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Autore: VeganWanderingWolf    14/09/2016    0 recensioni
questa è la seconda storia della serie '4 di picche' - Vero che Danny si aspettava di poter rivedere qualcuno dei “colleghi” dei 4 di picche, ma forse non così presto e in una situazione tanto potenzialmente grave. Non solo. Dal suo passato rispunta una vecchia conoscenza che sa essere tutt’altro che innocua. E per finire, sembra che la sua vecchia conoscenza abbia individuato con precisione uno dei suoi punti deboli per eccellenza… e che sia ad un passo dall’affondarci le zanne…
Genere: Comico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '4 di picche'
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Capitolo 28

(NUOTATORI SINCRONIZZATI DI FOLLA)

 

Danny aveva quella sgradevole sensazione di quando le cose si stanno iniziando ad incrostare in abitudini tutt’altro che positive, in una specie di quotidianità distorta verso la quale, se le si lascia ancora il tempo di continuare solo un altro poco a ripetersi nello stesso tedioso identico modo, si finisce per sviluppare una sorta di assuefazione nociva.

Non gli era difficile individuare precisamente gli elementi che gli facevano provare quella sensazione: bastava considerare il susseguirsi di eventi che lo riportarono attraverso Tairans uno dopo l’altro, a cominciare dalla telefonata con Kumals, passando per l’incontro con Badlands e il ripassare davanti ai due mezzi lupi di turno nella sorveglianza dell’appartamento – ai quali si curò di dedicare un’occhiataccia bruciante e sinistramente sarcastica, subito prima di entrare attraverso il portone della casa e di richiuderselo bene alle spalle sbattendolo sonoramente dietro di sé – , per terminare con il trovare dentro l’appartamento Uther, seduto accanto alla finestra con il fucile come al solito appoggiato contro il petto e tenuto tra le braccia con scioltezza, intento a osservare la strada per tenere sott’occhio i due che li controllavano per ordine di Mara & Co.

«Com’è andata?» gli chiese Uther, con tono tra l’annoiato e lo scontato, mordicchiando un biscotto e dedicandogli solo una fugace occhiata prima di riportare lo sguardo all’esterno della finestra.

«Splendidamente.» ironizzò Danny per tutta risposta, con una smorfia involontaria. Certamente l’atteggiamento di Uther non faceva che peggiorare quella sua sensazione dell’incrostarsi di una ripetitività quotidiana basata su un perenne stato di tensione e di pericolo imminente.

«Ah, ho incontrato Badlands poco fa.» annunciò perciò, ostentando un tono piatto. Aveva assolutamente bisogno di cercare di infrangere quell’atteggiamento compassatamente tranquillo di Uther.

Quest’ultimo, con sua magra soddisfazione, si limitò a lanciargli un’altra occhiata, sebbene stavolta si trattasse perlomeno di uno sguardo più lungo e significativo e attento, prima di tornare a sorvegliare visivamente i mezzi lupi fermi in strada. Danny ebbe la sgradita sensazione che con quel semplice sguardo Uther avesse ottenuto quel tanto che gli serviva per continuare a non scomporsi: Danny non era ferito né aveva l’aspetto di essere appena incappato in una zuffa, né mostrava altro segno di aver dovuto sostenere uno scontro particolarmente difficile. Così, quando lo sentì rispondere con tono ancora abbastanza neutro e tranquillo, Danny si chiese seriamente quale razza di impressione poteva dare il suo aspetto se da un lato Kumals arrivava al punto di pensare – semplicemente udendo la sua voce attraverso il telefono – che stesse per avere un crollo di nervi, mentre Uther in compenso giungeva alla conclusione che dopotutto stava reggendo abbastanza bene la situazione.

Per quanto lo riguardava, lui non riusciva ancora a farsi una mezza idea complessiva di come stava effettivamente reggendo la situazione.

«Cosa voleva?» domandò Uther, in tono un po’ più duro.

Danny sospirò e si lasciò cadere a sedere sul divano di peso. «Voleva sapere dove poteva trovare Nickj per andarla a prendere per un orecchio – metaforicamente parlando, perché penso che avesse intenzione di farle ben di peggio – e ri-trascinarla alla loro tendopoli.»

Vide un lieve sogghigno di strafottente vittoria disegnarsi sul viso di Uther, il quale emise anche un verso di sarcastica soddisfazione. «Certo, come no. Come pensare che non saremmo stati lieti di aiutarlo in questo?»

Danny represse a fatica le prime parole che gli venivano da ribattere, qualcosa a proposito del correggere la prima persona plurale al singolare, visto che dopotutto era toccato a lui solo fronteggiare Badlands, e si limitò a masticare uno svogliato «Già.»

Reclinò la testa all’indietro, appoggiando la nuca alla cima dello schienale del vecchio divano, e chiuse gli occhi, sopraffatto per un momento dalla tentazione di schiacciare un pisolino, giusto per riposarsi un momento, e magari soprattutto per sfuggire per un po’ alla consapevolezza di dove si trovava e perché, e alla confusione che sentiva riempirgli la testa come un caotico vortice di frammenti sparsi che non riusciva a rimettere insieme nemmeno con una grande dose di colla e di sforzo per aggiustare i pezzi tra loro. Sì, assomigliava terribilmente ad una sottospecie di disperato tentativo di fare un puzzle quando tutto ciò che si ha a disposizione sembrano essere pezzi di decine di puzzle diversi, che si rifiutano di combaciare tra di loro, e a vedersi tutti insieme non sembrano altro che svariati e disgraziatamente insufficienti sprazzi di un’immagine complessiva che può al massimo assomigliare ad un quadro di arte astratta, piuttosto che ad una qualche prospettiva sensatamente componibile.

«Questo gioco di sguardi comincia a stancarmi un po’…» sentì dire a Uther, riferendosi chiaramente al dover tenere d’occhio a loro volta i mezzi lupi che li tenevano sotto sorveglianza, nonché alla snervante immobilità di quella situazione.

Allora Danny ri-spalancò gli occhi e si drizzò a sedere di colpo, dandosi dello stupido per non averlo ancora detto.

«Ho sentito Kumals.» disse.

L’attenzione che ottenne da Uther fu immediatamente istantanea, e Danny la riconobbe chiaramente anche se si manifestò semplicemente con un guizzo dello sguardo dell’altro verso di lui e un generale lieve irrigidirsi della sua postura seduta.

«Sì? E che ha da dire di prezioso?» chiese Uther, con un tono singolarmente astioso e non abbastanza ironico, considerando di chi stavano parlando.

«Un contatto che può esserci utile.» annunciò Danny, stranito dalla soddisfazione di poter a quel modo segnare un valido punto in difesa di Kumals. Per quanto lui stesso non si sentisse esattamente nella posizione di voler così tanto spezzare una lancia in suo favore, se non altro quel tono così rabbioso nei confronti di Kumals gli suonava comunque troppo ingiusto.

Uther alzò alquanto entrambe le sopracciglia, sorpreso. «Ovvero?»

«Dice che c’è una persona che sa bene delle cose di cui ci occupiam… occupavamo. E che quindi potrebbe capire la situazione che c’è qui, e darci un valido appoggio.» spiegò.

«Ah… E… perché questo particolare salta fuori solo adesso?» domandò Uther.

Danny corrucciò la fronte, concentrandosi nuovamente sulle parole di Kumals, ri-analizzandole mentre le ripeteva sommariamente a Uther. «A quanto pare, da che ne sapeva Kumals questa persona non si trovava a Tairans… ma l’ha sentita ieri, e ha saputo che stava tornando qui…»

«E Kumals non gli ha già detto che cosa sta succedendo?» si informò ancora Uther.

«Sai che Kumals non ama fare lunghi discorsi al telefono… Gli ha solo anticipato che avremmo potuto aver bisogno di aiuto.» rispose Danny.

«In altre parole… come dobbiamo incontrare questo fantomatico contatto di Kumals

«Dobbiamo andare a casa sua. Mi ha dato l’indirizzo. Ma… dopotutto, anche tu hai abitato a Tairans con Kumals. Non lo conosci anche tu già? Il suo nome è Mordecai.» chiese Danny.

Uther rifletté per un breve momento, concentrandosi. «Il nome non mi è nuovo… sì… ci ha già dato una mano, tempo fa, quando stavamo qui. Ma no, io non l’ho mai visto. Quella volta che collaborò con noi, una sola volta, io ero occupato altrove per quanto riguardava quel… caso.» spiegò, pronunciando l’ultima parola con un accenno di ben dosata ironia che accompagnava la scelta di quella definizione che Kumals, invece, usava puntualmente con fare abitudinario e casuale per indicare i loro incarichi.

«Ah.» fu tutto ciò che venne da commentare a Danny, guadagnandosi in tal modo involontariamente un’altra fugace occhiata da parte di Uther.

«Mordecai… fammi indovinare, ebreo, giusto?*» chiese allora Uther, con un che di lievemente scherzoso nel tono, che rendeva stranamente colma di tentativo quella battuta, come se fosse improvvisamente incerto di poter scherzare tanto confidenzialmente con lui.

Danny accennò un sorrisetto leggero, sebbene non lo stesse più guardando. «Oh… beh, Kumals dice che è solo una specie di “nome d’arte”. E… sarebbe nientemeno che un necromante ebreo, a dirla tutta. Di origine etnica ebraica, non di religione ebrea.» specificò.

Il sorrisetto di Uther si accentuò appena ma nettamente, e Danny comprese che aveva subito capito che quella di chiedere a Kumals se avessero a che fare con un credente religioso era una delle prime domande che gli era venuta in mente. Ed entrambi potevano immaginare benissimo che Kumals, al sentire quella domanda che pur già si aspettava conoscendoli, doveva aver assunto quella sua solita espressione tra il paziente e il comprensivamente complice; se da un lato Kumals era della loro stessa opinione a proposito delle religioni, aveva anche sempre posseduto doti decisamente più diplomatiche per trattare con eventuali clienti o collaboratori credenti, a differenza di loro due. E come tutti i ‘4 di picche’ sapevano più che bene, mandare Uther e Danny da soli a trattare con un credente, o anche Ramo, era come spianare il terreno a problemi interrelazionali che sarebbero sfociati di lì a poco in una serie di eventi che li avrebbe portati irrimediabilmente a perdere qualsiasi incarico il cliente volesse affibbiare loro.

«Ad ogni modo, avremo presto occasione di conoscere di persona il signor Mordecai…» aggiunse Danny.

«Bene.» commentò Uther «Ma credo che prima dovremmo pensare a come risolvere un altro problema…»

Danny tornò a guardarlo, interrogativamente.

Tuttavia, il silenzio di Uther e il fatto che stesse ancora tenendo sott’occhio l’esterno della casa furono più che sufficienti per fargli capire esattamente a che cosa si stesse implicitamente riferendo.

«Oh, già… quel problema…» borbottò di malumore in tono cupo, incrociando le braccia sul petto e iniziando a far andare a tutta velocità le sue “rotelle cerebrali”, con tanta concentrazione da non accorgersi nemmeno del breve sguardo significativo che gli lanciò Uther, con un’espressione che voleva sottolineare con simpatetica ma leggermente stupita ovvietà come gli fosse sfuggito un particolare così determinante e ultimamente onnipresente come quello che avessero nientemeno che due mezzi lupi incaricati esclusivamente di tenerli sotto stretta sorveglianza.

 

***

 

Dover stare fermi in mezzo alla strada per le lunghe ore filate che durava ogni turno, era per i mezzi lupi incaricati di volta in volta di sorvegliare quell’appartamento, e i movimenti del mezzo lupo rinnegato e del suo amico umano che vi dimoravano, una pura noia mortale. Non letteralmente ‘mortale’ perlomeno, speravano.

C’era una voce vaga e sotterranea – pronunciata solo con sussurri furtivi e tesi e raramente e a mezze frasi – che circolava per l’attendamento: che quel mezzo lupo rinnegato fosse stato creato nientemeno che da Mara stessa, diverso tempo addietro. Se da un lato questo poteva spiegare come mai la mezza lupa che non perdeva tanto tempo in chiacchiere quando riteneva che la sopravvivenza di qualcuno le desse fastidio fosse così propensa invece a dilungare i tempi quando si trattava della questione di quel mezzo lupo rinnegato, d’altro canto quella vociferazione si aggiungeva alla gravità di che cosa quel Danny rappresentava per l’immaginario dei mezzi lupi dell’accampamento: oltre ad essere un mezzo lupo rinnegato, era stato l’unico e assiduo “discepolo” di Mara in persona, ed ora si aggirava tra e con gli esseri umani che di professione si occupavano di affrontare creature “paranormali” – mezzi lupi compresi – armato di due pistole, e in stretta compagnia di un umano che sembrava avere una profonda confidenza col suo fucile.

Il tutto non poteva che produrre dunque attorno alla figura del mezzo lupo rinnegato un alone in cui si mischiavano strettamente il disgusto e la curiosità, il rigetto e un inconfessabile timore. Dopotutto, se quello era il “figlio” di Mara come mezzo lupo, e allo stesso tempo un rinnegato che preferiva combattere i mezzi lupi e affiancarsi agli esseri umani e adottare le loro armi mortali dotate di proiettili più rapidi e nocivi dei riflessi e dei denti di qualsiasi mezzo lupo, Danny poteva facilmente assurgere nel loro immaginario come l’incarnazione della ferocia pura e cieca e assassina di Mara sommata alla letalità degli esseri umani e delle loro armi rivolte contro i mezzi lupi.

Così, la noia di quei turni di sorveglianza di quell’appartamento veniva decisamente controbilanciata dalla tensione di trovarsi nelle strette vicinanze di Danny e di un essere umano e di almeno tre armi da fuoco, per di più considerando che tutti i mezzi lupi dell’attendamento sapevano ormai benissimo che i due si erano chiaramente accorti di quello spionaggio e non ne sembravano affatto entusiasti, sicuramente non particolarmente spaventati, né abbastanza sprovveduti da non contraccambiarlo costantemente.

Il piano di confronto era tutt’altro che decisamente inclinato a favore dell’una o dell’altra fazione: i due mezzi lupi di guardia potevano contare su tutto il loro bagaglio di potenziale di forza e rapidità da mezzo lupo, ma d’altro canto sapevano bene che il meglio di quelle loro potenzialità si esprimeva sempre molto meglio quando si era nella forma di lupo; d’altro canto, l’amico di Danny era solo un essere umano, ma tra tutti e due avevano a disposizione ben tre armi da fuoco. E un’arma da fuoco era sempre per un mezzo lupo qualcosa verso la quale era difficile mantenere il sangue freddo, sebbene tecnicamente alcune storie e dicerie parlassero di mezzi lupi con una certa età ed esperienza che li rendevano in grado di affrontare un essere umano armato con buona chance di sopravvivenza, grazie all’abilità di muoversi abbastanza facilmente da allontanarsi evitando i proiettili e sfruttando fino in fondo qualsiasi strategia a disposizione a tale scopo, dalla corsa a zig-zag fino al poter sfruttare ogni genere di ostacolo fisico dietro il quale ripararsi durante la fuga.

Tuttavia, purtroppo per i mezzi lupi che di volta in volta erano di turno alla sorveglianza di quell’appartamento, le istruzioni che Mara aveva impartito loro non comprendevano affatto la possibilità di limitarsi a fuggire in caso iniziassero a risuonare colpi di arma da fuoco. O anche solo il suono di un’arma che viene caricata. Perché tanto sarebbe bastato per far scatenare lungo tutto il sistema nervoso dei mezzi lupi fuori dall’appartamento il selvaggio imperativo di darsi immediatamente alla fuga come sinonimo di unica possibilità di salvare la pelle.

Era così che lungo le ore di ogni turno si snodava direttamente sui nervi dei mezzi lupi in sorveglianza il miscuglio di noia e tensione, che li logorava lentamente ed inesauribilmente, con la diabolica pazienza di un sottile rivolo d’acqua che scorrendo sempre nello stesso punto finisce per incidere anche la roccia più dura.

Quando, quel pomeriggio, si udì il rumore del portone del condominio che si apriva proprio pochi minuti dopo che dalla finestra dell’appartamento erano scomparsi sia il mezzo lupo rinnegato che il suo amico umano, entrambi i mezzi lupi di guardia faticarono a trattenere un nervoso sussulto di allarme, ben consapevoli che difficilmente quello potesse rivelarsi come un vero e proprio indizio di pericolo per la loro incolumità stretta, così com’erano altrettanto consapevoli che niente potesse dare loro la completa garanzia che da quel portone non sarebbero spuntate armi spianate verso di loro e pronte a far fuoco.

Tuttavia, dal portone uscirono i due oggetti della loro sorveglianza, uno dopo l’altro (il mezzo lupo per primo), e la scena assunse subito una normalità ormai consueta per gli occhi di chi aveva già avuto occasione di fare dei turni di guardia presso quell’appartamento o pedinando occasionalmente chi ne usciva o entrava che avesse direttamente a che fare con Danny. Tanto quest’ultimo quanto il suo collega umano sembravano disarmati a prima vista, anche se Mara li aveva istruiti sul fatto che Danny portasse le armi sempre nascoste alla cintola e sotto la maglietta quando si muoveva in contesti “pubblici”, e dopo aver lanciato loro a malapena un paio di occhiate sempre colme di quello sguardo tra la strafottente sfida sarcastica e la cupa rabbia trattenuta, si incamminarono semplicemente lungo la strada fianco a fianco.

I due mezzi lupi concessero loro solo qualche momento di vantaggio, poi, muovendosi altrettanto di concerto, si misero a seguirli; se non altro, nonostante l’evenienza che Danny e il suo amico umano si muovessero fosse considerata unanimamente dai mezzi lupi che si avvicendavano nei turni di sorveglianza come una sfortuna e un momento di particolare nervosismo, in quel caso non erano costretti a decidere che cosa fare. Gli ordini di Mara erano chiari, a proposito del fatto che dovessero tenere d’occhio principalmente proprio quei due, e fintanto che essi si muovevano insieme non c’era perciò difficoltà alcuna nel decidere di doverli semplicemente seguire.

Non faceva in alcun modo parte dell’incarico dei mezzi lupi di turno dover ragionare o capire su dove quei due stessero andando o perché; il loro compito non prevedeva esattamente l’interpretazione, tutt’altro: dovevano semplicemente guardare e poi riferire punto per punto a Badlands che cosa avevano visto, e sperare che ciò che avevano da riportare non contenesse nessuna informazione abbastanza degna di nota da dover essere riferita direttamente alla presenza di Mara, la quale, come alcuni di loro avevano già avuto occasione di sperimentare direttamente sul loro pelo, se veniva messa di gran malumore dalle novità, non lesinava nello sfogarsi su chi le portava. A quanto pareva, la frase ‘ambasciator non porta pena’ era stata scartata dal vocabolario della mezza lupa per consapevole e voluta scelta.

 

***

 

Mentre giravano l’angolo di una strada, Uther spiò brevemente dietro di loro, in un modo talmente abile per non farsi notare e far sembrare il suo gesto come così inutile e casuale da poter essere difficilmente notato o interpretato, che lo si sarebbe detto qualcuno che avesse seguito un vero e proprio addestramento per quel genere di cose da ‘spia di professione’; oppure l’abilità di qualcuno che ha seguito un suo personale corso di esperienza diretta di sopravvivenza da scippatore di strada.

Con quella fugacissima occhiata, Uther fu perfettamente in grado di sincerarsi che i due mezzi lupi sotto sembianze umane li stessero seguendo, anche se sapeva che non ce n’era davvero così bisogno: Danny era più che in grado, grazie semplicemente al fiuto, di sincerarsi che li avevano alle calcagna. A meno che non si alzasse un forte vento in direzione contraria.

Continuarono a camminare con assoluta calma ed un fare casuale ma non troppo: dopotutto erano pur sempre pedinati da due mezzi lupi. Niente poteva garantire loro che non li avrebbero mai e poi mai attaccati, anche se le probabilità indicavano quasi proprio quello. E Uther poteva chiaramente percepire dalla tensione sottopelle dei muscoli di Danny pronti ad un eventuale scatto e scontro fisico, che l’altro era così pienamente consapevole di quella pur pallida possibilità che non si sarebbe mai permesso nemmeno per un secondo di rilassarsi completamente.

Uther sapeva che gran parte di quella tensione di Danny era dovuta proprio a lui, l’unico di loro quattro ad essere completamente umano piuttosto che un mezzo lupo. Per un momento fu tentato di portarsi una mano alla cinta dei pantaloni, nel punto in cui portava una delle pistole di Danny, ma si trattenne dal gesto, che oltre che inutile era un poco rischioso in quel frangente, e cercò di ignorare più risolutamente la sensazione di fastidio provocata dal peso e dalla posizione dell’arma, per lui che non era affatto abituato a portare una pistola alla cintola e nascosta dai vestiti. Nonostante ciò, non poté impedirsi di ripensare per un breve momento a ciò che era successo poco prima che uscissero di casa: il modo in cui Danny gli aveva porto una delle sue pistole, caricata, e gli aveva chiesto se sapesse usarla con sufficiente dimestichezza.

Uther gli aveva rivolto uno sguardo tra il perplesso e l’ironicamente stupito. «Sul serio me lo stai chiedendo?». Ma lo sguardo terribilmente serio e determinato che gli era stato rivolto ancora più penetrantemente a quelle parole lo aveva portato a rassegnarsi ad aggiungere con più serietà «Certamente meno dimestichezza che con il mio fucile, ma penso di potermela cavare più che bene tutto sommato.»

«Ma non potendo passeggiare per le strade di Tairans con un fucile a tracolla come niente fosse…» si era limitato ad osservare Danny distrattamente, lasciando la frase in sospeso per l’ovvietà del suo significato, e dedicandosi a sistemarsi l’altra sua pistola prima di sistemarla all’aggancio apposito interno alla cintola dei suoi stessi pantaloni, dopo aver lasciato andare l’altra pistola nella stretta poco convinta della mano con cui Uther l’aveva presa.

Uther aveva considerato per un momento con un certo fastidio il modo in cui Danny sembrava rivolgerglisi con un che di paziente e rassegnato, come se stesse avendo a che fare con qualcuno che si ostinava a mostrarsi infantilmente irragionevole. Un atteggiamento che sicuramente lo stava infastidendo decisamente, ma si era impegnato comunque a non farne trapelare nemmeno un’oncia nel suo tono, quando gli aveva obbiettato con calma «Intendevo che penso di potermela cavare anche senza di questa.»

Danny aveva alzato lo sguardo verso la pistola che Uther gli stava porgendo per restituirgliela, e i suoi occhi erano andati con studiata lentezza dall’arma fino a lui, come se quel tempo gli fosse servito per riflettere bene su cosa e come dirlo. Uther si era aspettato l’inizio di un tentativo di convincerlo a tenersi la pistola, ed era pronto a non retrocedere finché Danny non si fosse rassegnato al fatto che non avrebbe girato con una delle sue pistole solo perché non poteva portarsi appresso il fucile, ma non era minimamente pronto ad udire quelle precise parole.

«Mi sentirei molto meglio se la tenessi tu.» aveva detto Danny, l’intonazione profondamente seria che in qualche modo su di lui, agli occhi ed orecchie di Uther, si abbinava bizzarramente con la snudata e improvvisa sincerità che mostravano quelle parole. «Sono certo che se potessi portarti il fucile non avrei niente di cui preoccuparmi. Ma dal momento che il fucile è escluso, e siamo in due e abbiamo due pistole che possiamo portarci, una a testa mi sembra la soluzione più logica.»

Uther ne sostenne lo sguardo, riscontrando che non c’era più traccia di paziente superiorità inconscia, quanto piuttosto l’accenno di qualcosa di fermamente e allo stesso tempo disperatamente implorante. Era stato per quello che, prima di rendersene conto, si era ritrovato ad annuire e a sistemarsi la pistola alla cintola senza aggiungere altro, sebbene tra sé e sé sapesse bene che entrambi avevano capito che Danny non aveva detto ciò che realmente era il punto della questione: lui era l’unico umano su quattro, e gli altri tre erano tutti mezzi lupi.

Mentre scendevano le scale per uscire dal portone, Uther si era ritrovato per un momento a chiedersi se, fino a qualche giorno prima, Danny non glielo avrebbe semplicemente detto apertamente e senza alcun timore di rompere quello che ora sembrava una specie di delicato equilibrio precario, che si trattava del fatto che un essere umano senza un’arma era comunque quello svantaggiato in un confronto diretto con un mezzo lupo. D’altro canto, fino a qualche giorno prima non si erano mai ritrovati ad avere a che fare con dei mezzi lupi che avrebbero potuto attaccarli. Perciò Uther non aveva ancora trovato la risposta prima che avessero solcato la soglia del portone ed entrambi si fossero concentrati sul loro immediato obbiettivo.

E fu proprio sul loro immediato scopo che Uther tornò rapidamente a virare la sua concentrazione, mentre lui e Danny continuavano a camminare per le strade accaldate di Tairans.

Accanto a lui, Danny procedeva con la sua totale attenzione accuratamente nascosta sotto un’apparente calma da sangue freddo, così come era abituato a portare le pistole accuratamente celate sotto gli abiti quando si muovevano in una città. Tutti i suoi sensi erano liberati al massimo della loro estensione, intenti a fornirgli una mappatura il più dettagliata possibile di tutto ciò che lo circondava: una mappa che aveva tre punti focali ben precisi di cui teneva sott’occhio i movimenti anche senza doverli guardare direttamente con la vista, ovvero Uther di fianco a lui e i due mezzi lupi che li seguivano ad una ben calcolata distanza di sicurezza.

Di tanto in tanto, il principio di un fremito di tentazione gli pizzicava i nervi e i muscoli, e Danny lo reprimeva subito con prontezza: era la tentazione di girarsi su se stesso e lanciarsi all’attacco sui due mezzi lupi. Una possibilità terribilmente allettante, specialmente considerando che toglierseli dai piedi anche solo per qualche ora era decisamente una prospettiva balsamica per il suo nervosismo infastidito, ma sapeva più che bene che non poteva permettersi un errore così stupido come procurarsi addosso l’attenzione di tutti i passanti che avrebbero assistito alla scena e – ancora peggio – il sospetto di Mara a proposito dell’eventuale motivo per cui avesse perso il controllo dei nervi fino a quel punto.

Se aveva un pregio che riteneva nemmeno Mara avrebbe mai potuto negare, specialmente e semplicemente paragonandolo a se stessa, era che lui sapeva dominarsi abbastanza da cercare di fare la mossa più sensata quanto più sentiva che era indispensabile decidere col cervello prima che agire con gli scatti di nervi o con la reazione più naturalmente istintiva per un mezzo lupo. Ricordava che, soprattutto quando si erano conosciuti ancora da poco, ma di tanto in tanto ancora più recentemente quando ne capitava l’occasione, Kumals era solito affibbiargli a mo’ di critica la definizione di ‘impulsivo’; epiteto che, a seconda dello stato d’animo di Kumals e del preciso motivo per cui lo stava appellando a quel modo, poteva variare tranquillamente dall’esplosione irata di ‘rovinoso’ fino al moderato e sfumato dall’affetto e ancora solo ammonitorio ‘precipitoso’.

Ad essere precisi, tutti i ‘4 di picche’ conoscevano bene Kumals, tra le altre cose, per la sua famosa tendenza ad affibbiare loro svariati appellativi quando era preso da uno stato d’animo particolarmente poco moderato, il che avveniva raramente ma incisivamente. Danny poteva richiamare facilmente alla memoria qualcuno di quegli epiteti, come quando Kumals definiva lui e Uther ‘teste calde’ perché avevano fatto qualche piccolo pasticcio sulla scia dell’immediata urgenza di agire, o lui e Ramo ‘incorreggibile coppia di punk da strapazzo’ quando avevano agito in modo tutt’altro che rispettosamente pieno di tatto o di modesta convenzionalità; per non parlare di quando arrivava al punto da farsi sfuggire verso Yuta qualcosa come ‘quella che sembra uscita da un teen-film anni ‘80’ (qualsiasi fosse effettivamente la definizione, era quasi scontato e questione di secondi prima che qualcosa di contundente volasse per aria attraversando lo spazio – qualsiasi esso fosse – che separava in quel momento la diretta interessata da Kumals, e se quest’ultimo era abbastanza fortunato da essersene uscito in quel modo in un momento in cui Yuta non era particolarmente di cattivo umore, c’erano abbastanza buone probabilità che l’oggetto che stava volando nella sua direzione non fosse uno dei due cerchi dotati di lama che lei usava come armi). Una sola volta Kumals aveva perso le staffe al punto da osare una definizione critica che comprendesse anche Zoal, riferendosi a qualcosa che avevano fatto lei e Yuta nel merito di un incarico dei ‘4 di picche’ con il termine ‘queste zingarate’; e l’occhiata modestamente ma decisamente stupita e a sopracciglia repentinamente alzate che gli aveva rivolto Zoal era stata più che sufficientemente per fargli recuperare immediatamente tutto l’autocontrollo che possedeva.

Danny ritornò subito a concentrarsi sul qui ed ora della situazione non appena percepì con la coda dell’occhio abituato la leggerissima variazione di direzione nel passo di Uther, e la seguì con immediata scioltezza. Sebbene i due mezzi lupi che li seguivano non dovessero essersene accorti, grazie all’abilità che Danny e Uther avevano di muoversi in buon sincrono quando si spostavano insieme in un ambiente cittadino relativamente e potenzialmente ostile – o anche solo fastidioso per quanto riguardava la concezione che Danny aveva degli ambienti urbani -, in quel momento era Uther che stava dettando la strada. Era lui che conosceva Tairans abbastanza da sapere esattamente dove dovevano dirigersi in quel momento per ottenere ciò che volevano, e sebbene Danny si fosse fatto mostrare a grandi linee il percorso che dovevano seguire su una delle grandi mappe della città che erano appese o arrotolate o piegate in giro per l’appartamento (uno dei tanti rimasugli di quando quelle stanze erano state il “centro” delle attività di Uther e Kumals), non c’era quasi niente che gli venisse più spontaneo di assecondare il muoversi di Uther attraverso delle strade cittadine.

Mentre svoltavano in un’altra strada, e mentre notava, senza sorpresa ma anzi con rassicurazione a proposito del fatto che stavano mettendo in atto esattamente quello che dovevano, che di strada in strada si stavano muovendo in modo da attraversare zone di Tairans gradualmente sempre più affollate di persone, Danny ricordò di colpo un’altra delle definizioni di Kumals: una volta aveva chiamato lui e Uther ‘nuotatori sincronizzati di folla’. E sebbene lo avesse detto con un che di ironico che lasciava trapelare tutta l’intenzione di prenderli in giro con pungente affettuosità, Danny aveva riconosciuto in quell’appellativo un’ombra incancellabile di complimentosa ammirazione, qualcosa che Kumals centellinava e distribuiva piuttosto raramente e avaramente a lui, Uther o Ramo.

Nessuno dei ‘4 di picche’ aveva avuto bisogno di interrogarsi a proposito di che cosa Kumals volesse dire con quella definizione inventata a puntino: anche in quel momento, mentre procedevano in strade sempre più caotiche di persone, Danny e Uther la stavano incarnando come se fosse una seconda pelle per loro. Una seconda pelle, Danny realizzò per un momento breve ma decisivo nella sua limpida certezza, che forse poteva smettere di indossare per lunghi periodi da quando i ‘4 di picche’ non esistevano più a tutti gli effetti, ma che poteva re-indossare in un istante non appena ne capitasse l’occasione e la necessità.

Lui e Uther potevano muoversi attraverso le strade affollate con una sincronia naturale e automatica, come se fosse guidata da un pilota automatico che apparteneva a qualcosa che avevano metabolizzato in quell’età molto infantile in cui certe cose si imparano così profondamente che sembrano venir inscritte direttamente nel codice genetico, impresse a fuoco di fiamma viva direttamente nelle cellule ancora in frenetica divisione di un organismo che, una volta raggiunto il completo sviluppo, avrà quell’abilità perfettamente integrata in sé.

Non era l’unico tipo di “seconda pelle” che Danny avesse mai avuto. C’era stato un tempo in cui la sua seconda pelle era diventata quella di eseguire mosse di inseguimento e accerchiamento in sincronia con Mara, quando erano gli unici due componenti di un branco di mezzi lupi che cacciava in forma di lupo, per concentrarsi alla fine della corsa sulla preda da abbattere. C’erano ancora, quando capitava, brevi istanti in cui, davanti – o nel bel mezzo – di una determinata scena, lui e Ramo erano capaci di scambiarsi un’occhiata rapida e comprendere che stavano pensando la stessa cosa. Qualche volta Kumals coglieva quello scambio di sguardi rapido e immediato e commentava qualcosa come ‘ecco qua, il comune patrimonio mentale da punk-incorreggibili…’, con un che di rassegnato e paziente che non nascondeva un sottofondo di divertimento. Eppure, in un certo senso c’era sempre stata da qualche parte in Danny la sottile consapevolezza che la sincronicità dei movimenti che lui e Uther erano in grado di tirar fuori dal cilindro ed eseguire con perfetta e completa naturalezza quando si trattava di camminare in mezzo a strade affollate era qualcosa che aveva una natura più direttamente esercitata che appresa.

Così, come se stessero eseguendo i passi di una specie di danza che si erano preparati accuratamente, e allo sguardo di chiunque sarebbe stata giudicata impossibile da mettere in atto con la semplice improvvisazione come in effetti era, lui e Uther iniziarono gradualmente a procedere meno strettamente fianco a fianco, ma separandosi per tratti più o meno lunghi per solcare la folla separatamente pur procedendo sempre alla stessa velocità, ritrovandosi così di nuovo di tanto in tanto di nuovo fianco a fianco quando, come ad un invisibile segnale, tornavano a ricongiungersi quasi direttamente spalla a spalla, prima di separarsi nuovamente.

A quel modo traforarono la crescente folla di persone per le strade sempre più centrali di Tairans, rendendo sempre più arduo per i due mezzi lupi che li seguivano star loro dietro. I due inseguitori si videro ben presto costretti a scegliersi ognuno un solo obbiettivo da seguire, e il loro compito non divenne affatto meno complicato, dal momento che loro due non possedevano tra di loro la stessa sciolta abilità e rapidità fluida che di colpo avevano tirato fuori come dal niente i loro due inseguiti.

Ma, come già detto, il loro compito era stato predisposto da Mara in maniera così nettamente basilare che era molto più che un sovrappiù l’interpretare o il prevedere che cosa stava per succedere. Così come il loro stare alle calcagna di quei due non contemplava l’eventualità né di raggiungerli né tantomeno di superarli, così il loro incarico di sorveglianza prevedeva di registrare ogni cosa che vedevano loro fare solo dopo che era stata messa in atto – per poterla riportare all’attendamento come bottino informativo – e giammai contemplava anche solo l’idea che potesse essere loro richiesto di leggere in quei movimenti un significato particolare o di cercare di prevedere dove volevano andare a parare.

Per questo, quando i due mezzi lupi di colpo si resero conto che il contatto visivo delle figure in movimento di Danny e Uther davanti a loro in mezzo alla folla veniva reciso di netto e all’improvviso, furono tragicamente colpiti da una serie di emozioni ben poco strategiche: l’ansia, l’urgenza e il panico. Fu così che i loro movimenti divennero scomposti, e iniziarono a correre e a passare in mezzo alle persone anche a costo di spallate e di spintoni, lo sguardo freneticamente alla ricerca dei loro obbiettivi, mentre realizzavano nel frattempo – e troppo tardi – anche il particolare che  in mezzo a quell’assembramento di gente e a quel traffico di attività umane il fiuto si rivelava praticamente inutile per rivelare una traccia valida: l’odore di Danny e Uther era troppo leggero a causa del loro essere semplicemente passati di lì, e troppo confuso nella moltitudine di tutti gli altri forti e ottundenti odori umani e artificiali urbani.

Mentre ormai venivano sempre più presi dal  panico e si affrettavano a muoversi rapidamente quanto disordinatamente da una parte all’altra della piazza dov’erano giunti, e nella quale si stava svolgendo un mercato cittadino denso di persone, rumori, movimenti e odori quanto più molteplici e mischiati possibili, i due mezzi lupi iniziarono così a realizzare di aver commesso un tragico e decisivo errore tipicamente umano: mai affidarsi semplicemente al contatto visivo. Specialmente quando si sta cercando di rimanere alle calcagna di un mezzo lupo che conosce perfettamente tutte le regole di un inseguimento e di una traccia, e di un essere umano che sa essere estremamente sfuggente.

Nemmeno per un istante, mentre si affannavano ad affrettarsi lungo tutti gli inizi delle strade che confluivano in quella piazza, cercando anche solo l’ombra di una traccia che gli permettesse di rimediare al loro errore, si illusero che ricordare a Badlands o Mara quanto quei due sembrassero usciti da un manuale su come seminare eventuali inseguitori sarebbe bastato ad evitare loro terribili conseguenze se non avessero ritrovato al più presto il mezzo lupo rinnegato e l’umano così terribilmente abili nell’arte del dileguarsi con scioltezza.

 

Soundtrack: Werewolves of London (Warren Zevon)

No, Londra non c’entra per niente (ricordate, siamo a Tairans ;p ), ma per “colonna sonora” a questo capitolo posso dire che una volta tanto sono pienamente soddisfatto della mia scelta.

Oh, e per la cronaca, sono stato ad un passo dall’inserire ‘Questione di sguardi’ di Paola Turci, giusto per via della battuta di Uther a proposito del “gioco di sguardi” a forza di dover tenere d’occhio i mezzi lupi che li tengono d’occhio. Ma siccome mi dispiace limitare il trash, ecco, l’ho detto qui!

 

Note per la comprensione:

* Mordecai è un nome considerato comune tra gli ebrei, ed è una specie di nome da luogo comune… come un personaggio inglese che si chiami John Smith, o un francese che si chiami Francoise, o uno italiano che si chiami Marco Rossi, o giù di lì… In effetti, è facile trovare dei ‘Mordecai’ come personaggi ebrei in molta letteratura se non sbaglio, e ho pensato bene che ci stesse a puntino visto che il trash in questa fanfiction è quasi d’obbligo! ;)

 

Note dello scribacchiatore:

Sì, so che questo capitolo risulta piuttosto pesante per via delle frasi piuttosto lunghe e un po’ contorte… tuttavia, quando l’ho riletto continuava a piacermi ancora troppo così per andarci troppo attorno per semplificare… Se proprio vi risulta illeggibile e avete voglia di tirarmi qualche accidenti in proposito, purché me lo facciate sapere magari ci rimetterò mano con più voglia (e soprattutto più a breve) per tentare di rimediare. Altrimenti ve lo terrete così com’è, sperando non sia troppo terribile a leggersi (sorry, ma quando mi si mettono contro sia la disponibilità di tempo che di reale motivazione per fare qualcosa, praticamente non c’è speranza)

  
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