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Autore: KirA_KaulitZ    03/05/2009    0 recensioni
"Ho iniziato a scrivere questa storia il giorno prima del ritorno in Europa, a Tokyo. Erano le 5 e tra 2 ore dovevo partire...Era un momento folle, ma spero che questa ff vi piaccia comunque (visto che nn c'è da fidarsi del mio cervellino).
Questa ragazza è perfettamente normale. Ha una vita uguale a quella di molte altre ragazze della sua età. Peccato che i sogni sono sogni,e i suoi si allontanano troppo dalla realtà. VORREBBE avere una vita normale. *VORREBBE avere due genitori che la amano e la stimano. Ma non è così: figlia di un padre appartenente una vecchia stirpe di samurai e una geisha, è ninja.E non sa cosa cosa significa andare contro ad un destino già scritto. Fino a quando non viene investita da una Berlina Nera...
Genere: Generale, Azione, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1° : The Dark Ninja 1° - To the Hell [past]

L’ aria era piuttosto tesa.

Un’ ombra sottile, slanciata e agile, fissava quel luogo, con fare attento  e preciso.

Non si riusciva a distinguere nulla in quella luce opaca, soffusa e oscura, e l’ ombra passava inosservata, camaleontica e perfettamente mimetizzata.

La creatura si mosse repentinamente, estraendo uno stiletto e con una capriola si ritrovò davanti alla faccia di un’ altra ombra, leggermente più tozza. Sorrise.

“Non cambierai mai, si è capito” sussurrò l’ ombra più tozza.

L’ altra sorrise. “ Già…” inspirò. “ Il lupo perde il pelo ma non il vizio… Lo sai meglio di me” poche parole, per poi prendere il braccio all’ altra ombra e girarglielo totalmente, ma quest’ ultima forse l’ aveva previsto, perché con un calcio alto ben assestato era riuscita ad evitare di non rimetterci il braccio, però il calcio non era andato a segno, per niente.

L’ Ombra sottile afferrò di colpo la gamba della sua sfidante, la strinse in alto e poi, con leggiadria ed eleganza,  la fece volare.

Il corpo dell’ ombra sfidante rigirò nell’ aria parecchie volte, forse troppe, e crollò a terra come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili.

Le luci si diradarono, ritornando luminose, e l’ ambiente si scoprì che era un ampio salone.

Ma non era quello che stupì tutti i presenti.

L’ Ombra rimise a posto lo stiletto, sfilandolo con delicatezza dalla bocca, dove l’ aveva tenuto per il combattimento corpo a corpo.

L’ Ombra si ricompose, ritornando rigida come un palo. Il kimono, rigorosamente nero, stava perfettamente a quell’ ombra, come se fosse stato disegnato per lei;  la benda che le copriva buona parte del volto era quadrettata, rosa e nera. La slegò, con delicatezza, senza produrre alcun rumore. Neanche il suono della stoffa si faceva sentire.

Adesso si poteva osservare bene; il corpo molto sottile, le spalle rigide e il portamento di una regina.

Il torace era modellato, e in quel momento si stava alzando e abbassando velocemente, cercando di regolarizzarne i movimenti e il respiro.

L’ Ombra era una ragazza.

 

 

Due ragazzi sbadigliarono, fissando con occhi vuoti e privi di interesse le luci della città, passando cupe sotto lo sguardo d’ essi, che cercavano riparo nel buio di un sonno tranquillo e  ristoratore.

Cosa che, a detta dei ragazzi, li avrebbe aiutati, visto le troppe poche ore di sonno negli ultimi mesi, e il forte stress che condizionava le loro giornate sempre troppo piene e impegnative.

Non ci lasciano neanche il tempo di respirare, pensava il moro, il più alto dei due.

Si capiva che erano gemelli, quei due. Gli stessi occhi nocciola caratterizzavano il loro volto, e le stesse labbra, che però quelle del biondo erano più carnose, e questo non faceva che accrescere la fame di playboy di quest’ ultimo.

Caratterialmente, e anche in fatto di gusti, erano totalmente diversi.

Il moro aveva lunghi capelli neri,  sparati in aria, e con l’ immagine di angelo dannato collimava perfettamente. Gli occhi erano cerchiati da uno spesso strato di trucco nerissimo, il corpo era sottile, e un piercing, fatto appena pochi anni prima, era puntato al sopracciglio. Ne aveva due, di piercing, uno sulla lingua e l’ altro, quello di cui ho parlato prima. Tre tatuaggi, uno più significativo dell’ altro, erano stati finemente disegnati su quel corpo apparentemente fragile e idilliaco.

Suo fratello non poteva essere più diverso di così.

L’ altro aveva lunghi rasta biondi, e un solo piercing, sapientemente posto sulle labbra del ragazzo, accentuava il fatto del suo stile; pareva essere uscito da un video di hip-hop, e sarebbe stato molto bene vicino a 50 Cent in -In Da Club-.

La maglia oversize, rosso fuoco, rappresentava tre teschi.

Uno posava la mano sulle orecchie, l’ altro sulla bocca, e l’ ultimo sugli occhi; il cappellino, dello stesso colore della maglia, era firmato L.A. I jeans, anch’ essi rigorosamente oversize, erano abbassati al massimo, e il moro, durante le giornate, lo vedeva spesso tenersi il bordo di quei… cosi totalmente sformati.

Il rastaro aveva le cuffiette dell’ I-pod nelle orecchie, a massimo volume e molto probabilmente, anzi, conoscendolo, quasi sicuramente, si stava ascoltando Samy Deluxe.

Ecco, un altro ottimo motivo per considerarli diversi. La musica. Il moro ascoltava i Green Day, e tantissima altra musica rock, mentre il rastaro ascoltava spesso e volentieri l’ hip-hop tedesco.

Sulle ragazze non si erano mai trovati d’ accordo.

Il moro era sempre alla ricerca del vero amore, e per questo il suo cuore era stato parecchie volte spezzato, mentre i letti del rastaro erano popolati sempre da una ragazza diversa. La cosa inversa, in poche parole; il moro non amava le tipiche storie ‘una scopata e via’, e per questo aveva disprezzava il fratello, che si vantava di infiniti trofei, ragazze di cui utilizzava solo i corpi, senza minimamente fregarsi di quello che quest’ ultime potevano provare.

Poi, con il lavoro dei due, il rastaro aveva triplicato le sue ore piccole, ogni notte con una groupie diversa. Tutto per lui girava intorno al sesso, solo al sesso, e lui, con i suoi commenti pesantini nei confronti del moro, si era già fatto distinguere dagli altri della band, facendosi riconoscere come il puttaniere.

 Eh, già, suonavano dal 2005, una vita per loro. Il moro si ritrovò a pensare a tutto quel successo in così poco tempo. Era stato stupendo tutto quello, perfetto per le sue aspettative, perché in fondo lui era molto ambizioso, e anche piuttosto testardo ed egoista. Era molto eccentrico, il suo stile lo dimostrava.

Suo fratello era menefreghista, gli piaceva stare nella mischia e attirare l’ attenzione in quel modo.

Nel suo, personalissimo, modo. 

Il rastaro non aveva mai creduto nel vero amore, e il moro, per la sua dolcezza e il suo romanticismo, veniva spesso preso in giro da lui.

 

 

Una ragazza si stava cambiando, nello spogliatoio della palestra di quell’ enorme posto, il luogo in cui poco prima aveva, ancora una volta, dimostrato che era una ninja professionista.

Quella ragazza era l’ Ombra.

Sayu si era sempre considerata strana. Per la sua famiglia, poi… C’ era da spararsi.

La madre Geisha, e il padre di una vecchia stirpe di Samurai, quando erano venuti a sapere che lei era Ninja, la madre era svenuta, il padre la stava per diseredare.

Si specchiò, asciugandosi il sudore che le si era appiccicato addosso, cosa che aveva sempre odiato.

Lo specchio, leggermente scheggiato, riflesse l’ immagine di una 18enne cresciuta troppo in fretta, maturata.

Nel suo complesso, Sayu era perfettamente normale. Lunghi capelli neri, liscissimi e perfetti, e gli a mandorla leggermente tirati. Non neri. Era alta per la sua età, ma era troppo magra, quando aveva 15 anni aveva sofferto di una forte anoressia, che poi nel tempo era scomparsa, la pelle non era giallognola, era un bianco cadaverico, cosa che risultava parecchio strana, visto i capelli così neri.

Le mani le tremavano leggermente, come sempre, lei si prese il polso destro la morsa di cuoi di un bracciale lago e particolare quanto lei, quando gli occhi quasi le si rivoltarono senza un motivo; quando riaprì gli occhi, era scossa ancora da un leggerissimo tremito. Si sorrise, fissandosi attraverso quello specchio.

I ricordi possono essere i tuoi migliori amici, altrimenti fanno solo male, quasi fossero cocci aguzzi e acuminati, lucenti di malvagità, che tornavano a ferire l’ anima nei momenti più inopportuni; non c’ è rimedio, si disse. Un altro sorriso malinconico attraversò le sue labbra carnose, spegnendosi pian piano nel suo sguardo gelido.

I ricordi fanno male, constatò.

Continuava a fissare la sua pelle innaturalmente cadaverica, senza sapere bene il perché.

Non se ne vergognava, della sua pelle; aveva preso quella tonalità quando era stata in Germania da un lontano parente.

In Germania erano cambiate parecchie cose in lei. Aveva conosciuto sua cugina, una ragazza leggermente più piccola di lei che, pur non volendo darlo a vedere, stimava Sayu più di chiunque altro, e cercava di copiarla in quasi tutto.

In fondo però erano terribilmente simili, non di aspetto perché la cugina era bionda e totalmente diversa, ma in carattere: tutte e due venivano massacrate di ordini da i loro genitori, forse Ginevra un po’ di meno, e tutte e due erano amanti dell’ emo style.

Si capiva tantissimo che erano emo, da come vestivano, dalle loro amicizie… Da tutto. Magari fossimo state sorelle, pensò Sayu.

Ginny, o Ginevra, era stata l’ unica cosa positiva della Germania, a parte Amburgo e il piccolissimo paesino dove Ginny aveva una villetta… Com’è che si chiamava? Ah, sì, Loitsche; anche se adorava le grandi metropoli come Tokyo, quello non era male per gli esercizi di meditazione, che il codice Ninja le imponeva.

Quanto odio l’ Occidente, si disse con una nota di disprezzo, sussurrandolo.

 

Quando uscì dalla palestra, erano le 10. Il buio incupiva la città, creando forme spettrali e scure, mentre riempiva ogni poro della pelle di Sayu, facendola sentire sicura, perché il buio le faceva questo effetto, da sempre; da piccola si ricordava che la notte apriva l’ enorme finestra che dava sul balcone, ci saliva sopra e si appostava sulle tegole: era molto facile salire dal balcone sul tetto.

Accese il suo amatissimo I-Pod Nano.

Sayu era fatta così; per non sentire l’ affanno della giornata, attaccava l’ I-Pod,e così non riusciva più contraddistinguere la frenesia delle sue giornate cupe e buie. Non aveva MAI tempo. Era così anche quando viveva con i suoi, mai tempo, sempre di fretta. Quella era una cosa che non sopportava davvero; quand’ era bambina aveva sempre pensato che per i suoi genitori lei fosse una marionetta da comandare a bacchetta: lei per loro era una semplice marionetta cui, tirati ben bene i fili, si sarebbe alzata, di colpo, per essere comandata a piacere.

Ma al compimento dei suoi 17 anni aveva deciso di tagliare quei fili che la tenevano in piedi, staccandosi dai suoi genitori e andando a vivere da sola.

Non si reputava coraggiosa o chissà che cosa, no.

Si riteneva abbastanza matura per scegliere quello che doveva fare.

Quello non era coraggio. Era la responsabilità; era riuscita in una cosa che qualche persona neanche a 30 anni è capace a fare.

Assumersi la responsabilità delle proprie azioni.

Era vestita molto semplicemente. Una maglia a maniche corte alla giapponese, con il collo alto e i bottoncini su un lato. I bottoncini erano tutti argentati, e continuavano anche per il corpetto, mentre la maglia era nerissima, un po’ più lunga del normale. I jeans, strettissimi a sigaretta e d’ un blu scuro, un po’ lunghi anch’ essi, avvolgevano le cosce modellate e scolpite dal troppo esercizio fisico di Sayu.

La ragazza senti uno strano rumore dietro di sé.

C’era odore di pericolo.

Un rombo la fece voltare appena.

In quel preciso istante partì, come per uno scherzo del destino, che con lei era sempre stato troppo crudele, Hide & Seek…

 

 

 

 

 

Era tutto buio. E la testa pulsava dolorosamente. Tentò di sbattere le palpebre, ma non ci riuscì, troppo difficile; poi pian piano ricominciò a percepire qualcosa, sprazzi di ondate di panico puro, e diverse urla. Sayu non vedeva più niente.

L’ avevano fasciata, perlomeno, avevamo fasciato quello che secondo lei era il suo volto.

Poi capì tutto. Si tastò la testa, e capì di non essere stata vista, perché una persona continuava a dare di matto, dicendo che erano stati degli incoscienti, stupidi e ciechi. Un'altra disse alla voce di zittirsi, di chiudere quella maledetta boccaccia per un minuto.

L’ avevano presa in pieno, investendola, e si poteva considerare fortunata se riusciva ancora a pensare con la sua testa.

Con delicatezza trovò il punto in cui la fasciatura partiva, e ne staccò un pezzo, molto lentamente; continuò, fino a quando la staccò totalmente. Era una fasciatura da poco, non una di quelle strette, ne era certa.

Quello che non aveva calcolato era la luce: gli occhi le andarono a fuoco per un secondo, e lei non riuscì a non emettere un gemito di dolore, che si trasformò quasi in un urlo.

Voltò di colpo la testa, con uno scatto fulmineo, e riuscì a mettersi seduta.

La voce che stava urlando prima si preoccupò ancora di più, mentre anche l’ altra si avvicinò, respirando affannosamente.

 Percepiva tutto, anche il fruscio degli indumenti dei due ragazzi, lo aveva capito perché camminavano tutti e due con pesantezza; almeno il fatto di percepire tutto era un buon segno, significava che non aveva perso nessuna facoltà mentale.

Riprovò ad aprire gli occhi, quando senti che un'altra persona si stava avvicinando, molto probabilmente era un medico che uno dei due aveva chiamato.

Quando il medico la vide, gli venne quasi un infarto. Si avvicinò con un'altra benda, sbuffando impercettibilmente; posizionò la nuova fascia sul volto della ragazza, ma era troppo prevedibile.

Sayu, con molta tranquillità, prese il braccio del medico e lo girò, fino a volerlo staccare; ritentò, per l’ ennesima volta di aprire gli occhi e stavolta ci riuscì.

Girò la testa di scatto, di nuovo, e quando vide il medico che starnazzava, lo mollò.

Lui gemette, quasi piangendo.

I due ragazzi non potevano essere più diversi di così, e quando tentò di scendere dal letto dell’ ospedale il più calmo dei due si avvicinò a lei per tentare di rimetterla sopra alla struttura dell’ ospedale.

Ma lei, lo fissò gelidamente, facendo slittare lo sguardo da lui al corpo del medico.

“ Vuoi fare la stessa fine?” sussurrò con voce roca, senza più fiato. Aveva parlato tedesco; aveva compreso dalle urla del moro che i ragazzi erano occidentali.

Lui parve capire comunque.

“ Chiamerò le infermiere, ti avviso”

Manco avesse parlato!! Sayu gli saltò letteralmente addosso, stringendo tra le dita affusolate il collo del ragazzo. Lo strinse in una morsa di acciaio, ignorando le inutili richieste del ragazzo di mollargli il collo.

Sorrise tra se e se. Aveva sempre odiato quella tecnica di omicidio, ma a quanto pare alla fine le era tornata utile, come la maggior parte delle parvenze d’ addestramento di samurai che le avevano inflitto quando era una semplicissima bambina.

“ Provaci”

Qualcuno la costrinse a voltarsi, sentì solamente un ago puntato alla spalla, e crollò a terra come una pesante farfalla di cristallo a cui avevano tagliato il sottilissimo filo che la teneva sospesa in aria.

 

  
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