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Autore: DWHO    12/09/2016    1 recensioni
Storia ispirata al film 'Womb'.
Sherlock muore. Molly non accetta la perdita e riesce a trovare un modo per farlo tornare. Ma è lo stesso uomo? Con esperienze e scelte di vita diverse, è sempre quell'uomo?
Dal primo capitolo:
"Chiuse gli occhi. Sarebbe finita, presto il buio avrebbe lasciato posto alla luce. Perché lui stava per tornare. Mancava poco ormai, era questione di ore e l’avrebbe riavuto di nuovo lì. Con lei. Al sicuro. Aprì gli occhi. Davanti a sé, lo specchio rifletteva la sua immagine. Sorrise come quel giorno in cui era tornato, come adesso che stava tornando."
Genere: Dark, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altro personaggio, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Secondo atto
5 giorni dopo il ritorno

Lo guardava mentre dormiva nella culla. Sembrava finto. Sembrava innocente. Le piccole mani erano chiuse a pugno sopra la sua testa girata da un lato. Non si muoveva, solo il petto si alzava e abbassava. Non lo aveva mai visto così… innocuo.
Quando lo aveva preso in braccio per la prima volta, l’aveva guardata quasi spaesato, confuso. Se lo ricordava quello sguardo.  
Lo prese in braccio cercando di non svegliarlo, ma lui aprì gli occhi. Osservò prima lei, poi la stanza e infine posò di nuovo lo sguardo su lei. “Ciao Sherlock. Tranquillo, ora sei al sicuro. Sei qui, sei tornato. Mi prenderò io cura di te. D’ora in poi saremo solo noi due. Io e te” sussurrò Molly. Poi avvicinò il suo viso a quello di Sherlock e poggiò le labbra sulla sua fronte. Era tornato.
 
 
2 settimane dopo il ritorno

Stava tirando fuori le ultime cose dagli scatoloni. Cose che neanche ricordava di avere: posate d’argento, bomboniere, piatti. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. Una carta da lettere bianca. La prese e se la rigirò tra le mani. Non credeva di averla mai vista prima di quel giorno. Incuriosita l’aprì.
Il tempo sembrò rallentare. Osservò molto bene quelle tre foto che aveva in mano. Non credeva ai suoi occhi. Era lui. Sherlock da piccolo. Da ragazzo. Da adulto.
Riprese in mano la busta, cercando in ogni angolo bianco una traccia di inchiostro, una scritta che riuscisse a farla risalire al mittente. Era immacolata. Arresasi, posò di nuovo lo sguardo sulle foto. Le vennero in mente le parole della signora Hudson: “se puoi, quando sarà grande, raccontagli dell’uomo che è stato, di tutto quello che ha fatto”.                                                        
Prese le foto, aprì l’ultimo cassetto e le mise dentro, in fondo, coperte dalle tovaglie e dalle posate d’argento. Poi lo chiuse. Dunque si girò, ma dopo qualche passo si voltò un’altra volta in direzione del cassetto. Si inginocchiò e mise una mano sulla chiave. La tenne stretta per un po’, un po’ che le sembrò un’eternità. Infine la girò e se la mise in tasca. E pensò dove poterla nascondere.
 
 
1 mese dopo il ritorno

No mamma, non c’è bisogno che tu venga. Sì, lo so che tra due mesi ricomincio a lavorare ma penserò a qualcosa, va bene? Sì, so anche che non l’hai mai visto”. Era da più di quindici minuti che sua madre insisteva sul venire a darle una mano. Da quando le aveva detto di essere incinta non aveva fatto altro che proporle di vivere vicine per crescere insieme a lei il bambino. Ma Molly non voleva. Non voleva che sapesse. “Lavorerò part-time, non è un problema. E la mattina lo porterò in qualche asilo nido” le aveva risposto. Però sua madre continuava imperterrita e le scuse di Molly diventavano sempre meno credibili. La conversazione terminò con un: “Va bene, allora ti aspetto. Ma è solo per poco”. Poi attaccò.
 
 
3 mesi dopo il ritorno

Sherlock. Perché Sherlock? Voglio dire, so perché, ma c’erano tanti altri modi per onorare il suo ricordo”. Sua madre era seduta accanto al fuoco, con lui in braccio. Era arrivata il giorno prima e da allora non si era allontanata da Sherlock neanche un secondo. “Era suo padre. Ho voluto dargli quello che non avrà mai: un ricordo di lui” rispose Molly. “Per quello bastava una foto” ribatté sua madre. Inconsciamente Molly cercò con lo sguardo quel cassetto. Suo padre…
Glielo avrebbe detto un giorno, era sicura. Lo aveva deciso già prima di portarlo in grembo. Glielo avrebbe detto e tutto sarebbe tornato come prima.
Guardò Sherlock dormire tra le braccia di sua madre. Sorrise. Sì, tutto come prima.
 
 
6 mesi dopo il ritorno

Lei e sua madre erano sedute sul divano. Ridevano e incitavano Sherlock ad avvicinarsi a loro. Lui gattonava sul pavimento, cercando di non perdere l’equilibrio. Un solo movimento errato e sarebbe stata la fine. Gamba destra e mano destra, gamba sinistra e mano sinistra. Poi la destra si confuse con la sinistra e non riuscì a raggiungere le due donne. Molly accorse subito in suo aiuto, lo prese in braccio e lo portò con lei sul divano. “Ma sei stato bravissimo!” esclamò la donna più anziana. “Sei adulatoria oggi, mamma” le fece osservare Molly. “È mio nipote e ha sei mesi, è ovvio che lo lusinghi. Tranquilla, arriverà presto qualcuno che farà tutto il contrario” ribatté. Molly sorrise. “Sai”, cominciò sua madre, “ho visto alcune casette carine in città”. “Ne abbiamo già discusso. Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto e che farai, ma ho già una soluzione” disse Molly. Poi guardò l’altra donna in volto e smise di ridere. “L’hai già comprata, vero?” chiese Molly con timore. La donna annuì. “Molly, cosa torno a fare a casa? Tuo padre è morto da tempo, tu e tua sorella ve ne siete andate e io sto in pensione. Qui invece ho te e posso avere un posto nella vita di Sherlock. Tesoro, vuoi spiegarmi una volta per tutte perché non mi vuoi qui?”. Il tono triste con cui sua madre le si era rivolta spinse Molly ad abbracciarla. “Mi dispiace. Hai ragione” rispose semplicemente. Sua madre non aveva torto, non poteva isolarsi da tutto e da tutti. Doveva continuare a vivere come aveva sempre fatto, per il bene suo e di Sherlock. Non doveva più avere paura. Erano al sicuro.
 
 
13 mesi dopo il ritorno

Lo teneva per mano. Era ancora un po’ instabile, qualche volta cadeva. Ma si rialzava e continuava. E la cercava. Costantemente. Di notte riusciva a scavalcare le sbarre del lettino e si stendeva accanto a lei. Non gli piaceva stare solo.
“Facciamo lo scivolo?” gli domandò Molly. Poi lo prese in braccio e lo adagiò sopra il gioco. “Pronto? Uno, due, tre!”. Lo accompagnò mentre scivolava, godendo di quella risata. Aveva imparato a conoscerla e ad averla tutta per sé quando gli faceva il solletico, quando scherzava con lui, quando guardava i cartoni in Tv. Una volta sua madre si era lamentata del fatto che Sherlock era troppo attaccato a lei. Le aveva detto che quando andava a lavoro la cercava sempre e, una volta capito che lei non c’era, guardava prima lei e poi la porta, come se le chiedesse tacitamente di andare da Molly e, quando vedeva che lei non aveva nessuna intenzione di portarlo dall’altra donna, abbassava la testa e metteva il broncio. Lei le aveva risposto che era normale per un bambino di un anno, ma sua madre continuava a sostenere che era così perché quando tornava dal lavoro non lo lasciava mai solo.
“Ciao, io sono Laurel, tu come ti chiami?”. Una bambina di circa tre anni si era avvicinata a loro con una palla in mano. “Ma che bel nome. Lui è Sherlock. Saluti Sherlock?” aveva detto Molly. “Non parla?” aveva continuato Laurel. “No, ancora no” le aveva risposto. “Vuoi giocare con la palla?”. Molly stava per rispondere quando Sherlock la tirò per mano e passò oltre la bambina. “Credo che oggi non gli vada, ma grazie comunque per l’invito, sei stata gentile” e continuò a seguire Sherlock.
 
 
18 mesi dopo il ritorno

Usciamo?” aveva domandato Molly a Sherlock. Erano sotto la doccia e lui apriva la bocca per bere l’acqua. Gli piaceva fare il bagno.
Lei lo guardava, guardava i suoi occhi, cercava le espressioni di un lui passato, uomo, ma sempre lui. Alcune volte le trovava, altre imparava a conoscerne di nuove. Cercava ogni sua caratteristica in quel viso di bambino.
Gli baciò le guance, poi il collo e le spalle. Era morbido, liscio. Si fermò quando stava per baciarlo sulla punta del naso. La stava guardando. E sorrideva. Poi, inaspettatamente, posò le labbra su quelle di lei. Fu un attimo, un semplice tocco, un tocco innocente. Quando si ritrasse, le sorrise e poggiò la testa sulla sua spalla.
Sopraffatta, senza accorgersene passò le dita sopra la bocca. Quando se ne rese conto, abbassò subito il braccio. Era solo un bacio di un bambino, un segno d’affetto, solo affetto. Solo un bacio.
 
 
2 anni dopo il ritorno

Come ogni pomeriggio, aveva portato Sherlock al parco. Lui aveva stretto da poco una specie di amicizia con un altro bambino. Giocavano con le macchinine e correvano da tutte le parti. Lui non riusciva a stare fermo un secondo. Iperattivo, lo aveva definito sua madre. Aveva sorriso.
“Lo stava aspettando, guardava ogni cinque minuti l’entrata” aveva confessato la babysitter di Michel. “Si divertono molto insieme” aveva commentato Molly. L’altra aveva annuito.
C’erano voluti un po’ di sguardi cattivi e maniere dure per far tornare Sherlock a casa. Infine era riuscita a legarlo sul seggiolino. Parcheggiata la macchina, fece uscire Sherlock e, per mano, si diressero verso casa. Vide sua madre venirle incontro una volta aperto il cancello. “Ti è arrivata una lettera” le comunicò. Prese la lettera che la madre le aveva porto e l’aprì. Riportava le seguenti parole:
                                                                                                                                                                                                                                    Cara Molly,                                                                                                                                    sono passati quasi tre anni dall’ultima volta che ci siamo visti. So che non ti aspettavi una mia lettera e non so neanche se la volevi ricevere, ma in questi anni ho provato di nuovo tutto il dolore che ho sentito la prima volta che Sherlock è ‘morto’. Grazie a Dio cinque anni fa lui tornò, ma non feci in tempo a godere di nuovo della sua amicizia che mi fu tolto una seconda volta. Eppure è tornato di nuovo, grazie a te. So che le cose sono diverse e che non potrò più riavere                                                                                             il posto che avevo una volta nella sua vita, però vorrei comunque essere presente.   Spero che tu me lo permetta,        
con affetto.
John Watson
 
Rimise la lettera nella busta. “Chi è il mittente?” le chiese sua madre. Molly la guardò e finse un sorriso: “nessuno, solo un vecchio amico che chiede di rivedermi. Gli risponderò che ormai non abito più a Londra. Entriamo?”. Poi prese di nuovo Sherlock per mano ed entrò in casa.
 
 
Aveva riletto quella lettera diverse volte durante il giorno. Non pensava che John volesse vedere Sherlock. Non sapeva che fare. Ora che le cose sembravano andare meglio ecco che spuntava all’orizzonte una nuova difficoltà. Non voleva negare a John quella gioia, ma aveva paura. Di cosa non lo sapeva. No, sì, lo sapeva. Aveva paura che le portassero via Sherlock. Non poteva perderlo, non voleva. Aveva creato insieme a lui un rapporto così profondo che non avrebbe mai pensato si potesse creare tra loro due. Venuta a capo di ciò, prese una decisione. Aprì il cassetto delle foto e ci mise in mezzo anche quella lettera. Se non gli avesse risposto, magari avrebbe pensato che non le era arrivata nessuna lettera. Poi chiuse il cassetto. Solo qualche minuto dopo si fece una domanda di rilevante importanza: come aveva fatto John ad avere il suo indirizzo?
 
 
3 anni dopo il ritorno

Era in ginocchio di fronte a Sherlock. Lui stava seduto per terra a tracciare linee con una matita su un foglio, poi anche per terra. “Dici ‘nonna’ Sherlock? Lo dici? Coraggio!” lo incoraggiava Molly. Ma Sherlock non le stava prestando attenzione. Non prestava mai attenzione quado era già occupato con qualcos’altro, o quando non gli interessava. Evidentemente non gli interessava neanche parlare. Lei cercava di spronarlo a dire qualcosa, ma era inutile. Le avevano detto che ogni bambino ha i suoi tempi. Però continuava a domandarsi se anche prima aveva avuto problemi di questo genere. O solo adesso li aveva?
Aveva provato con altre parole come ‘casa’ o ‘pappa’. Era tutto inutile. Poi una parola le venne in mente, una parola che con cui non riusciva ad associarsi. Ma prima o poi avrebbe dovuto farlo. “Dici ‘mamma’?”. Subito Sherlock aveva alzato lo sguardo su di lei. E, con sorpresa di Molly, l’aveva indicata. Sapeva che era giusto, che per Sherlock lei era ‘mamma’, solo che riusciva a stento a non gridare ‘non è vero’. Quando aveva deciso di riportarlo indietro, non ci aveva pensato. No, si corresse, non aveva voluto pensarci.
 
 
Era stanca e voleva tornare a casa. Non voleva più sentire le parole di quella dottoressa, lei non sapeva. Non sapeva niente. “Vede, signora, suo figlio si concentra troppo sui grandi movimenti come camminare e non sui piccoli come parlare o pedalare” le spiegò la logopedista. Tutta colpa di sua madre, che si preoccupava che Sherlock, a tre anni suonati, ancora non parlava. “Cosa possiamo fare, dottoressa?” chiese sua madre. “Potremmo far fare al bambino una controllo dell’udito. Sì, mi avete già detto che sente, ma potrebbe non captare alcune frequenze. Succede. Dato che fra poco andrà a scuola, potreste richiedere un insegnante di sostegno” propose loro. Era troppo. Sherlock non aveva problemi, lei lo sapeva, lo aveva visto. Era più intelligente della media, non aveva bisogno di un insegnate di sostegno. “Va bene, dottoressa, le faremo sapere. Arrivederci” e, dopo averle stretto la mano, uscì. “Sì può sapere perché non vuoi un consiglio dai dottori?” le domandò la madre mentre la seguiva verso l’uscita. “Perché io so che Sherlock non ha niente che non va. Parlerà prima o poi, fidati” esclamò, tanto da attirare l’attenzione di diverse persone. “E se non lo facesse? Se avesse veramente qualche problema?”. Molly si voltò verso sua madre. Indugiava sula risposta da darle. Alla fine si girò e proseguì oltre.
 
 
5 anni dopo il ritorno

Ma dove ho messo la merenda?” si chiese Molly. Provò a guardare dentro il frigo. “No, sta sul tavolo, hai delle briciole sulla maglietta, quindi l’hai tirata fuori” osservò Sherlock vedendola aprire ogni sportello. “Hai ragione. Bene, pronto per il primo giorno di scuola? Ora sei tra i grandi” disse Molly mentre apriva la porta di casa. Si fermò vedendolo pensieroso. “Che succede?” chiese la donna. “Mi prometti che non avrò nessun insegnante di sostegno questa volta?”. La donna si piegò per essere alla sua stessa altezza. “Te lo prometto. Non ne hai bisogno. Non ne avevi neanche prima ma ho commesso un errore e mi dispiace. Sei intelligente Sherlock, molto. Ricordatelo” e, dopo averlo rassicurato, lo abbracciò. “Ora andiamo, o farai tardi”. Uscirono tenendosi per mano.
 
 
Basta! Basta, mi arrendo!” aveva esclamato Molly. Sherlock si immerse di nuovo nella vasca, fiero di aver vinto. “Mai mettersi contro Sherlock Holmes” disse con orgoglio. “Altrimenti cosa? Gli schizzi l’acqua?” lo prese in giro lei. Lui la guardò male. Allora Molly si avvicinò e lo strinse a sé. Forte.
“Ti piace la scuola” gli domandò. Sherlock storse la bocca: “non mi piacciono molto i compagni. Le maestre sembrano simpatiche però” rispose. “Perché non ti piacciono i compagni?” continuò Molly. “Mi sembrano tutti stupidi. Si interessano solo ai cartoni animati e allo sport”. “Ma a te piacciono i cartoni” gli fece notare. “Mi piace ‘Indiana Jones’” esclamò Sherlock. Lei si stupì. “Davvero?”. “Sì! Voglio diventare come lui da grande. Voglio andare in cerca di tesori e avere tante avventure!”. Molly sorrise mentre si immaginava Sherlock vestito come l’archeologo. “Mamma, mi compri il cappello di Indiana Jones?”
 
 
7 anni dopo il ritorno

Si sporse oltre il cornicione. Era alto. Troppo alto. Ma doveva saltare, non aveva scelta. Aveva pensato a qualche altra alternativa. Non ne aveva trovate. Il vento soffiava forte mentre prendeva un profondo respiro. Era il momento, ora o mai più. Guardò un’ultima volta giù per essere sicuro della sua presenza. Il suo volto lo rassicurò. Aprì le braccia. Gli sembrava di essere un uccello che stava per spiccare il volto. Sorrise. Saltò.
Sentì due braccia prenderlo. Si strinsero intorno alla sua vita mentre lei lo faceva girare. “Visto che ti ho preso” gli disse lei. Lui le sorrise. “Ti prenderò sempre. Ogni volta che cadrai, io ci sarò. Te lo prometto”. “So che ci sarai” le rispose e l’abbracciò. Poi salì di nuovo sullo scivolo.
 
 
Camminavano per il bosco. Sherlock aveva sulla testa il cappello che Molly gli aveva comprato due anni prima e in mano un bastone che usava come frusta. “Non ti allontanare!” gli ordinò Molly mentre parlava con sua madre. Ma lui sembrò ignorarla e cominciò a correre. “Sherlock!” gridò Molly correndogli dietro. Lo raggiunse dopo poco e lo afferrò per le spalle. “Ma sei impazzito? Ti ho detto di non allontanarti! Non farlo mai più!” esclamò. Si fermò quando guardò oltre le spalle di Sherlock. “Stava vagando nel bosco da solo. Ho già controllato: non ha nessun collare. Possiamo tenerlo?” le aveva chiesto Sherlock indicando il cane. L’animale intanto si era accucciato ai loro piedi.  “Non lo so, potrebbe anche appartenere a qualcuno. Non credo sia il caso” rispose Molly. “Ma non possiamo lasciarlo qui, da solo, nel bosco!” continuò ad insistere lui. Allora la donna pensò a qualche soluzione che non implicasse portare l’animale a casa, ma gli occhi colmi di speranza di Sherlock furono sufficienti. Alla lista della spesa aggiunse del cibo per cani.
 
 
Era una bella giornata. Non faceva molto freddo. Sherlock giocava con il vagabondo che avevano trovato qualche girono fa. Molly aveva posto una condizione: avrebbe messo in città l’annuncio del ritrovamento del cane e se entro un mese qualcuno non fosse venuto a prenderlo, l’avrebbero tenuto.
“Prendilo Indiana! Corri, corri!” urlava Sherlock al cane che correva per riprendere il bastone che lui gli aveva appena lanciato. “Indiana?” aveva chiesto Molly, che stava seduta su una sedia in veranda. “Il cane di Indiana Jones si chiama così” aveva risposto. “Credevo non ti piacesse più”. “Lui è un eroe mamma. Non si possono non amare gli eroi”.
Stava sorridendo per le parole di Sherlock quando da lontano vide una donna. Si alzò in piedi quando la riconobbe e ordinò a Sherlock di rientrare in casa. “Un attimo” aveva implorato lui. “No, ora” continuò decisa Molly. Sbuffando Sherlock prese con sé Indiana ed entrò. “Ciao Molly” la salutò quando le arrivò di fronte. “Ciao Mary” ricambiò il saluto. “So che non ti aspettavi venissi”, iniziò tentennando, “ma avevo bisogno di vederti”. Molly annuì. Poi le fece segno di sedersi su una delle sedie in veranda. “Era lui vero? Quel bambino. Santo cielo, fa impressione abbassare gli occhi per guardarlo" scherzò Mary. Ma l'altra non diede segno di alcun sorriso, così evitò di continuare a sdrammatizzare. "Va bene, arrivo dritta al punto. La signora Hudson sta male, Molly. Sta per morire. Ha chiesto di vederlo un'ultima volta" le confessò. L'altra rimase in silenzio per un po'. Aveva ipotizzato che la signora Hudson non sarebbe riuscita a vederlo di nuovo come lo ricordava. Le dispiaceva. Certo, sapeva che Sherlock avrebbe voluto esserci nei suoi ultimi giorni. Comunque. Non poteva negare questo a lui. Né all'anziana. Ma Sherlock ora non la conosceva e di fronte agli occhi vuoti di un affetto che c'era stato ma che non c'era più, la signora Hudson non avrebbe avuto molto. "Ti prego. Non resta molto" la supplicò Mary.
"Va bene, fammi preparare le valige".
 
 
Aveva aperto gli occhi. Sembravano stanchi, ma emanavano calore. Per lo meno questo sembrò a Sherlock quando la signora Hudson- una zia di sua madre- lo guardò. D'improvviso quegli stessi occhi si illuminarono e sorrise felice. Cercò di avvicinare una mano per toccarlo ma era debole e riusciva a stento a parlare. D'altro canto Sherlock si sarebbe ritratto.
"Sei tu. Sei proprio tu. Ma guardati, non ti ho mai visto così giovane. Quanti anni hai? Non più di otto, sai non puoi averne più di otto perché otto anni fa eri ancora vivo" sussurrò la signora Hudson. Sherlock corrucciò la fronte. "Ne ho sette. Di chi sta parlando?" domandò lui. La donna sorrise. "Eri un uomo così bravo, ti ho voluto tanto bene. Quando sei morto non credevo ti avrei più rivisto, invece! Oh, santa donna!", disse, questa volta rivolta a Molly, "tu l'hai riportato qui, mi hai fatto quest'ultimo regalo. Te ne sarò sempre grata".  Molly le si sedette accanto e le prese la mano. "Lo avevo promesso, se lo ricorda? Ora è qui e sta bene". La signora Hudson sorrise prima che un fremito la colpisse. "Ci sono… ci sono delle foto in… in casa. Prendile tu. È giusto così". E alzò l'indice per indicare qualcosa di lontano ma che lei riusciva a vedere perfettamente. D'improvviso si irrigidì, i suoi occhi saettarono da una parte di stanza all'altra e divenne bianca. Molly conosceva quel bianco. Prese Sherlock e uscì dalla stanza, mentre i medici li sorpassavano.
 
 
Non credeva che ci potessero essere così tante foto di lui. Probabilmente erano state scattate a sua insaputa. Stava per rimetterle al loro posto quando notò un anta dell'armadio semi aperta. L'apri completamente. Un cappotto nero rubò subito la sua attenzione. Il suo cappotto nero. Avvicinò il viso. Aveva ancora il suo stesso profumo. Dopo otto anni. La signora Hudson doveva averlo tratto con cura.
Fece scivolare la mano lungo tutta la manica. La strinse forte quando arrivò alla fine. Chiuse gli occhi e la lascio andare. Era troppo presto per quello. Troppo ricordi. Troppo dolore. Chiuse l'armadio.
"È una delle poche cose che aveva di lui. Lo stirava ogni settimana sai? In attesa che tornasse". Mary stava sotto lo stipite della porta. Guardava l'armadio. "Mi dispiace" riuscì a dire Molly. Mary sorrise e le si avvicinò. "Verrai al funerale?" chiese a Molly. L'altra annuì. "Non ti ho neanche chiesto come stanno John e la piccola" osservò Molly, desolata. "Stanno bene. La piccola ormai va per i nove" raccontò sorridendo. "E John?" continuò Molly. Anche se non c'è n'era bisogno. Sapeva come stava. Le aveva detto tutto nella lettera che le aveva mandato il mese scorso. Gliene aveva spedite tante. Ogni tre o quattro mesi. A nessuna aveva mai dato risposta. Aveva creduto che prima o poi avrebbe smesso. Si era sbagliata. Ora sperava con questo ritorno a Londra di poter aggiustare le cose.
"Sta bene. È sereno" rispose Mary. "Perché non hai mai risposto a nessuna lettera?" domandò improvvisamente la moglie del dottore. "Lo sai?" Chiese stupita Molly. "Certo che lo so. Te le ho mandate io" confessò l'altra. Questa rivelazione spiazzò Molly ancora di più. Cercò di dire qualcosa, qualunque cosa, invano. “Perché?” domandò infine Molly. “Lo sai che John non era contento del fatto che tu… che, sì insomma, tu facessi tornare Sherlock”, cominciò Mary, “ma so anche che in fondo era quello che voleva, che desiderava. Così ho fatto io la prima mossa per lui, sperando di convincerti a venire qui, a farli incontrare. Ero sicura che se l’avesse visto non l’avrebbe mandato via. Ma tu non hai mai risposto e quindi non c’è mai stata occasione. Fino ad ora”. Molly la guardò, incredula. “Perché non hai mai risposto?” le chiese di nuovo. “Io… io non volevo che le cose cambiassero” rivelò Molly. “E perché?”. Molly tentennò: “non voglio che tornino come prima, quando per Sherlock ero solo una patologa. Ora sono molto di più, sono importante per lui, veramente importante. Credevo di volere che le cose tornassero come prima, ma da quando è di nuovo qui ho capito che stavo ingannando me stessa”. Dopo questa confessione Molly non riuscì più trattenere le lacrime. Mary l’abbracciò. “Niente è più come prima, ormai. È cambiato tutto” disse Mary. Aveva ragione.
Poi a Molly sorse una domanda che l’attanagliava da anni. “Come hai fatto ad avere il mio indirizzo?”. Mary sorrise: “ho le mie risorse”. Ringraziò Mycroft per averle dato l’indirizzo… e quelle foto.
 
 
John non c’era. Non si era fatto vivo. Mary era sicura che sarebbe venuto. Era il funerale della signora Hudson, d’altronde. Lanciò un’occhiata a Mary, non le aveva detto molto. Solo che John non se l’era sentita di venire. Poi guardò Sherlock che giocava poco distante con la figlia di John. Non giocava con gli altri facilmente, ma con lei era stato quasi istintivo.
Vece vagare lo sguardo ancora oltre. Non molto distante c’era la sua tomba. Ci aveva pensato il giorno prima, se doveva mostrargliela o no. Ci pensava anche in quel momento.
 
 
Lo aveva portato davanti alla sua tomba. Sherlock non aveva ancora detto niente. Si limitava a studiarla.
“Mi hai chiamato come papà” fu la prima cosa che disse. “Sì” confermò Molly. “E quella lì?” chiese lui, indicando la tomba accanto. L’aveva notata subito quando erano arrivati.
Era morta un anno dopo Sherlock. Sulla sua tomba gli stessi fiori di quella di lui. Erano freschi. Si chiese se aveva mai immaginato di rivederlo.
“È tua nonna” gli aveva risposto. “È morta quando sono nato” osservò Sherlock. “Saluta tuo padre, dobbiamo andare” disse Molly. Allora Sherlock si abbassò per cogliere dei fiori che crescevano vicino l’albero. Poi li posò sulle due tombe. Molly gli sorrise, lo abbracciò e gli baciò una guancia. Poi si allontanarono da lui e da quella donna.
 
 
10 anni dopo il ritorno

Mamma” chiamò Sherlock. Ma Molly non rispose. Le capitava, a volte, di non rispondere quando lui la chiamava. Le sembrava ancora strano che lui la chiamasse così.
“Mamma!”. Questa volta Molly si girò. “Scusa, non ti avevo sentito” si giustificò. “Dovresti fare un controllo dell’udito. Spesso non senti quando ti chiamo” disse Sherlock. “Sì, forse dovrei farlo”. “Comunque”, iniziò lui, “mi chiedevo se potevo invitare Max e Jack a casa per festeggiare il mio compleanno”. “Certo che puoi” gli rispose. Di nuovo silenzio. “Lo sai che a scuola ci hanno chiesto che lavoro fanno i nostri genitori?” le chiese Sherlock. Molly si irrigidì, facendo cadere il piatto che stava pulendo nel lavandino. Sherlock storse il naso per il rumore. “Quindi?” domandò lei. “Io non so che lavoro faceva papà” constatò.
Eccolo quel giorno. Il giorno delle domande. Doveva dirgli la verità? O mentire?
“Tuo padre faceva un lavoro strano, lo aveva inventato lui: il consulente investigativo” disse infine Molly. “Consulente investigativo?”. “Vedi, ogni volta che la polizia non riusciva a fare luce su un caso, interveniva lui. Era fenomenale. Riusciva a risolvere anche i misteri più complicati. Qualche volta lo aiutavo” gli raccontò. E ricordare le fece male. Ma doveva dirgli quello che era stato un tempo, l’uomo che aveva amato. Anche se non lo ricordava. Forse sperava che raccontandoglielo riuscisse a farlo.
“È così che vi siete conosciuti?” domandò ancora. “Sì. Gli portai il caffè” ricordò Molly con un sorriso. “Il caffè” ripeté Sherlock. “Ma come è morto?”. Molly strinse le mani al bordo del lavandino. “È stato investito” rispose infine. “Mentre stava inseguendo un criminale?”. “No, lui… lui lo aveva appena preso”. “Una macchina che andava troppo veloce, allora?”. “No”. “E allora…”. “Lui non stava guardando!” gridò infine Molly. Posò una mano sulla bocca. Poi si girò e gli andò incontro. “Mi dispiace, mi dispiace tanto. Non avrei dovuto strillare” disse e lo abbracciò. “È ancora una ferita aperta” sussurrò Molly al suo orecchio. Lui la strinse forte tra le braccia. Lei sospirò e si lascio cullare. “Ho amato tuo padre e rifarei tutto da capo” gli confessò. “Se si potesse” le fece notare. “Sì, se si potesse”.
“Gli ho promesso che mi sarei presa cura di te, che ti avrei protetto. Anche dal suo ricordo” disse Molly. “Lo so. Tu sei mia madre, è naturale che tu voglia proteggermi”.
“Ti voglio bene”. A quelle parole, mormorate al suo orecchio, Molly sorrise.
 
 
Dormiva tranquillo. Era stata una lunga giornata e aveva fatto tutto e di più con i suoi amici. Non avrebbe mai creduto di vederlo così spensierato e felice. Non avrebbe ami creduto neanche di vederlo relazionarsi con qualcuno. Invece aveva trovato dei buoni amici. Anche se non erano John. Nessuno sarebbe mai stato John, lo sapeva bene.
Si stese accanto a lui e lo circondò con le braccia. Lo osservò, placido mentre sognava. Poggiò la fronte sulla sua. Tutto era come aveva sempre sognato. Lui lì, con lei. Per sempre.
Lo guardò di nuovo. Il cuore accelerò i battiti. Lo amava profondamente. Lo amava…
 
 
14 anni dopo il ritorno

Posò il cappello sulla pila di pietre che avevano posizionato sopra la terra appena rialzata. Si spostò accanto a Molly che gli circondò le spalle con un braccio, ormai quasi la superava. “È stato un bravo cane. Mi mancherà” le disse. “Lo so. Ma voglio che tu sappia che chi ci lascia non lo fa mai veramente, rimane sempre nel nostro cuore” lo consolò. Sherlock annuì, non del tutto convinto. “Non voglio portarti nel cuore, voglio che tu rimanga qui con me” disse deciso. “Neanche io vorrei mai lasciarti, ma non si può ingannare il tempo”. “Lo so”. “Comunque vada, tu resterai sempre mia madre”. Molly si irrigidì. C’erano momenti in cui dimenticava il ruolo che aveva nella vita di Sherlock. Anche se ormai, nemmeno lui aveva lo stesso posto che occupava prima. Lo amava sempre e comunque, ma aveva notato che il suo amore, con il tempo, era diventato più maturo. Non simile a quello che aveva provato un tempo per lui. Ma ancora non riusciva a capire che amore fosse.
 
 
 
 
DWHO:
Dopo più di una settimana aggiorno la storia. Mi dispiace averci messo così tanto. Spero di aver scritto tutto bene e anche se ci sono dubbi, cose poche chiare, potete chiedere a me!
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferito o seguite e chi la legge. Un saluto!
  
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