tornato a Londra e l’aveva invitata a mangiare qualcosa al posto dov’erano stati la prima volta; Lily aveva accettato. Si erano dati appuntamento lì davanti e Lily era arrivata con qualche minuto d’anticipo. Mentre aspettava, era suonato il telefono: era Sherlock.

“Lily? per caso hai il mio portafoglio? L’ultima volta te l’avevo dato per metterlo in borsa mentre eravamo al St. Barth’s. Ce l’hai ancora te?”

Lily aveva frugato nella borsa e aveva visto il portafogli nero di Sherlock: “Sì, è qui. Credevo l’avessi ripreso”.

“Accidenti, l’ho dimenticato” aveva sibilato. Devo venire a prenderlo, dove sei?”

Lily aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva dato le indicazioni per raggiungerla. Sperava arrivasse prima di Andrew, ma era altamente improbabile.

Infatti lui era arrivato due minuti dopo, affannato e con una borsa a tracolla: “Scusami Lily, sono stato trattenuto in facoltà, non volevano lasciarmi andare” aveva sorriso e le aveva aperto la porta, facendola entrare nel locale. Si erano accomodati e Andrew si era scusato, assentandosi per andare al bagno. Lily era contenta di rivederlo; di Sherlock ancora nessuna traccia.

Si guardava intono come sempre e pensava che finalmente si sentiva un po’ più serena. Il telefono aveva trillato: era un messaggio di John che le chiedeva come andava e le chiedeva se più tardi poteva passare a Baker Street per un the. Lily aveva sorriso, rispondendo al messaggio. In quel momento la borsa di Andrew, appoggiata alla sedia, era caduta per terra aprendosi sul pavimento. Erano uscite alcune cartelline e fogli. Lily si era chinata per raccoglierle e dei fogli in bianco e nero avevano attirato la sua attenzione: non erano fotocopie, né prospetti. Erano foto.

Non era roba che ti aspettavi di trovare nella borsa di uno studente di psicologia. Erano foto di persone; erano foto sue, scattate con un teleobiettivo.

Lei al supermercato; lei al St Barths; lei fuori da Baker Street con Sherlock e John; foto di lei che rideva, di lei che leggeva seduta al tavolo di un caffè. Lei, lei, lei.

Sherlock.
John.
Mary.
Gregory.

Erano là. Ma la maggior parte erano foto sue, gli altri sembravano di contorno. Le mani le tremavano, mentre sfogliava le foto dei suoi primi piani. Cosa ci faceva con quelle foto? Chi le aveva scattate? Perché? Non riusciva a respirare, e il cuore le batteva forte nel petto e le rimbombava nelle orecchie. Non sentiva più i rumori intorno a lei, solo un ronzio fastidioso. Doveva andarsene, ora. Non era al sicuro, non voleva stare più là, aveva bisogno di aria.

Che cosa stava succedendo? Chi era Andrew e cosa voleva da lei?









*Definizione di Beer pong (da Wikipedia):

Birra Pong o in inglese: Beer Pong, conosciuto anche come Beirut, è un gioco di bevute, in cui i giocatori lanciano una pallina da tennis da un lato all'altro di un tavolo con lo scopo di fare centro in un bicchiere di birra che si trova dall'altro lato del tavolo. Può essere giocato sia singolarmente (1 contro 1) o a squadre, con più varianti riguardanti l'ordine di tiro. Non esistono regole ufficiali, ma solitamente vengono usati 6 o 10 bicchieri di birra per ogni squadra.
  
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