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Autore: musicislife17    10/09/2016    1 recensioni
In una New York confusa ed elettrizzante come sempre, le vite di tre ragazze cresciute insieme si mescolano e si confondono: Jackie, una giornalista in gamba, ambiziosa e indomabile, in lotta con il proprio caporedattore e con i suoi sentimenti; Autumn, innamorata della musica e dei musicisti, in fuga costante dalla paura di vivere, alla ricerca di tutto e di niente; Annie, innocente per definizione, attratta allo stesso tempo dall’acqua santa, uno studente diligente e amorevole, e dal diavolo, un tatuatore senza tatuaggi, con cui deve fare i conti per la prima volta nella sua vita.
Storie di amore e di amicizia si susseguono nella anormale quotidianità di una famiglia senza precedenti, mentre il passato dei protagonisti sfuma in un presente avvincente e in un futuro indeterminabile. E in mezzo a loro musica, arte, lavoro, sogni e desideri, paure e gelosie, in un crescendo infinito...
-ANCHE SU WATTPAD-
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Con un po' di anticipo rispetto al mio piano, eccovi servito il nuovo capitolo. È stato piacevole scriverlo, spero che lo sia anche per voi leggerlo. E a questo proposito colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che leggono, inseriscono la storia tra le seguite e recensiscono (lithium, ecco il capitolo che aspettavi!). 
Se trovate il tempo per lasciare qualche commento/critica/consiglio accolgo con gioia le vostre recensioni. Giuro di rispondere e di non mordere...
Grazie ancora e buona lettura!
musicislife17


 

L’appuntamento con Milo era per le otto e mezza ad un ristorante cinese a Tribeca. Autumn non lo conosceva, Jackie assicurava che era fantastico e se lo diceva lei c’era da starne certi. Le due ragazze si sarebbero recate lì con l’auto di Jackie, Milo le avrebbe raggiunte da solo. Presentazione, cena, saluti e Arrivederci, è stato un piacere conoscerti.

Il piano era semplice, si disse Autumn, già in auto con Jackie. Nulla di particolare contraddistingueva quella serata da una qualunque con altri amici. Gli unici aspetti critici erano due: innanzitutto il fatto che la persona che stava per conoscere non era uno qualunque, ma il primo fidanzato serio che Jackie avesse da anni, forse l’unico di cui sembrasse davvero convinta; in secundis, il fatto che per una possibilità infinitesimale il suddetto ragazzo potesse conoscerlo già. Soprattutto l’ultima prospettiva era quella che più la preoccupava.

Era solo un’idea, una paura infondata, se ne rendeva conto. La possibilità che l’uomo del locale, il Maestro, come lo aveva chiamato Izzy, fosse per un’enorme coincidenza anche il ragazzo di Jackie era così remota che non ci sarebbe stato neppure bisogno della matematica per dimostrarlo. Però era impossibile non domandarsi se fosse stato davvero così, se la sua buona stella non si fosse presa una vacanza senza avvertirla per cacciarla in un mare di guai. Perché il problema di fondo era uno: a lei era piaciuto Milo. Quel Milo, era bene specificare, perché no, non poteva essere lo stesso che stava per conoscere quella sera. L’attrazione che aveva sentito verso l’altro non era indifferente, non era un semplice apprezzamento del pur evidente fascino che lo caratterizzava. Per pochi attimi si era instaurata con lui una complicità che Autumn sapeva di non essere in grado di creare con tutti. E ritrovarlo di fronte sapendo che quella complicità non poteva esistere, perché doveva essere riservata di diritto a Jackie, non sarebbe stato facile.

-Okay, dimmi cosa succede-

Jackie interruppe di colpo i suoi tumultuosi pensieri. Si voltò verso di lei interrogativa e la trovò a scrutarla con attenzione. Erano ferme ad un semaforo rosso e Jackie attendeva una risposta.

-Non capisco cosa intendi- disse Autumn, fingendo nonchalance. Sapeva che con Jackie non avrebbe attecchito, ma ci provò comunque.

-Cazzata numero uno. 15-0. Te lo ripeto, dimmi che succede. Cosa ti prende adesso?- ribatté noncurante Jackie.

Autumn si morse l’interno della guancia. Anche se era inutile, non voleva cedere.

-Niente, Jackie. Sono tranquillissima. Sei tu a farti troppi problemi-

-Cazzata numero due. 30-0. Aspetto che tu mi dica cos’hai prima di raggiungere il ristorante, altrimenti mi vedrò costretta a chiuderti in macchina finché non vuoti il sacco-

Il semaforo intanto si era illuminato di verde e Jackie aveva riportato gli occhi sulla strada.

Adesso che non la guardava, Autumn si lasciò andare contro il poggiatesta, stanca della situazione.

-Ti detesto quando mi fai il terzo grado e credi di sapere tutto. Mi ricordi papà, ma sei più inquietante- borbottò al suo indirizzo. Jackie non fece una piega.

-Cazzata numero 3. Io so tutto, non lo credo. 40-0 e stai rischiando la partita, mi concedi tre match point così. E per la cronaca, siamo arrivate, quindi deciditi a dirmi in poche e concise parole cos’hai. È sabato sera, il mio cervello assorbirà solo informazioni essenziali- concluse, una mano dietro al poggiatesta di Autumn, voltata verso il finestrino posteriore, mentre con una manovra degna di un tassista consumato parcheggiava nello spazio ristretto che aveva trovato.

Autumn esitò ancora un po’ prima di rispondere, considerato che non c’erano alternative. Scelse le parole con cura, cercando di dissimulare al meglio la sua reale preoccupazione.

-Sono solo un po’ nervosa per stasera. Sai, è raro che tu ci presenti qualcuno. Non vorrei fare brutte figure, dato che per te è una persona così importante- spiegò Autumn, mentre si rigirava fra le mani un lembo della maglia che indossava.

Jackie non parlò subito, rimase solo ad osservarla con intensità.

-Non so se il mio rilevatore di cazzate si è rotto, ma questa non mi sembra tutta la verità. Perciò le possibilità sono due: o accuso i colpi del fine settimana tanto da non distinguere bene la verità di quello che dici, o continui a nascondermi qualcosa-

Autumn scosse la testa e la fissò a fondo.

-Ti giuro che è così. Ho sinceramente paura di quello che potrebbe pensare Milo di me- confessò ed era abbastanza sincera da eludere il cosiddetto rilevatore di cazzate di Jackie, sempre in funzione e sempre ben calibrato.

Infatti, quella mezza verità sembrò convincere finalmente Jackie. Si sistemò meglio sul sedile, voltandosi il più possibile per fronteggiare la più piccola.

-Ascoltami, Autumn. Sai che ti direi subito se la persona che stai per incontrare è o non è del tuo genere. Capisco che possa sentirti in soggezione, ma fidati di me quando ti dico che Milo ti adorerà. Non sto esagerando, è un tipo amichevole, alla mano. Ha aspettato tanto per conoscerti e tutte le volte che gli parlavo di te diventava sempre più curioso. Sono sicura che andrà tutto bene- la consolò, con modi più pacati del solito, inusuali per lei.

Autumn si lasciò convincere da quelle parole e meditò in silenzio per un istante. Sarebbe andato tutto bene.

-Me lo assicuri?- chiese comunque conferma.

-Assolutamente- affermò con forza Jackie.

Fece per scendere dall’auto quando si ricordò di un’ultima cosa.

-E poi tu e Milo avete molto in comune. Forse non te l’ho detto, ma anche lui è un musicista-

 

Milo correva a perdifiato verso il ristorante che Jackie gli aveva indicato per messaggio. La Juilliard aveva appena chiuso e come al solito gli inservienti avevano dovuto praticamente buttarlo fuori di lì, ci tenevano anche loro al proprio sabato sera dopotutto. E il ragazzo aveva l’abitudine di aggirarsi per l’accademia dalla mattina presto fino all’ultimo minuto di sera, sabato incluso. Cosa ci poteva fare se riteneva che il luogo fosse così stimolante per studiare e lavorare?

D’altra parte, il fatto di essere sempre rintanato lì dentro lo portava a fare tardi per qualsiasi altro appuntamento. Milo era senza dubbio un ritardatario cronico di quelli gravi, che sono in grado di presentarsi anche dopo ore di attesa. Era del tutto incapace di impostare un orologio interiore per capire quando era il caso di staccarsi dai libri e andarsene.

Quella sera non era da meno. La borsa che sbatacchiava alle sue spalle, una mano a reggere al suo posto il solito fedora, sfrecciava tra la gente diretto all’appuntamento. In via del tutto eccezionale, poiché finalmente avrebbe conosciuto la famosa Autumn e anche perché Jackie l’aveva minacciato di orribili torture se si fosse presentato più tardi di venti minuti, quella volta era in relativo anticipo. Per i suoi standard, si intende, il che traslato in orari umani intendeva dire che si aggirava comunque intorno al quarto d'ora di ritardo.

All’angolo della strada su cui avrebbe dovuto svoltare trovò un venditore ambulante di fiori e colpito da un’idea improvvisa comprò due rose, una bianca e una rossa. Quindi proseguì fino al ristorante e quasi travolgendo alcuni ospiti che uscivano entrò in fretta e rumorosamente. Fece un piccolo inchino di scuse alla cameriera che lo fulminò per la confusione che aveva fatto e si guardò intorno.

Jackie era seduta ad un tavolo in fondo alla stanza. Di fronte a lei c’era una ragazza di spalle alla porta, di cui Milo distingueva solo i lunghi capelli castani. Si affrettò a raggiungere il tavolo con un sorriso innocente.

Jackie lo squadrò per bene e alzò un sopracciglio.

-Eravamo chiari sul limite di venti minuti, mon amour- lo accolse ironica.

-Infatti ne sono passati solo diciannove in più del previsto, ma chère. Sono perfettamente in orario- sorrise altrettanto sarcastico lui. Si chiamavano con quegli appellativi zuccherosi solo quando erano in vena di scherzare, per fortuna.

-In più, ti omaggio anche di questa splendida rosa, mio bellissimo fiore- aggiunse melenso con un inchino profondo, togliendosi addirittura il cappello.

Jackie prese la rosa rossa che le porgeva e non seppe trattenersi di fronte alla scena. Ridacchiò sconfitta.

-Basta così, ti prego, altrimenti mi verrà il diabete- commentò divertita.

Milo sorrise trionfante, conscio di aver vinto la piccola battaglia con cui si punzecchiavano di continuo. Si sporse a baciarla lievemente sulle labbra, niente più che un breve saluto per non averla vista per tutto il giorno.

-Ti perdono solo per l’inchino, stupido- borbottò Jackie a fior di labbra. Milo le strizzò l’occhio.

-Mi va più che bene-

Rialzandosi si rese conto di aver totalmente ignorato la presenza di Autumn, dato che si era subito diretto da Jackie. Si voltò costernato e subito stava per scusarsi della maleducazione e per presentarsi alla potenziale cognata, ma le parole gli morirono in gola.

A primo impatto, ciò che catalizzò immediatamente la sua attenzione furono gli occhi di Autumn. Rimase sconcertato a fissarli, tentando di elaborare ciò che aveva davanti in modo razionale. Vedeva del blu, ma vedeva anche del verde. E non sapeva se guardare l’uno o l’altro occhio perché spostando l’attenzione si coglievano sfumature diverse, e non riusciva a spiegarselo. Capì solo dopo svariati secondi che vedeva entrambi i colori perché gli occhi di Autumn avevano davvero sfumature diverse. Il destro era di un indaco tenue, timido quasi, nulla a che fare con il blu intenso delle iridi di Jackie a cui era abituato; il sinistro era color oliva, anche questo pallido e ovattato. Più Milo si convinceva che non era uno scherzo della luce che li rendeva così, più il suo cervello insisteva a dirgli che era impossibile una cosa del genere, o quantomeno così rara che forse l’aveva vista solo un’altra volta in vita sua. Anzi, c’era stata sicuramente un’altra volta.

Allora a poco a poco il viso di Autumn diventò familiare, oltre ai formidabili occhi anche il resto risvegliò un ricordo in lui, il mento sottile e appuntito, il naso piccolo e arrotondato alla punta, le lunghe ciglia scure come le sopracciglia sottili, la carnagione bronzea, i capelli mossi e castani.

-Sei tu!- esclamò allora Milo, le mani incrociate davanti alla bocca, incredulo.

Jackie rimase interdetta, lo sguardo che andava da Milo ad Autumn.

-È lei?- chiese confusa.

-Sono io- confermò Autumn con un sorriso incerto.

Milo scoppiò a ridere e scosse la testa, senza riuscire a credere all’improbabile situazione in cui si era trovato. Autumn era senza dubbio la cameriera che aveva conosciuto a L'angle des artistes l’ultima volta che ci era stato. Come dimenticare qualcuno che riusciva a riconoscere da uno stralcio di spartito che stava studiando la Sinfonia numero 9 di Beethoven?

-Che mi venga un colpo, sei davvero tu!- continuava a ridere di cuore, attirandosi l’attenzione di molti avventori.

Jackie detestava avere l’attenzione su di sé, perciò lo tirò per un braccio facendolo sedere prepotentemente accanto a lei.

-Ti dispiacerebbe smetterla di ridere come un ebete e spiegarmi come fai a conoscerla e perché non ne sapevo niente?- sibilò minacciosa.

Milo trattenne a stento altre risate, ancora fissando Autumn, che sorrideva imbarazzata, il volto abbassato.

-L’ho conosciuta pochi giorni fa ad un caffè dove vado spesso e dove lei lavora- spiegò Milo allegro. Jackie sembrò colpita.

-Dici sul serio?- domandò a Milo -Dice sul serio?- si corresse poi, rivolta ad Autumn.

La più piccola fece un sospiro e annuì con un breve cenno della testa.

-Questo sì che è strano. Beh, io devo comunque rispettare le solite convenzioni borghesi. Perciò Autumn, ti presento Milo, il mio fidanzato; Milo, ti presento Autumn, mia sorella- annunciò Jackie, indicando a turno l’uno e l’altra.

Milo tese la mano sorridente e strinse quella dell’altra.

-È un grande piacere conoscerti finalmente di persona, Autumn-

-Piacere mio- sorrise di rimando lei, gli occhi fissi sulle loro mani più che sul volto di Milo.

Solo allora lui si ricordò di un dettaglio.

-A proposito, questa è per te. Chiedo scusa anche a te per il ritardo, sono un caso disperato- disse con una stretta di spalle e le porse la rosa bianca.

Autumn la prese con un lieve tremito nella mano e ne aspirò il profumo intenso ad occhi chiusi.

-È molto bella- lo ringraziò a bassa voce.

Milo inclinò la testa incuriosito. Autumn le pareva più timida di quanto ricordasse. Era solo un’impressione?

-Per la cronaca, Maestro, ho già provveduto ad ordinare anche per te. Ad aspettare che arrivassi tu avremmo fatto prima ad andare in Cina- interruppe i suoi pensieri Jackie.

Milo si voltò e le sorrise luminoso.

-Hai fatto benissimo, chèrie, mi fido del tuo palato sopraffino- la prese in giro lui e si meritò uno schiaffo sulla coscia di rimando.

Proprio come aveva previsto lui, Jackie aveva scelto una quantità vasta e variegata di piatti, tutti deliziosi, dai ravioli ai noodles, da spiedini di maiale a tofu, tutti con nomi impronunciabili tra cui solo lei si destreggiava con abilità. Lui ed Autumn si limitarono ad annuire alle sue dettagliate descrizioni di ogni piatto, di cui conosceva a memoria ogni ingrediente, e a mandar giù quello che avevano di fronte.

Durante la cena il compito di Jackie fu anche quello di fare da intermediaria tra Milo e Autumn, tentando di presentare aspetti dell’uno e dell’altra per farli conoscere meglio. Ma se Milo accoglieva quei tentativi di conversazione con prontezza, deciso a far amicizia con Autumn e a rompere il ghiaccio della estraneità fra di loro, Autumn sembrava restia ad aprirsi allo stesso modo. Milo notava verso l’altra una inequivocabile distanza, come se Autumn avesse alzato un muro affinché Milo non accedesse ai suoi veri pensieri. Certo, rispondeva alle sue domande e gliene faceva a sua volta e per quanto possibile provava ad offrire anche lei spunti di conversazione, ma Milo sentì che in ognuno di queste azioni lei si tenesse quasi a freno, come a non volersi lasciar andare.

Era strano, rifletteva Milo, perché Autumn era apparsa così tranquilla e spensierata quel pomeriggio in cui si erano incontrati al caffè. Forse accusava la tensione di trovarsi lì con uno sconosciuto? Se fosse stato per quello, Milo voleva davvero che Autumn si rilassasse, che fosse a proprio agio in sua presenza.

Lanciò un’occhiata a Jackie, per chiederle silenziosamente se Autumn avesse qualche problema con lui, dato che ad una sua ennesima domanda aveva risposto ancora a fatica, come se non avesse voluto farlo. La sua compagna fece un impercettibile cenno di diniego con la testa e mimò uno Ti spiego dopo con le labbra.

-Allora, Milo, come stanno andando i preparativi per il concerto di Natale?- cambiò discorso Jackie, prendendo con le bacchette un involtino primavera.

Alla domanda tutto il viso di Milo si illuminò di gioia.

-Oh, non male. È ancora presto per cominciare a provare, ma i membri dell’orchestra sono in gamba, perciò penso che intorno a metà ottobre saremo già in grado di cominciare. Non vedo l’ora- rispose lui eccitato.

-Studia alla Juilliard, è un direttore d’orchestra e un compositore- aggiunse Jackie per beneficio di Autumn. Quest’ultima si limitò ad un cenno per accogliere la notizia.

-Ancora non ufficialmente. Mi laureo quest’anno- chiarì Milo. Autumn annuì pensierosa.

-Suoni anche uno strumento allora- constatò con calma lei.

-Sì, sono violinista. So suonare anche altri strumenti però, principalmente archi- sorrise Milo.

Anche Jackie si aprì in un sorriso di orgoglio e ammirazione per il suo ragazzo.

-Dovresti sentirlo suonare, Autumn, è eccezionale- commentò sincera e Milo le baciò una guancia grato.

Vide Autumn irrigidirsi e distogliere lo sguardo in fretta. Forse era quello il problema? Si sentiva a disagio a vederli scambiare affettuosità?

-Sai, Milo, anche Autumn è una musicista- disse con calma Jackie.

Milo strabuzzò gli occhi meravigliato. Allo stesso tempo Autumn rischiò di strozzarsi dopo che un boccone le era andato di traverso.

-Davvero?- chiese conferma Milo.

Autumn aprì e richiuse la bocca per diverse volte e nessun suono uscì da lì. Alla fine rinunciò e sospirò, annuendo con la testa.

-Proprio così. Sa suonare il pianoforte e canta da dio- aggiunse al posto suo Jackie, con estrema naturalezza.

-Beh, allora ci tengo a sentirti cantare al più presto- le sorrise gentile Milo, ma Autumn scosse la testa.

-Non canto più, né suono. È una cosa che ho lasciato perdere. È acqua passata ormai- disse seccamente.

Jackie allora le puntò contro le bacchette e la fissò con severità.

-Sbagli. Un talento come il tuo è raro, è da pazzi lasciarlo marcire come stai facendo tu- la ammonì.

Autumn si prese la fronte fra le mani.

-Ti prego, Jackie, non ricominciare ancora con questo discorso…- disse stanca.

-Invece ricomincio finché non ti entra in quella testolina bacata. Stai gettando all’aria un’enorme possibilità-

-È la mia vita-

-Ed è mio dovere farti notare quando e in che misura la stai rovinando-

-Se posso dire la mia- intervenne in quel momento Milo, per fermare il litigio fra le sorelle -penso che ognuno abbia la grande facoltà di disporre della propria vita come vuole, nel bene e nel male. È il vantaggio di essere umani, di essere dotati di libero arbitrio, di volontà personale. Forse l’unica eccezione a questo sacrosanto principio si presenta quando non siamo noi a scegliere come disporre del nostro futuro, ma siamo scelti a nostra volta da qualcosa di più grande di noi. E mi piace ripetere a me stesso e a tutti quelli che me lo chiedono che non siamo noi a scegliere di dedicare la nostra vita alla musica, ma è la musica a sceglierci e a chiamarci a sé. Bisogna solo saperla ascoltare-

Milo sorrideva leggermente nel ripetere quelle parole imparate tanti anni prima.

-Autumn, sei pienamente libera di decidere della tua vita, proprio come dici tu. Ma se la musica ti ha scelto ed è entrata in te, mi dispiace dirti che in nessun modo le puoi sfuggire. Ne va della tua felicità- le disse poi serio.

Per la prima volta in quella sera Autumn puntò i suoi occhi direttamente in quelli di Milo e resse il suo sguardo per diversi secondi. In loro Milo non riusciva a scorgere nulla. Non la forza d’animo e la determinazione di Jackie, non la purezza infantile e la dolcezza di Annie, non la saggezza di Ray. Erano occhi vuoti, volutamente separati dal mondo da un velo invisibile a protezione di tutto ciò che c’era dietro. Solo un’eco, un sussurro di esistenza giunse a Milo, che più tentava di cercare in quell’abisso, più si trovava ad annegare in qualcosa di pericolosamente simile alla paura. Un’immensa, sconfinata paura.

Era questo che provava Autumn? Perché quello era l’unica cosa che Milo coglieva in lei, nel suo modo di fare, nel suo modo di parlare. Paura di qualcosa di indefinito e indefinibile.

-Mi piacerebbe pensarla come te, Milo. Purtroppo non è sempre così semplice- rispose a bassa voce Autumn.

Le sue parole risuonarono come una profezia, enigmatiche e potenti.

E Milo venne percorso da un brivido di paura. Una paura sconfinata, immensa, indefinita e indefinibile.
   
 
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