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Autore: Shiren    03/05/2009    1 recensioni
“Bastò un momento per capire che in tutta la mia vita mi ero sbagliata. Non so cosa me lo fece pensare, non so se furono i suoi occhi a farmelo capire, o semplicemente il modo in cui mi guardava; ma capii che non ero più sola. Che c’era davvero qualcuno – solo lui sulla faccia della terra, ne ero certa – che poteva comprendermi.” (Storia scritta grazie all’ispirazione di Twilight- Stephenie Meyer, lo specifico nel caso qualcuno trovasse similitudini. Tuttavia ho messo la storia in Originali perché personaggi, luoghi ecc., del libro non coincidono né compaiono.)
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SESTO CAPITOLO

LA STANZA BIANCA


Adam

In meno di cinque minuti raggiungiamo la villa e scendendo vedo William avvicinarsi alla ragazza per portarla dentro, ma la cosa che più mi spaventa è il suo sguardo, quel tipico sguardo di quando è affamato. In un attimo sono di fianco a lui e, molto più delicatamente di come l’avrebbe presa lui, la accolgo tra le mie braccia e i miei occhi cadono nel suo sguardo immobile e so, che se avessi un cuore che batte, avrebbe perso un colpo. Sembra morta, se non fosse per il suo corpo caldo e per il battito regolare di quel muscolo che a me non batte più.
Poi, alla nostra “normale” velocità entriamo in casa ed Elizabeth ci corre incontro con un espressione a metà fra il perplesso e il terrorizzato.
“Cosa ci fa un’umana in casa nostra?”
Io rimango in silenzio e con un piede tocco la gamba di Arthur, intimandolo silenziosamente a tacere. Voglio che sia William a parlare.
È colpa sua se Ginevra è qui.
“Mamma, è una minaccia” parla infine mio fratello.
“Come una minaccia? No, aspetta un momento…me la ricordo…E’ quella giovane che Adam ha portato a casa la notte scorsa…cosa diavolo è successo?!”
Ci guardiamo tutti, ma capisco che è arrivato il mio momento di parlare.
“Ho fatto tutto quello che andava fatto ieri sera. Non ho risposto alle sue domande, ho aspettato che si addormentasse, l’ho toccata senza che lo potesse percepire, ma stamattina, in mensa, a scuola…è bastato che un suo compagno le ricordasse i nostri nomi per farle tornare tutto alla mente. E William ha deciso di portarla qui”.
“William ha fatto bene” esclamò Elizabeth in risposta la tono accusatorio della mia ultima frase. “Per il momento portala nella stanza vuota e vai con Arthur così potrete sbloccarla…”
Ed eseguo. La porto al piano di sopra, nell’unica stanza completamente vuota della nostra casa e la faccio sedere appoggiandole la schiena e la testa contro la parete. Mi allontano raggiungendo la porta e Arthur mi segue subito dopo aver schioccato le dita. Non ho il coraggio di rimanere a guardare il terrore nei suoi occhi, né ho la forza di volontà di non rispondere ancora alle sue domande.


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Fu come svegliarsi dopo un lungo sonno. Spalancai gli occhi e feci un lungo respiro prima di sentire una porta chiudersi.
In quel momento mi guardai intorno e mi accorsi di non essere nel cortile della scuola, bensì sola, in una stanza deserta, spoglia di qualsiasi mobile e completamente dipinta di un bianco quasi accecante. Mi alzai e mi mise a camminare lungo la parete. Vidi una finestra e corsi verso di essa, ma presto mi resi conto che era di vetro opaco e senza maniglia, come fosse incastrata nel muro. Corsi di nuovo, stavolta verso la porta che avevo sentito chiudersi poco prima. Trovai la maniglia, ma, come c’era da aspettarsi, era chiusa a chiave.
A quel punto mi accasciai a terra con le palme e la fronte contro il legno freddo e sentii la paura e l’angoscia cominciare a scorrere nel mio corpo. Non so come spiegarlo, ma non ero esattamente spaventata, non ancora per lo meno. Semplicemente cercavo risposte e la mia testa era piena di domande che continuavano a rimbombarmi in testa come piccole api che ti pungono senza sosta.
“Dove mi trovo…?” bisbigliai ad un certo punto.
“Dove diavolo mi trovo?!” ripetei in un urlo che squarciò quel silenzio.
Sbattei i pugni sulla porta, sempre più violentemente, anche dopo che vidi le mani diventare rosse, e urlavo, urlavo più che potevo, anche se in cuor mio sapevo che nessuno sarebbe corso in mio aiuto. Non c’era nessuno, a parte me, e gli abitanti di quella che forse era una casa, i miei rapitori.
Urlai con tutta la voce che avevo, finché la stanchezza non prese possesso del mio corpo e della mia mente, e sprofondai in un sonno pieno di incubi.

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Adam

Ci troviamo nel salone, seduti comodamente sui nostri divani in pelle nera, nonostante per noi la comodità sia una cosa relativa.
“Vorrei sapere” comincia Elizabeth “le vostre intenzioni. Cosa volete fare della ragazza?”.
In quel momento entra Henry e dalla sua espressione deduco che nostra madre l’abbia già informato di tutto.
‘Cosa mi sono perso?’ le sue parole mi risuonano nella mente e io sorrido. Oltre alla sua forza formidabile, decisamente superiore alla media è in grado di parlare nella mente delle persone, ovviamente a sua scelta. “Nulla Henry, Elizabeth ci stava chiedendo cosa vogliamo farne” il mio tono è distaccato, gelido, ma sto solo facendo il gioco di Will.
Aspettiamo che anche lui si sieda, poi comincia la discussione e naturalmente il primo a parlare è quello che vorrei sentire per ultimo: William.
“Sono convinto che sappia qualcosa che a noi sfugge. Magari lavora per qualche setta minore che cerca di distruggerci. Torturiamola, prendiamo le informazioni e poi la uccideremo”.
Faccio una smorfia di disgusto e mi alzo rabbioso.
“Diamine Will! Come puoi essere così sanguinario?! Così maledettamente sadico?! È una ragazza di 17 anni che non ha nulla a che fare con i vampiri!”
“Ah si? E come spieghi il fatto che si fosse introdotta nel NOSTRO giardino e si sia ritrovata davanti alla porta del sotterraneo? C’è qualcosa che non quadra Adam!”
“Sai cos’è la curiosità oppure prima di morire non te l’hanno insegnato?!” sbotto, William si alza e in un batter d’occhio mi è davanti mostrandomi i denti.
“Non osare…”
“Io oso perché non voglio che tu faccia ciò per cui Elizabeth combatte da secoli”
“SILENZIO!” urla nostra madre.
Rimaniamo tutti zitti e lei ci indica il soffitto con un dito, mentre con l’altro ci intima di restare ad ascoltare.
Sentiamo qualcosa sbattere e un urlo agghiacciante.
“Sta picchiando i pugni sulla porta” sussurro.
“Idiota…cosa pensa di fare?” bisbiglia sarcastico William.
“Perché tu cosa faresti al posto suo?!”
“Vi ho detto di stare zitti!”
Passa mezz’ora e le urla non smettono. Poi un’ora e d’un tratto non udiamo più nulla…
“Credo che si sia addormentata” constatò Arthur.
Io guardai gli altri due fratelli con odio.
“E voi? Non avete nulla da dire? Non avete un pensiero, una teoria, qualcosa?” li accuso.
Elizabeth si alza e viene ad accarezzarmi i capelli.
“Adam, siamo tutti in uno stato di incertezza. Ma qualcosa che ci accomuna in questo momento è la preoccupazione nei tuoi confronti”
Mi libero istantaneamente del suo abbraccio.
“Nei miei confronti?”
Henry si alza e si avvicina.
“Sembra che tu voglia proteggerla e non capiamo perché”.
E in questo momento mi rendo conto di avere la prima reazione veramente umana, e dunque inutile come vampiro, dopo 149 anni: mi lascio sprofondare tra le pieghe nere del divano guardando il soffitto.
“Non capisco nemmeno io” riesco soltanto a dire.

*****

Yellow_B: Ti ringrazio per il tuo commento al quinto capitolo ^^. Io purtroppo sono un pò sintetica e tendo a dividere gli eventi della storia in più capitoli in modo da non mettere tutto insieme. Comunque ho cercato di allungare un pò e nel prossimo succederanno cose impreviste ^^. Mi scuso per il ritardo, ma sono piuttosto impegnata con la scuola. Spero continuerai a leggere e nel frattempo ti mando un abbraccio!
  
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